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Dino

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ASTENSIONE PROGRAMMATA.

l'editoriale di Marco Travaglio

12 giugno 2024

Evviva, “torna il bipolarismo”! FdI&Pd come ai bei tempi di B.&Prodi! Le mafie, che si portano sempre avanti, l’avevano capito da un pezzo. La Procura di Reggio Calabria ha appena scoperto che alle Regionali del 2020 e alle Comunali del 2021 la ’ndrangheta portò voti a FdI&Pd e ha indagato un consigliere regionale FdI, un consigliere regionale Pd e il sindaco dem Falcomatà per scambio politico-mafioso. Sono gli stessi partiti già finiti a vario titolo nelle inchieste sui voti sporchi in Puglia, in Piemonte, in Sicilia e nella stessa Calabria. Quelli che esultano per le vittorie alle Europee, trainate dalle valanghe di preferenze dei loro candidati. Voti per le due leader-donna e i loro big che scaldano i cuori, certo. Ma anche voti sporchi dei portatori d’acqua che non vanno tanto per il sottile, garantendosi vita eterna perché assicurano ai partiti uno “zoccolo duro” sotto cui non si scende neppure nelle crisi nere. Sono i valvassini e i valvassori dei vassalli che la Schlein scomunicò come “cacicchi” per farsi eleggere segretaria e, quando lo divenne, giurò di cacciarli. Poi li ha messi tutti in lista, e buon per lei: senza i loro voti, raccattati a qualsiasi prezzo mentre lei predicava la questione morale dalla piazza di Berlinguer a Padova, non avrebbe superato il 20%. E sarebbe nei guai come Conte (che i cacicchi non li ha perché la mannaia dei due mandati li uccide nella culla). Lo stesso fa la destra, che i pacchetti di voti se li tramanda da Dc&Psi a FI alla Lega a FdI senza neppure porsi il problema, anzi: sono investimenti.

I nomi dei titolari sono arcinoti: ogni volta che una cimice o un trojan ne immortala qualcuno all’opera, i giornali fanno la lista completa con numeri e tariffe dei voti. E tutti a denunciare il sistema marcio, ad annunciare “repulisti”, a varare “codici etici” e naturalmente a citare l’intervista di Berlinguer a Scalfari del 1981, che fa fine e non impegna. Poi però c’è sempre qualche elezione alle porte e la fame di voti vince sulla sete di legalità. Soprattutto se fra gli elettori la questione morale passa di moda per stanchezza, rassegnazione, problemi più urgenti. Guardate le Europee: quasi tutti gli impresentabili vengono eletti e negli epicentri degli scandali, da Bari a Torino, da Genova al Regno delle Due Sicilie, vincono i partiti più invischiati nel voto di scambio. Chi scambia voti vota, chi si indigna sta a casa e aumenta il valore di ogni voto scambiato. È la famosa “astensione programmata”. Ma adesso gli indignati speciali per gli scandali di un mese fa se li scordano, anzi esaltano chi vince anche col voto di scambio. Che da domenica sera si chiama “radicamento sul territorio”. Tanto, come dice l’uomo della famiglia ’ndranghetista a Falcomatà, “meno votano e meglio è”. E il sindaco Pd: “Certo, appunto”.

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IL PAESE DEI BERLUSCLONI.

l'editoriale di Marco Travaglio

13 giugno 2024

Ingiustamente esclusi dalle pompe funebri a Camere, reti Mediaset ed edicole unificate nel primo anno dalla dipartita di B., partecipiamo al lutto mai estinto per il caro estinto. Col rimpianto che non possa godersi anche lui il Paese che per mezzo secolo ha rovinato, prima con le sue tv, poi con i suoi governi, ora con i suoi berluscloni. La Meloni, quella che non era ricattabile da lui perché non ce n’era bisogno, tiene alta la bandiera a suon di condoni e schiforme. E riceve i capi del G7 in un luogo che a lui sarebbe tanto piaciuto: Borgo Egnazia in val d’Itria, con finto paesino d’epoca, masseria, laghetti fasulli, piscine e jacuzzi medievali. Una Milano2 o una Villa Certosa salentina, ma senza mausoleo e vulcano artificiale. In compenso, se gratti la pietra leccese, potrebbe riaffiorare qualche mazzetta in lire: il fondatore del Borgo fu l’avvocato tributarista Sergio Melpignano, big di Tangentopoli, consulente di Previti e Acampora (12 anni e 8 mesi di galera in due), legato a giudici corrotti, palazzinari e politici bipartisan, arrestato e uscito patteggiando 18 mesi per corruzione. Il posto ideale per farci conoscere, ma soprattutto riconoscere dagli altri sei grandi del mondo, se solo sapessero dove sono finiti: sul web la fedina penale del fondatore è sbianchettata, quindi ricorderanno solo le prelibatezze del noto chef stellato “scomodo e ribelle”, e poi i brindisi, ovviamente con i vini di Bruno Vespa. Silvio, lassù o laggiù, sarà raggiante e un po’ geloso.

Ma non c’è celebrazione senza un tocco di trasversalità. E infatti quale miglior omaggio al berlusconismo della vittoria di Avs trainata da Lucano e Salis? Il primo è l’ex sindaco di Riace condannato in appello a 1 anno e 6 mesi per falso in atto pubblico, prescritto per un abuso e un altro falso, dunque rieletto sindaco ma pure eurodeputato: l’esultanza per la “rivincita” sui giudici e la condanna lavata da 188 mila preferenze sarebbe piaciuta a B., che – per ben altri delitti – inventò l’equazione preferenza=innocenza (“Sono un cittadino più uguale degli altri perché ho avuto i voti”). L’altro caso di berlusconismo di sinistra è quello della Salis, animata senz’altro dalle migliori intenzioni, ma con un pedigree non proprio consono alle istituzioni: quattro condanne definitive a 1 anno e 9 mesi per reati di attivismo politico e un processo molto dubbio in Ungheria per associazione a delinquere e lesioni. Anche i 176 mila elettori corsi a votarla erano animati dalle migliori intenzioni: quelle di liberarla. Ma l’idea dell’elezione come alternativa all’evasione sarebbe piaciuta un sacco a B.. Mentre si celebra il revival del bipolarismo, torna in mente il Guzzanti del 2001 nei panni di Rutelli: “Er Paese nun è de destra e manco de sinistra: er Paese è de Berlusconi!”. Prima da vivo, ora da morto.

