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LA SPIA CHE VENNE DAL PINCIO.
l'editoriale di Marco Travaglio
22 febbraio 2024
Nel 2003 Giuliano Ferrara, direttore del Foglio berlusconiano, confessò con fierezza che nel 1985-’86 aveva fatto l’“informatore prezzolato della Cia” e si era “lasciato corrompere senza troppi problemi” da un “giovane sveglio e simpaticissimo agente americano” che lo pagava in “dollari avvolti in una busta giallina, fantastica, del peso giusto. E perdere l’innocenza era meraviglioso. Qualche conversazione avveniva al Pincio” e “il passaggio di mano della busta aveva qualcosa di erotico”. L’Ordine dei giornalisti riuscì a non fare nulla e ora ci tocca pure leggere la spia Ferrara che dà lezioni di deontologia ad Assange. E si permette pure di irridere le sue drammatiche condizioni dopo 13 anni di cattività: “Si è sposato, ha fatto due bei figlioli” e ora “l’augurio è che in carcere il riscaldamento funzioni meglio che nella tana del lupo siberiano”, ma soprattutto che il reprobo rifletta “su quel lancio di agenzie rubate in libertà, altrimenti 175 anni sono anche pochi” (oltre che una spia, Ferrara è anche un noto garantista). La differenza fra l’Impero del Bene e quello del Male è tutta qui: il primo, se fai il giornalista e dai notizie vere, ti arresta, ti seppellisce vivo ma malato in galera, poi ti condanna a morte o a vita; il secondo, se fai l’oppositore xenofobo, ti arresta, ti condanna a 21 anni e ti fa o ti lascia morire.
Intendiamoci: in un Paese in cui La Stampa non dedica una riga all’udienza su Assange a Londra, Repubblica un trafiletto affogato nelle sette pagine quotidiane su Navalny e il Corriere un ca**iatone di Aldo Grasso a Riccardo Iacona per avere “sposato la causa di Assange”, definito “attivista che non ha mai fatto giornalismo d’inchiesta” (vuoi mettere le inchieste di Aldo Grasso), ma ha commesso “reati” (quali, visto che nessuno l’ha condannato?), c’è da rallegrarsi perché almeno il Foglio mette Assange in prima pagina. Poi, certo, mente spudoratamente secondo le usanze della casa: abituato a contar balle fin da piccolo, Ferrara non può che detestare Assange che dava notizie vere. Infatti lo accusa di aver messo a “serio rischio l’incolumità di informatori e soldati della Cia e del Pentagono” e le loro “magagne senza le quali la nostra libertà non esisterebbe”. Ora, Assange non ha messo a rischio la vita di nessuno e la nostra libertà esisterebbe anche se Cia e Pentagono non avessero sterminato un milione di innocenti tra Afghanistan e Iraq né torturato prigionieri ad Abu Ghraib e a Guantanamo (dove le torture continuano). Anzi, se i crimini documentati da Wikileaks non fossero stati commessi, oggi avremmo qualche titolo a dare lezioni di democrazia a Putin. A proposito: i “giornalisti” pagati dalla Cia dovrebbero allegare i bonifici sotto la firma e farvi seguire l’articolo. Se avanza spazio.
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FATE CON COMODO
l'editoriale di Marco Travaglio
23 febbraio 2024
Da due anni, da quando Putin ha invaso l’Ucraina, riceviamo accuse di putinismo da chi fino al 2022 era putiniano. E attendiamo con ansia che questi parac**i ci indichino una sola riga pubblicata dal Fatto in 15 anni a favore di Putin: attesa vana, visto che a Putin e alle sue cheerleader abbiamo riservato sempre e soltanto feroci critiche. Siccome abbiamo tanti difetti, ma non l’incoerenza e l’ipocrisia, non abbiamo atteso l’Ucraina per capire che Putin è un guerrafondaio (cioè un perfetto allievo della Nato, che scatena massacri in giro per il mondo senza neppure chiamarli guerre): ci bastavano la Cecenia (1999), la Georgia (2008), la Crimea (2014) e la Siria (2015). E non abbiamo atteso la morte di Navalny per capire che chiunque si opponga a Putin finisce male: Anna Politkovskaja, per tacer degli altri, fu uccisa nel 2006.
Dov’erano intanto i politici (non solo Salvini: quasi tutti) e i giornalisti che oggi si ammantano di antiputinismo? Pochissimi dicevano ciò che dicono oggi. Moltissimi scrivevano l’opposto, o si trinceravano dietro la realpolitik. E intendiamoci: ci sono rapporti istituzionali e commerciali che vanno mantenuti con tutti i regimi, anche i peggiori, come del resto continuiamo a fare con tiranni perfino peggiori di Putin (basti pensare da quali canaglie compriamo gas e petrolio da quando non li compriamo più da Putin contro i nostri interessi). Ma qui parliamo degli amorosi sensi per l’autocrate russo che travalicano la doverosa diplomazia. Mattarella distribuì cavalierati e onorificenze a 30 boiardi putiniani. B. faceva bisbocce con “l’amico Volodia”, “uomo di pace” e “dono di Dio” (tra gli applausi dei forzisti, inclusi quelli vivi). Il premier Letta affiancò Putin alle Olimpiadi di Sochi 2014 mentre gli altri leader occidentali disertarono contro le persecuzioni ai gay. Renzi (con Calenda) autorizzò la vendita di “Lince” Iveco dopo l’embargo militare post-Crimea e aumentavano la dipendenza dal gas russo, fece pappa e ciccia con Putin in vari vertici, si batté contro le sanzioni e finì in bellezza nel Cda di una società di car sharing partecipata da una banca di Stato russa. Di Maio inviò il fido Di Stefano al congresso di Russia Unita, con cui Salvini firmò un accordo di partnership mai disdetto. Meloni, nel libro del 2001, esaltò la Russia che “difende l’identità cristiana e combatte il fondamentalismo islamico”. Giornale, Libero e Foglio leccavano B. che leccava Putin, e viceversa. Repubblica ospitò per sei anni la propaganda putiniana a pagamento nell’inserto Russia Today. Poi, con calma, intuirono tutti chi è Putin. Quindi adesso potrebbero persino capire che i regimi che arrestano e perseguitano Assange non sono democrazie. Ma con comodo: fra una ventina d’anni.
