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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
27 maggio 2024
La vera vittima. “La voce di Luciano Benetton è ferma. Ha sempre avuto uno sguardo positivo… Persino il sopportare la tragedia del ponte Morandi…” (Daniele Manca, Corriere della sera, 25.5). Povera stella, quei 43 fottuti morti non gli hanno ancora chiesto scusa.
Prima e dopo la cura. “Numero contagi e morti continua a salire… Il virus non va inseguito ma anticipato. Bisogna chiudere tutto salvo farmacie, alimentari e servizi essenziali” (Giorgia Meloni, leader FdI, dopo il lockdown già indetto da 12 giorni dal governo Conte, 21.3.2020). “Noi limitiamo la libertà? Voi avete chiuso in casa le persone durante il Covid, noi contrari” (Giorgia Meloni, premier FdI, 25.5.2024). Chissà se le due Meloni si conoscono.
La Via della Sega. “Il perno saudita. Riad è di nuovo un partner per provare a dare stabilità al medio oriente” (Vittorio Emanuele Parsi, Foglio, 22.5). Dev’essere il perno della sega elettrica di bin Salman.
Liberi e Forti. “L’abbraccio, le lacrime, l’applauso dei vicini a Chico Forti in trasferta dal carcere nel Veronese: ‘Non ci speravo’” (Stampa, 23.5). “‘Chico trattato da star’. Per gli altri prigionieri gode di molti privilegi: dal vitto agli abbracci col deputato FdI Di Giuseppe” (Repubblica, 23.5). Fanno ancora in tempo a candidarlo.
Ha stato Putin. “L’Ue e l’Ucraina non vogliono negoziare? Ecco gli atti ostili di Putin per continuare la guerra” (Foglio, 23.5). Ma non era Putin a non voler negoziare?
Soddisfazioni. “Mai dare per spacciato un ucraino: l’incredibile vittoria del pugile russofono che si batte per la sua patria” (Antonio Polito, Corriere.it, 20.5). “Ucraina, vittoria sul ring. Usyk re dei pesi massimi di boxe diventa un simbolo di guerra” (Anna Zafesova, Stampa, 20.5). Quindi è fatta.
La Nona. “Il no di Zelensky alla tregua olimpica unica strada per tutelare l’Ucraina. Con che coraggio Macron chiede il cessate il fuoco, senza considerare i danni per Kiev? Sarebbe una concessione militarmente sbagliata che renderebbe solo i russi più offensivi” (Nona Mikhelidze, Stampa, 23.5). Putin: “Contenti voi…”.
Le parole per dirlo. “L’Ucraina è stanca fra imboscati e bombe di Mosca” (manifesto, 23.5). Ma non erano pacifisti obiettori di coscienza?
En amitié. “Lupi: “Redditometro, giusto fermare tutto. Noi siamo per un Fisco amico e collaborativo” (Corriere della sera, 23.5). Giusto: i carabinieri inizino a fare amicizia con i ladri, i rapinatori e i truffatori per una proficua collaborazione.
Ballometro. “Giorgia smonta il redditometro. Delusione per Visco e compagni” (Libero, 23.5). Il famoso compagno Leo.
Il pool stragista. “Il ricordo malato della morte di Falcone. In quei giorni non c’erano solo le stragi dei corleonesi, ma anche un altro tipo di bomba, quella lanciata dal pool Mani Pulite” (Tiziana Maiolo, Riformista, 23.5). Vergogniamoci per lei.
Non più di tre. “Tre assoluzioni non bastano? Mori ora è indagato per le stragi mafiose del ‘93” (Dubbio, 22.5). Ma perché, c’è un numero chiuso sulle indagini?
Slurp. “La normalità di Tajani, ex monarchico, rivoluzionario con garbo. Rispetta le istituzioni, ama la mediazione e ora si parla di lui al posto di von der Leyen” (Fabrizio Roncone, Sette-Corriere della sera, 24.5). Ernesto Che Tajara.
L’ostaggio. “Se a Toti non verrà restituita la libertà e con essa l’agibilità politica, non si può più parlare di arresto bensì di sequestro di persona e di ricatto da parte di un organo dello Stato” (Alessandro Sallusti, Giornale, 24.5). Ma infatti.
Il partigiano Johnny. “Giovanni Toti resiste, ma è solo: il centrodestra lo abbandona e i pm festeggiano” (Unità, 25.5). Fortuna che gli resta Sansonetti.
Da Noemi a Marta. “Stregata da Silvio leader fin dai tempi del liceo. Incantata da lui da quando avevo 14 anni” (Marta Fascina, deputata FI, Giornale, 20.5). E non era neanche l’unica.
Il titolo della settimana/1. “La riforma del fisco secondo Matteotti. Rigore e giustizia contro i populisti” (Domani, 23.5). I famosi populisti della Belle Èpoque.
Il titolo della settimana/2. “I mandati di arresto richiesti dal procuratore capo della Corte penale internazionale… fanno malissimo alla pace. L’allontanano” Stefano Stefanini, Stampa, 23.5). Parla del mandato per Putin e della pace in Ucraina, ovviamente.
Il titolo della settimana/3. “Scurati, la presidente Rai nega censure. Il Pd attacca: ‘Perché adesso ritratta?’” (Stampa, 23.5). Magari ha letto le carte. O il Fatto, per fare prima.
Il titolo della settimana/4. “Lucia Annunziata: ‘Sulle armi un bene avere idee diverse. Significa che nel Pd c’è dibattito’” (Stampa, 25.5). No, significa che il Pd truffa gli elettori.
Il titolo della settimana/5. “I detenuti di Verona: ‘Chico Forti è innocente e per noi è un esempio’” (Libero, 24.5). Ha già iniziato a dare lezioni.
Il titolo della settimana/6. “Toti come Craxi” (Paolo Macry, Riformista, 25.5). Ah, quindi è colpevole anche lui.
Il titolo della settimana/7. “Toti, 8 ore davanti ai pm” (Repubblica, prima pagina, 24.5). Dietro, pareva brutto.
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SUPERc***oLA ATOMICA
l'editoriale di Marco Travaglio
28 maggio 2024
Per due giorni abbiamo atteso invano che Elly Schlein dicesse qualcosa su quel trascurabile dettaglio chiamato terza guerra mondiale (e nucleare) contro la Russia, dopo i deliri di Jens Stoltenberg. Ieri la segretaria del Pd ha sciolto la riserva sul Corriere che ci ha fatto esclamare “finalmente!” prima di leggere le sue parole e “purtroppo!” dopo averle lette. Perché fanno rimpiangere i silenzi: “Noi siamo per sostenere il diritto di Kiev a difendersi dall’invasione criminale di Putin… Ma questo non può e non deve tradursi… in un ingresso diretto dell’Ue in guerra con la Russia. L’Ue deve avere una sua autonomia strategica e lo sforzo deve essere tutto orientato a sostenere la conferenza di pace in Svizzera di metà giugno, non a creare ulteriori escalation”. È come chiedere a uno “Che ore sono?” e sentirsi rispondere “In famiglia tutto bene, grazie, e lei?”.
