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Dino

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LE VESPE TERESE.

l'editoriale di Marco Travaglio -

12 maggio 2024

Alla demenziale decisione della Schlein di duettare con la Meloni in quella che chiama TeleMeloni, legittimandola proprio nella sua quintessenza che è Porta a Porta, cioè TeleLingua, sono seguite le richieste altrettanto folli dei 5 Stelle e degli altri partiti a Bruno Vespa di inscenare anche per loro siparietti analoghi in nome della par condicio. Come se la par condicio non fosse irrimediabilmente violata proprio dal faccia a faccia fra la premier e la segretaria Pd a due settimane dal voto con l’incredibile avallo di Rai, Agcom e Vigilanza. Ci avevano già provato la Meloni ed Enrico Letta alla vigilia delle Politiche del 2022 e l’Agcom li aveva stoppati proprio in nome della par condicio, tant’è che traslocarono sul Corriere.it (dove fecero dormire tutti). Ora Meloni&Schlein la violano triplamente: perché, diversamente da Meloni&Letta nel 2022, si candidano alle Europee solo per finta; perché alle Europee si vota col proporzionale, ogni partito per conto suo senza coalizioni; e perché non c’è motivo di mettere a confronto due leader alla volta, né di partire con Meloni&Schlein, né di metterle in coppia fra loro e non con altri. Si dirà: valgono i voti delle Politiche. Ma allora con la Meloni dovrebbe duellare (si fa per dire) Letta: nel 2022 la Schlein non solo non era segretaria del Pd, ma neppure iscritta. Se Vespa, alla vigilia delle elezioni del 2013, avesse seguito l’ordine di quelle del 2008, avrebbe invitato B.&Veltroni, salvo poi scoprire dalle urne che i primi due partiti appaiati erano Pd e M5S, che nel 2008 non esisteva e cinque anni dopo balzò da zero al 25,5%. E, se valessero i voti del 2022, sarebbero esclusi Stefano Bandecchi, Cateno De Luca e Michele Santoro.

Quindi la graduatoria vespiana dei leader si basa sui sondaggi? Ma, se così fosse, il leader con più consensi dopo la Meloni è Conte, che stacca sempre la Schlein di 5 o 6 punti. Ma sarebbe assurdo basarsi su dati tanto aleatori. L’unica soluzione equa è sorteggiare le coppie e l’ordine di apparizione. Ma poi, se il numero dei leader è dispari, quello rimasto da solo con chi si confronta: con un cartonato? Con uno specchio? Con un avatar di ChatGpt? Di tanta assurdità si erano accorte persino Meloni e Schlein che, prevedendo un veto dell’Agcom, s’apprestavano ad aggirarlo su Instagram, nel Far West dei social. Invece l’Agcomica ha dato l’insperato ok. Da qualunque lato lo si guardi, il duetto delle due Vespe Terese è una sconcezza contro ogni regola e decenza. E i leader esclusi farebbero bene a non prestarsi come foglie di fico a legittimarlo replicandolo in scala minore nelle serate successive. Lo sketch delle due finte candidate deve rimanere un unicum nella storia, come il Gronchi rosa per i filatelici: un reperto di TeleRegime a imperitura memoria.

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Dino

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

13 maggio 2024

Aria di casa. “Toti tratta la resa. L’ipotesi del rientro a Mediaset” (Repubblica, 11.5). I domiciliari gli servono per ambientarsi.

Similitudini. “Il Superbonus mi fa venire il mal di mancia” (Giancarlo Giorgetti, Lega, ministro dell’Economia, 3.9.23). “Il Superbonus è come la morfina” (Giorgetti, 15.12.23). “Il Superbonus è come Chernobyl” (Giorgetti, 15.12.23). “Il Superbonus è un mostro abnorme” (Giorgetti, 24.4.24). “Il Superbonus ha effetti radioattivi” (Giorgetti, 27.12.23). “Il Superbonus è come il Vajont” (Giorgetti, 9.5.24). Visto che lo gestisce ininterrottamente da 28 mesi, prima al Mise e poi al Mef, non bastava dire che è come Giorgetti?

Eclettismo penale. “Travaglio dice che mi aspetta in tribunale, nel luogo che definisce il mio habitat naturale. Ha ragione, lo è: io infatti svolgo la professione di avvocato” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, 11.5). Ma anche di imputata con Renzi, Carrai e Lotti per finanziamenti illeciti di 3.567.562 euro “in violazione della normativa citata, che i finanziatori consegnavano … dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018 alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”. Su, non faccia la modesta.

Par linguicio. “Vespa: ‘Meloni e Schlein possono stare tranquille. Sul duello garantisco io” (Repubblica, 11.5). Nessuna domanda e stessa quantità di bava.

Par nonnicio. “Da ragazzo ho militato a destra e ora spiego che Gramsci è vivo. Un mio nonno era partigiano, l’altro fece la marcia su Roma” (Alessandro Giuli, direttore del Maxxi, Corriere della sera, 7.5). Sicuro che non fosse lo stesso?

Idea geniale. “La Nato prepara un piano. Come proteggere l’Ucraina da Trump” (Corriere della sera, 11.5). Giusto: armiamo Zelensky per invadere gli Stati Uniti.

Avevamo scherzato. “Mosca stringe i tempi per obbligare l’Ucraina a scendere a patti” (Repubblica, 11.5). Ohibò: ma non era Putin che non voleva trattare?

Ha stata l’Ue. “Accordo sugli asset russi congelati: l’Ue girerà a Kiev 3 miliardi all’anno” (Corriere della sera, 9.5). Per chiarire meglio chi è l’aggressore e chi è l’aggredito.

Sua Ayatollah. “Una nuova Tienanmen di ragazzi disarmati e sterminati oggi c’è già: è in Iran. Ma in genere i pacifisti cattolici non ne parlano, a cominciare dal Papa” (Mattia Feltri, Stampa, 9.5). Per forza: quello è sciita.

Masse in movimento. “Morando: ‘Elly sbaglia su Jobs Act e Giustizia. Così porta i riformisti alla scissione’” (Messaggero, 11.5). Dell’atomo.

Sul luogo del delitto. “Renzi: ‘Adesso il Pd è finito’” (Foglio, 7.5). Missione compiuta.

La soluzione finale. “Elsa Fornero: ‘Un errore tornare all’articolo 18. Sarà più difficile trovare lavoro’” (Giornale, 7.5). In effetti, se licenziano tutti, poi qualcuno un lavoro lo trova.

Agenzia Stica**i. “Luciano Violante: ‘Mia madre mi ha sempre salvato anche quando mi ha abbandonato’” (Stampa, 8.5). Apperò: mo’ me lo segno.

Salusconi. “Guerra dei grattacieli, la rabbia di Sala che teme l’accerchiamento per le indagini dei pm sugli abusi edilizi: ‘Un attacco politico’” (Repubblica, 8.5). Cavaliere, è lei?

Se non son pippe, non li vogliamo. “Il pm che processò il Cav (Fabio De Pasquale, ndr) non poteva fare il pm” (Unità, 10.5). Infatti è l’unico che lo fece condannare in Cassazione.