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SETTE NANI E UN GIGANTE

l'editoriale di Marco Travaglio

14 giugno 2024

Prima scena: la passerella a Borgo Egnazia dei Sette Nani che si fanno chiamare Sette Grandi perché sono quasi tutti morti ma non se ne sono accorti e fingono di prendere decisioni già prese altrove o da altri. Biden è già un miracolo se si sveglia la mattina e si riconosce; Macron, precipitato al 14% e doppiato dalla Le Pen, spera di salvarsi nel voto anticipato agitando il solito spauracchio del fascismo (io faccio schifo, ma quella è peggio di me); Scholz voleva essere il nuovo Merkel, ma è solo il nuovo Renzi; Sunak, Trudeau e Kishida stanno per raggiungere gli altri nel cimitero delle pippe; e così via. Siccome sono terrorizzati dal Papa che domani parlerà di pace contro il loro bellicismo beota e perdente, simulano un’epica battaglia sull’aborto, che non dipende da loro (semmai dai Parlamenti) e nessuno ha la minima intenzione di toccare, ma è perfetto per farsi belli davanti agli elettori più boccaloni, a costo e a somma zero.

Seconda scena: alla Camera i 5Stelle contestano in beata solitudine le invereconde pompe funebri per B.; e il loro deputato Leonardo Donno, leccese, 39 anni, istituto tecnico commerciale, imprenditore del ramo impianti idraulici, climatizzatori ed energie rinnovabili, tenta di consegnare al ministro Calderoli la bandiera tricolore in polemica con l’Autonomia differenziata. Una provocazione che tocca il nervo più scoperto delle tre destre al governo. I due partiti con l’Italia nel logo (FdI e FI), tiepidissimi sulla schiforma per i voti che perderanno, vorrebbero rallentarla, ma non possono per il baratto con la Lega: se FdI vuole incassare il premierato e FI le porcate contro la giustizia devono pagare il riscatto alla Lega. I tre obbrobri simul stabunt, simul cadent: se ne salta uno, saltano tutti. E pure il governo. Ci voleva un esperto di idraulica e di energia – uno dei famosi “scappati di casa grillini” – per azzeccare la mossa giusta al momento giusto. Per Calderoli il tricolore è come l’aglio per un vampiro. Infatti il leghista, che viene dalla Lega di Bossi (“Io col tricolore mi pulisco il c**o”), si ritrae schifato. Intervengono i commessi. Ma ecco decine di squadristi avventarsi su Donno. Altro che “rissa” o “disordini”: si chiama pestaggio. Un picchiatore, ben nascosto nella gang, gli assesta un colpo da arti marziali allo sterno, levandogli il respiro e facendolo accasciare come un sacco, mentre altri lo scalciano a terra. Con quella semplice e pacifica provocazione, Donno ha colpito e affondato non solo la Lega che si finge nazionale ed è sempre antinazionale; ma pure gli ipocriti fratelli d’Italia e forzisti, che il tricolore l’hanno sempre sventolato e ora lo tradiscono. Non sappiamo se i 5Stelle risorgeranno dalla batosta. Ma, intanto, meno male che ci sono.

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RIMBAMBIDEN

l'editoriale di Marco Travaglio

15 giugno 2024

Leggere che “Biden dice”, “vuole”, “pensa”, “progetta”, “intende”, stona un po’ con i video sui social delle sue ultime performance, del tutto incompatibili con quei verbi. In uno assiste a un concerto di musica afro con il suo staff che gli balla accanto e lui, rigido come uno stoccafisso findus, non muove un muscolo per diversi minuti. In un altro, al G7, sfugge agli altri sei nani riuniti sul prato per una foto di gruppo e punta dritto verso il celebre amico invisibile, a cui stringe la mano dopo ogni discorso. La stampa di tutto il mondo ha già decretato che il fu capo della fu prima superpotenza è totalmente incapace di intendere e volere ed è teleguidato a distanza da decisori mai eletti di cui si ignorano i nomi, ma non i disastri. Però i nostri giornaloni glissano, convinti che la verità sia un regalo a Trump, come non la vedessero tutti. Il Corriere.it s’interroga: “Come sta Biden? I video dei suoi movimenti rigidi e i dubbi espressi dai media Usa”. Ecco: dai media Usa (notoriamente trumpiani), mica dai nostri, che anzi lo trovano in forma smagliante. Il Wall Street Journal pubblica un’inchiesta con le voci di 45 suoi collaboratori di ieri e oggi, unanimi nel dire che da un bel pezzo quelle di Sleepy Joe non sono più le gaffe che lo resero celebre da lucido, ma deliri di uno che non ci sta più con la testa. E Repubblica spaccia quel mega-scoop per un “attacco dei repubblicani”. Come la condanna del figlio Hunter perché girava armato quand’era strafatto come una zucchina (invece quella di Trump per i soldi alla pornostar è pura legalità).

Ho appena letto le bozze di Rimbambiden, il libro di Roberto Zanni in uscita il 12 luglio per PaperFirst: ci sarebbe da scompisciarsi, se il protagonista (o chi per lui) non decidesse la nostra politica estera. È il presidente più impopolare degli ultimi 70 anni. Solo tra gennaio e aprile, la Casa Bianca ha dovuto correggerlo 148 volte. Tipo quando, nell’ultima intervista alla Cnn, è riuscito a mentire 15 volte in 17 minuti. O quando ha annunciato: “Oggi qui con noi c’è Hersh Goldberg-Polin!”, l’ostaggio israelo-americano che però non c’era perché è ancora nelle mani di Hamas. O quando ha detto di aver appena parlato col “presidente tedesco Mitterrand” (francese e morto nel 1996). Che “Putin ha perso la guerra in Iraq”. Che suo zio Bosey fu “abbattuto in Nuova Guinea e mai ritrovato perché c’erano molti cannibali” (ma precipitò per un guasto, e nel mare di Bismarck, dove non c’erano cannibali, infatti il premier di Papua Nuova Guinea ha protestato). Che “ho detto chiaramente agli israeliani: non muovetevi su Haifa!” (cioè non attaccatevi da soli: Haifa è in Israele, ma forse intendeva Rafah). Che gli americani devono “scegliere fra la libertà e la democrazia”. Ma, almeno lì, forse era lucido.
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LA RESA DEI TONTI