Stoltenberg non ha mai detto che l’Ue deve entrare direttamente in guerra contro la Russia e non deve avere autonomia strategica, anche perché è il segretario generale della Nato, non dell’Ue. Ha detto che la Nato deve autorizzare l’Ucraina a usare le armi della Nato per attaccare la Russia nel suo territorio: è così difficile dire che Stoltenberg non ha il potere di decidere per tutti e 32 i Paesi membri senza consultarli e che l’Italia deve chiedere la convocazione del Consiglio atlantico per mettere ai voti la proposta di Stoltenberg e votare contro, come faranno anche Ungheria, Turchia e forse qualcun altro, dunque bocciarla visto che è richiesta l’unanimità? No. Come non lo è chiedere alla premier Meloni, che su Stoltenberg è stata un po’ più netta di Elly (ma ci voleva poco), di ufficializzare in Parlamento la contrarietà dell’Italia: l’ha chiesto Conte, poteva chiederlo pure la Schlein. Che, quando vuole sa essere nettissima: l’altro giorno ha detto che firmerà il referendum Cgil anti-Jobs Act, e ci siamo complimentati. Ora invece, dopo i suoi silenzi e soprattutto le sue parole, nessuno ha capito se il Pd vuole che l’Ucraina attacchi la Russia con le armi Nato. Per gli atlantisti dem, sì. Per i pacifisti dem, no. Ma quanti Pd ci sono? La linea dovrebbe darla la segretaria, che ancora una volta sul nodo vitale dei prossimi anni è entrata in modalità Chiara Valerio e ha fatto la superc***ola guerrafondaia con scappellamento atomico. Come se il programma del Pd su un tema così decisivo potesse essere un catalogo di opzioni o un menu per tutti i gusti. Finché non avrà una posizione netta (o, se l’avrà, dovrà tenersela per sé) sulla guerra mondiale prossima ventura, la Schlein non potrà mai essere la leader dell’opposizione. E chi non vuole ritrovarsi in guerra con la prima potenza nucleare del mondo avrà ottimi motivi per non fidarsi del Pd e per non votarlo.
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IL PAPA, IL DITO E LA LUNA
l'editoriale di Marco Travaglio
29 maggio 2024
Sarà che siamo abituati a guardare più la luna che il dito. Ma la notizia, anticipata da Dagospia, che papa Francesco, parlando a porte chiuse con i vescovi italiani, ha usato un’espressione romanesca degna del Belli o di Osho-Palmaroli sulla lobby gay nella Chiesa ci ha scandalizzati fino a un certo punto. Basta leggere la biografia di questo Papa “venuto dalla fine del mondo”, cioè dalle favelas che frequentava più dell’arcivescovado di Buenos Aires, per capire perché gli è sfuggito quel “c’è troppa frociaggine”. Non era un discorso ufficiale, ma una chiacchierata informale fra gente che dovrebbe capire e invece s’è precipitata a spifferarla all’esterno. Come nei covi di vipere. E come si conviene a chi finge di non capire la sostanza della questione. Che parte dagli scandali insopportabili (almeno per lui) di pedofilia nel clero e dalle accuse intollerabili (almeno per lui) di non fare abbastanza per prevenirli e per punirne i colpevoli. Gli ipocriti possono rigirarlo quanto vogliono, ma il problema nasce dall’ambiente tutto maschile dei seminari (come un tempo degli oratori per soli ragazzi), terreno fertile di caccia per preti pedofili omosessuali. Ora serve una selezione più rigida: non fra omosessuali ed eterosessuali (se la Chiesa aprisse al clero femminile, la pedofilia dilagherebbe anche fra gli etero con quell’inclinazione), ma fra chi prende sul serio le promesse di celibato e di astinenza e chi proprio non ce la fa, dunque non merita l’ordinazione.
A naso e senza disporre della trascrizione integrale, pare che il senso del discorso di Francesco fosse questo. Non certo l’omofobia, anche perché nessun pontefice ha mai pronunciato, nei confronti dei gay, parole più aperte, inclusive e autenticamente cristiane delle sue: “Chi sono io per giudicare un gay?”. Parole seguite da fatti concreti, anzi rivoluzionari, come l’approvazione del documento Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede che autorizza i sacerdoti a benedire coppie dello stesso sesso. Probabile che qualche porporato parruccone abbia fatto uscire la frasaccia proprio per bloccare quel percorso di apertura, scatenando scientemente la canea degli opposti cretinismi: quelli di sinistra che esaltano il Papa come progressista se fa il Papa contro le guerre e lo scomunicano come reazionario se fa il Papa sulla morale sessuale o l’eutanasia; e quelli di destra che esultano perché “parla come Vannacci” (cioè come uno che i gay li giudica eccome, anzi li definisce “non normali”). Ieri ha fatto bene a scusarsi, per disarmare i sepolcri imbiancati. Ma si spera che seguiti a chiamare le cose col loro nome senza paura di scandalizzare: l’odio non si annida tanto nelle parole, quanto nella testa di chi le pronuncia e nell’orecchio di chi le ascolta.
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STRONZERIA DIFFERENZIATA
l'editoriale di Marco Travaglio
30 maggio 2024
Che bel Paese sarebbe l’Italia se tutti i leader dell’opposizione, quando Vincenzo De Luca diede della “stronza” a Giorgia Meloni, avessero solidarizzato con lei e isolato lui finché non si fosse scusato. Invece tacquero al gran completo, a cominciare da chi più di tutti avrebbe dovuto censurare l’insulto del presidente campano alla presidente del Consiglio: Elly Schlein, segretaria del partito di De Luca. La quale, interpellata dai giornalisti sull’epiteto, non solo non insorse con i soliti argomenti usati quando viene offesa una donna (sessismo!), ma liquidò la faccenda fingendo di non capire la domanda: “Grazie, ho già risposto sull’autonomia differenziata” (“Che ore sono?”, “Non compro niente”). Ora ha ritrovato la favella, ma per stigmatizzare lo sketch inscenato dalla Meloni a Caivano (“Presidente De Luca, sono quella stronza della Meloni, come sta?”). Ed è riuscita a dire che “La Meloni si descrive da sola”. Quindi ha ragione De Luca: la è una stronza.