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L'EQUIVICINO
l'editoriale di Marco Travaglio
24 febbraio 2024
Ventun anni fa, al posto di Meloni e Salvini, litigavano Bossi e Fini perché quest’ultimo voleva dare il voto agli immigrati. Bruno Vespa invitò Fini a Porta a Porta, ma non Bossi, che protestò ma fu invitato due settimane dopo, quando ormai la polemica era evaporata. E La Padania domandò maliziosa: perché Vespa ha rinunciato a uno scontro fra i due ministri che gli avrebbe procurato, una volta tanto, un picco di ascolti? Lo sventurato rispose: “Non volevo compromettere la stabilità del governo”. Come se fosse un problema suo. Nel 1972, al posto di Bernstein e Woodward imbeccati da Gola Profonda sul Watergate, Vespa si sarebbe mangiato le carte per non compromettere la stabilità di Nixon. Ma è fatto così: crede che il giornalista sia una via di mezzo fra il manutentore e l’estintore. Che le uniche fonti attendibili siano quelle ufficiali (infatti nel 1969 annunciò alla Nazione che “il colpevole della strage di piazza Fontana è Pietro Valpreda”, poi totalmente scagionato; e nel 1980, subito dopo la strage di Bologna, ipotizzò un’esplosione delle cucine di un ristorante vicino alla stazione). E che l’imparzialità sia leccare tutti i potenti, di destra e di sinistra, con lo stesso trasporto. Come disse Gian Antonio Stella, “si crede equidistante, invece è equivicino”. Marcelle Padovani del Nouvel Observateur confessò di non trovare le parole per spiegare ai francesi cosa sia Porta a Porta. E il Financial Times, dopo la sceneggiata del Contratto con gli Italiani di B., scrisse inorridito: “In alcuni Paesi i politici in tv subiscono un giornalismo ‘da mastini’, interviste sospettose e indagatorie poco rispettose, che alla lunga corrodono la fiducia dell’elettorato nei leader eletti. Ma lo show Porta a Porta va decisamente in un’altra direzione. Praticamente è uno spot elettorale di 90 minuti su un canale della tv di Stato”.
Ogni tanto qualcuno di centrosinistra si lamenta per i servizietti di Vespa al centrodestra e ne viene regolarmente zittito: ma li faccio anche a voi, che venite più spesso degli altri (memorabile il record tuttora ineguagliato di Bertinotti). Infatti fu l’Ulivo a portare da una a quattro le sue serate settimanali. Ora Pd e 5S protestano per il doppio soffietto alla Meloni dell’altroieri (prima a Cinque Minuti e poi a Porta a Porta): sia per l’assenza di domande vere (una novità), sia perché le balle dell’insetto hanno financo superato quelle della premier (“Il sito Politico la indica come il leader più influente d’Europa”: falso, il primo è il polacco Tusk, mentre la Meloni prevale in una sottocategoria e viene definita il “camaleonte politico per eccellenza”). Proteste sacrosante, se non fosse che Elly Schlein si accinge a duettare con la Meloni proprio chez Vespa. Ma smettere di andarci?
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NON C'È MIGLIOR SARDO...
l'editoriale di Marco Travaglio
25 febbraio 2024
Oggi il popolo sardo ha una grande responsabilità, perché le Regionali in Sardegna potrebbero avere conseguenze politiche più importanti delle Europee in tutta Italia. Le Europee sono abbastanza scontate: la classifica dei partiti dovrebbe confermare quella delle Politiche, con qualche lieve spostamento in su o in giù (il M5S cresce e Conte è molto sopra la Schlein nei sondaggi, ma l’astensione al Sud rischia di penalizzarli più di altri partiti e rende improbabile un sorpasso repentino sul Pd). In Sardegna invece il centrodestra rischia molto di più. Gli elettori sardi hanno quattro opzioni.
1) Eleggere presidente il sindaco-sciagura di Cagliari Paolo Truzzu (FdI) e consacrare, ove mai ve ne fosse bisogno, il regno della Meloni sul centrodestra, blindandone la maggioranza per chissà quanto tempo.
2) Punire Truzzu per i disastri di Cagliari che minaccia di ripetere su scala regionale, ma senza tradire il centrodestra: cioè fare come suggeriscono sottobanco i leghisti, usando il voto disgiunto per una lista di destra e per Renato Soru come presidente (che così ruberebbe non solo a sinistra, ma anche a destra e Truzzu perderebbe, con grave scorno per la Meloni e grande gioia sia per Salvini sia per il centrosinistra).
3) Eleggere Soru presidente, premiando un dinosauro che aveva già governato la Sardegna, si era impegnato a farlo per un solo mandato, si era ricandidato per il secondo e aveva perso, aveva comprato l’Unità e l’aveva fatta fallire (ora è imputato per bancarotta fraudolenta per distrazione e dissipazione), si era fatto eleggere in Europa e ora fa ciò che rimproverava a Michela Murgia nel 2014 (“danneggia la sinistra, è di destra”), incapace com’è di accettare l’idea che il suo tempo è finito: fa concorrenza al centrosinistra (e al Pd della Schlein, dopo averla sostenuta alle primarie) con un’arlecchinesca coalizione Azione-Rifondazione senz’alcuna speranza di vincere, ma con molte speranze di far perdere il centrosinistra o, in alternativa, di essere decisivo se nessuna coalizione ottenesse il 40% e avesse bisogno di una ruotina di scorta.
4) Eleggere Alessandra Todde, ex manager Olidata, ex sottosegretaria 5Stelle, candidata non solo di Conte, ma anche di Pd, Sinistra-Verdi e una lista civica autonomista: cioè l’unica aspirante presidente che può battere le destre e, dal laboratorio sardo, lanciare il primo seme e battere il primo colpo di quel fronte progressista che ogni cittadino perbene spera di rivedere presto a Palazzo Chigi. Con l’opzione 1, in Italia non cambierebbe nulla. L’opzione 3 è pure fantascienza. Ma la 2 e soprattutto la 4 cambierebbero molte cose: il giorno della fine di questo governo da incubo sarebbe più vicina, o meno lontana.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
26 febbraio 2024
Vincere e vinciamo! “Orgoglio, altro che stanchezza. Due anni dopo l’invasione ucraina, è ora di spiegare perché l’Occidente sta vincendo la guerra contro Putin” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 24.2). Prima però bisogna fumare roba buona.
Jet Salman. “Per chi viaggia il jet lag è fastidioso: sei su un altro fuso orario” (Matteo Renzi, leader Iv, Riformista, 24.2). Quello saudita.
Ferrarensky. “Quelle munizioni che ci servono per difendere la libertà” (Giuliano Ferrara, Foglio, 19.2). Non bastava l’Ucraina: ora ci tocca armare pure Ferrara.