l'editoriale di Marco Travaglio

16 giugno 2024

La quotidiana regressione del mondo verso l’età della pietra in versione nucleare ci costringe a non stupirci più di nulla. Non dei Sette Nani del mondo che chiedono una “tregua olimpica” alla Russia dopo averle vietato di partecipare alle Olimpiadi con le sue bandiere e dopo che Zelensky l’ha respinta come un regalo a Putin. Non della cosiddetta “conferenza di pace” di Lucerna, la prima della storia con tutti i Paesi del mondo tranne quello che ha scatenato la guerra e la sta vincendo, perché il “piano di pace” di Zelensky prevede negoziati con tutti fuorché col suo nemico. Non delle reazioni sprezzanti della Nato al “piano di pace” di Putin (“Kiev mi dia le cinque regioni che ho annesso e rinunci alla Nato”), corretto e interpretato dall’alleato cinese (“Kiev e Mosca s’incontrino a metà strada”). Secoli di diplomazia basata su realismo e pragmatismo per interessi superiori spazzati via dall’ipocrisia cavernicola e dalla doppia morale di leader morituri che scambiano i sogni per la realtà, nascondono le cause della guerra e mandano al macello gli ucraini per salvarsi la faccia o il c**o (che fra l’altro coincidono). E la stampa sonnambula dietro. Repubblica: “Putin, la pace indecente”. Stampa: “La pace secondo Putin è la resa dell’Ucraina”. Tutti fingono di non capire che quelle richieste, ovviamente inaccettabili, non sono il trattato finale, ma la pistola che l’autocrate poggia sul tavolo per iniziare a negoziare. Lo sa anche lui che il suo piano è irricevibile, così come quello speculare di Zelensky, che ha pure l’aggravante di essere lo sconfitto (“i russi si ritirino da tutti i territori occupati e Kiev entri nell’Ue e nella Nato”). Ma almeno bisognerebbe conoscere la differenza fra una resa (la perdita dell’intera Ucraina) e un compromesso (le cinque regioni reclamate e neppure ancora interamente occupate dai russi sono solo un quinto del Paese).

Il fatto che sempre più insistentemente Putin parli di chiudere la guerra può essere un bluff, ma per scoprire se lo è bisogna andare a vedere. Apparecchiando un tavolo che includa la Russia. Come quello di Istanbul che portò all’intesa con Zelensky nel marzo 2022 e fu fatto saltare dalla buonanima di Johnson. L’alternativa è una sola: che la Nato con i suoi miliardi e armamenti (quasi finiti) e l’Ucraina con i suoi soldati (quasi finiti) riconquistino tutti i territori occupati, pari a metà dell’Italia, e alla svelta, prima che gli ultimi leader superstiti del Partito Unico della Guerra vengano spazzati via dagli elettori. Vasto programma: negli ultimi 14 mesi, Kiev ha liberato l’equivalente della provincia di Prato, mentre ne ha persi e ne sta perdendo molti di più. Oggi il piano di pace di Putin sembra folle, e lo è. Speriamo che, fra un anno, non diventi il piano di pace di Zelensky.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

17 giugno 2024

Le ultime parole famose. “La fine del Pd sarà sia con Elly sia senza Elly. Ma se Elly Schlein diventa segretario del Pd, metà partito passa con noi, e forse sono stato prudente” (Matteo Renzi, L’aria che tira, La7, 3.10.’22). Fassino, è lei?

Bagaglino. “Pd, voglia di una nuova Margherita. E Prodi punta su Sala federatore” (Giornale, 13.6). Il Salone Margherita.

Il Soviet del Tavoliere. “Io voglio cacciare i leninisti dalle nostre città, da Lecce, dalla Puglia, dall’Italia e dall’Europa” (Adriana Poli Bortone, candidata FdI a sindaco di Lecce, 1.6). Per tutti i camerati della mozione Poli Bortone: Lenin è morto!

Mai dire mai. “Piuttosto che votare per Di Maio, Speranza, Cirinnà e Fratoianni io emigro!” (Roberto Salis, padre di Ilaria, Twitter, 18.9.22). “Bisogna capire se nelle istituzioni italiane c’è una persona come la Thatcher o come il Nano Mammolo” (Roberto Salis, Tg3, 10.6). Coma passa, il tempo.

San Paolo. “Paolo Signorelli è un giovane giornalista che da anni non salta una domenica in chiesa, va regolarmente in pellegrinaggio a Medjugorje, aiuta chiunque sia in difficoltà” (Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura, dopo le dimissioni del suo portavoce per le chat antisemite e filofasciste, 11.6). Salutava sempre.

Pussa via. “Mosca esulta per il voto. La freddezza di Zelensky” (Messaggero, 11.6). È proprio il concetto di voto che non gli va giù.

Dazi amari. “Draghi ‘benedice’ i dazi: ‘Bisogna riparare i danni causati dall’eccesso di import da Russia e Cina’” (Giornale, 15.6). È il famoso libero mercato.

If. “Draghi: ‘Se non fosse per la tecnologia, la nostra produttività sarebbe uguale a quella americana’” (Stampa, 15.6). E se mio nonno avesse le ruote sarebbe un tram.

Salis e tabacchi. “Salis libera, Toti dentro. Testacoda giudiziario” (Libero, 15.6). “Fuori Salis, dentro Toti” (Verità, 15.6). “Salis libera e Toti agli arresti deve farci riflettere (sic, ndr) su quale delle due nazioni, Ungheria e Italia, sia una democrazia compiuta” (Alessandro Sallusti, Giornale, 15.6). Ma infatti.

Colle&Balle. “Il Giornale al Quirinale. Mattarella: ‘Il quotidiano garantisce notizie certificate’” (Giornale, 15.6). Poi ci sono le eccezioni che confermano la regola.

A babbo morto. “Il patto decennale tra Usa e Ucraina” (Corriere della sera, 14.6). Solo decennale? Viste le ultime performance di Biden, si direbbe almeno trentennale.

La parola agli esperti. “Andriy Shevchenko: ‘Nella mia Ucraina si continua a morire. I nostri gol lo ricorderanno al mondo’”. “Lilian Thuram: ‘L’estrema destra detta l’agenda, in troppi condividono il razzismo. Bardella? Masrketin politico. Macron? Chiediamoci se il presidente non abbia troppo potere’”. (Stampa, pagg. 8 e 13, 14.6). Che ideona: la geopolitica affidata alle vecchie glorie del calcio. E Gascoigne che dice?

Logica stringente. “Pier Silvio Davigo. L’ex pm fa come Berlusconi, prima attacca i giudici e poi sceglie l’avv. Coppi per salvarsi” (Foglio, 14.6). Quindi, siccome Coppi prima di B. aveva difeso Sabrina e Cosima Misseri per il delitto di Avetrana, B. era pure un omicida?

Messaggio recepito. “L’amarezza di Renzi: ‘Lotteremo ancora’” (Giornale, 11.6). Una promessa o una minaccia?