Chirurghi anti-bisturi. “Magistratura democratica: ‘Basta con la voglia di prigione’” (Unità, 7.5). Quindi i processi li fanno per scherzo.

In cattedra. “La lezione di Craxi è ancora viva: il riformismo è la vera risposta al populismo” (Riformista, 7.5). L’ultimo allievo era Toti.

Mai più senza. “Anche per l’edizione 2024 Il Dubbio sarà con un suo stand e un suo programma assai ricco al Salone internazionale del Libro… Vi faremo provare l’incubo della gogna mediatica. Diverrete i protagonisti di una campagna mediatico-giudiziaria simulata su una testata fittizia che abbiamo chiamato ‘Il Falso quotidiano‘. Tutto questo per sottolineare ancora una volta e ancora di più il ruolo del nostro giornale e dell’avvocatura nella promozione di garanzie e diritti” (Il Dubbio, 9.5). Ma soprattutto per sottolineare la vostra poveraccitudine.

Il titolo della settimana/1. “Se la politica potesse spiare la magistratura” (Alessandro Sallusti, Giornale, 11.5). E se i ladri potessero spiare le guardie. Ma infatti.

Il titolo della settimana/2. “Non è un Paese per madri” (Riformista, 11.5). Ma per ladri.

Il titolo della settimana/3. “Un’insalata russa indigesta. Vedere il Pd ridotto a una baby gang di pacifisti” (Giuliano Ferrara, Foglio, 4.5). Disse la spia della Cia.

Il titolo della settimana/4. “Letta vuole dirigere ‘Science Po’, l’università dell’élite francese” (Libero, 8.5). Si chiamerà Science Boh.

Il titolo della settimana/5. “I condottieri non sono tutti uguali. Generali e particolari. Da Napoleone a Figliuolo” (Venerdì-Repubblica, 10.5). Praticamente due gocce d’acqua.

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STATI SENZA STATISTI

l'editoriale di Marco Travaglio

14 maggio 2024

A ottobre, quando scrissi Israele e i palestinesi in poche parole”, pensai che pochi sapessero o ricordassero perché la guerra dei cent’anni era giunta al pogrom di Hamas e alla mattanza di Israele a Gaza. Non sospettavo che i primi a non conoscere la storia fossero proprio i governanti di Israele e i loro sostenitori in Occidente. Altrimenti l’altro giorno non avrebbero negato il Sì alla risoluzione dell’Assemblea dell’Onu che riconosce alla Palestina i titoli per diventare membro effettivo e raccomandare al Consiglio di Sicurezza di rimuovere il veto (dei soliti Usa). Quasi tutto il mondo (143 Paesi) ha votato Sì, mentre Usa, Israele, Argentina e altri sei han votato No e 25 si sono astenuti (fra cui campioni di viltà come Italia, Germania, Gran Bretagna, Canada, Ucraina, Georgia, Olanda, Austria, Svezia, Finlandia, Lettonia e Lituania). “Avete aperto l’Onu ai nazisti moderni dello Stato terrorista palestinese”, ha strillato l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan: “State facendo a pezzi la Carta dell’Onu con le vostre mani”. E l’ha distrutta passandola nel tritacarte. Questo somaro non sa o finge di ignorare – proprio come Hamas e una parte dei filopalestinesi che manifestano contro il “sionismo”, cioè contro il diritto di Israele a esistere – che lo Statuto dell’Onu, siglato nel 1945 dai 51 Stati fondatori, è la fonte del Diritto internazionale che legittima l’esistenza di Israele. Uno dei primi atti dell’Onu fu la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 che a gran maggioranza (33 Sì, fra cui Usa e Urss; e 13 No, gli Stati arabi e pochi altri) spartì la Palestina in due Stati: uno ebraico, uno arabo. Il primo nacque nei confini assegnati dall’Onu il 14 maggio 1948, il secondo no perché la leadership palestinese e i governi arabi vi rinunciarono, ritenendo più urgente cacciare gli ebrei con una guerra che poi persero (come le successive nel 1956, nel 1967 e nel 1973). Il coglione che rappresenta Israele al Palazzo di Vetro (come chi l’ha mandato) non s’è neppure accorto che, distruggendo quella Carta, ha ucciso la madre di Israele (l’Onu) e cancellato il certificato di nascita del suo Stato. E portato altra acqua al mulino di chi ne rimette in discussione la legittimità approfittando delle stragi a Gaza, straparla di “76 anni di occupazione” e reclama lo “Stato palestinese dal fiume Giordano al mare Mediterraneo”.

Trent’anni fa, dopo 27 anni di galera per terrorismo, Nelson Mandela diventava presidente del Sudafrica. E il suo predecessore bianco-boero Frederik de Klerk si degradava a suo vice. Due nemici divenuti statisti per salvare il Paese dal bagno di sangue dopo mezzo secolo di apartheid: infatti vinsero il Nobel. Proprio quello che manca oggi agli israeliani e ai palestinesi in questa carneficina infinita: due statisti.

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BAGASCE & TROIONI

l'editoriale di Marco Travaglio.

15 maggio 2024

Uno dei mille aneddoti svelati da Antonio Padellaro nel suo strepitoso libro Solo la verità lo giuro (Piemme), riguarda l’ex ministro dei Trasporti Claudio Signorile, leader della “sinistra ferroviaria” del Psi. Che 40 anni fa, a proposito di uno dei tanti scandali alle Fs, anticipò a lui e a Paolo Graldi la linea difensiva della banda Toti: quella delle mazzette fatturate, dunque “trasparenti” e lecite. Ma si era raccomandato: “Ragazzi, è roba confidenziale, non scrivete una riga”. Oggi invece gli scudi umani, cioè gli avvocati, ministri, politici e giornalisti appesi agli specchi delle tangenti alla genovese, quella sesquipedale minchiata giuridica la sbandierano ai quattro venti. In Parlamento, in tv, sui giornali, sui social. E con l’aria indignata, come a dire: dove andremo a finire, signora mia, se un pubblico amministratore non può più nemmeno vendere la sua funzione a un imprenditore e un’ora dopo passare dalla barca alla banca per incassare la rispettiva tangente tracciabile e fatturata. Delle due l’una: o ignorano il Codice penale e la legge sul finanziamento ai partiti, che parla di “erogazioni liberali” (cioè spontanee e disinteressate) dai privati, non di norme o delibere o concessioni o licenze vendute un tanto al chilo; oppure sanno tutto, ma se ne infischiano e fanno come Toti&C. Nel qual caso farebbero meglio a costituirsi nella più vicina caserma, confessare e patteggiare prima di essere beccati anche loro.