Rimbambiden. “Navalny, la gaffe di Biden. Chiama la moglie Yolanda invece di Yulia” (Sole 24 ore, 23.2). “Gli insulti di Biden allo zar: ‘Putin è un pazzo figlio di p*****a’” (Messaggero, 23.2). Chissà con chi ce l’aveva.
Fine pena mai. “Il patto Meloni-Zelensky: Italia con Kiev per 10 anni” (Messaggero, 19.2). E senza sconti di pena.
Mare nostrum. “L’Italia va a riprendersi il Mar Rosso” (Libero, 20.2). Perché, era nostro?
Ha stato Borrelli. “Formica ha ragione: Borrelli voleva il Colle” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 20.2). Gliel’ha detto il divino Otelma.
Ha stata Meloni. “Quattro anni fa l’inizio della pandemia. Così Giorgia ha vinto la battaglia del Covid” (Libero, 20.2). Con la sola forza del pensiero.
Ha stato Conte. “Gli errori e gli orrori di due anni di guerra. Una serie di cantonate all’origine dello sbandamento geopolitico dell’era Conte” (Mario Sechi, Libero, 24.2). Ah, ecco chi ha invaso l’Ucraina.
Filo. “Ghali, il ringraziamento del rapper all’associazione filo palestinese” (Corriere della sera, 20.2). E quindi?
Incassese. “Nomine e logica politica. Chi è al governo deve saper scegliere le persone giuste” (Sabino Cassese, Corriere della sera, 20.2). Qualche altro allievo da piazzare?
La mosca cocchiera. “Lettera aperta a Emmanuel Macron, Valérie Hayer e Matteo Renzi” (Ivan Scalfarotto, senatore Iv, Riformista, 19.2). Macron e Hayer: “Scalfarotto chi?”.
Praterie. “Tajani apre la nuova fase: ‘C’è grande spazio per noi’” (Giornale, 24.2). Ai giardinetti o nel mausoleo?
Povera stella.“Questa mattina noi ci siamo svegliati presto, alle sei, una levataccia, per leggere le mozioni che i colleghi hanno depositato ieri alle 20. Sì, mi sono alzata presto per venire qui alle 8” (Elisabetta Piccolotti, deputata Avs, alla Camera, 22.2). Come se i parlamentari fossero pagati per lavorare.
I soliti Casini. “In Russia tornano i lager” (Pierferdinando Casini, senatore Centristi per l’Europa, Messaggero, 17.2). Ma non erano i gulag?
Carriere. “Tajani: ‘Separeremo le carriere’” (Dubbio, 17.2). La sua da quelle della famiglia Berlusconi, si spera.
Fisco per fiasco. “Fisco, il governo taglia le sanzioni. Leo: nessuno sconto ai furbi” (Corriere della sera, 22.2). Solo ai ladri.
Grasso che cola. “Ghali sostenga la cantante israeliana” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 25.2). Se no?
L’Uomo Agenda. “La sveglia di Draghi all’Europa: ‘Servono investimenti enormi’” (Corriere della sera, 254.2). “Draghi ridisegna l’Ue: ‘Per Green e digitale 500 miliardi l’anno’” (Repubblica, 25.2). Ce li mette lui, ovviamente.
Troppo Chiara. “Non è chiaro, a chi scrive, che effetto possa suscitare un breve romanzo come Rachilde nelle generazioni nate fluide e alle quali è stato raccontato che tutti siamo uguali e tutti abbiamo diritto a tutto. Non è chiaro, a chi scrive, quale provocazione rappresenti (oppure no) un romanzo in cui il privilegio economico deforma e informa di sé tutto nel nostro presente dove il privilegio economico deforma e informa di sé tutto ma non viene nominato se non per rivendicazione” (Chiara Valerio, Robinson-Repubblica, 24.2). Si figuri quanto è chiaro a noi.
Il titolo della settimana1/. “Draghi, nastri e ballerine: sfila il Capodanno cinese” (Messaggero, 19.2). C’era pure l’Agenda?
Il titolo della settimana/2. “Assange non è il nostro Navalny e gli errori dell’Occidente non sono gli orrori delle dittature” (Sechi, Libero, 21.2). “Navalny e Assange, storie agli antipodi” (Ferrara, Foglio, 21.2). “Il paragone impossibile fra Navalny e Assange” (Domani, 21.2). Vuoi mettere la soddisfazione di essere perseguitato dai buoni.
Il titolo della settimana/3. “Il maresciallo Tito (e altri). La caccia dei partiti alle onorificenze scomode. FdI: va tolta al maresciallo comunista. Il Pd: e il Duce?” (Corriere della sera, 22.2). Per Annibale ancora niente.
Il titolo della settimana/4. “Il primo congresso di Forza Italia senza Berlusconi. Presente il fratello Paolo” (Giornale, 24.2). Si fa quel che si può.
Il titolo della settimana/5. “Perché non è eccessivo ciò che sta facendo Israele” (Fausto Carioti, Libero, 22.2). Anzi, 30 mila palestinesi ammazzati in quattro mesi sono pochi.
Il titolo della settimana/6. “Dobbiamo restituire il futuro ai giovani” (Walter Veltroni, Corriere della sera, 22.2). È la volta buona che va in Africa.
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L'ALTRA PRIMA DONNA
l'editoriale di Marco Travaglio
27 febbraio 2024
Siccome la Sardegna è stata retrocessa all’età dei nuraghe da una classe dirigente indecente che si spera verrà spazzata via in giornata (memorabile la legge regionale che impone lo scrutinio entro e non oltre le ore 19, che a metà giornata la Regione dichiara “meramente indicativa”, per dire l’utilità di dare più poteri alle Regioni), scriviamo senza i dati definitivi delle Regionali. Ma alcune cose le sappiamo già.
1) La Meloni, dopo 16 mesi a Palazzo Chigi, è più popolare a Kiev che a Cagliari, grazie al malgoverno suo, del sindaco FdI di Cagliari, Truzzu, e del presidente regionale leghista, Solinas.
2) Alessandra Todde, perfetta incarnazione del populismo gentile e competente dei 5Stelle contiani, sembra aver vinto, ma anche se perdesse di un soffio avrebbe compiuto un miracolo: grazie al curriculum, allo stile fermo ma pacato, al fattore-novità e anche al fattore-donna, ha convinto prima i vertici e poi gli elettori del Pd a sostenerla ed è riuscita a raggiungere il candidato delle tre destre malgrado l’operazione-sabotaggio di Renato Soru. Se poi dovesse anche vincere, diventerebbe la prima presidente di Regione nella storia dei 5Stelle, la prima espressa dall’alleanza M5S-Pd e la Sardegna sarebbe la prima Regione strappata dai progressisti alla destra dal lontano 2015.