Marachi? “Marattin: ‘Ecco perché mi candido a guidare il dopo-Renzi. Riunire i riformisti in una casa nuova’” (Riformista, 12.6). Ma basta pure il ripostiglio delle scope.

Uomo di poca fede. “Toti quale campagna elettorale potrebbe pagarsi col crimine? Quella conclusa o la successiva a cui non parteciperà?” (Mattia Feltri, Stampa, 12.6). In effetti un’eventuale assoluzione sarebbe un handicap per una candidatura.

I titoli della settimana/1. “Autonomi, scoppia la rissa”, “Gazzarra” (Corriere della sera, 13.6). “Le riforme finiscono in rissa: pugni in Aula sull’Autonomia” (Repubblica, 13.6). “I grillini non sono più quelli di una volta” (Francesco Merlo, Repubblica, 14.6). “Provocazioni e rissa alla Camera” (Giornale, 13.6). “In aula come al saloon botte per l’Autonomia”, “La strategia della rissa” (Messaggero, 13.6). Quando pestano un 5Stelle, si dice così.

Il titolo della settimana/2. “Il vero lascito del Cavaliere” (Alessandro Sallusti, Giornale, 12.6). Bonifici semestrali a Cosa Nostra e 368 milioni di dollari di frodi fiscali.

Il titolo della settimana/3. “Confalonieri: ‘Il mio Silvio? L’uomo delle missioni impossibili’” (Corriere della sera, 12.6). Tipo farsi comprare un giudice per fregare la Mondadori al legittimo proprietario.

Il titolo della settimana/4. “E adesso sarà un periodo difficile per Kiev” (Corriere della sera, 12.6). Adesso.

Il titolo della settimana/5. “Gori: ‘Fronte unico dalla sinistra a Renzi. Il sostegno a Kiev è il solo discrimine’” (Corriere della sera, 12.6). Quindi fronte unico dalla sinistra al battaglione Azov.

Il titolo della settimana/6. “Così le donne portano stabilità” (Simonetta Sciandivasci, Stampa, 11.6). Tipo la Le Pen?

Il titolo della settimana/7. “La commemorazione di Berlusconi. Il cordoglio di Mattarella e Meloni” (Giornale, 13.6). Ammazza, che riflessi pronti.

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BALOCCHI E PROFUMI

l'editoriale di Marco Travaglio

18 giugno 2024

Reduce dai fasti del duty free di Fiumicino, un profumatissimo Piero Fassino è tornato all’altro antico amore: la politica estera. A meno di due mesi dallo scoop del Fatto sulla mano lesta e recidiva che intasca uno Chanel Chance senza passare dalla cassa, il Pd non ha ancora detto una parola sul suo deputato indagato per vari tentati furti (se è malato, lo dimostri con un certificato medico e si curi evitando di andare in giro da solo; se non lo è, c’è una sola parola per definirlo, incompatibile con la carica che occupa). Così, fischiettando e confidando nella smemoratezza generale, lui ha ripreso a frequentare Montecitorio, dunque pure Fiumicino, e a twittare contro l’ex compagno Putin: “Pretende il riconoscimento dell’annessione di Crimea e Donbass. Un diktat indecente. Una pace giusta e sicura non può essere un’umiliante richiesta di resa”. I commenti sottostanti sono pezzi di rara comicità: non si rideva tanto da quando Di Maio annunciò la scissione dai 5Stelle e la nascita di Insieme per il Futuro. Breve antologia: “Indecente è intascarsi i profumi al duty free”, “Ok, ma prima passa alla cassa”, “Quindi il ladro sarebbe Putin”, “Si sente profumo di vittoria”, “Sento profumo di cazzate”, “Rubare profumi ti riesce meglio delle analisi geopolitiche (ed è tutto detto)”, “Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?”, “Oltre a rubare ami anche mentire?”, “Prova a proporre uno scambio di profumi”, “corneilcretino, manda qualche profumo a Putin, magari lo convinci”, “Ho un’idea: rubiamo le armi a Putin!”, “Egoiste!”.

Altri entrano nel merito: “Sii pragmatico: Putin non potrà certo ritirarsi da questa sanguinosa guerra con soltanto un paio di profumi in tasca”, “Parti col moschetto?”, “Se lo dice Fassino, possiamo star certi che Kiev diventerà la nuova capitale della Federazione Russa”, “La pace giusta non esiste: esiste solo la pace dei vincitori”, “Piero, ti svelo un mistero: se si perde una guerra, le condizioni le detta il vincitore”. Ma questi commenti, detratte le essenze Chanel, non valgono solo per il maestro profumiere pidino: sono la risposta del buonsenso alle follie del 99 per cento dei politici occidentali, che continuano a fare i capricci come bimbetti viziati dell’asilo: “Vojo il Donbass! E pure la Crimea! E pure Kiev nella Nato!”. Come se per due anni e mezzo non avessero farcito l’Ucraina di armi e miliardi, riempito Mosca di sanzioni per “sconfiggere la Russia” e collezionato solo fiaschi. Ora farneticano di “pace giusta” come se nella storia ne fosse mai esistita una: cioè come se lo sconfitto potesse dettare le condizioni al vincitore. Di questo passo, Fassino chiederà indietro Corsica, Nizza, Savoia, Istria, Dalmazia, Albania, Libia, Etiopia, Somalia ed Eritrea. E passerà ai profumi coloniali.

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ANATOMIA DI UNA CADUTA

l'editoriale di Marco Travaglio

19 giugno 2024

Sulla sconfitta dei 5Stelle e sulle ricette per la rinascita si leggono cose assai strane. Grillo, battute a parte, dice giustamente che “gridare non serve più, è il momento del moderato Conte”. Poi però promette di essere più presente (se andasse a votare sarebbe già qualcosa) e pensa di recuperare voti con “un po’ di senso dell’umorismo”: ma i 5Stelle i voti li hanno sempre presi su cose terribilmente serie, tipo reddito di cittadinanza, lotta alle mafie e alla corruzione, acqua pubblica, pace e ambiente. La Raggi, ultimo sindaco di Roma prima del vuoto cosmico, vagheggia un “ritorno alle origini” fatto di “banchetti di plastica” e “aggregazioni online”, come se l’orologio della storia potesse tornare al 2009; e mai più “alleanze” tipo Lega e Pd che “ci snaturano e ci rendono irriconoscibili”. Poi però ricorda le cose buone dei governi Conte (“ha dimostrato grandi capacità”), dal Rdc in giù: che non sarebbero mai passate senza allearsi con Lega e Pd. E nelle ultime due elezioni i 5Stelle sono andati da soli: bene alle Politiche e male alle Europee: quindi che c’entrano le alleanze?