A quella caduta di stile, che raddoppia quella di De Luca e vi trascina l’intero Pd, avrebbe potuto rimediare Conte, restituendo un po’ di eleganza e di cavalleria a una battaglia politica degradata a lotta nel fango. Avrebbe potuto dire che De Luca è lo Sgarbi del Pd e ha avuto ciò che meritava: un guappo di cartone che non deve permettersi di insultare o di minacciare di morte chi lo critica o non gli va a genio, come fa da trent’anni indisturbato e impunito (“La Bindi ha fatto una cosa infame, da ucciderla”, “Di Maio, Fico e Di Battista, che vi possano ammazzare tutti”, “Salvini ha la faccia come il fondoschiena, peraltro usurato”, col contorno di “chiattona” e dito medio alla 5S Ciarambino, “cafona, fiore di bellezza e di freschezza” alla Camusso”, “Pippo Baudo con la frangetta” a don Patriciello). Invece Conte ha detto che la premier è “vendicativa e rosicona”, stigmatizzando anche lui la reazione, ma non l’azione che l’ha scatenata. E ha perso l’occasione di dare una lezione di stile a De Luca, alla Schlein e soprattutto alla Meloni, che in piena pandemia l’aveva chiamato “criminale”. Intanto, nei talk show, è tutta una lezione di bon ton con gli urletti di vergini violate che mai dissero “st***zo/a” e deplorano il degrado della politica e la perdita del decoro istituzionale: signora mia, dove andremo a finire con tutte queste parolacce. Pareva quasi che fosse stata la Meloni a dare dello st***zo a De Luca, e non viceversa. Forse qualcuno pensa che dare ragione alla Meloni le rare volte in cui ce l’ha indebolisca l’opposizione al suo terrificante sgoverno. Errore: sono proprio il settarismo, la faziosità, il tartufismo e il doppiopesismo della peggior sinistra che hanno issato Giorgia detta Giorgia a Palazzo Chigi. E la manterranno lì per un bel pezzo. foto dal web
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SPINGITORI DI CAVALIERI
l'editoriale di Marco Travaglio
01 giugno 2024
Mentre John Elkann si dipinge a edicole unificate come un giovane disagiato e abusato fin da piccolo dalla mamma cattiva, un’altra imprenditrice che si è fatta da sé, una self made woman venuta su dal nulla a mani nude col sudore della fronte diventa Cavaliere del Lavoro. Stiamo parlando ovviamente di Marina Berlusconi, insignita da Sergio Mattarella 47 anni dopo il padre (costretto purtroppo a rinunciare dalla condanna per frode fiscale). A leggere i requisiti richiesti, c’è l’imbarazzo della scelta: dall’“aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale” all’“aver adempiuto agli obblighi tributari” al possedere una “singolare benemerenza nazionale”, fra cui l’“aver operato in aree e in campi di attività economicamente depressi”. E qui, più ancora che per la fedeltà fiscale (un vizio di famiglia), il pensiero di Mattarella è subito corso alla primogenita di B., costretta a un’infanzia di stenti nella favela arcoriana di Villa San Martino in compagnia di noti fuorilegge come il padre, Dell’Utri, Previti e lo stalliere Mangano (che scortava a scuola lei e Pier Silvio, vedi mai che facessero brutti incontri). Quanto alla “specchiata condotta civile e sociale”, chi meglio della presidente della F*******t e della Mondadori (cioè della refurtiva del noto scippo a De Benedetti grazie alla sentenza comprata da Previti coi soldi di B.)? Chi meglio dell’azionista di maggioranza di FI a suon di bonifici e fidejussioni (ottimi investimenti che, con una telefonatina, han salvato pure Mediolanum dalla tassa sugli extraprofitti)?
Molto specchiati anche i continui attacchi ai magistrati colpevoli di processare il padre (“persecutori intoccabili”), di far sganciare alla Mondadori il risarcimento a De Benedetti (“esproprio”!) e oggi di indagare su Dell’Utri (“soggetti politici che infangano gli avversari” e “condizionano la vita democratica” con “accuse deliranti”). E gli insulti ai “giornalisti complici dei pm” (il complice, nel diritto arcoriano, è chi sta con le guardie, non con i ladri) e agli scrittori antimafia come il suo ex autore Saviano (“fa orrore”). L’ultima benemerenza l’ha aggiunta lei stessa, ringraziando Mattarella per il gentil pensiero: “Da oltre vent’anni ho l’onore di presiedere Mondadori, vero e proprio patrimonio del nostro Paese (cioè di De Benedetti, ma rimasto a lei per usucapione, ndr), che ha fatto della libertà e del pluralismo la sua ragion d’essere”. Quel pluralismo che costrinse perfino il premio Nobel José Saramago a cambiare editore dopo che Einaudi (cioè Mondadori) aveva rifiutato di pubblicargli Il quaderno per le sue critiche a B.. Ora che il cavalierato diventa ereditario e si tramanda di padre in figlia, bisognerà anche ricalibrare l’allarme sul premierato: qui siamo in pieno feudalesimo.
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STORIE BENEDETTE
l'editoriale di Marco Travaglio
02 giugno 2024
Sarà per la Q di Cinque minuti a forma di preservativo, sarà per il clima ilare da rimpatriata fra compari, ma la slinguata di Bruno Vespa a Chico Forti nel carcere di Verona ci ha commossi. In fondo siamo un po’ tutti condannati: il surfista ergastolano è in carcere da 24 anni per omicidio premeditato, noi invece ne abbiamo già scontato 28 anni di Porta a Porta senz’aver ammazzato nessuno. Ma è bello avere un governo che predica la “certezza della pena”, fa manganellare i contestatori in piazza, fa arrestare i giornalisti che li raccontano e inventa nuovi reati contro chi balla nei rave party, poi si fa propaganda elettorale con un assassino. E, se si muove Vespa in carne e lingua, vuol dire che l’omicidio paga e porta voti. “Buonasera, Chico, finalmente. Come sta?”. Benone, perché “il carcere a Miami è basato totalmente sulla punizione”, “il principio è che se ti trovi in carcere vuol dire che qualcosa hai fatto e meriti di essere punito” (ma va?). Infatti, per dire, l’hanno rimpatriato senza “neanche i calzini”. Invece in Italia “ho conosciuto valori umani che non trovavo da 24 anni”. In quello che il governo e dunque Vespa dipingono come un inferno giustizialista, l’omicida vola su un Falcon a spese nostre per la modica cifra di 135 mila euro, è accolto dalla premier e naturalmente l’ergastolo è finto. Sono i nostri “valori”. “A Rebibbia e qui mi hanno accolto come un re”: è o non è l’assassino preferito dalla Meloni e dunque da Mediaset (o viceversa)? Uno gli dice: “C’è il comandante che vuole parlarle” e “ho pensato che fosse uno del penitenziario”. Invece è Schettino, quello che se la svignò dalla Costa Concordia mentre la nave affondava con 32 persone. Lo chiamano ancora “comandante” e incredibilmente è ancora dentro, anziché in qualche lista per le Europee. “Mi ha detto: ‘Chico, sei il mio eroe’. E io, lì, feci qualche pensiero”. Tipo che Paese di m**da è l’Italia? Non ne ha avuto il tempo, perché all’eroe hanno organizzato “una spaghettata all’amatriciana”, trattamento tipico per ogni detenuto italiano: perciò si suicidano in tanti (preferiscono la cacio e pepe). Mentre Vespa se lo lecca tutto, uno immagina le domande di Franca Leosini a Storie maledette: qualche lume sulla sua calibro 22 o sulle sue balle per depistare le indagini sull’omicidio di Dale Pike sulla spiaggia di Miami. Invece Vespa chiede dello “sguardo della madre” e di “come si vive l’ergastolo nella convinzione di essere innocente”. Poi il momento spot: “Il suo rapporto con Giorgia Meloni che si è battuta tanto per lei?”. Il sant’uomo la chiama “Giorgia” e racconta che gli telefonò dalla Casa Bianca accanto a Biden (convinto probabilmente di parlare con Zelensky). Gran finale: “Tornerà a fare surf?”. Stessa spiaggia, stesso mare.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
03 giugno 2024
Rivelazioni. “Matteotti, la svolta di Meloni: ‘Uomo coraggioso ucciso da una squadraccia fascista’” (Stampa, 31.5). “Matteotti, il ricordo di Meloni: ‘Ucciso da squadristi fascisti’” (Corriere della sera, 31.5). “Giorgia rompe il vecchio tabù: ‘Matteotti ucciso dai fascisti’” (Unità, 31.5). Crolla la pista del suicidio.