3) Il Terzo Polo, per una volta, arriva terzo, ma solo perché correvano in tre: il famoso Centro piace tanto alla gente che piace e ai giornaloni, ma non esiste nella realtà, sempreché si possa chiamare Centro l’ammucchiata di Soru con Calenda, Rifondazione e una lista filo-Hamas (l’Iv renziana non è neppure pervenuta) pur di far perdere i progressisti; e pare che non entrerà neppure in Consiglio regionale. Una prece.
4) L’unica formula vincente contro le destre è un’alleanza fra 5S, un Pd davvero rinnovato e i rossoverdi: quella che sostenne il Conte-2 fino in fondo. Astenersi centrini, perditempo e perdivoti da “campo largo” e “riformismo”.
5) Oltre al buon ricordo lasciato come premier, l’arma segreta di Conte è il fatto di essere il leader più sottovalutato del mondo.
6) Dopo le fumisterie e le ambiguità fin qui esibite sui temi più caldi per tenere insieme i vari Pd, la Schlein dimostra che quando compie una scelta netta la azzecca: quella di scaricare i Soru e gli Zedda, che han fatto il loro tempo (altro che terzo mandato) e puntare sulla più fresca Todde. Il che non vuol dire che ora Pd e M5S debbano andare insieme ovunque a qualunque costo: dipenderà dalla carica di novità dei candidati. Perché è sull’asse nuovo/vecchio, non destra/centro/sinistra né tantomeno moderatismo/estremismo o riformismo/populismo che gli italiani giudicano e votano. Ma, si sa, non c’è peggior sardo di chi non vuol sentire.
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BUGIARDI, PAZZI E CRIMINALI
l'editoriale di Marco Travaglio
28 febbraio 2024
In principio erano le armi a Kiev per sconfiggere la Russia e le sanzioni per mandarla in default. Poi le settantatré malattie di Putin per condurlo alla tomba. Poi il golpe di Prigozhin, o chi per esso, per rovesciarlo come lo zar. Poi la prima controffensiva ucraina, la seconda e la terza, una più irresistibile dell’altra. Poi l’Armata Rotta che ha finito gli uomini, le divise, le munizioni, i missili, i carri armati, le navi e tutto il resto, “combatte con le pale del 1869” e “le dita al posto delle baionette” e batte in ritirata. Ora che l’avanzata russa in quel che resta dell’Ucraina spazza via gli ultimi brandelli di balle dei media europei e soprattutto italiani, ne servono disperatamente di nuove. Ed ecco pronto il fornitore ufficiale, Zelensky, che annuncia liste di putiniani da zittire (si pensava fossero i pacifisti, poi si è saputo che sono russi da espellere: in pratica è furibondo perché i russi sono filo-russi) e ripete che Putin è pronto a invadere l’Europa. Nessuno sa con quali mezzi, uomini e soprattutto motivi, visto che fatica pure a prendersi l’intero Donbass e attaccò l’Ucraina proprio perché non era ancora entrata nella Nato e non rischiava la guerra atomica. Ma sono quisquilie: ci vuole un Recovery bis da centinaia di miliardi per la guerra alla Russia. Cioè: siccome è morto Navalny, facciamo morire altre decine di migliaia di ucraini. Macron si porta avanti col lavoro: “Inviare truppe di terra in Ucraina perché la Russia non vinca questa guerra”, anche se purtroppo “non c’è ancora consenso”. Che costui, spirito guida dei nostri centrini, fosse il politico più stupido d’Europa era noto: ora si sa che è anche il più folle. Con l’aria e i sondaggi che tirano, l’idea di mandare al macello migliaia di giovani europei in una guerra già persa per salvare la faccia tosta sua e di altri leader morenti gonfierà vieppiù i consensi della Le Pen e di tutte le destre dell’Ue. Così alle Europee del 7 giugno vedrà che bel consenso avrà la sua guerra in un continente definitivamente fascistizzato grazie a lui e a quelli come lui.
L’unica opzione che questi manigoldi escludono a priori è negoziare prima che la sconfitta di Kiev e Nato diventi disfatta, con un compromesso che salvi il salvabile (i pezzi di Ucraina ancora in piedi e gli ucraini ancora vivi). Quello che si stava facendo due anni fa in Turchia subito dopo l’invasione russa. Il 28 marzo 2022 un pericoloso putiniano dichiarò: “Lo status neutrale e non nucleare dell’Ucraina siamo pronti ad accettarlo: se ricordo bene, la Russia ha iniziato la guerra per ottenere questo. Poi servirà discutere e risolvere le questioni di Donbass e Crimea. Ma capisco che è impossibile portare la Russia a ritirarsi da tutti i territori occupati: questo porterebbe alla Terza guerra mondiale”. Il suo nome era Volodymyr Zelensky.
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MOLTO INTELLIGENCE
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01 marzo 2024
Casomai servissero conferme, l’annuale relazione dei servizi segreti presentata dal trio Mantovano-Belloni- Guerini dimostra che i miliardi investiti nell’intelligence sono ben spesi. I nostri segugi hanno scoperto verità insospettabili e sconvolgenti, tipo che “il tema Cina è oggi sul tavolo di tutte le democrazie occidentali”. Ma va? Ha “finalità non solo economiche, ma anche geostrategiche, di controllo di aree di influenza”, anche “in Africa” (ma ci rendiamo conto?). Pare addirittura che esista una “diaspora cinese in altri Paesi” (ci sono cinesi anche fuori dalla Cina), usata “per acquisire informazioni qualificate” (la Cina, non so se mi spiego, ha delle spie), senza contare le “operazioni cibernetiche con finalità di propaganda” (roba da matti: i cinesi fan di tutto perché si parli bene o non si sparli di loro). Tutta roba che noi occidentali non ci sogneremmo mai.