C’entra semmai l’essere entrati con le mutande in mano nel governo Draghi, nato per distruggerli con i loro voti determinanti, grazie alla geniale resa di Grillo ai noti “grillini” SuperMario e Cingolani (“Io sono l’Elevato e lui il Supremo”). Conte, che all’epoca non era neppure iscritto ma lasciò fare, ha chiesto scusa a nome del Movimento. Ora toccherebbe a Grillo: se è vero che il M5S si è “vaporizzato”, la vaporizzazione risale al 2021 e porta la sua firma. Senza l’arrivo tormentatissimo di Conte al vertice, fra sentenze del Tribunale di Napoli, guerriglie casaleggiane e pugnalate alla schiena da Di Maio&C. e dal Pd per conto Nato, i 5Stelle sarebbero scesi sotto il 10% già due anni fa. Su un punto però la Raggi ha ragione: “Gli schemi destra-sinistra fanno parte del passato”. Il neo-bipolarismo (finto) FdI-Pd nasconde politiche molto simili: dalla guerra all’austerità all’Autonomia differenziata, contro cui la Schlein strilla in piazza dopo averla chiesta con Bonaccini per l’Emilia-Romagna nel 2018. Patuanelli non è d’accordo e twitta: “‘Né di destra né di sinistra’. Lo sento dire da molti anni. Da quelli di destra”. Per la verità, quelli di destra si sono sempre detti di destra. Erano i 5Stelle che si dicevano “né di destra né di sinistra” (lo stesso Conte li chiama “progressisti”, tutt’altra cosa dalla “sinistra” mummificata e vacua d’Italia e d’Europa). Quella fu una delle chiavi del loro successo e potrebbe esserlo ancora, in un Paese dove chi vota premia sempre l’ultima novità e anche chi non vota bada al sodo, fregandosene dei teatrini ideologici. È bizzarro doverlo spiegare proprio a chi, per il suo Dna, dovrebbe essere il più predisposto a capirlo.

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PREMIER LINGUE

l'editoriale di Marco Travaglio

20 giugno 2024

Se non ci fosse da tremare per il combinato disposto fra premierato, autonomia e schiforma della magistratura, ci sarebbe da scompisciarsi. Due partiti con l’Italia nel logo, FdI e FI, la polverizzano in 21 staterelli, ciascuno con le sue regole, per far contento un partito estinto che non era riuscito nell’impresa neppure quando veleggiava sul 40%. Poi, se un deputato 5S gli mostra il tricolore, reagiscono come il toro al drappo rosso: caricando a testa bassa. E i loro lecchini sono talmente idioti da dire (e forse addirittura pensare) che con l’elezione diretta del premier “basta governi tecnici, altolà ai ribaltoni, istituzioni più stabili”. Quattro balle al prezzo di una. Voteremo su tre schede: una per il premier, una per la Camera, una per il Senato. Quindi potrebbe essere eletto un premier senza maggioranza in una o in entrambe le Camere: bella stabilità. Quel rischio si evita solo con una legge elettorale che assegni la maggioranza parlamentare a chi arriva primo, senza un tetto minimo: tipo l’Italicum, che dava il 55% dei seggi al primo partito anche col 20% dei voti. Ma la Consulta lo bocciò: il premio senza soglia è incostituzionale. E i ribaltoni, cioè i cambi di maggioranza in corso di legislatura, previsti ogni democrazia parlamentare? Per limitarli servirebbe la sfiducia costruttiva tedesca o spagnola: il governo può cadere per far posto a un altro solo se c’è una maggioranza alternativa, sennò si torna alle urne. Ma nel premierato non c’è e i ribaltoni restano possibilissimi.

Il premier sfiduciato può chiedere e ottenere dal Quirinale lo scioglimento delle Camere, o tentare un reincarico, o ancora passare la mano a un altro eletto della sua maggioranza. Ma, in caso sia di reincarico sia di staffetta, il partito che ha fatto cadere il governo può esser cacciato e sostituito con uno che stava all’opposizione: il classico ribaltone. Si dirà: ma niente tecnici né larghe intese. Falso: nessuna norma impedisce al secondo (e ultimo) premier della legislatura di coinvolgere quanti partiti vuole. L’unico obbligo è che lui sia un parlamentare, ma per i ministri non vale: se oggi fossero in vigore le nuove regole e Salvini rovesciasse il governo, la Meloni potrebbe passare la mano a un Giorgetti, che potrebbe nominare tutti ministri tecnici per tenersi i leghisti governisti e allargare la maggioranza ai centrini. Così avremmo un ribaltone e un governo ancor più tecnico di quello di Draghi. Non solo: il secondo premier, essendo anche l’ultimo (il premierato non consente un terzo tentativo), sarebbe molto più forte del primo per il terrore degli eletti di perdere la poltrona: quindi il premier eletto dal popolo sarebbe molto più debole di quello che nessuno s’è mai sognato di eleggere. Non è meraviglioso?

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QUALCOSA IN SERBO.

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21 giugno 2024

“Ci restano 3 o 4 mesi, forse meno, prima della catastrofe”. Lo dice il presidente serbo Aleksandar Vucic in una drammatica intervista al settimanale svizzero Weltwoche, disponibile sul web. Dovrebbero vederla tutti: il personaggio è molto controverso, un ex giornalista che entrò giovanissimo in politica con Milosevic, poi se ne dissociò e ora si batte per la Serbia nell’Ue e fa accordi con gli Usa senza recidere gli storici rapporti con Mosca. Il che non ha impedito a Belgrado di firmare la dichiarazione anti-russa della cosiddetta conferenza di pace di Lucerna. Qui però non si tratta di sposare le posizioni di Vucic, ma di ascoltare ciò che racconta, commosso, su quel che sente dire dagli altri leader europei: “Il treno ha lasciato la stazione e nessuno può fermarlo… se le grandi potenze non faranno nulla”. Il suo è il punto di vista di un Paese aggredito dalla Nato fin dal 1999: “Condanno l’intrusione russa in Ucraina. Ma cos’hanno fatto le potenze occidentali alla Serbia nel 1999 e nel 2008? Non ci sono risposte alla domanda. Putin ha citato il precedente del Kosovo (le stragi usate dalla Nato per giustificare l’intervento, come la Russia usa quelle in Donbass, ndr): anche a questa domanda non ci sono risposte”.