Grandi occasioni. “Renzi: ‘Meloni ha perso l’occasione di berlusconizzarsi’” (Repubblica, 20.5). No, è che al tuo confronto è una dilettante.
La lingua di Rep. “A Salvini piace Trump, Putin e Kim” (Francesco Merlo, Repubblica, 2.6). “Neumann non teme mai di confrontarsi con quell’incertezza che in matematica e in fisica sono diventate fondamentali” (Chiara Valerio, Robinson-Repubblica, 2.6). Ma niente niente hanno abolito il plurale?
Tutto d’un prezzo/1. “Notte serena, Amici. Oggi non c’è un c***o da festeggiare” (Matteo Salvini, segretario Lega, 2.6.13). “Buona Festa della Repubblica a tutti gli italiani. Difendiamo i valori, le tradizioni e l’unicità di questo straordinario Paese, con orgoglio” (Salvini, 2.6.24). Orgoglio un c***o.
Tutto d’un prezzo/2. “Parecchi ingegneri dicono che il ponte sullo Stretto non sta in piedi. Oggi il 90% delle ferrovie in Sicilia è a binario unico e metà dei treni viaggia a gasolio. Quindi non vorrei spendere qualche miliardo per un ponte in mezzo al mare: quei soldi usiamoli per sistemare le scuole” (Salvini, La7, 1.10.16). “Toninelli e Elly (che bella coppia) dicono che il Ponte non serve e che il traghetto tra Sicilia e Calabria è comodissimo? No grazie” (Salvini, 31.5.24). Salvini, Toninelli e Elly: che bel trio.
Il ministro Mezzolitro. “Per principio non commento mai quello che scrive il Fatto. Ed è la cosa che lo irrita di più” (Carlo Nordio, ministro FdI della Giustizia, Giornale, 1.6). Come disse Borrelli a un altro Guardagingilli, mai dare interviste “a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio”.
De Cavolatis. “Veronica De Romanis: ‘Il via libera ai 200 miliardi del Recovery non è stata una vittoria del governo Conte. Disastrosa la decisione di incassare l’intera quota di prestiti” (Stampa, 28.5). Infatti lei rompe da quattro anni per prendere pure i 36 miliardi di prestiti del Mes.
Compagni che cercano. “Piero Fassino disse che papà aveva cercato la bella morte per sfuggire allo scacco matto di Craxi” (Maria Berlinguer, Venerdì di Repubblica, 31.5). C’è chi cerca la bella morte e chi cerca uno Chanel al duty free.
M’’è scappato un pro. “Avanti sul premierato, la sinistra contro mi fa orrore” (Maria Elisabetta Casellati, FI, ministra Riforme, Corriere della sera, 2.6). Oh no, e ora come facciamo?
La pulce cocchiera. “Vorrei la maggioranza Mario” (Matteo Renzi, senatore Iv, Corriere della sera, 1.6). Ora i suoi elettori li chiama per nome, tanto li conosce tutti.
Come S’ofri. “Tutti gli altri gridano all’escalation, giurano ‘noi no, mai!’, intitolano a piena pagina che Stoltenberg ha dichiarato la Terza guerra mondiale (Travaglio: ogni buffone è il suo buffone)” (Adriano Sofri, Foglio, 31.5). Tranquillo: quando appalteremo i nostri titoli agli assassini, faremo un fischio a te e a Chico.
Quando c’era lui. “Purtroppo, lei non paga un abbonamento, ma una tassa, anzi un balzello. Chi pagherebbe la bolletta a un acquedotto sforacchiato, fatiscente e maleodorante?” (Francesco Merlo, Repubblica, 31.5). Il famoso acquedotto sforacchiato e maleodorante che ai bei tempi di Renzi pagava 240 mila euro all’anno a Francesco Merlo per una fantomatica “consulenza”.
Il titolo della settimana/1. “Amato: ‘L’intelligenza artificiale produce fake news quasi come i politici in campagna elettorale’” (Stampa, 1.6). Quindi mai come lui.
Il titolo della settimana/2. “La rivelazione di Chico Forti: ‘Contatti con Meloni da quasi dieci anni’” (Giornale, 1.6). Sono soddisfazioni.
Il titolo della settimana/3. “Presa in Pakistan la madre di Saman: ‘Deve scontare l’ergastolo in Italia’” (Verità, 1.6). La Meloni è già a Pratica di Mare per non organizzare il benvenuto.
Il titolo della settimana/4. “La nuova corsa dell’ex magistrata Caterina Chinnici: ‘Io dal Pd a FI? Scelta di coerenza’” (Repubblica, 28.5). È quel che dicono pur Dell’Utri e Cuffaro.
Il titolo della settimana/5. “Ipotesi Letta al Consiglio europeo. La premier non metterebbe il veto” (Stampa, 28.5). “La carta Letta al Consiglio Ue. Il report che ha convinto Meloni. Giorgia aveva espresso apprezzamento” (Stampa, 29.5). Spingitori di Letta, unitevi alla famiglia Elkann.
Il titolo della settimana/6. “L’imbarazzo di Schlein per Tarquinio, il ribelle pacifista” (Giornale, 30.5). S’è candidato da solo a sua insaputa.
Il titolo della settimana/7. “Carriere separate: si realizza l’idea di Falcone” (Messaggero, 30.5). Che infatti fece prima il giudice e poi il pm.
Il titolo della settimana/8. “Aspettando il referendum” (Francesco Bei, Repubblica, 30.5). All’ombra di Mattarella. L’Italia che si prepara al No” (Marco Damilano, Domani, 30.5). Quelli che nel 2016 erano per il Sì.
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LA PIAGA DELLA LEGALITÀ
l'editoriale di Marco Travaglio
04 giugno 2024
Ogni tanto, per dare manforte alle schiforme, i giornaloni vanno a ripescare qualche dinosauro spiaggiato e ne raccolgono le memorie, di solito smemorate, su Mani Pulite. Sei mesi fa Sabino Cassese raccontò che nel 1993, da ministro della Funzione pubblica, scrisse la legge finanziaria con l’allora pm Piercamillo Davigo, che su indicazione del premier Ciampi “venne in gran segreto a Roma a lavorare sulle cifre con me”. Coro di indignati speciali: è la prova del golpe, il pool Mani Pulite faceva politica! Ora, a parte il fatto che le finanziarie le fa il Tesoro, non la Funzione pubblica, Davigo incontrò per la prima volta Cassese nel 1996, quando quello fu nominato dal Parlamento presidente di una Commissione speciale per nuove norme anti- corruzione e, fra gli esperti, interpellò anche lui. Poi è toccato a Rino Formica rivelare che “Borrelli voleva fare il capo dello Stato”. Altra balla sesquipedale: Borrelli fece di tutto, con indagini e dichiarazioni, per farsi detestare a destra, al centro e a sinistra, infatti nessuno lo propose mai a quell’ incarico (che avrebbe ricoperto ben più degnamente di altri). Ora, sul Corriere, è la volta di Giovanni Pellegrino, avvocato leccese, ex parlamentare Pci- Pds e presidente della commissione Stragi (celebre per tesi che sarebbero parse ardite anche ad Asimov). Anche lui è in vena di scoop sensazionali: Mani Pulite mirava al “primato del potere giudiziario, in contrasto col disegno costituzionale”. Perbacco. E la prova? “Tutti i partiti godevano di finanziamenti irregolari”, anche Msi e Pci-Pds. E il Pool, visto che i finanziamenti irregolari sono reato dal 1974 in base a una legge del Parlamento, che faceva? Appena ne scopriva uno, indagava in ossequio al disegno costituzionale sull’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e sull’obbligatorietà dell’azione penale e sull’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Pellegrino, “preoccupato” per quella “torsione giustizialista”, che per giunta “colpiva tutti” quelli che violavano la legge, incluso il suo (i primi arrestati dopo Chiesa furono i vertici del Pds milanese), corse a frignare da D’Alema, presidente del partito guidato da Occhetto. Ma quello niente, disse che “Violante mi ha detto di stare tranquilli, perché Mani Pulite non se la prenderà con noi” (invece se l’era già presa eccome). Poi però “capì che delle rassicurazioni di Violante non poteva fidarsi”, mollò la “linea giustizialista” e scatenò Pellegrino ad attaccare i pm che osavano indagare e talvolta financo arrestare i ladri. A ripensarci, ancora gli “viene da piangere”: non perché tutti rubavano, ma perché qualcuno indagava e “colpiva tutti”. Fortuna che poi arrivò B. e abolì la legalità, sennò chissà dove saremmo andati a finire.