E non basta, signora mia: c’è pure la Russia. Ah no? Che Putin avesse fatto vincere la Brexit, Trump, il No al Referenzum, i 5S e la Lega a suon di fake news, troll, hacker e hater era noto. Poi si addormentò e vinsero Macron, Biden e la Meloni, fino alle Regionali in Sardegna dove l’amico Salvini è precipitato al 3,5%, ma mica può far tutto lui. Ora però lo Zar s’è svegliato e intende truccare con la sola imposizione delle mani le elezioni in ben “76 Paesi” sfruttando “le nostre garanzie di libertà e indipendenza dei media” (le leggi Bavaglio della Meloni, l’arresto di Assange a Londra per dargli l’ergastolo negli Usa, cose così). In Italia – svela sgomento Mantovano – ben “sei canali social filorussi han provato ad accreditare l’idea assolutamente infondata che la protesta dei trattori derivasse dagli effetti economici delle sanzioni alla Russia”. Quindi dev’essere una fake news il fatto che la protesta degli agricoltori sia partita dalla Polonia (il Paese più filo-Kiev dell’Ue), stufa della concorrenza sleale dei cereali ucraini, al punto che il premier filo-Nato Tusk vuol bloccarli; e sia dilagata in Europa per i rincari delle materie prime e dell’energia dovuti alle auto-sanzioni a Mosca. E ora i falsari russi “inquinano l’informazione sull’inflazione, i prezzi dell’energia e il costo delle materie prime”, mentre in Europa la gente è entusiasta di non arrivare a metà mese grazie al caro-bollette, al caro-benzina e al caro-tutto causati dalle sanzioni e di sentirsi dire da Bruxelles che non c’è un euro per chi ha bisogno, ma urge inviare 50 miliardi a botta a Zelensky, investirne il decuplo in armi e mandare i nostri figli a morire in Ucraina. Indagando ancora un po’, la nostra intelligentissima intelligence potrebbe pure scoprire che Putin ha prepensionato tutti i cyberpropagandisti, da quando ha scoperto che per sp*****are l’Occidente basta lasciar parlare i suoi governanti.
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IL TRIO DELLA BUONA MORTE
l'editoriale di Marco Travaglio
02 marzo 2024
Ha cominciato Macron, ipotizzando l’invio di soldati della Nato in Ucraina. Ha proseguito la von der Leyen chiamando alle armi l’Europa per investire centinaia di miliardi dei cittadini in ordigni di morte “come con i vaccini” e facendo approvare dall’Europarlamento una demenziale risoluzione votata da tutti, eccetto il M5S (e incluso il Pd), per prepararci a combattere la Russia accanto all’Ucraina fino alla riconquista delle quattro regioni occupate da Putin dopo il 2022 e persino della Crimea annessa nel 2014, cioè in saecula saec**orum. Ieri, a completare il trittico infernale, ha parlato il segretario americano alla Difesa, Lloyd Austin, preannunciando la guerra mondiale Nato-Russia (ovviamente nucleare) perché “se l’Ucraina cade, Putin non si fermerà”. Scenario possibile in Transnistria e altri territori russofoni rivendicati da Mosca, per carità. Ma ad avanzare di più contro l’avversario in questi vent’anni è stata la Nato, tradendo per ben 16 volte l’impegno assunto con Mosca insieme agli Usa e all’Ue nel 1990 di non allargarsi neppure di un palmo a Est della Germania. Dopodiché la Nato passò da 16 a 32 Stati membri e rovesciò gli alleati di Putin in Serbia, Iraq e Libia. E ne fu ripagata della stessa moneta. Il risultato della lunga sfida alla Russia in nome di una pretesa imperiale fuori dal tempo e dalla storia lo vediamo non da due, ma da dieci anni in Ucraina: dal 2014, quando iniziò la lunga guerra civile poi sfociata nel 2022 nell’invasione russa. E in tutto il mondo, con una serie spaventosa di crisi dal Medio Oriente all’Africa, dalla Cina all’America Latina.
Purtroppo, al momento, l’unico leader del mondo a capire la tragedia che rischiamo per gli ultimi colpi di coda dell’impero americano al tramonto in un mondo ormai multipolare è il Papa. Gli attuali governanti degli Usa e dell’Europa al seguito sono un misto di demenza senile, idiozia politica e servaggio alla lobby delle armi. Pur di salvare la faccia e la poltrona, mentono a se stessi e quindi anche a noi, su tutto. Promettono vittorie nel conflitto ormai perso in Ucraina per non ammettere di averla condannata loro al massacro. Abbaiano con Netanyahu senza mordere per non ammettere che le stragi di palestinesi le hanno consentite loro con i veti all’Onu. E, nella loro coazione a ripetere, vaneggiano di guerre alla Cina per Taiwan e mettono su ridicole missioni anti-Houti per non ammettere che i pirati del Mar Rosso sono figli della questione palestinese rimossa anche da Biden, ma soprattutto della guerra saudita in Yemen. Ormai è chiaro che, se resteranno al potere, ci porteranno alla terza guerra mondiale. È questa l’unica vera partita delle elezioni europee e americane: o vengono spazzati via loro o saremo spazzati via noi.
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È TUTTO GIÀ ACCADUTO
l'editoriale di Marco Travaglio
03 marzo 2024
Se non fossimo sull’orlo della terza guerra mondiale, ci sarebbe da scompisciarsi a leggere le analisi delle meglio firme del bigoncio sui rapporti Pd-5Stelle dopo la Sardegna. Ci sono i vedovi inconsolabili del Centro estinto che continuano a vederlo dilagare nelle loro visioni notturne e teorizzano che solo un “moderato” può diventare premier (infatti siamo passati da B. a Meloni, dal Renzi “rottamatore” al Conte del governo gialloverde, il più antiestablishment mai visto). E ci sono gli smemorati, che si domandano angosciati come faranno Pd e M5S a governare insieme. Come se non l’avessero già fatto nel Conte-2, che gestì bene la pandemia, portò 209 miliardi di Pnrr e con investimenti pubblici come il Superbonus ci garantì la maggior crescita dell’Ue post- Covid. Poi il presunto “moderato” Renzi, che nei Paesi seri è considerato uno sfasciacarrozze (il FT lo ribattezzò Demolition Man), rovesciò quel buon governo e mando al potere con Draghi le destre autodistrutte sul Covid. Il resto lo fece quell’altro genio di Letta nel 2022: cacciò i 5Stelle, troppo pacifisti, per conto terzi. E si mise coi bellicisti della fantomatica Agenda Draghi: Calenda (che lo fregò pure), Bonino, Di Maio e altri frequentatori di se stessi. E spianò la strada all’Armata Brancameloni.