L’Europa è a un bivio: “Tutti parlano solo di guerra. Nessuno vuole la pace, che è diventata una parola proibita. Si dice che dobbiamo vincere per assicurarci la pace futura… nessuno cerca di porre fine alla guerra… L’Occidente crede di poter sconfiggere facilmente Putin: vogliono sfiancarlo in Ucraina, poi pensano che la Russia non esisterà più sull’attuale territorio e nell’attuale forma e Putin sarà rovesciato. Ma la pressione basta a distruggere la Russia e a rovesciare Putin? Non credo. Non so se l’Occidente si stia sopravvalutando, ma credo stia sottovalutando la Russia e Putin. In Europa tutti si comportano come grandi eroi, ma non dicono ai loro popoli che pagheranno un prezzo molto alto… Dovrebbero cercare di raggiungere un cessate il fuoco e poi negoziare per 10, 20, 30, 50 anni, non importa quanti: sono molto meglio di un solo giorno di aspri combattimenti come quelli in corso. Nato e Usa non possono permettersi di perdere la guerra in Ucraina. Ma anche Putin, se perde la guerra, perde tutto. Tutto è in gioco per entrambe le parti. Perciò ci avviciniamo all’abisso. Ma questo ci porta a un’altra domanda: chi è disposto a perdere 1, 2, 5, 10, 15 milioni di persone? Chiedetevelo. Io non voglio perdere un solo uomo: non parteciperemo. La Serbia è stata uno dei campioni mondiali di guerra nel XX secolo. Ora il mio sogno è mantenere la pace e la stabilità”. Se i fatti gli daranno torto, qualcuno potrà rinfacciarglielo. Se gli daranno ragione, non resterà vivo nessuno per riconoscergliela.

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IL FRONTE DEL NI

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22 giugno 2024

Una delle peggiori sciagure della Seconda Repubblica, oltre al berlusconismo e ai suoi derivati di destra e di sinistra, è un minuscolo ma potente circoletto di “riformisti” per mancanza di riforme che si battono da 30 anni affinché l’opposizione non si opponga. A ogni porcata, spiegano al centrosinistra che “non va regalata alla destra”. Cioè va copiata e “migliorata” per votarla tutti insieme appassionatamente: “non basta dire No”, anzi “non si può dire sempre No”. Meglio Sì, così i padroni son contenti. Il risultato sono gli inciuci dalemiani, veltroniani, violantiani, napolitaniani, montiani, lettiani, renziani, e draghiani: tutti elisir di lunga vita per la destra. Gli elettori, fra l’originale e la brutta copia, scelgono sempre il primo. Ora questa compagnia della buona morte (ma solo per il centrosinistra), terrorizzata dallo scontro politico e sociale che è l’essenza della democrazia, si batte per scongiurare i prossimi referendum: quelli costituzionali su premierato e separazione delle carriere, e quello abrogativo sull’Autonomia. I referendum parlano la lingua evangelica Sì/No che sgomenta i “riformisti”, abituati al Ni e a considerare trattabili anche i principi fondamentali: i più furbi in cambio di poltrone, incarichi, consulenze, programmi Rai, medagliette e pennacchi da tutti i regimi; i più fessi gratis.

Stefano Folli si sgola su Rep perché il Pd proponga “punti di convergenza sul premierato” tornando alle sciagure del passato, ma anche il “cancellierato alla tedesca” e il “doppio turno alla francese” (sul web gli fanno notare che s’è scordato il bacio alla francese, il colletto alla coreana, i saltimbocca alla romana, i carciofi alla giudia, l’insalata russa e il cesso alla turca). Polito El Drito, che s’è incaricato di migliorare con la sola forza del pensiero la destra meloniana (ma Giorgia è già il “cigno per l’Europa del futuro”), vorrebbe un’opposizione che le migliori le schiforme. Violante al passo di Leonardo e Veltroni invitano al “dialogo”. Mieli deplora “l’opposizione senza controproposte su niente”: se le tre destre approvano tre disastri – premierato, autonomia e separazione delle carriere – è colpa di Pd e M5S che non propongono metà o tre quarti di ciascuno. Il modello è l’inciuciador Ceccanti: “Meglio proporre delle mediazioni su premierato e autonomia che pensare solo al referendum”. E certo: se le opposizioni avessero proposto le famose mediazioni, la destra che ha bocciato tutti i loro emendamenti le avrebbe approvate subito. Ora però Conte e Schlein potrebbero suggerire un premier eletto ma solo un po’, una volta sì e una no; la separazione dei giudici dai pm, ma non dei pm dai giudici; e un’autonomia a Regioni alterne: una differenziata e l’altra indifferenziata, tipo nettezza urbana.

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CIROOOOO!

l'editoriale di Marco Travaglio

23 giugno 2024

Commovente la scena, raccontata dalla Stampa,
di Giuliano Amato che ascolta Ciro, detenuto nel carcere minorile di Nisida e convinto che “la Costituzione dice che siamo tutti uguali, ma non è vero”. Straziante la risposta dell’ex braccio destro
di Craxi, ex premier, ex presidente della Consulta,
ex tutto: “La forza della nostra Costituzione sta
nel clima in cui è nata e su cui i costituenti hanno scommesso per poterci trattare da eguali”. Edificanti le conclusioni della Stampa: oggi, con questa destraccia, quel clima è sepolto da “politiche all’insegna di egoismo e cinismo” culminate “nell’autonomia differenziata, tomba delle speranze di Ciro e del suo Sud”. O tempora o mores, signora mia. Poi purtroppo Cesare Salvi, ex ministro Ds del governo Amato 2, racconta al Giornale la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, imposta dall’Ulivo a colpi di maggioranza, che oggi consente alla destraccia di polverizzare l’Italia in 21 staterelli con legge ordinaria: “Era il 2001, fine legislatura, ero ministro del governo Amato. L’idea balzana dei dirigenti del centrosinistra era quella di provare a sconfiggere la Lega sul suo terreno, per dimostrare ai suoi elettori che, se quelli chiedevano il federalismo, noi eravamo pronti a raddoppiare la posta, così ci avrebbero votato in massa”. Salvi votò contro in Cdm e disse ad Amato: “Ma perché non lasciamo perdere invece di forzare?”. Ma quello niente: “Ormai ci siamo impegnati”. Così “approvammo la riforma del Titolo V della Carta. Ovviamente gli elettori leghisti se ne fregarono e il centrodestra stravinse”. Sintesi perfetta del centrosinistra più consociativo e idiota del mondo, che spiega fra l’altro come mai per opporsi a B. ci vollero i Girotondi e poi i 5Stelle.