I più spiritosi invocano il “primato della politica”, come se le foto e i filmati della Guardia di Finanza al porto di Genova non l’avessero immortalato a sufficienza. Un incessante e imbarazzante pellegrinaggio di politici di destra, di centro e del solito Pd su e giù dallo yacht di Spinelli, lasciando spesso fuori i cellulari perché non si sa mai, ignari dei trojan ma non dei “troioni” e delle “bagasce” che la cricca metteva gentilmente a disposizione per viaggi all inclusive, pagando pure le borse griffate e gli orologi che i pubblici amministratori straccioni fingevano di regalare a proprie spese. Sono trent’anni che, appena finisce dentro qualcuno dei suoi, la banda del buco rivendica il “primato della politica”. Ma quello sbagliato, sulla magistratura: come se la politica fosse al di sopra della legge. Non quello giusto, sull’economia e le lobby: infatti tutti gli scandali nascono da politici genuflessi a chi li paga. Quelle processioni sulla passerella del “Leila2” ricordano Fantozzi e Filini sullo yacht del direttore magistrale duca conte Pier Matteo Barambani, che finge di invitarli a un weekend in barca perché “la mia famiglia siete voi” e poi li adibisce a mozzi di bordo chiamandoli democraticamente “i miei poveracci, i miei pezzenti, i miei cari inferiori”. Le vere bagasce, i veri troioni sono loro.

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TESTE LUCIDE

l'editoriale di Marco Travaglio.

16 maggio 2024

Per dire in che mani siamo, noi dell’Impero del Bene intendo, ecco due notizie che fanno ben sperare nella terza guerra mondiale. Il “liberale” Charles Michel, la testa più lucida dell’Ue (ma solo perché l’altra è la von der Leyen), dice che per le alleanze post-voto “conta solo la sostanza”. Cioè vanno bene “anche partiti definiti di estrema destra”, che vantano “personalità con cui si può collaborare”, purché “siano pronti a cooperare per sostenere l’Ucraina, difendere i principi democratici e rendere l’Ue più forte”. L’idea di allearsi coi nazifascisti per difendere la democrazia potrebbe apparire lievemente contraddittoria, ma non se per “principi democratici” s’intendono le armi all’Ucraina, che ha abolito i partiti di opposizione e schiera battaglioni neonazisti.

Il “democratico” Antony Blinken, la testa più lucida degli Usa (ma solo perché l’altra è Biden), ha reso visita a Zelensky (visto che Netanyahu ormai lo prende a calci) per preparare le esequie di Kharkiv e di qualche altro migliaio di giovani ucraini. Ma è apparso sorridente anche se, notano le gazzette atlantiste, un po’ “preoccupato” per la Caporetto in corso. Ha annunciato i nuovi armamenti, mentre Kiev segnala di aver “finito i soldati” e non ha più neppure le trincee perché i 170 milioni appena stanziati dalla Nato se li sono fregati i soliti corrotti locali. E, sulle ali del buonumore, ha imbracciato una chitarra e ha cantato un brano di Neil Young con una band punk-rock in un pub di Kiev. Purtroppo non s’è neppure accorto di aver scelto, del cantautore canadese, uno dei brani più feroci sulla società Usa: Rockin’ in the Free World. Alla fine della cantatina, con notevole senso dell’opportunità, ha salutato caramente i soldati ucraini, che “combattono anche per noi”, cioè per procura. E la cosa è molto piaciuta alla testa più lucida dell’italo-atlantismo, Paolo Mieli: “Blinken, a Kyiv, ha buttato via l’abito gessato e l’aria da bravo ragazzo e con jeans e maglietta è andato in un pub dove ha cantato Rockin’ in the Free World. Questa cosa ha fatto più per l’Ucraina che la promessa di nuove armi”. A saperlo prima, l’Occidente poteva risparmiare i 322 miliardi di dollari fin qui buttati per Kiev e, al posto, spedire chitarre elettriche e impianti karaoke. O magari organizzare Sanremo, l’Eurovision o Castrocaro sulla linea del fronte. Ma per gli esausti soldati ucraini sopravvissuti alla carneficina dev’essere stato un bel sollievo apprendere che Blinken canta e suona bene: un effetto elettrizzante paragonabile soltanto a quello della celebre visita di Marilyn Monroe 70 anni fa ai marines in Corea. Il guaio è che la voce si è sparsa anche fra le truppe russe, che stanno accelerando la marcia su Kiev via Kharkiv per non perdersi il prossimo concerto.

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CORRIERE SEPARATE.

l'editoriale di Marco Travaglio.

17 maggio 2024

Perché il governo voglia separare le carriere di pm e giudici anziché le barche degli Spinelli dai Toti, lo capisce anche un bambino: per punirli, indebolirli, spaventarli e indurli finalmente a non indagare su di loro o, se proprio qualche temerario ancora si azzarda, ad assolverli; e poi per abolire l’azione penale obbligatoria, far decidere al Parlamento quali indagini fare e quali no, e mettere le Procure al guinzaglio del governo (come nei Paesi con carriere separate). Ma non possono dirlo, quindi s’inventano scuse alla Blues Brothers. Tipo che, essendo colleghi, i giudici danno sempre ragione ai pm: il che è falso, visto che le richieste di un pm vengono disattese una volta su due da gip, gup, tribunali, corti d’appello e Cassazione (a proposito, separare pm e giudici non basta e servono almeno otto carriere: pm, gip, gup, giudici di primo grado, pg d’appello, giudici d’appello, pg di Cassazione e giudici di Cassazione, senza contare i secondi appelli dopo gli annullamenti). O tipo che in tutto il mondo il pm non può diventare giudice e viceversa. Ma è un’altra balla: i passaggi di funzione all’altra sono permessi ovunque; il Consiglio d’Europa li raccomanda perché pm e giudici sono “simili e complementari” e devono perseguire entrambi la verità (non le condanne purchessia); e già oggi in Italia, con le assurde barriere della schiforma del 2007, sono poche decine di casi all’anno.

L’altra sera, a Ottoemezzo, Italo bo*****o ha aggiunto un altro tocco di surrealismo al dibattito rivelando una tragica esperienza vissuta “in una nota città giudiziaria napoletana” (che, a occhio e croce, dovrebbe essere Napoli): “A un processo sono arrivati sulla stessa auto il pm e il giudice. Come può un cittadino stare sereno?”. In effetti l’idea che un pm veda un giudice (o, peggio, un avvocato) che corre trafelato verso il tribunale e gli dia un passaggio basta e avanza per separare le carriere. Bisognerà precisare bene nella riforma tutte le condotte proibite ai pm e ai giudici separati nella formazione, nei concorsi, nelle funzioni, nel Csm, ma anche in auto e su qualunque altro mezzo di trasporto: separazione delle carriere, ma soprattutto delle corriere. E non basta ancora. Alcuni anni fa, su Libero, un altro giurista per caso citò due fatti agghiaccianti che impongono la Grande Riforma: le mamme del pm Hensy Woodcock e di Sandro Ruotolo erano amiche (quindi, oltre alle carriere, bisogna separare le famiglie); e un pm di Milano aveva messo incinta una gip che per giunta era pure la sua compagna. Ergo vanno separate le carriere di tutti i pm da quelle di tutti i giudici per impedire rapporti sessuali incrociati: la separazione dei letti, o almeno degli organi genitali. Una riforma, più che costituzionale, anticoncezionale.