Ora Letta è tornato a Parigi a insegnare come si perdono le elezioni e gli elettori dem hanno scelto Schlein perché rivolti il Pd come un calzino. Elly nei fatti non ha ancora osato cambiare rotta sul bellicismo euroatlantista (il Pd ha appena votato la risoluzione von der Leyen “Armi uguale vaccini”), ma almeno a parole ha rotto con la narrativa guerrafondaia di BaioLetta. E ha scelto Conte come partner per battere le destre. La vittoria in Sardegna è solo il primo frutto di quella svolta, che è tutta interna al Pd. Perché è il Pd che deve cambiare politiche e dirigenti (gli stessi che avallarono unanimi le demenziali politiche di Renzi, poi la svolta positiva di Zingaretti, poi la sciagurata retromarcia di Letta). Non i 5S che il rinnovamento ce l’hanno nello Statuto col tetto dei due mandati: infatti sono stati loro a fornire una candidata nuova e credibile in Sardegna e a spingere per il civico D’Amico in Abruzzo. Se l’operazione riuscirà nelle altre elezioni locali, sarà cosa buona e giusta che Pd e M5S corrano uniti. Se invece, come in Basilicata e in Piemonte, il Pd si ostinerà su candidati e programmi di retroguardia, meglio marciare divisi (altrimenti saranno gli elettori a non seguire i leader) e ritrovarsi ai referendum contro le schiforme destronze e poi alle Politiche. Lì l’avversario sarà così mostruoso che anche l’elettore progressista più scettico non avrà dubbi fra il secondo governo Conte e il primo (e si spera ultimo) governo Meloni.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l"editoriale di Marco Travaglio
04 marzo 2024
Crioterapia. “Meloni, il gelo del Quirinale” (Repubblica, 1.3). Il famoso gelo di Meloni.
Le ultime parole famose. “Partita aperta in Sardegna: il candidato di Meloni non vola, sinistra in corsa. Decide Soru?” (Riformista, 27.2). Come no.
Autoattentato. “Una folla di palestinesi assalta i camion degli aiuti umanitari a Gaza” (Corriere.it, 29.2). “Calca per gli aiuti, strage e accuse” (Corriere della sera, 1.3). “Folla fuori controllo, costretti a sparare” (Stampa, 1.4). “La verità ignorata sulla strage del pane. L’antisemitismo sempre più imperante incolpa Israele, ma le responsabilità stanno altrove. Gli uomini di Hamas sono piombati sulla folla calpestandola e sparando” (Fiamma Nirenstein, Giornale, 3.3). Diabolici questi palestinesi: si sparano e si pestano da soli per incolpare Israele.
Trova l’intruso. “Houti, attacco all’Italia. Azione di guerra dei ribelli yemeniti che lanciano un drone verso la nave ‘Cario Duilio’ che lo abbatte. Crosetto: grave violazione del diritto internazionale” (Repubblica, 3.1). Dicesi diritto internazionale inviare navi a casa d’altri e poi mettersi a strillare se quelli reagiscono.
L’intrepido. “Andare da soli alle Europee, più che un azzardo, io lo definire un atto di coraggio” (Matteo Renzi, Iv, Corriere della sera, 3.3). Più che altro non ti vuole nessuno.
Metodo Ferragni. “Il piano di Biden per destinare a Kiev 350 miliardi russi” (Corriere della sera, 3.3). Un altro che fa beneficenza coi soldi degli altri.
Cielito Olindo. “Rosa e Olindo tornano in aula: ‘Speriamo in un processo vero’” (Corriere della sera, 1.3). Quello in cui confessi una strage e ti assolvono.
Chiquita. “Giorgia porta a casa Chico” (Giornale, 2.3). “Meloni riporta Chico Forti in Italia” (Libero, 2.3). In cambio diamo via Olindo e Rosa?
C’è nero e nero. “Parte da Roma la corsa dei socialisti europei: ‘Mai con l’estrema destra’” (Messaggero, 2.3). A parte i compagni del battaglione Azov.
Fassinyahu. “Fassino: ‘Demonizzare Israele ostacola lo Stato palestinese’”, “Israele: destra e sinistra? La differenza non si vede” (Unità, pag. 5 e 6, 2.3). Ma infatti.
Progressismi. “Il candidato progressista francese Glucksmann: ‘L’Europa deve passare subito a un’economia di guerra’” (Stampa, 2.3). Per distinguersi dai conservatori.
Sfaccettato. “Mondiali di Atletica, Malagò: ‘Tanta amarezza, ci avevo messo la faccia’” (Repubblica, 2.3). Ma quante ne ha?
Bianco rosso e Verdini. “Accanimento della Procura: Verdini torna in carcere: ha partecipato a tre cene” (Francesco Storace, Libero, 28.2). “Verdini in cella per una cena illegale, metterlo in prigione è una ingiustizia” (Fabrizio Cicchitto, Unità, 1.3). “Perché Verdini è stato sbattuto in carcere: rischia 8 anni in cella per una cena… Una legge cretina e crudele” (Piero Sansonetti, Unità, 1.3). No, è per due condanne definitive a 12 anni per bancarotta fraudolenta.
Superballus 110%. “Truffa (80 milioni) col Superbonus: 9 gli arrestati”. “I cantieri non esistevano nemmeno, ma la banda di truffatori intascava ugualmente il ‘bonus facciate’” (Corriere della sera, 1.3). Ah, era il Bonus Facciate, però lo chiamiamo Superbonus perché fa più comodo.
Merli putiniani. “I putiniani nostri, che sono uno spettacolo… provano a deformare e a intorbidire la verità con espedienti che probabilmente gli stessi russi suggeriscono… E dunque per ora hanno rilanciato l’intrigo internazionale, di cui parla il tabloid tedesco Bild, e cioè il ‘giallo’ di uno scambio di prigionieri e di un complotto per impedire la liberazione concordata di Navalny che era lì lì per essere rilasciato” (Francesco Merlo, Repubblica, 20.2). “Navalny, l’ipotesi dei collaboratori: Aleksej doveva essere scambiato con il ‘killer di Tiergarten’” (Repubblica, 27.2). Oddio, che siano putiniani pure i collaboratori di Navalny? O tutta Repubblica prende ordini da Putin tranne Merlo?
Ultime dalla Cia. “Alla guerra, per difendere la pace” (Giuliano Ferrara, Foglio, 1.3). Uahahahahah.
Vitti ’na Crozza. “Crozza offende l’America. La memoria di JFK non si tocca” (Ermelinda M. Campani, Riformista, 27.2). Maurizio, prossima volta, chiedi il permesso a Ermelinda.
Da Montanelli a Sallusti. “Da 50 anni contro il coro” (Giornale, 1.3). Facciamo 20.
La pandemia. “I palestinesi creano un governi tecnico” (Libero, 26.2). Ecco dov’era nascosta l’Agenda Draghi.