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MA È IL PD O NETFLIX?
l'editoriale di Marco Travaglio
05 giugno 2024
“Definire il pluralismo una scusa vi sembra normale? Cos’è il contrario di pluralismo: pensiero unico? Preferisco il pluralismo”. Così la Schlein ha replicato a Conte sull’ambiguità del Pd a proposito dell’escalation in Ucraina. Quella del pluralismo nei partiti è una questione serissima. Ma bisogna intendersi sulle parole. Ogni partito che si rispetti ha una linea chiara sui fondamentali: politica economica ed estera in primis: la detta il segretario che ha la maggioranza. Poi c’è la minoranza, che ha posizioni diverse e cerca di raccogliere consensi per farla prevalere e cambiare segretario. Fanno eccezione le questioni di coscienza su particolari istanze morali o religiose, trasversali all’asse maggioranza-minoranza: fine vita, aborto, procreazione assistita, adozioni gay ecc. Questo è il pluralismo, che è tutt’altra cosa dal casino organizzato e cacofonico del Pd, del tutto speculare a quello delle tre destre. In 20 mesi di governo Meloni, il Pd di Schlein ha sempre votato come FdI, Lega e FI in Italia e in Europa sui temi cruciali di politica estera: sempre più armi a Kiev, riarmo Ue per una economia di guerra (anche con fondi del Pnrr e un nuovo Recovery militare), risoluzione Von der Leyen per un conflitto infinito fino alla “sconfitta della Russia” e alla riconquista di tutti i territori occupati, Crimea inclusa. Una linea che più chiara non si può: quella di Enrico Letta (ma allora tanto valeva tenerselo).
Poi però, in vista delle elezioni, la segretaria Schlein (non l’opposizione interna) candida Strada, Tarquinio e Cristallo, tre pacifisti che dissentono in toto dalla sua linea (tutti contrari all’invio di armi, uno favorevole financo a sciogliere la Nato). Ma non la cambia, anzi seguita a prendere le distanze dai tre, usati come foglie di fico per coprire le vergogne del Pd e far dimenticare agli elettori pacifisti i voti bellicisti e a quelli bellicisti i candidati pacifisti. Più che pluralismo, parac**ismo. Idem sulla politica economica europea made in Gentiloni: Schlein attacca la Meloni perché ingoia il Patto di Stabilità lacrime e sangue firmato Gentiloni, su cui poi il Pd si astiene come FdI&Lega. Pluralismo? No, parac**ismo per gabbare sia gli elettori pro austerità sia quelli anti. Ma che partito è quello che nasconde la sua politica estera ed economica, cioè le scelte fondamentali dell’Ue che dice di voler cambiare dopo aver fatto di tutto per lasciarla com’è, e intanto caccia la sua vicesegretaria a Verona perché non vota la legge Zaia sulla fine vita per motivi di coscienza? Un partito à la carte, con un menu per ogni gusto e palato. Un partito Netflix, dove ciascuno clicca on demand sul programma preferito. Un partito che può anche riuscire a gabbare gli elettori con i teatrini sul finto derby Elly-Giorgia. Ma poi come fa a governare?
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ARRIVANO I BUONI
l'editoriale di Marco Travaglio
06 giugno 2024
Come la lotta al Covid e le guerre in Ucraina e a Gaza, anche le elezioni europee sono diventate un derby fra due curve ultrà: i buoni “europeisti” e i cattivi “sovranisti”. Il guaio è che più guardi i buoni e più ti domandi cosa potrebbero mai fare di peggio i cattivi. Il francese Macron, già noto perché due anni fa invitava a “non umiliare Putin in Ucraina”, ora che Putin sta umiliando l’Ucraina e la Nato propone di inviare soldati o almeno addestratori a Kiev contro la prima potenza nucleare e mostra la mappa degli obiettivi russi da bombardare con missili francesi. Il tedesco Scholz giura che mai autorizzerà gli ucraini a usare armi tedesche per attacchi in Russia, poi arriva l’ordine di Biden e scatta sull’attenti. Lo stesso fanno Finlandia, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Canada, Romania e Paesi baltici. In Olanda il “liberale” Rutte si allea col fascio-islamofobo Wilders, ma siccome è più atlantista di Stoltenberg ora lo promuovono segretario Nato al suo posto. Il ministro dell’Economia finlandese Rydman definisce gli ebrei “spazzatura che non piace a noi nazisti”, ma siccome il suo governo è turboatlantista nessuno ci fa caso: la Nato lava così bianco che più bianco non si può.
Il ministro della Difesa tedesco Pistorius annuncia una bella guerra alla Russia “entro il 2029”. Il ministro degli Esteri polacco Sikorski dice che “l’invio di truppe in Ucraina non va escluso”. Il capo dell’esercito norvegese Kristoffersen comunica che “la Nato ha 2-3 anni per prepararsi alla guerra alla Russia”. Il presidente lettone Rinkevics, a Roma da Mattarella, annuncia trionfante che pensa di inviare truppe in Ucraina e intanto aumenta la spesa militare dal 2,4 al 3% del Pil grazie alle simpatiche forniture di Leonardo. Il presidente del Consiglio Ue, il liberale Michel, filosofeggia: “Se vogliamo la pace prepariamoci a fare la guerra e a passare in modalità di economia di guerra”. L’Alto rappresentante della politica estera Ue, il socialista Borrell, dice che attaccare la Russia senza dichiararle guerra è “legittimo ai sensi del diritto internazionale” (quello che si è scritto lui nella sua cameretta). Il commissario all’Economia, il Pd Gentiloni, propone giulivo un nuovo Recovery per comprare armi. La presidente della Commissione Ue, la popolare (si fa per dire) Ursula von der Sturmtruppen, paragona le armi ai vaccini e posta un video-spot che la ritrae, pancia indentro e petto infuori, in marcia fra bombe e macerie col giubbotto antiproiettile e il casco di lacca in testa: “Vota per un’Europa forte che osa agire” e “turbo-charging la nostra capacità industriale di difesa”. Ecco, questi sono i buoni che vogliono salvare l’Europa. Da non confondere con i cattivi che vogliono distruggerla.