Nel 2001 B. tornò al governo e cambiò a sua volta la Costituzione e la legge elettorale a colpi di maggioranza, fra gli alti lai del centrosinistra che aveva appena cambiato il Titolo V a colpi di maggioranza. Fortuna che gli italiani e la Consulta rasero al suolo le due schiforme, così come quando Renzi cambiò la Costituzione e la legge elettorale a colpi di maggioranza fra gli applausi del Pd che aveva rimproverato B. di aver fatto altrettanto. E ora attacca i Melones perché attuano il Titolo V del centrosinistra, come chiedevano anche presidenti di regione del Pd tipo Bonaccini, che di lì a poco nominò sua vice la Schlein, oggi sulle barricate contro una schiforma votata da decine di attuali esponenti Pd. Difficile spiegare tutte queste cose a Ciro, che dietro le sbarre di Nisida ha problemi più impellenti. Ma, per rendere l’idea, basterebbe una frase terra terra di Amato (o chi per esso): “Vedi, Ciro, se non siamo tutti uguali è perché una sinistra di c*gli**i ha prodotto una destra di manigoldi. Inclusi i presenti”.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

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24 giugno 2024

Il piano. “Nordio: ‘Pronto il piano carceri’” (Sole 24 ore, 20.6). I soliti lenzuoli annodati?

Neolingua. “Stoltenberg: per la pace servono più armi” (Stampa, 18.6). E per l’aria buona più scoregge.

In formissima. “I trucchi sulla senilità di Biden. Un’ondata di fake news a basso costo. La campagna di Trump… per far apparire il presidente confuso. Basta lavorare sulle inquadrature e sui tagli per trasmettere un’idea falsata” (Domani, 18.6). Ma infatti lo vedono tutti che sta una favola.

Fratodanni. “Fratoianni: “Sto con Salis, occupare case non sia reato” (Dire, 22.6). Ce ci dà l’indirizzo, cominciamo dalla sua.

Chiarissima. “Le parallele Otm e Ci nello spazio cartesiano della mia testa avrebbero rivelato – illuminazione di portata fantozziana, Gesù in sala mensa, avrei citato Paolo Villaggio – immediatamente e definitivamente, rette divergenti” (Chiara Valerio, Repubblica, 20.6). Con scappellamento perpendicolare.

Cappellate. “Ti ricordi che bello il M5S che mandava tutti a fare in c**o e dava di ‘p*****a’ a Rita Levi Montalcini?” (Stefano Cappellini, Repubblica.it, 21.6). Talmente bello che né il M5S né alcuno del M5S ha mai mandato tutti a fare in c**o (Grillo ci mandò i 21 parlamentari condannati per reati dolosi al VDay del 2007, due anni prima di fondare i 5S), né ha mai detto quella cosa della Levi Montalcini (la disse Grillo in un suo spettacolo nel 2001, otto anni prima di fondare i 5S). Ma Cappellini è così: è troppo impegnato a ricordare ciò che non è mai accaduto per accorgersi di ciò che accade.

Nostalgia canaglia. “In cosa sbaglia Conte? Il nostro modello aveva delle regole che interpretavano dei principi e questi principi definivano un’identità. Oggi si sta cambiando qualche regola qua e là senza capire che viene meno l’identità. L’han capito i milioni di italiani che non sono andati a votare” (Davide Casaleggio, Otto e mezzo, La7, 21.6). Finalmente un’analisi sensata sulle Europee: agli elettori manca tanto la piattaforma Rousseau.

Il sovranista. “Fake news, l’allarme di Mattarella: dalla Russia tempesta inaccettabile” (Corriere della sera, 19.6). Vengono qui a rubare il lavoro ai giornalisti italiani.

Sono pazzi questi francesi. “Perrineau: ‘Quando c’è una crisi parlamentare, voi italiani sapete formare governi tecnici, ma per noi francesi è qualcosa di inedito, non è nella nostra tradizione. Ci manca un Draghi’” (Repubblica, 23.6). Potremmo sempre affittarglielo.

Fake news. “I colloqui fraintesi. L’occidente non costrinse Kyiv a ritirarsi dai negoziati nel 2022” (Foglio, 18.6). “Nel marzo 2022… credo davvero che esistesse una chance per il cessate il fuoco fra Putin e Zelensky… Poi gli occidentali decisero di continuare a colpire Putin… Hanno bloccato la mia mediazione… Pensai che era sbagliato” (Naftali Bennett, ex premier israeliano, 4.2.2023). Ah, queste fake news putiniane.

Doppiopesismo. “Toti e Grillo, il doppiopesismo dei pm. Giudizio immediato in vista per il governatore, archiviazione per il caso Moby” (Giornale, 19.6). Uno ha commesso reati, l’altro no.

Vestivamo alla marinara. “Toti chiede ai giudici di fare incontri politici” (Libero, 17.6). Potrebbe trascorrere i domiciliari sullo yacht di Spinelli.

Il suggeritore. “Galera e buttare la chiave” (Matteo Salvini, Lega, 19.2.2020). “Toti sequestrato, una roba da Urss” (Salvini, 21.6.2024). Tranquillo, ti han solo preso in parola.

La vedova Mes. “Senza Mes ci allontaniamo dall’euro: un errore rifiutare l’aiuto di Bruxelles” (Veronica De Romanis, Stampa, 23.6). Dài, su, regalatele il Mes per il compleanno, così la pianta.

De Coubertain. “Meloni, Schlein e una vittoria per due che fa bene alla partecipazione” (Barbara Stefanelli, Sette-Corriere della sera, 21.6). Col nuovo record di astensioni.

Mai una gioia. “Violante se ne va: ‘Lascerò la Fondazione Leonardo. Ne avrò una mia. Non condivido la nuova linea’” (Foglio, 23.6). Oh no, e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/1. “Nessun dubbio: Zelensky è legittimo. Secondo un sondaggio, il 70% degli ucraini concorda che debba rimanere presidente fino alla fine della legge marziale” (Foglio, 19.6). Massì, basta con quella roba chiamata elezioni.

Il titolo della settimana/2. “Premio Draghi. Strattonato per incarichi europei, resta l’italiano immeritato” (Foglio, 18.6). Ma infatti, lasciamolo dov’è: non ce lo meritiamo.

Il titolo della settimana/3. “L’estremismo di Elly, simile a quello di Trump” (Paolo Macry, Riformista, 20.6). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/4. “Posizioni No Vax, attacchi a Bergoglio: perché su Viganò incombe la comunica” (Stampa, 22.6). Per il dogma dell’Immacolata Vaccinazione.