Il titolo della settimana/1. “La vita di Navalny ha molto da insegnare agli utili idioti del putinismo che hanno scoperto i crimini di Putin solo dopo l’invasione dell’Ucraina” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 17.2). Tipo il Foglio.
Il titolo della settimana/2. “Meloni-Biden, avviso a Israele” (Messaggero, 2.3). Netanyahu sta già tremando.
Il titolo della settimana/3. “Qatargate, ecco cosa c’è nei faldoni nascosti delle difese” (Dubbio, 2.3). Altri sacchi di petrodollari?
Il titolo della settimana/4. “Se i cacciatori di bufale sono tutti di sinistra” (Libero, 2.3). Quelli di destra sono troppo occupati a fabbricarle.
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IN GALERA!
l'editoriale di Marco Travaglio
05 marzo 2024
Un’incomprensibile congiura del silenzio sta oscurando l’ultimo mega-scoop del Corriere. Che domenica, per la penna di Fabrizio Roncone (onore al merito), a “una festa di compleanno in un ristorante sotto l’acquedotto Claudio, tra mozzarelle di bufala ed ex calciatori della Roma, direttori di giornali, ruggenti cinquantenni con i capelli mesciati e pure il mitologico Lotito” ha raccolto “una vocina perfida e lucida” del Pd in vena di rivelazioni sensazionali: Giuseppe Conte ha un’“ambizione rapace”, una “vanità assoluta”, una “sulfurea ambizione”, una “pura ossessione: tornare a Palazzo Chigi per la terza volta”, il che ne fa un “camaleonte feroce”, anzi “un piccolo spietato coccodrillo”. Insomma, “pazzesco”. Sì, avete capito bene: c’è un leader che, diversamente dagli altri, fa politica per vincere. E non il Festivalbar, Miss Italia, il Pallone d’oro, la Parigi-Dakar o la Vasaloppet, no: le elezioni, e per governare. Ma vi rendete conto? “Qualcuno avverta Elly, che continua ad accarezzarlo con troppa disinvoltura”, evidentemente ignara di tutto. Come del resto la forza pubblica e le procure della Repubblica competenti sulla follia illegale ed eversiva del putribondo figuro che vuol guadagnare voti anziché perderli e – quel che è peggio – ci riesce pure. Fortuna che Roncone, fra una mozzarella, un mesciato e un Lotito, ha auscultato quella vocina, sennò tutti penserebbero che Conte si faccia un mazzo così per essere sconfitto e per non governare mai più.
Per la verità lo scoop del Corriere era già stato preceduto da analoghe intuizioni del sagace Massimo Franco, il quale aveva subodorato che, dopo la vittoria della sua Todde, “Conte festeggia più della Schlein” (anziché mettere il lutto), ergo è “nostalgico di Palazzo Chigi” e vuole “usare il risultato sardo come premessa della propria centralità” (anziché per la propria marginalità). Altri geni sospettano da tempo che “mediti il sorpasso” sul Pd e financo su FdI (ogni leader che si rispetti medita di arrivare ultimo). Ma lo scoop del Corriere trasforma i sospetti in certezza: oltre a infilare la pochette nel taschino della giacca, a indossare un dolcevita nero (ma solo d’inverno), a passare il penultimo Capodanno a Cortina (e non all’addiaccio: in hotel) e soprattutto a non decidersi a defungere, il mostro di Volturara Appula preferisce governare lui che lasciarlo fare alla Meloni. Ma si può? E come si permette? Sarebbe come se un cantante rapace andasse a Sanremo per arrivare primo, un regista sulfureo partecipasse a Cannes per vincere la Palma d’Oro, un allenatore vanitoso aspirasse allo scudetto, uno scienziato ossessionato ambisse al Nobel, un ciclista spietato corresse per la maglia rosa o, peggio, gialla. Scandalo, orrore, raccapriccio. Che aspettano ad arrestarlo?
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PANTALONI E MUTANDE
l'editoriale di Marco Travaglio
06 marzo 2024
Diceva Winston Churchill: “Una bugia fa in tempo a compiere mezzo giro del mondo prima che la verità riesca a mettersi i pantaloni”. Ci son voluti più di due anni, almeno per chi non legge il Fatto, ma ora la verità s’è infilata i calzoni. E lascia in mutande i ballisti guerrafondai. Quelli delle sanzioni per il default russo in pochi giorni (Letta e i migliori economisti). Delle armi a Kiev “per la de-escalation” (Draghi e i migliori camerieri). Della vittoria sulla Russia (praticamente tutti). Ma anche Giorgia Meloni, che il 27 febbraio 2023 giurò chez Vespa: “Noi non spendiamo soldi per le armi agli ucraini. Non c’è niente che stiamo togliendo agli italiani”. Un anno dopo, mentre torna da Washington col bacetto di Biden stampato sul capino, i dati del Kiel Institute la sbugiardano: fra armi e soldi all’Ucraina, l’Italia ha già speso 5,4 miliardi. Cioè 2,7 all’anno: tanti quanti il governo ne risparmia levando il Reddito di cittadinanza di bocca ai disoccupati. Rubiamo ai poveri per dare a Zelensky. Farà piacere a quelle centinaia di migliaia di famiglie sapere che sono finite sul lastrico per finanziare una delle più disastrose disfatte dell’Occidente. Se ne ricorderanno alle Europee, astenendosi o votando i partiti pacifisti e neutralisti (purtroppo anche di estrema destra), poi leggeranno sui giornaloni che li ha telecomandati Putin a loro insaputa. L’Idiota Atlantista Collettivo fa sempre così: si scava la fossa, si spara alla tempia e, mentre tira le cuoia, esala “Ha stato Putin!”.
Resta da capire quanti scemi di guerra premieranno chi ci trascina spensieratamente alla distruzione finale approvando la risoluzione Von der Leyen per la guerra alla Russia fino alla liberazione dell’intera Ucraina (Crimea inclusa): FdI, Lega, FI, Pd, Azione e Iv. E quanti elettori sovranisti o anche solo attenti all’interesse nazionale voteranno Meloni senza capire i danni del suo appiattimento su Biden se vince Trump. Per comprendere l’interesse dell’Ue e dunque dell’Italia basta alzare lo sguardo sulla guerra mondiale a pezzi che sconvolge il mondo da quando l’impero Usa ha deciso di far pagare a noi il prezzo del suo tramonto. La Nato abbaia alla Russia, che invade l’Ucraina, che ci trascina nella sua débâcle, che ringalluzzisce i Brics anti-Usa. Hamas e Israele approfittano della distrazione americana sul Medio Oriente per regolare i conti con stragi e controstragi, che incendiano l’intera area, che reagisce tifando Hezbollah e aizzando i raid Houthi, che attirano la missione suicida Usa-Ue nel Mar Rosso. Sempre con lo stesso esito: l’Occidente sconfitto, i suoi nemici vincitori. Se è vero che Dio acceca chi vuole rovinare, stavolta può riposarsi: i nostri governanti sono già tutti guerci.