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ENRICO, PERCHÉ?
l'editoriale di Marco Travaglio
07 giugno 2024
Gli estimatori di Enrico Mentana (e noi fra questi: stimare non è condividere tutto) sono basiti per lo spettacolino inscenato mercoledì sera al posto del Tg La7: un monologo di Giorgia Meloni detta Giorgia intervallato da assist e battutine del conduttore a tre giorni dalle elezioni. Il fatto che Mentana si giustificasse ogni due per tre spiegando che era tutto normale, un atto dovuto, nessun regalo, dimostra che era imbarazzato anche lui. E allora non si capisce perché si sia prestato a quello sketch imbarazzante, per lui e per la Meloni. Anche perché subito dopo, a Ottoemezzo, è tornata la normalità con Salvini bersagliato da Gruber e Giannini con domande vere e, quando mentiva, con contestazioni. A quel trattamento, detto anche giornalismo, si sono sottoposti tutti i leader (gli ultimi sono stati Calenda, Magi e ieri Conte) tranne Elly Schlein. E appunto la Meloni che, in modalità “io so’ io”, ha preteso e ottenuto il piedistallo del tg, sostituendolo quasi in toto. Invece tutti gli altri capipartito si sono messi in fila per le due prime serate elettorali di ieri e di oggi. Una violazione della par condicio ancor più smaccata di quella tentata da Meloni-Schlein chez Vespa e bloccata dall’Agcom.
Molti, sui social, contestano a Mentana le domande fatte, ma soprattutto quelle non fatte. Ma non è questo il problema: ogni conduttore è libero di chiedere ciò che vuole, poi il pubblico giudica (anche se poteva almeno rintuzzare le bufale più sfacciate, tipo i 17 miliardi tolti alla sanità con le truffe sul Superbonus: sono 15 miliardi, riguardano tutti i bonus e solo in minima parte il 100%, e soprattutto non sono soldi perduti, ma salvati proprio dalla scoperta delle frodi). I fatti più spiacevoli sono il trono regalato alla Meloni, come se fosse più candidata degli altri (invece è pure una candidata finta); il silenzio sugli attacchi della premier ad altri conduttori di La7; e quel clima di complicità fra compari che avrà senz’altro stupito chi ricorda un ben altro Mentana ai tempi del Covid, quando si scagliò contro il premier Conte perché, in conferenza stampa, aveva risposto a un giornalista sull’accusa di Meloni e Salvini di aver firmato il Mes di nascosto e nottetempo e l’aveva smentita in quanto falsa. “Se le avessi conosciute in anticipo – tuonò Mentana nella diretta – non avrei mandato in onda quelle parole di Conte su Salvini e Meloni”. Parole veritiere, fra l’altro. E allora come mai ha mandato in onda senza fiatare le parole (menzognere, fra l’altro) della Meloni su fantomatici affronti del Pd a Mattarella e ad altre istituzioni e sul Superbonus contiano? In questa campagna elettorale Giorgia detta Giorgia si è scelta quattro intervistatori: Vespa, Porro, Del Debbio e Mentana. E ora, purtroppo, abbiamo capito perché.
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LO SBARCO IN FESSERIA
l'editoriale di Marco Travaglio
08 giugno 2024
Ci eravamo appena riavuti dallo scoop di Repubblica, che aveva resuscitato lo scrittore israeliano Denis MacEoin, morto due anni fa, appiccicando un suo articolo del 2011 alle proteste universitarie per Gaza, quando ci siamo imbattuti in due prime pagine da urlo. Che fanno più ridere delle gaffe di vari mezzibusti sullo “sbarco in Lombardia”. Quella dell’altroieri titolava: “D-Day, pronti al sacrificio come allora”, dove non era ben chiaro chi fosse pronto a quale sacrificio. Ma una mezza risposta è arrivata ieri: “Kiev, la nostra Normandia”. Sotto, la gigantografia di due dei più noti leader morenti, Macron e Michel, accanto a un Biden eccezionalmente sveglio che saluta Zelensky. Quest’ultimo fa pensare al gioco “Trova l’intruso”: infatti, a commemorare gli 80 anni dell’evento-simbolo della liberazione d’Europa dal nazifascismo, gli imbecilli suddetti hanno invitato il presidente di un Paese, l’Ucraina, che nel 1944-’45 stava con i nazisti, accolti come liberatori, affiancati da reparti di SS e volontari, aiutati a infornare centinaia di migliaia di ebrei nei lager poi liberati dall’Armata Rossa (ma sì, da quel paesucolo denominato Urss che alla sconfitta del nazifascismo sacrificò appena 28 milioni di uomini e donne, infatti non era invitato alla festa). Un Paese che coerentemente perseguita, bombarda e discrimina da dieci anni le minoranze russofile e russofone del Donbass e venera come eroe nazionale il criminale nazista Stepan Bandera, con tanto di milizie e partiti noti per le SS stilizzate nei vessilli e le svastiche e i simboli runici tatuati sulla pelle.
Che diavolo c’entri la liberazione dell’Europa invasa da Hitler con una guerra locale che poteva chiudersi dopo un mese dall’invasione russa se Johnson non avesse impedito a Zelensky di firmare l’accordo raggiunto con Putin a Istanbul, non è dato sapere. L’unico punto in comune fra il D-Day e l’escalation militare in Ucraina è che, per molti storici, lo sbarco in Normandia fu un inutile massacro di soldati mandati al macello senza preparazione né copertura, un flop militare che sortì l’effetto di ringalluzzire i tedeschi. Esattamente come l’escalation Nato in Ucraina, che le ha sottratto centinaia di migliaia di uomini e più territori di quelli che avrebbe conservato firmando l’accordo di Istanbul nel marzo 2022. La buona notizia è che quelli “pronti al sacrificio” per “la nostra Normandia” sono Sambuca Molinari e i suoi repubblichini, che si paracaduteranno su Kiev a bordo di blindati Lince Iveco (gli stessi che sfilavano nelle parate militari sulla Piazza Rossa di Mosca e fra le colonne corazzate russe che invasero l’Ucraina il 24 febbraio ‘22). Insieme alle nostre preghiere, li accompagni il grido di battaglia di Totò contro Maciste: “Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo”.