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PAR LINGUICIO.

l'editoriale di Marco Travaglio

18 maggio 2024

L’altra sera, dopo l’ovvia cancellazione dell’illegale tête-à-tête Meloni-Schlein, ci stavamo sbudellando per le rosicate del neo-femminista Vespa (“Hanno proibito il confronto fra due donne”), delle vedove inconsolabili del Pd ansiose di violare la par condicio voluta da loro (“Negano la prima serata alle donne” che imperversano in tutte le prime serate) e delle relative prefiche dei giornaloni, quando è apparso Bruno Lingua in persona. Ovviamente in primissima serata, per replicare l’editto bulgaro e fare il consueto uso criminoso della televisione pubblica pagata con i soldi di tutti. Il noto fuorilegge si è ribellato in diretta alla par condicio e all’Agcom che – per la seconda volta in 20 mesi, prima col duetto Meloni-Letta e ora con quello Meloni-Schlein – gli ha impedito di truccare il voto con marchette ai suoi storici mandanti: la destra e il Pd. E ha raccontato una par condicio che non esiste per accusare di averla violata nel lontano 2001 – come direbbe lui, “senza contraddittorio” – tre giornalisti e due artisti, rei di aver fatto i loro rispettivi mestieri: Biagi, Santoro, il sottoscritto, Luttazzi e Benigni (e s’è scordato Montanelli). Biagi intervistò Benigni sul futuro premier, Luttazzi intervistò me sui rapporti documentati fra Cosa Nostra, B. e Dell’Utri, Santoro trasmise reportage sul tema e li fece commentare da personalità di ogni orientamento. Tutte condotte non solo lecite, ma doverose, che nessuna legge sulla par condicio (che si occupa della parità di spazi televisivi per i candidati) s’è mai sognata di vietare.

Ma per il Dalmata dei mezzibusti lo scandalo è proprio questo: che i giornalisti dessero notizie vere e gli attori satirici facessero satira. Per lui il giornalismo è dirigere il traffico fra le balle dei politici, far pagare dalla Rai 260 milioni di lire a Scattone e Ferraro sul conto di un prestanome per aggirare il sequestro dei beni per i genitori di Marta Russo, ospitare politici che cucinano risotti, fanno karaoke con cantanti, fingono di giocare a tennis con Panatta, firmano contratti-patacca con gli ignari italiani, duettano in due come se fossero candidati solo loro (peraltro finti), fanno da testimonial ai vini della sua masseria. A proposito delle “accuse da ergastolo” che avrei lanciato a Satyricon, Vespa si scorda di rammentare che erano tutti fatti veri, come hanno appurato 24 sentenze del Tribunale di Roma, della Corte d’Appello e della Cassazione respingendo le otto cause civili intentate da B. e dai suoi cari a me, a Veltri, a Luttazzi e a Freccero; che Dell’Utri – a suo dire “massacrato” da Santoro – fu poi condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa con una sentenza che ritiene provati i finanziamenti di B. a Cosa Nostra dal 1974 a ‘92, l’anno delle stragi.

Dimentica che, per aver fatto il proprio dovere, i personaggi citati sparirono da tutte le tv per anni con l’editto bulgaro, mentre lui, in pensione da 18 anni, è sempre su Rai1 con un programma quotidiano e uno trisettimanale e un principesco contratto da “artista” per aggirare un’altra regola: il tetto agli stipendi della Rai. Siccome poi Santoro è un leader candidato alle Europee, la par condicio l’ha violata proprio lui attaccandolo in contumacia in prima serata senza diritto di replica a tre settimane dal voto; e anche promuovendo Elly Schlein a “leader dell’opposizione” (carica inesistente di sua fresca invenzione).

Ma il momento più alto è quando Vespa sostiene che la “campagna televisiva” del 2001 “costò a Berlusconi da uno a tre milioni di voti”, tant’è che fu definita “crimine politico” da un personaggio autorevole e equilibrato come Cossiga. Ne aveva già parlato nel gennaio scorso, arringando la convention-seduta spiritica di FI all’Eur in memoria del nano estinto. Ma allora disse che avevamo rubato a B. la bellezza di “9 punti” in un mese, facendolo precipitare “dal 58,7% al 49,5%” e “portando a votare Rutelli 3 milioni di italiani” pigri o riottosi. Ora, quattro mesi dopo, le cifre già cambiano (quando si raccontano balle, bisognerebbe almeno coordinarle): quel terremoto scende non si sa bene se a 1 o a 3 milioni di voti, cioè a 2,7 o a 8,1 punti. E non si sa bene in base a quali calcoli scientifici: anche quella campagna elettorale durò 40 giorni, con migliaia di ore di propaganda berlusconiana su Rai & Mediaset. Ma, secondo Vespa, bastarono 25 minuti di Satyricon, 20 minuti di Biagi e 2 ore di Santoro a far perdere a B. “enorme popolarità e punti, perché veniva presentato come un mascalzone”. Cosa che gli italiani, dopo 2 condanne prescritte per corruzione e finanziamento illecito, 6 processi per corruzione giudiziaria (Sme-1 e Mondadori) e falso in bilancio (Lentini, All Iberian-2, Sme-2, F*******t), un’indagine per le stragi di Capaci e via D’Amelio, non potevano neppure sospettare. Purtroppo gli si è rotto il pallottoliere proprio quando l’insetto stava calcolando quanti voti gli fece guadagnare lui con lo sketch del Contratto con gli Italiani a cinque giorni dalle elezioni. “Lo convinsi io”, s’è vantato il conduttore-consulente-visagista: “Feci cercare la scrivania di ciliegio nell’attrezzeria Rai”. Chissa ora quale prezioso pezzo di arredamento aveva in serbo per il Contratto con Giorgia & Elly. “Chiunque sia venuto ospite da me non si è mai lamentato”, anche “la Schlein è stata contentissima”. E queste, che per qualunque giornalista di qualunque democrazia sarebbero vergogne da nascondere, per lui sono medaglie da esibire. Chi va da lui non rischia domande né notizie vere. Solo di scivolare sulla bava.

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ELLY DETTA SILVIO

l'editoriale di Marco Travaglio

19 maggio 2024

Parlare di rispetto delle regole in un Paese dove la premier accoglie all’aeroporto un assassino condannato all’ergastolo come un eroe non è solo assurdo: è anche inutile. Ma adoriamo le missioni impossibili. E ancor più i paradossi. Tipo quello del Pd che, dopo aver voluto nel 2000 la legge sulla par condicio per garantire parità di accesso in tv a chi si candida alle elezioni, ora vuole “riformarla” perché l’Agcom che ne sanziona le violazioni ha impedito a Meloni&Schlein di violarla. O tipo quello della Schlein che tuona un giorno sì e l’altro pure contro TeleMeloni (la Rai spartita tuttora fifty fifty fra destre e Pd), organizza sit-in indignati e poi si apparecchia un tête-à-tête con la Meloni a Porta a Porta, cuore di TeleMeloni. Ma i paradossi sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Infatti – informa il Messaggero– il “quartier generale del Nazareno” ha pronta un’altra “mossa per aggirare la scure della par condicio (sic, ndr) e provare a salvare in extremis il duello Meloni-Schlein. Come? Spostando l’arena dalla tv a un territorio neutro, immune dai paletti dell’Agcom e dai veti dei leader esclusi: le pagine Instagram e Facebook delle due comandanti in capo”, dette anche “le due timoniere”, per un bel “duello 3.0” (cioè un gioco delle tre carte). Ma, paradosso nel paradosso, a rifiutare quel trucchetto da magliari è proprio la Meloni, cioè l’erede del berlusconismo che s’è sempre opposto alla par condicio.