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DI COSA PARLIAMO.
l'editoriale di Marco Travaglio
07 marzo 2024
Peggio dello scandalo sugli accessi abusivi alla Direzione nazionale antimafia (Dna) ci sono soltanto i commenti sullo scandalo medesimo. Si strilla ai “dossieraggi”, ma la Procura di Perugia che indaga sul tenente Striano, sul pm Laudati e su tre cronisti di Domani li smentisce (i giornalisti commissionavano i controlli per scrivere articoli, non per accumulare segreti a scopo di ricatto). Si parla di spionaggio e intercettazioni, che non esistono (se poi anche i Servizi usavano quelle fonti, si vedrà se facevano il loro lavoro o perseguivano scopi “deviati”). Si accusa l’ex procuratore antimafia De Raho, che non è sospettato di nulla. Renzi delira di “telefoni spiati per distruggere avversari politici”, ma qui nessuno ha spiato telefoni e lui la carriera se l’è distrutta da solo. L’accusa riguarda le richieste dei tre cronisti e di Laudati a Striano per cercare notizie su centinaia di politici e Vip nelle banche dati, fra cui quella delle Sos: le segnalazioni di operazioni sospette che le banche, in caso di passaggi di denaro anomali, inoltrano a Bankitalia e Dna. Meloni e le destre gridano al “regime” (ma dal 2022 al governo ci sono loro e dal ’21 c’erano già Lega e FI) e vogliono i “mandanti” del golpe contro di loro: ma ad altri mandanti i pm non fanno cenno e l’unico premier ad aver subìto controlli quando era in carica sulla compagna Olivia Paladino e la di lei famiglia (la sorella e il padre), poi sull’amico avvocato Guido Alpa e l’ex collega di studio Luca Di Donna, è Giuseppe Conte. Che curiosamente, sui giornali, non è mai citato. Anche Renzi fu controllato con vari fedelissimi, insieme a molti esponenti di destra (quasi tutti prima che andassero al governo).
Spicca la totale assenza del Pd (a parte Fornaro, ex Leu), malgrado l’abbondanza di dem coinvolti in scandali meritasse ben altra curiosità. Ma ciò dipende dai gusti di chi ordinava gli accessi e dal malvezzo di un certo giornalismo di dare un colore politico alle notizie. Quindici anni fa un cronista di Panorama, ora alla Verità, patteggiò perché fu beccato a fare le stesse cose, ma da destra, con 1340 accessi abusivi di un amico finanziere sui dati fiscali di personaggi sgraditi a B.: un tal Travaglio, De Magistris, Genchi, il giudice Mesiano, le famiglie Di Pietro, Grillo e Agnelli. Anche allora evaporò la sottile linea rossa che separa il giornalista dal killer. Ma neppure allora si scoprì nulla di men che lecito sui personaggi controllati, infatti non ne nacque alcuno scoop (e ora la denuncia di Crosetto che ha attivato Perugia si riferiva a notizie stranote sulle sue consulenze per Leonardo). A riprova del fatto che – al netto dei possibili reati del finanziere, del pm e dei cronisti indagati – il miglior modo per evitare i ricatti e il discredito è comportarsi bene. Male non fare, paura non avere.
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PINA FANTOZZI
l'editoriale di Marco Travaglio
08 marzo 2024
La vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno (Pd) comunica: “Ho scritto alla Commissione europea e al Consiglio Ue chiedendo l’inserimento di Ciro Cerullo, in arte Jorit, tra gli individui sottoposti a sanzione da parte dell’Ue. Già col murale di Mariupol aveva manifestato la sua adesione al disegno criminale e genocidario del popolo ucraino da parte di Putin e ieri ha dimostrato di essere uno strumento della propaganda russa”. Jorit è uno street artist napoletano di 34 anni famoso nel mondo che espone in musei prestigiosi ed è noto per l’impegno antifascista, antirazzista e pacifista. A Napoli, anche finanziato da Regione e Comuni targati Pd, ha ritratto Maradona, Floyd (il nero ucciso da agenti Usa) e una bimba rom. A Santiago, Neruda. A Sorrento, Lucio Dalla. A Betlemme, la detenuta palestinese Ahed Tamimi. In Russia, Gagarin e la Muti. Ma da quando nel 2023 ha osato decorare un palazzo distrutto a Mariupol, città-martire della guerra civile ucraina e poi dell’invasione russa, è diventato un nemico pubblico dell’Occidente perché il murale raffigura una bimba con gli occhi dei colori indipendentisti del Donetsk e sullo sfondo le bombe Nato e un simbolo antifascista. Ricordare che lì si muore ammazzati non da due, ma da dieci anni, non solo per mano delle truppe russe ma anche di quelle ucraine e dei miliziani neonazisti dell’Azov, è un peccato mortale nella “democrazia” ucraina e nelle nostre.
L’altro giorno, forse per reazione alle scomuniche “democratiche”, forse nell’ingenua speranza di contribuire alla pace, forse per aver sentito dire dai nostri governi che non siamo in guerra con la Russia, Jorit si è presentato al Festival della Gioventù di Sochi e si è rivolto a Putin, chiedendogli un selfie “per mostrare all’Italia che lei è un essere umano come tutti e l’arte può connettere i popoli e le nazioni”. L’autocrate l’ha chiamato sul palco, usandolo per la sua propaganda. Ma non poteva immaginare che, ad aiutarlo a travestirsi da sincero democratico contro l’Occidente illiberale, avrebbe provveduto Pina Fantozzi Picierno con l’ideona di sanzionare il giovane street artist, manco fosse la Bielorussia, l’Iran o un oligarca. Resta da capire quali sanzioni internazionali abbia in mente l’astuta pidina. Essendo piuttosto complicato un blocco dell’import-export europeo da e verso Jorit o un embargo di gas e petrolio ad personam (purtroppo è un artista, non uno Stato, e potrebbe andare in bici o su un’auto elettrica), si potrebbe vietare ai negozianti del quartiere di vendergli cibo (ma potrebbe ordinarlo online). O scrostare o riverniciare i suoi murales (moltiplicandone per mille il valore). O arrestarlo direttamente, per ribadire che Putin ci fa una pippa.
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