Il titolo della settimana/5. “La Francia che odia Macron, un popolo da psicanalizzare” (Giuliano Ferrara, Foglio, 17.6). Sarà normale chi lo ama.

Il titolo della settimana/6. “Nomine Ue, Meloni gela Ursula” (Messaggero, 18.6). Avrà acceso il condizionatore.

Il titolo della settimana/7. “Il tour di Zelensky. Ora Kiev è ottimista: ‘Il tempo è con noi’” (Domani, 18.6). Piove?

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SALIS & TABACCHI

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25 giugno 2024

È difficile parlare del nuovo caso Salis senza essere confusi con la stampa di destra, che tratta chi occupa case come un pendaglio da forca e beatifica frodatori fiscali, amici dei mafiosi, corrotti, corruttori e ultimamente pure assassini tipo Chico Forti. Ma ci proviamo lo stesso, perché il berlusconismo di sinistra che ha portato Fratoianni e Bonelli a far eleggere spensieratamente Ilaria Salis e poi a sposarne l’apologia delle occupazioni abusive di case popolari, fino a proporne la depenalizzazione, rischia di disarmare le opposizioni sul tema cruciale della legalità. I reati non sono tutti uguali, né tutti immorali: chi non ha un tetto e viola le legge per averne uno (ma non è il caso della Salis, che pure deve all’Aler 90 mila euro di indennità per un immobile occupato) non è un mascalzone. Ma i leader di Avs dovrebbero spiegare alla loro eurodeputata che non è più una semplice attivista del movimento pro casa: ora rappresenta il popolo italiano in Europa per fare e cambiare le leggi, non per istigare a infrangerle. E le leggi che impongono agli indigenti di mettersi in fila per le case popolari secondo graduatorie basate sulle reali esigenze di ciascuno non le ha fatte il fascismo, né Orbàn: le ha fatte uno Stato democratico che, come tutti, non può tollerare le scorciatoie di minoranze prepotenti o violente armate di tronchesi o grimaldelli che passano davanti a tanta brava gente in attesa da anni, per prendersi ciò che non è loro: è un bene pubblico, cioè dei cittadini. Sennò chi rispetta le regole e aspetta pazientemente le liste d’attesa passa per fesso. Le procedure di assegnazione sono lente, inique e inefficienti? I parlamentari vengono eletti e profumatamente pagati per renderle spedite, eque ed efficienti: non per legalizzare l’illegalità di chi le calpesta.

Con che faccia Fratoianni e Bonelli torneranno a invocare (come fino a ieri) lo sgombero di Casapound dall’edificio occupato a Roma? Diranno che le occupazioni abusive possono farle solo i centri sociali amici loro e quelli di destra no? E, a proposito di doppiopesismi: se qualche picchiatore fascista italiano fosse arrestato in giro per l’Europa per aver menato manifestanti di sinistra e FdI o la Lega lo facessero eleggere per farlo evadere, da che pulpito l’opposizione contesterebbe la follia tutta berlusconiana di candidare impresentabili per meriti penali e spacciare i voti per un lavacro che cancella i reati? Gli attivisti hanno tutto il diritto di contestare le leggi, anche violandole per obiezione di coscienza ed esponendosi alle conseguenze. I parlamentari che le scrivono e le votano devono essere i primi a rispettarle. Sennò diventano una parodia dei rivoluzionari, quella immortalata da Leo Longanesi: “Il sogno degli italiani è fare la rivoluzione d’accordo con i carabinieri”.

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PREMIO BANCAROTTA

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26 giugno 2024

Resuscitato nel simbolo e nei manifesti di FI e persino sulle schede di qualche elettore squilibrato, B. rivive anche con la riesumazione della Silvio Berlusconi Editore (SBE), ideata da Dell’Utri tra un summit di cosca e l’altro e poi confluita nella Mondadori, che riparte con un’opera di Tony Blair. Un gesto di gratitudine postuma verso il distruttore del laburismo, candidato di diritto al prossimo Premio Bancarotta. Chissà se il vecchio complice di Bush jr.&B. nella guerra criminale all’Iraq ricorderà, nella prefazione, il culmine della sua amicizia con Silvio: nell’agosto 2004 il premier inglese e la first lady furono accolti a Villa Certosa da B. con tanto di bandana per coprire i bulbi piliferi appena trapiantati sull’implume capino: “Tony – raccontò poi la moglie Cherie – mi disse: ‘Devi evitare che mi facciano delle foto vicino a Silvio con la bandana. Stai tu in mezzo, sennò la stampa britannica ci ammazza’”.

Le prefazioni della SBE sono più avvincenti dei libri. Soprattutto quella firmata dallo stesso B. a una preziosa edizione numerata dell’Utopia di Tommaso Moro. Un giorno del 1985 il massimo esperto italiano dell’autore, Luigi Firpo, vide su Canale 5 una signorina intervistare il padrone di casa: “Lei ha pubblicato la traduzione dal latino dell’Utopia con una sua bellissima prefazione…”. Di cui declamò alcun brani, casualmente identici a quelli scritti da Firpo per introdurre la sua traduzione all’Utopia, appena edita da Guida. L’austero intellettuale torinese – racconta la moglie Laura – si procurò il libro e scoprì che B. non aveva solo copiato interi paragrafi della sua prefazione, ma anche la sua traduzione integrale. Cosi#768; gli scrisse per intimargli di ritirare tutte le copie e annunciargli querela per plagio. B., terrorizzato, iniziò a tempestarlo di telefonate, spiegando che aveva fatto tutto una segretaria a sua insaputa e implorandolo di lasciar perdere. Capito il personaggio, Firpo iniziò a giocare al gatto col topo per un annetto. Canale 5 lo invitò a un dibattito e B. spuntò da dietro le quinte dello studio porgendogli una busta “per il suo disturbo e l’onore che ci fa”. Il prof la rifiutò. A Natale del 1986 un corriere da Segrate recapitò a casa Firpo un bouquet di orchidee che non entrava dalla porta e un pacco con una valigetta in coccodrillo cifrata LF in oro e un biglietto: “Molti cordiali auguri ed a presto… Spero! Per carità non mi rovini!!! Silvio Berlusconi”. Ma Firpo continuò il suo perfido gioco e rispedì la borsa al mittente con un biglietto beffardo: “Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma sono un vecchio professore affezionato alla sua borsa sdrucita. Quanto ai fiori, la prego di non inviarcene più: per me e per mia moglie, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi”. Non lo sentì mai più.
Foto dal web

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