Non potendola aggirare con la truffa telematica, non resta che cambiare la legge. Lo dice a Repubblica Stefano Graziano, deputato dem in Vigilanza: “Serve un lavoro di aggiornamento della par condicio, una manutenzione per rendere le regole più smart”. Quali regole smart? “Un po’ meno veti e un po’ più servizi per i cittadini”. Quali servizi per i cittadini? “Il dibattito fra la presidente del Consiglio e la leader del principale partito di opposizione”. Cioè un servizietto per far credere ai gonzi che le elezioni non siano una corsa fra tante liste alla pari in cui vince chi decidono gli elettori, ma una partita a due tra FdI e Pd (almeno finché il Pd sarà secondo nei sondaggi). Lo spiega la stessa Repubblica (che, altro spassosissimo paradosso, è spalmata da giorni sulla linea Vespa), testuale: non si può “consentire al capo di un movimento del 3% di impedire a chi guida i primi due partiti di confrontarsi in diretta”. Par di sentire B. che nel 2013 tuonò scandalizzato: “Con la par condicio in tv i piccoli partiti avranno lo stesso spazio di quelli grandi!”. C’è voluto del tempo, ma ora ci è arrivato anche il Pd. Quindi chi nei sondaggi ha il 3% (come FdI sei anni fa) non potrà mai salire, perché la riforma smart voluta dai due primi partiti daranno visibilità soltanto a loro. A Giorgia detta Giorgia e a Elly detta Silvio.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

20 maggio 2024

Candidato coi Fiocchi. “Pietro Fiocchi candidato FdI col fucile, il cugino a capo dell’azienda di munizioni lo scarica: ‘Invitato formalmente a evitare riferimenti alla società’” (sito del Fatto, 14.5). Il classico pistola scarico.

La serva serve. “Sorpresa al Senato. La maggioranza si spacca, e il rinvio della Sugar Tax passa solo grazie al voto decisivo di Italia Viva! Ottimo lavoro” (Enrico Borghi, deputato Iv, X, 14.5). Poveretto, come s’offre.

Allucinazioni/1. “Schlein e Meloni si confronteranno su idee e punti di vista molto diversi di Europa, il confronto è opportuno, necessario e anche bello. Secondo me, nessuna delle due può fare 6-0 6-0 all’altra” (Debora Serracchiani, deputata Pd, Un giorno da pecora, RaiRadio1, 14.5). Infatti è finita 0-0 a tavolino.

Allucinazioni/2. “C’è chi si concentra sulle carte bollate per fermare il confronto fra due donne leader… Un fuoco di sbarramento dei maschi recalcitranti” (Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, 17.5). Guarda che la par condicio è femminile.

Il rosicamerlo. “Contro tutti i rosiconi d’Italia Meloni e chlein si sono scelte e legittimate. E state sicuri che lo scontro non avrà la forza selvaggia del duello mortale, ma la forza civile del duello vitale”, “Ci perdono gli italiani ai quali è stata negata la civiltà del confronto. Ma solo apparentemente vince l’inciviltà dell’invidia di Conte, Tajani, Fratoianni e Calenda, la frustrazione delle mezze cazette che si sentono intere” (Francesco Merlo, prima e dopo la bocciatura del duetto Meloni-Schlein, Repubblica, 16 e 18.5). Ammazza quanto rosica il nemico dei rosiconi.

Plurale/1. “Lorenzo Guerini: ‘Più armi all’Ucraina. Il Pd sia plurale’” (Riformista, 6.5). Infatti ha detto armi.

Plurale/2. “Morani: ‘Con Tarquinio idee opposte, ma il Pd è plurale’” (Foglio, 15.5). I famosi dodici o tredici Pd.

Errori giudiziari. “Davvero non c’è da meravigliarsi che gli innocenti abbiano paura dei giudici” (Merlo, Repubblica, 17.5). Temono che assolvano qualche colpevole.

Riverenze. “Schlein, come altri leader di partito, è andata a riverire i magistrati riuniti a congresso… La volontaria subordinazione della politica ai magistrati, cominciata trent’anni fa, è spettacolare” (Mattia Feltri, Stampa, 14.5). Invece di andare a subordinarsi a Spinelli riverendolo sul suo yacht.

Il killer buono. “Spari al premier slovacco: ‘Fico vuole la dittatura’”, “Da von der Leyen a Meloni la solidarietà per il populista amico di Putin e Orban” (Stampa, 16.5).

“L’assalitore, un poeta e attivista non-violento ma con il porto d’armi” (Corriere della sera, 16.5). “Fico: l’autocrate putiniano accusato di ‘ndrangheta da sempre in guerra con giornalisti e giudici. Cintula: un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (Repubblica, 16.5). “Cintula, il libertario, poeta con la pistola” (Giornale, 16.5). “Cintula, un ‘lupo solitario’. Il poeta ora rischia l’ergastolo. I vicini: una brava persona” (Corriere, 17.5). “L’attentato a Fico può accelerare la svolta autoritaria” (Domani, 17.5). Ma infatti: è il premier Fico che ha tentato il suicidio.

Sempre più Chiara. “Il vero binarismo è quello della differenza tra scienza e umanesimo, quello della differenza tra ragione e sentimento? No, sono… tutti … misurano, misurano tutto… Istruzione è un diritto, la cultura è una scelta del singolo. Come avere gli addominali. Non è che io mi sveglio la mattina e dico: ‘Ma perché io non ho la tartaruga?’. Cioè mi devo ricordare che non faccio 20 minuti di addominali al giorno. Questo è il problema… Ecco, è esattamente come la tartaruga, perché la cultura è una cosa pratica. Uno sceglie di passare, per prossimità, un certo numero di tempo e di ore a fare una cosa che sostanzialmente è leggere. Ecco, l’introduzione, diciamo, per abbattere questa dicotomia… bisognerebbe studiare tanta più matematica e fisica nelle scuole, come fanno tutti i Paesi emergenti: indiani, cinesi studiano molte più matematiche di noi” (Chiara Valerio al Salone del Libro, 12.5). Ma nel senso anafestico, si capisce.

Il titolo della settimana/1. “Caiazza: ‘Solo in Italia la politica contratta con le toghe la riforma della giustizia” (Unità, 14.5). Solo in Italia la riforma della giustizia la fanno i ladri e i loro avvocati.

Il titolo della settimana/2. “Bravo Pombeni, la Nato non abbaia” (Foglio, 14.5). Infatti spara.

Il titolo della settimana/3. “E se la cura dell’Italia fossero i partiti’” (Alessandro Campi, Messaggero, 13.5). No, quelli sono già la malattia.

Il titolo della settimana/4. “Vuoi fare il magistrato? Fatti 15 giorni in galera. Centinaia di sostenitori della proposta, tra cui Zanon, Fiandaca, Coppi, Manconi” (Unità, 15.5). Potrebbero cominciare loro.

Il titolo della settimana/5. “Toti, giornalismo da buco della serratura. L’invidia sociale tira più della verità dei fatti” (Riformista, 15.5). In effetti chi non vorrebbe essere Toti?

Il titolo della settimana/6. “Toti studia le carte per scagionarsi” (Giornale, 16.5). Vediamo un po’ cosa ho detto e cosa ho fatto.