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LO SBARCO IN FESSERIA
l'editoriale di Marco Travaglio
08 giugno 2024
Ci eravamo appena riavuti dallo scoop di Repubblica, che aveva resuscitato lo scrittore israeliano Denis MacEoin, morto due anni fa, appiccicando un suo articolo del 2011 alle proteste universitarie per Gaza, quando ci siamo imbattuti in due prime pagine da urlo. Che fanno più ridere delle gaffe di vari mezzibusti sullo “sbarco in Lombardia”. Quella dell’altroieri titolava: “D-Day, pronti al sacrificio come allora”, dove non era ben chiaro chi fosse pronto a quale sacrificio. Ma una mezza risposta è arrivata ieri: “Kiev, la nostra Normandia”. Sotto, la gigantografia di due dei più noti leader morenti, Macron e Michel, accanto a un Biden eccezionalmente sveglio che saluta Zelensky. Quest’ultimo fa pensare al gioco “Trova l’intruso”: infatti, a commemorare gli 80 anni dell’evento-simbolo della liberazione d’Europa dal nazifascismo, gli imbecilli suddetti hanno invitato il presidente di un Paese, l’Ucraina, che nel 1944-’45 stava con i nazisti, accolti come liberatori, affiancati da reparti di SS e volontari, aiutati a infornare centinaia di migliaia di ebrei nei lager poi liberati dall’Armata Rossa (ma sì, da quel paesucolo denominato Urss che alla sconfitta del nazifascismo sacrificò appena 28 milioni di uomini e donne, infatti non era invitato alla festa). Un Paese che coerentemente perseguita, bombarda e discrimina da dieci anni le minoranze russofile e russofone del Donbass e venera come eroe nazionale il criminale nazista Stepan Bandera, con tanto di milizie e partiti noti per le SS stilizzate nei vessilli e le svastiche e i simboli runici tatuati sulla pelle.
Che diavolo c’entri la liberazione dell’Europa invasa da Hitler con una guerra locale che poteva chiudersi dopo un mese dall’invasione russa se Johnson non avesse impedito a Zelensky di firmare l’accordo raggiunto con Putin a Istanbul, non è dato sapere. L’unico punto in comune fra il D-Day e l’escalation militare in Ucraina è che, per molti storici, lo sbarco in Normandia fu un inutile massacro di soldati mandati al macello senza preparazione né copertura, un flop militare che sortì l’effetto di ringalluzzire i tedeschi. Esattamente come l’escalation Nato in Ucraina, che le ha sottratto centinaia di migliaia di uomini e più territori di quelli che avrebbe conservato firmando l’accordo di Istanbul nel marzo 2022. La buona notizia è che quelli “pronti al sacrificio” per “la nostra Normandia” sono Sambuca Molinari e i suoi repubblichini, che si paracaduteranno su Kiev a bordo di blindati Lince Iveco (gli stessi che sfilavano nelle parate militari sulla Piazza Rossa di Mosca e fra le colonne corazzate russe che invasero l’Ucraina il 24 febbraio ‘22). Insieme alle nostre preghiere, li accompagni il grido di battaglia di Totò contro Maciste: “Armiamoci e partite! Io vi seguo dopo”.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
10 Giugno 2024
Spritztest. “Vorrei uno spritz, me lo può portare?” (Carlo Nordio, ministro della Giustizia, a una giornalista di Piazzapulita in piazza per il comizio di FdI, 1.6). “Se manca l’alcoltest, è sufficiente verificare se una persona riesce a reggersi su un piede solo” (Matteo Salvini, Lega, vicepremier e ministro dei Trasporti, 4.6). Hai provato con Nordio?
Santasinner. “Avviso a tutti quelli che parlano male dell’Italia. Record di turisti. Sinner numero uno. Sarà un caso ma si respira un’aria nuova” (Daniela Santanché, ministra FdI del Turismo, Twitter, 4.6). Quindi la semifinale del Roland Garros l’ha persa lei.
Ha stato Putin. “Mosca, le mani sul voto Ue. Una ricerca del Parlamento europeo svela l’attacco social della Russia per favorire l’astensione e i partiti antisistema. L’Italia è il Paese più colpito” (Repubblica, 6.6). Ecco chi era quel tizio russo fuori dal seggio che mi implorava di non entrare.
Ha stato il pm. “Magistratura diabolika. Il caso Signorelli (le chat antisemite e fasciste del portavoce di Lollobrigida, ndr) è più una storia di abuso da parte dei pm che una storia di antisemitismo” (Foglio, 9.6). Ma infatti: pure l’arresto di Messina Denaro fu più una storia di abusi dei pm impiccioni che non si fanno mai i ca**i loro.
L’insaputa. “De Luca avrebbe insultato un maschio?” (Giovanna Vitale, Repubblica, 4.6). Sono trent’anni che insulta e minaccia maschi e femmine, ma la Vitale è appena atterrata da Marte.
L’insaputo. “Tajani: ‘Salvini ha governato con Pd e M5S, non mi insegni a battere i socialisti’” (Stampa, 5.6). Vero: Salvini appoggiava il governo Draghi con Pd e M5S. Proprio come Tajani, che però non se n’era accorto.
Rimbambiden/1. “’Biden? Non è più la stessa persona’. Smemorato e stanco, sul Wall Street Journal l’attacco dei repubblicani. Il giornale americano ha intervistato 45 persone che hanno lavorato tra la Casa Bianca e Capitol Hill sulle condizioni del presidente” (Repubblica, 5.6). Se la notizia disturba la linea di Repubblica, si chiama “attacco repubblicano”.
Rimbambiden/2. “Biden il veterano” (Stampa, 6.6). Sulla Stampa la risposta dei democratici: se il rinc*gli**ito è amico tuo, si dice “veterano”.
Attualissimo. “L’articolo di Denis MacEoin (scomparso nel 2022) pubblicato oggi è stato scritto nel 2011: lo abbiamo messo in pagina commettendo l’errore di non indicare la data originaria. Errore per il quale ci scusiamo con i lettori. I contenuti restano di evidente attualità e sono un contributo al dibattito sulla guerra in Medio Oriente” (Repubblica.it, 4.6). L’evidente attualità di un articolo scritto 12 anni prima del pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 e dei massacri israeliani a Gaza.
Tradimento. “L’imbroglio di Biden che fa male a Israele per la fine della guerra a Gaza” (Giuliano Ferrara, Foglio, 3.6). “Negoziare col diavolo. Si può chiamare ‘piano Bibi’ o ‘piano Biden’, ma Israele ha formulato una proposta ideale per Hamas” (Foglio, 4.6). Signor colonnello, accade una cosa incredibile: israeliani e americani si sono alleati con Hamas!
Gite fuori porta. “Dopo il Sudan ora la Siria: gli ucraini fanno la guerra ai russi anche all’estero. Video del Kyiv Post mostrerebbero squadre del Gur nel Paese africano e in quello di Assad. Operazioni misteriose con cui Kiev vuole dare un segnale a Putin” (Repubblica, 4.6). Siccome gli ucraini stanno finendo i soldati in Ucraina, ne mandano qualcuno in Sudan e in Siria. Putin, terrorizzato, dorme con la luce accesa.
Letti separati. “Quando giudice e pm sono fidanzati non c’è separazione di carriere che tenga” (Dubbio, 5.6). E pensa quando l’avvocato si fidanza col pm o col giudice.
Megafoni. “Toti resta in sella: bocciata la sfiducia. E accusa: ‘Pd e 5S megafoni dei pm’” (Messaggero, 5.6). Meglio megafoni del detenuto.
Unità. “L’Unità chiede le dimissioni di Schlein. Sansonetti: ‘Il Pd è muto, fai un gesto di responsabilità’” (Corriere della Sera, 7.11.23). “Se Schlein ce la fa, la sinistra torna in campo” (Piero Sansonetti, Unità, 8.6.24). Ma non doveva dimettersi?