Il titolo della settimana/7. “Inchieste, Meloni dà tempo a Toti” (Giornale, 15.5). Tanto, a occhio, deve averne parecchio.

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GOTHAM CITY

l'editoriale di Marco Travaglio

21 maggio 2024

Dunque, nell’Italia ridotta a succursale di Gotham City, è cosa buona e giusta che il premier accolga in pompa magna un ergastolano condannato definitivamente per aver trucidato a sangue freddo il figlio di un tizio affetto da demenza che aveva appena truffato (e meno male che ne ha fatto secco uno solo: con due morti ammazzati, arriva la fanfara; con tre, le frecce tricolori). Lo afferma un variopinto zoo di freaks, spostati, servi di scena e giuristi per caso, con argomenti talmente logici che verrebbero respinti anche in un repartino psichiatrico. C’è chi confonde l’estradizione di Chico Forti con un’assoluzione: siccome sconterà in Italia il resto della pena (si fa per dire: qui l’ergastolo è finto), vuol dire che è innocente. E c’è chi arguisce la bontà dell’accoglienza meloniana dal fatto che “nel 2020 Di Maio fece la stessa cosa e Travaglio scrisse editoriali per lodarlo”. Balle spaziali.

1) Di Maio non fece la stessa cosa: annunciò un accordo con l’Amministrazione Trump per estradare Forti, poi sospeso con l’arrivo di Biden. 2) Se io avessi lodato Di Maio, non avrei legittimato la passerella meloniana: un conto è far scontare al condannato la pena in patria, un conto è accoglierlo come un capo di Stato ai massimi livelli istituzionali. 3) Il 24.12.2020 il Fatto esultò a tal punto per l’annuncio di Di Maio da relegarlo a pagina 14 in un minuscolo trafiletto che riportava un lancio di agenzia, poi ripreso dai nostri social insieme a decine di altre notizie in breve. 4) Io non ho mai scritto una riga né sull’annuncio di Di Maio, né sul processo a Forti (chiuso dalla giustizia americana), né sull’opportunità o meno di estradarlo. A casa mia un assassino è un assassino, chiunque sia a stendergli il tappeto rosso: purtroppo l’unico premier (del mondo libero) che ha fatto una simile corbelleria è la Meloni. Che dev’essersene accorta, anche per le proteste degli elettori sconcertati, tant’è che ha fatto sparire le foto dal sito di Palazzo Chigi. Ora pagherebbe caro l’insano gesto se l’opposizione l’avesse inchiodata con gli argomenti di De Raho ed Emiliano. Invece l’idea più brillante partorita dalla sinistra più idiota del mondo è che, se fai l’inchino a Chico, devi farlo pure alla Salis: geniale paragone fra un assassino e un’imputata per lesioni che nessuno ha ancora condannato (i giudici ungheresi prenderanno buona nota).

A proposito di logica manicomiale. Quei golosoni di Corriere e Repubblica anticipano le memorie di Paolo Gentiloni, il commissario europeo del Pd che abbandona la Ue dopo cinque anni senz’aver lasciato traccia di sé (a parte il Pacco di Stabilità): “Sul Pnrr non ci fu trattativa. I fondi li decise un algoritmo messo a punto da due funzionari”.

Insomma, Conte&C. dissero “che avevamo conquistato un sacco di soldi in Europa”, ma “non è vero”. Hai capito quel millantatore di Giuseppi? Finse di proporre il Pnrr a Macron e ad altri 7 leader del Sud Europa, di convincere la Lagarde e Ursula, di attaccare la Merkel che voleva rifilarci il Mes, di litigare coi frugali del Nord e i destri di Visegrad, e alla fine di portare a casa la maggior quota di Pnrr: 209 miliardi, 36 in più di quelli previsti dal piano Von der Leyen. Invece erano due spicci, per giunta decisi dall’algoritmo. Quei mesi di negoziati durissimi fino ai quattro giorni e quattro notti di battaglia a Bruxelles (17-21 luglio 2020) se li è inventati lui. Peraltro con la collaborazione del Parlamento (che al ritorno gli fece la standing ovation, con elogi financo da B., Meloni, Salvini e Renzi). E di tutta la stampa mondiale e italiana, che dava per certo il rinvio sine die del Recovery, poi il taglio del totale da 750 a 500-400 miliardi, poi l’abolizione di quelli a fondo perduto, poi la riduzione della quota italiana ben sotto i 173 miliardi del piano Ursula, infine il diritto di veto ai singoli Stati per bloccare i bonifici ai più indebitati (cioè a noi): tutti ostacoli che Conte, nelle trattative, riuscì ad abbattere.

Lo scrissero i giornaloni che ora fingono di dimenticarsene e lo raccontò il ministro agli Affari europei Enzo Amendola, gentiloniano del Pd: “Quando a marzo con la Lettera dei Nove tirammo fuori l’idea dei bond europei, tutti ci sbeffeggiavano. Quattro mesi dopo abbiamo 750 miliardi di bond. E se ne parlava da 20 anni… Conte sull’ammontare delle risorse a 750 miliardi e sulla governance non ha mai ceduto. A un certo punto ha anche indossato i panni dell’avvocato delle prerogative della Commissione… L’ambiguità di formulazione faceva confondere il ruolo del Consiglio con quello della Commissione… Noi eravamo assolutamente contrari. Conte trovò poi la formulazione passando dalla decisione del Consiglio ‘in modo decisivo’ a quella ‘in modo esaustivo’”. Il gentiloniano Amendola si scordò il ruolo fondamentale dell’algoritmo e soprattutto di Gentiloni, di cui nessuno s’era accorto e che non ha mai smesso di rosicare. Il bello è che, quando arrivò Draghi, Sambuca Molinari scrisse su Rep che era stato “il governo Draghi a ottenere la maggioranza dei fondi”. E Severgnini confermò sul Corriere. E l’algoritmo? Mistero. Poi, quando Draghi e Meloni accumularono ritardi su ritardi, i giornaloni tornarono a dire che i 209 miliardi li aveva portati Conte, ma erano “troppi”. Ora Gentiloni svela che ce li diede l’algoritmo, ma erano pochi: “L’Italia è il settimo Paese nel rapporto tra soldi ricevuti e Pil. Altri hanno portato a casa molto di più”. Il primo che incontra ’sto algoritmo glielo dica che è uno st***zo.

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EVASORI AL GOVERNO

l'editoriale di Marco Travaglio

22 maggio 2024

Ormai, dopo le fanfare meloniane per l’ergastolano Chico Forti, vale tutto. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, magistrato in aspettativa, riceve a Palazzo Chigi l’ex generale Mario Mori, indagato dalla Procura fiorentina per le stragi politico-mafiose del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Poi, non contento, appena si viene a sapere dell’ incredibile udienza, dirama una nota per rivendicarla e aggiungere senza pudore: “Conosco Mori da oltre 25 anni, ne ho sempre apprezzato la lucidità di analisi e la capacità operativa, nei vari ruoli che ha ricoperto, in particolare alla guida dei Ros e del Sisde (soprattutto quando trattò con Riina tramite Ciancimino, non perquisì il covo di Riina e non arrestò Provenzano che il confidente Ilardo gli aveva servito su un piatto d’argento, ndr). Gli ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte…; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse (che non c’entrano nulla con la nuova indagine, ndr)”.

Alla gara d’impudenza non poteva mancare il ministro della Difesa Guido Crosetto: “È stata aperta una nuova indagine contro il Gen. Mario Mori, per le stragi mafiose del 1993. Del 1993!! Stragi mafiose!! Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni; non si poteva accettare il fatto che fosse stato assolto… No, occorreva dimostrare che chi sfida il potere di alcuni, chi non si inchina alle logiche della casta, deve essere distrutto… Queste cose non dovrebbero accadere, nelle democrazie… Sono atti che si vedono nelle autocrazie, sono la dimostrazione che la legge non è uguale per tutti”. L’unica dimostrazione che la legge non è uguale per tutti è proprio negli sgangherati, eversivi deliri di due pezzi grossi del governo che – come gli autocrati – calpestano la separazione dei poteri, intimidiscono i magistrati che indagano a rischio della vita sui retroscena indicibili delle stragi del 1993 (sì: il delitto di strage non si prescrive mai, per fortuna) e s’improvvisano difensori d’ufficio (anzi di casta: quella vera) di un indagato per accuse gravissime di cui non sanno nulla. Che Crosetto, passato dal mercato delle armi alla Difesa senza fare un plissé, ignori le basi dello Stato di diritto ormai è cosa arcinota. Ma che li ignori anche il giudice Mantovano dà il segno dell’abisso tutto berlusconiano in cui il governo Meloni ci sta trascinando. Decidono lorsignori chi va indagato e chi no: l’azione penale dinanzi a una notizia di reato, obbligatoria contro i cittadini comuni, noi paria, non vale contro i bramini della casta e i loro amichetti. Un giorno, forse, scopriremo che cosa sapevano per avere così tanta paura.

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REI CON FESSI

l'editoriale i Marco Travaglio

23 maggio 2024

Il Fatto che chiama “assassino” un assassino continua a fare scandalo fra i bugiardi incalliti, sinceramente indignati per un giornale che dice la verità. Dopo gli scudi umani meloniani e lo zoo del Chico Forti Fan Club, anche i due presunti comici di Floris hanno gabellato il nostro trafiletto a pag. 14 su Di Maio che annunciava l’estradizione per un editoriale innocentista del direttore, divenuto colpevolista perché ora c’è la Meloni. La prova schiacciante è che, riportando un’agenzia, definivamo Forti “ex produttore ed ex velista… imprenditore trentino… condannato all’ergastolo per omicidio premeditato”. E, com’è noto, gli imprenditori trentini ex velisti ed ex produttori condannati per omicidio sono innocenti perché le tre professioni sono incompatibili con qualsiasi delitto. Risate, applausi, spot, alé!

Intanto, su Italia1, anche le autorevoli Iene ci davano lezioni di coerenza. Pulpito quantomai credibile: denunciano tutti, anche chi frega qualche spicciolo, ma in 27 anni non si sono mai accorte che il loro padrone frodava centinaia di milioni al fisco e finanziava la mafia, oltre a stipendiarle. Gli argomenti della lezione sono inoppugnabili. 1) Un ministro che annuncia l’estradizione di Forti equivale alla premier che lo riceve con tutti gli onori. 2) L’estradizione del pregiudicato perché sconti il residuo pena in Italia, dopo che si è dichiarato colpevole e la Corte d’appello di Verona ha fatto propria quella di Miami senza trovarvi nulla di men che fondato e l’ha trasformato in assassino anche per la giustizia italiana, è un’assoluzione. 3) Forti si dichiara innocente, dunque è innocente: anche se aveva il movente, aveva comprato la pistola intestandola a un altro, era sul luogo del delitto, era fino a poco prima con la vittima di cui ha cancellato le tracce facendo lavare l’auto (ma non il gancio con la sabbia della spiaggia del delitto), ha mentito per depistare l’indagine e si è sempre opposto a divulgare gli atti del processo. Quindi anche Riina, Provenzano&C., i nazisti a Norimberga, Pacciani, la Franzoni e ora la Pifferi, essendosi detti innocenti, lo sono. Si attendono campagne delle Iene anche per loro e non solo per Rosa e Olindo, che invece sono innocenti perché hanno confessato. 4) Forti è innocente perché lo dice un fratello della vittima: infatti nei processi per omicidio, prima di emettere la sentenza, si chiede sempre il permesso ai parenti del morto fino al terzo grado e, se uno non è d’accordo, si lascia perdere. 5) Forse Forti è stato condannato “solo” come mandante dell’omicidio, ergo non si può chiamarlo “assassino” (ma neppure Hitler o Riina). 6) Le sentenze definitive diventano provvisorie se non piacciono alle Iene. 7) L’ultima frontiera dell’audience è spacciare gli omicidi per suicidi e i suicidi per omicidi.

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BIBI A SUA INSAPUTA

l'editoriale di Marco Travaglio.

24 maggio 2024

Poi dicono che non bisogna leggere i giornali. Ma scherziamo? Sul Corriere , per dire, c’è una straziante intervista di Bruno Vespa che compie 80 anni e narra le atroci persecuzioni politiche subìte nei suoi primi 62 anni di Rai: “Se fossi stato di sinistra avrei avuto una carriera più facile”. Essendo un democristiano entrato in Rai nel 1962 e andato in onda ogni giorno da allora a oggi, è facile immaginare le angherie che subì dalla Rai democristiana fino alla direzione del Tg1, poi da quella ulivista che gli affidò Porta a Porta e glielo moltiplicò per quattro, poi in quella di B. a cui riservò agguati come il Contratto con gli Italiani, giù giù fino a quella meloniana che gli aggiunse le cinque serate settimanali di 5 Minuti. Un vero calvario.

Ma, sul Corriere, c’è soprattutto l’editoriale di Paolo Mieli contro il procuratore Khan della Corte dell’Aja, che ha osato chiedere l’arresto di tre capi di Hamas per il pogrom del 7 ottobre (e fin lì tutto bene), ma anche di Netanyahu e del suo ministro della Difesa Gallant per i crimini di guerra a Gaza. Non abbiamo mai creduto granché nella Corte dell’Aja, che per trent’anni s’è scordata dei crimini di guerra di Usa, Nato&C. in Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Donbass ecc. Ma non possiamo non notare che, popolarissimo quando chiese l’arresto di Putin per la deportazione in Russia di migliaia di bambini ucraini (peraltro vivi), ora Khan è nel mirino di Israele, dunque degli Usa, dunque di Mieli&C. perché fa altrettanto con Netanyahu, che i bambini palestinesi di Gaza li fa uccidere a migliaia. Fiumi d’inchiostro per denunciare che Mosca non riconosce l’Aja, ma non per dire che i “buoni” Usa, Israele e Ucraina fanno lo stesso (e ci mancherebbe, coi crimini che commettono). Secondo Mieli, la richiesta d’arresto di Khan è “irrituale” perché ora c’è “un molo predisposto dagli Usa per i sussidi alimentari e farmaceutici a Gaza”: un vero sollievo, per i 35 mila e più morti ammazzati. Segue un amorevole consiglio a Bibi: “sottoporsi al giudizio e all’arresto” per mostrare “di che pasta è fatto”, “partecipare a ogni seduta del processo e portare tutte le prove della non intenzionalità di Israele nel massacro che si è compiuto a Gaza”. Ecco, il massacro “si è compiuto” da solo, all’insaputa di Netanyahu e ci sono “tutte le prove”: basta portarle. Non so Mieli, ma io suggerirei a Bibi di farsi prestare l’avvocato da Scajola.