Il titolo della settimana/1. “Frank Miller: ‘Sparta? Oggi è l’Ucraina’” (Robinson-Repubblica, 9.6). Ma pure Atene.
Il titolo della settimana/2. “Salvini: Io voto Vannacci” (Stampa, prima pagina, 5.6). Ammazza che scoop.
Il titolo della settimana/3. “Draghi presidente Ue? Io ci credo. Transizione green con il nucleare” (Carlo Calenda, Azione, Messaggero, 7.6). Altre cazzate?
Il titolo della settimana/4. “Bonino e Renzi: ‘Con noi vivono le idee di Churchill e Spinelli’” (Repubblica, 6.6). Quelli che vi fumate.
Il titolo della settimana/5. “La scelta di Chiara Ferragni, la madre entra nella gestione” (Corriere della Sera, 7.6). “Per far quadrare i conti Ferragni si affida alla mamma” (Libero, 7.6). Manca solo Lollobrigida.
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VINCITORI, VINTI E FINTI
l'editoriale di Marco Travaglio
11 giugno 2024
In Europa trionfano le destre anti-europeiste. In Italia i partiti più ligi a Bruxelles – FdI, Pd e FI – vanno a gonfie vele. E ci andrebbe pure il centro, sesto al 7%, se la collisione fra gli ego di Bonino, Calenda e Renzi non l’avesse spaccato in due. Invece vanno male i più eurocritici: 5Stelle e Lega. Siamo o no il Paese delle restaurazioni senza rivoluzioni?
Pd. È il vero vincitore: 5 punti sopra il 19% racimolato due anni fa da Letta. Merito della Schlein, abile a far credere di essere l’unico argine alla Meloni, anche se su guerra e austerità votano allo stesso modo, e di voler “cacciare i cacicchi”, anche se la vittoria la deve soprattutto a loro (di preferenze ne ha raccolte pochine rispetto a quelle di ras locali come Decaro, Bonaccini, Zingaretti, Nardella, Gori), oltre a volti tv come Annunziata e rappresentanti dell’associazionismo come Strada. L’ambiguità di non scegliere né cambiare quasi nulla è la sua forza, anche grazie all’effetto-novità che, almeno la prima volta, riempie sempre le urne. Ma, se accade alle Europee, non porta benissimo: nel 2009 le stravinse B., nel 2014 Renzi, nel 2019 Salvini e durarono due anni ciascuno.
FdI. La Meloni è l’altra vincitrice: dopo quasi due anni di (mal)governo, guadagnare quasi 3 punti, pur perdendo 700 mila voti, è un miracolo. Anche lei è stata abile nell’operazione Gattopardo di stare con l’establishment fingendosi contro: intercetta i voti di protesta anti-Ue, pur essendo pappa e ciccia con Ursula von Sturmtruppen. Vediamo quanto dura: chi vince le Europee di solito poi perde le Politiche.
5 Stelle. Precipitati alla percentuale Lidl del 9,99, sono i veri sconfitti. Le cause sono arcinote e, altro paradosso, figlie più dei loro meriti che dei loro difetti. Hanno fatto un sacco di cose buone nei governi Conte-1 e Conte-2, tant’è che Draghi (col loro consenso, o sindrome di Stoccolma) e Meloni hanno passato il tempo a demolirle, seminando frustrazione e rassegnazione fra i loro elettori. E sono prigionieri di regole rigide ben oltre l’autolesionismo, come la scelta di gran parte dei candidati affidata agli iscritti e il limite di due mandati. Gli sconosciuti scelti dagli iscritti, appena cominciano a farsi conoscere, scadono e devono sparire. Ma le liste di sconosciuti (tranne Tridico e pochi altri, che infatti vanno bene) non attirano voti e non smuovono astenuti, specie se gli unici elettori interessati sono quelli di opinione che non vendono o scambiano il voto. Se poi l’unico valore aggiunto rimasto, cioè Conte, non può e non vuole candidarsi per finta mentre gli altri lo fanno senza pagare pegno, anzi guadagnandoci, è dura restare a galla. Tantopiù se il 51% degli elettori italiani (il 57 al Sud e il 63 nelle isole), quelli non cammellati, restano a casa.
Il resto l’ha fatto la bipolarizzazione fittizia Meloni-Schlein imposta dai media filo-governativi (Giorgia, come competitor, preferisce mille volte Elly) e quelli filo-Pd: cioè tutti. Ciò detto, può darsi che un movimento “biodegradabile” come lo definì Grillo, che a biodegradarlo contribuì da par suo conficcandolo nel governo Draghi, sia vicino all’estinzione. Ma può anche darsi che il suo peso nazionale, con un’affluenza da elezioni Politiche, sia ancora il 15 dei sondaggi di sabato. E anche se fosse quello di terzo partito al 10, il secondo fra i giovani, meriterebbe un rilancio, non una resa, con nuove regole diverse da quelle pensate quando nella loro utopia Grillo e Casaleggio gli davano dieci anni di vita. La tentazione di Conte di passare la mano è comprensibile: sbattersi tanto per raccogliere così poco è frustrante e restare dopo tale batosta può sembrare avvitarsi alla poltrona. Ma, senza di lui, il M5S sarebbe morto già con la cura Draghi e ora si sognerebbe pure il 9,99%.
Avs. Il 6,7% è ottimo per Bonelli e Fratoianni, verdi pacifisti all’opposto dei bellicisti tedeschi. Merito delle liste che, all’opposto di quelle dei 5Stelle, erano piene di famosi per i più vari motivi: Salis, Marino, Orlando, Lucano…
Lega. L’effetto Vannacci, figlio dell’effetto-giornaloni, ha attutito il tonfo soprattutto nel Centro-Sud, dove la Lega va un po’ meno peggio che alle Politiche. Ma la famosa “decima” s’è fermata a 9. E il tracollo nel Lombardo-Veneto è tanto più devastante in quanto, per ora, a Salvini non c’è alternativa.
Centro. Se la Bonino avesse seguito Calenda, il suo centrino europeista sarebbe vivo e spendibile nell’alleanza anti-destra. Invece, buon’ultima, ha creduto a Renzi e il 6,5 dei loro due partitini è diventato 3,7. Meno di quanto avrebbe preso da sola. Vedremo chi sarà il prossimo a fidarsi di bin Rignan, ove mai un gonzo di tali dimensioni esistesse in natura.
FI. Guidata da un leader più spento del caro estinto, sfiora il 10 e scavalca la Lega. Sì, è un’illusione ottica perché ha imbarcato i centrini di Lupi e Brugnaro. Ma è pure un trionfo, spiegabile con gli spropositi degli alleati: una quota di conservatori preferisce un partito che non fa e non dice niente a uno che fa e dice cazzate.
Draghi. Salvo sorprese e malgrado centinaia di articoli di stampa (solo italiana, ovviamente) sul suo irrinunciabile e irresistibile sbarco in Europa, SuperMario resta disperso come la sua Agenda. Ma gli archeologi e gli speleologi continuano a scavare.
Putin. Stando ai giornaloni, la propaganda russa a suon di fake news aveva l’Italia in pugno. Ma curiosamente i noti putiniani Conte, Santoro, Tarquinio e Salvini hanno perso. O i temibili hacker russi dormivano anche stavolta, o sono delle pippe cosmiche.
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