Ps. Le autorevoli Iene mi accusano di voler occultare ciò che ho detto su Forti ad Accordi e Disaccordi (infatti la puntata integrale è sulle piattaforme Discovery e Tv Loft). Se hanno dovuto rimuovere il video dal loro servizio è perché l’hanno rubato senza avere il permesso di Discovery e Loft né pagare i diritti che ora verseranno. Vergogniamoci per loro.

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LA SCOMPARSA DEI FATTI

l'editoriale di Marco Travaglio

25 maggio 2024

La scomparsa dei fatti si rende necessaria quando disturbano le opinioni e i pregiudizi del pensiero unico. Quello occidentale e atlantista ha speso 27 mesi a tentar di convincere le sue opinioni pubbliche sempre più scettiche che era Putin a non voler trattare sull’Ucraina, non l’asse Usa-Nato-Kiev. Poi Zelensky proibì per decreto i negoziati con Mosca, ma si fece finta di niente. Poi l’ex premier israeliano Bennett e il presidente turco Erdogan, ma anche Putin e alti diplomatici ucraini confermarono che nel marzo del 2022, poche settimane dopo l’invasione russa, in Turchia le delegazioni di Mosca e Kiev avevano raggiunto un accordo sul cessate il fuoco che prevedeva: ritiro dei russi, integrità del governo Zelensky, autonomia del Donbass e neutralità dell’Ucraina, che non sarebbe entrata nella Nato, semmai nell’Ue (Zelensky lo disse tre volte in un mese). Poi Johnson, spalleggiato da Biden, si precipitò a Kiev per intimare a Zelensky di non firmare la tregua e seguitare a combattere per sconfiggere la Russia e abbattere Putin. Ora, dopo mezzo milione di morti, Putin ripete a ogni piè sospinto di essere pronto a un accordo sulla bozza turca. In passato si obiettava: per forza, le sta buscando (era falso, ma questo raccontava la propaganda). Ora non c’è un osservatore in possesso delle facoltà mentali che osi più ripetere quella panzana, visto il flop della controffensiva ucraina del 2023 e la marcia dei russi su Kharkiv, seconda città del Paese.

Si potrebbe rispondere che Putin bluffa, ma bisognerebbe almeno riportare le sue parole. E spiegare perché non si appronta un tavolo per invitare anche lui e andare a vedere l’eventuale bluff. Invece anche ieri – come sette giorni prima, quando l’autocrate parlò dalla Cina, i grandi media occidentali (e soprattutto italiani) nascosero le sue aperture al negoziato e nessun governo Nato le commentò – silenzio di tomba. A parte la solita giaculatoria di quel poveretto di Scholz: “La guerra finisce quando i russi si ritirano” (ci parla lui). Al confronto Orbán sembra lucido: “L’Ue si prepara ad attaccare la Russia”. Intanto la Francia fa esercitazioni e test nucleari, ma nessuno titola: “La Francia minaccia l’atomica” (quelli sono titoli riservati a Mosca quando fa altrettanto). Già che c’è, quel disperato di Macron pensa di celebrare lo sbarco in Normandia senza i russi (che per battere il nazismo sacrificarono 29 milioni di morti), ma con gli ucraini (che stavano con Hitler). E sbarca in Nuova Caledonia, “territorio d’Oltremare francese” ricco di nichel, con mille soldati. Ma i colonialisti e gli imperialisti sono solo i russi e i cinesi. E poi dicono che le elezioni europee non sono importanti: se già servissero a spazzare via questi manigoldi, sarebbero tutta manna dal cielo.

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IL PAZZO E L'OMBRELLAIO

l'editoriale di Marco Travaglio

26 maggio 2024

Dobbiamo essere a Jens Stoltenberg, nome omen, per aver rimosso l’ultima foglia di fico dalle pudenda marce di un Occidente che da anni soffia sul fuoco della terza guerra mondiale. Prima allargando la Nato da 16 a 32. Poi fomentando il golpe bianco di Maidan che destituì il presidente ucraino democraticamente eletto ma non abbastanza asservito. Infine valicando l’ultima linea rossa di Mosca con l’annuncio dell’adesione di Ucraina e Georgia, a cui Putin – imperialista come noi – reagì come avrebbero fatto gli Usa dinanzi a un’alleanza militare di Messico o Canada con Russia o Cina: con l’invasione. Per 27 mesi Stoltenberg e i suoi mandanti hanno mentito ogni giorno, annunciando linee rosse che l’indomani regolarmente scavalcavano: a Kiev solo armi difensive, anzi offensive; no ai carri armati, anzi sì ma solo leggeri, anzi anche pesanti; solo missili a breve gittata, anzi a media gittata, anzi a lunga gittata; no ai caccia, sì ai caccia. È la folle logica dell’escalation. L’ultimo freno era il divieto di usare armi Nato per attaccare il territorio russo: ora Blinken e dunque Stoltenberg (che decide illegalmente senza consultare i 32 “alleati”, sennò Turchia, Ungheria e altri porrebbero il veto) vogliono autorizzare Zelensky & C. a usare i nostri missili per attaccare la Russia. Il che precipiterebbe tutti i Paesi Nato, inclusa l’Italia, in una guerra diretta con la più prima potenza nucleare del mondo (ma non era Putin che voleva attaccare noi?).

Dicono che così l’Ucraina, ora che sta perdendo anche Kharkiv, si difenderà meglio. Ma la guerra ha dimostrato l’opposto: più si allunga la gittata delle armi in mano a Kiev, più si allargano i territori che i russi ingoiano per mettere al sicuro i propri confini. Tanto i morti – almeno finché non cadrà anche il tabù delle truppe – li mettono gli ucraini, che la guerra l’hanno persa in casa loro, non in Russia, dopo aver mandato al macello una generazione per fare ciò che non era riuscito neppure a Napoleone e a Hitler: sconfiggere la Russia. Ora Stoltenberg, noto squilibrato corresponsabile della carneficina, scade. E, visto che non ne ha azzeccata una, gioca il tutto per tutto per guadagnarsi qualche altro premio fedeltà dai padroni. Gli tiene bordone il leader più stupido d’Europa, Macron, detestato da 87 francesi su 100, che vaneggia di truppe e offre un “ombrello nucleare” all’Ue in vista dell’auspicata (da lui) guerra nucleare. E, intendoamoci, va ringraziato anche lui per la chiarezza con cui ci spiega che alle Europee dobbiamo votare, e per chi: contro i gruppi popolare, socialista, liberale, verde-militare e conservatore di scuola meloniana. Cioè contro chi tace o balbetta sugli sproloqui di Stoltenberg e non dice a Macron dove se lo deve ficcare, il suo ombrello.

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