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Dino

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I SEGRETI DI PULCINELLA

l'editoriale di Marco Travaglio

09 marzo 2024

Giornalisti e politici che non capiscono niente, o capiscono fin troppo bene, si stracciano le vesti per lo scandalo degli accessi abusivi alle banche dati della Procura nazionale antimafia e intanto esultano per la condanna in appello di Davigo per rivelazione di segreti (i verbali dell’avvocato Amara sulla Loggia Ungheria) ai vertici del Csm e al presidente della commissione Antimafia. Nordio vuole una commissione d’inchiesta, come se non ci fosse già abbastanza casino, e intanto abolisce l’abuso d’ufficio che è proprio il reato principale di chi s’intrufola nelle banche dati per scopi non istituzionali. Polito el Drito (Corriere) equipara le accuse al finanziere Striano, al pm Laudati e a tre cronisti di Domani a quelle a Davigo, infilandoci pure De Raho, mai sospettato di nulla. E quei gran geni del Foglio titolano: “L’unico dossieraggio per ora è quello di Davigo”. Due autogol clamorosi. Purtroppo per lorsignori, i due casi sono diametralmente opposti. Anzi ciò che sta accadendo sull’inchiesta di Perugia dimostra che Davigo non commise alcun reato (né tantomeno dossieraggio), anzi fece solo il suo dovere.

Avvertito dal pm Storari che i capi della Procura di Milano da mesi non iscrivevano nel registro le gravi accuse di Amara per verificarle, Davigo ne informò i vertici del Csm perché riguardavano vari magistrati (quelli accusati da Amara e quelli accusati da Storari); ma, siccome fra essi c’erano pure due membri del Csm, non lo fece con un’informativa scritta erga omnes, per evitare che i due sospettati sapessero delle accuse a loro carico. Infatti i verbali li distribuì solo a personaggi tenuti al segreto (che infatti non è opponibile ai membri del Csm) e non vennero a conoscenza dei sospettati né dei media. Ma solo di chi doveva conoscerli, su su fino al presidente Mattarella (informato dal vicepresidente Ermini, che nessuno si è sognato di indagare né condannare per rivelazione dello stesso segreto). Ora il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, in barba alla tragicomica legge sulla presunzione d’innocenza, parla in seduta pubblica all’Antimafia rivelando un sacco di particolari della sua indagine (segreta) e fa capire che ce n’è pure un’altra gemella a Roma (ancor più segreta: non c’è stato neppure un invito a comparire) su altri accessi per altri giornali. E lo stesso farà al Csm, visto che anche qui c’è di mezzo una toga. Qualcuno lo indagherà per violazione del segreto? O lo accuserà di fare “dossieraggi”? Si spera di no: la gravità istituzionale del caso Striano&C., come del resto quella del caso Amara&C., giustifica ampiamente l’informativa all’Antimafia e al Csm. Ma condannare chi preserva un segreto e contemporaneamente lodare chi lo divulga a tutta Italia che cos’è: uno scherzo?

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AGGIORNAMENTO LISTE

l'editoriale di Marco Travaglio

10 marzo 2024

I cavalieri Gedi di Stampubblica sono sfortunati. A parte i guai giudiziari dei loro editori, avevano appena riesumato le liste di proscrizione di putiniani immaginari, peraltro affidate a manovalanze sempre più basse tipo Cappellini e Iacoboni (la prossima volta toccherà ai girini, poi alle muffe), quand’ecco piovere sui loro capini le parole di papa Francesco. Sulla “guerra fra due irresponsabili” a Gaza. E sull’Ucraina: “Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore. Il più forte è chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca. La parola negoziare è coraggiosa. Non è una resa. Se vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, devi avere il coraggio di negoziare. Sì, hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia il mediatore. Nella guerra in Ucraina ce ne sono tanti. La Turchia, altri… E io sono qui… La guerra è una pazzia… C’è chi dice: è vero, ma dobbiamo difenderci. E poi ti accorgi che hanno la fabbrica degli aerei per bombardare gli altri. Difendersi no: distruggere… C’è sempre qualche situazione geografica o storica che provoca una guerra… Può essere una guerra che sembra giusta per motivi pratici. Ma dietro una guerra c’è l’industria delle armi che significa soldi. Guardiamo la storia, le guerre che abbiamo vissuto: tutte finiscono con l’accordo”. Intanto piove sul bagnato, la Cnn rivela che negli ultimi due anni Putin ha trattato con Usa e Paesi europei tramite Abramovich per uno scambio di prigionieri che aveva al centro proprio il dissidente russo detenuto nell’Artico. Il che rende improbabile che la morte di Navalny sia stata ordinata da Putin (peraltro responsabile della sua inumana detenzione).

Ora non vorremmo essere nei panni delle Sturmtruppen che dovranno aggiornare la lista dei putiniani con il Papa (orrore: ha detto “bandiera bianca”!) e la Cnn (non vale: si era già deciso che Navalny l’ha ammazzato Putin, le notizie vere non devono disturbare le bugie dei buoni!). A riprova del fatto che l’unica propaganda dilagante in Italia e in Occidente è quella atlantista. Dopodiché dovranno compiere un ultimo sforzo e crocifiggere il pacifinto che si nasconde dietro il Papa e ne ispira le mosse con parole tipo queste: “Se un re va in guerra contro un altro re, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare il nemico che avanza con ventimila, non vi pare? Se vede che non è possibile, allora manda dei messaggeri incontro al nemico; e mentre il nemico si trova ancora lontano gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace. La stessa cosa vale anche per voi: chi non rinunzia a tutto quel che possiede non può essere mio discepolo”. Il putribondo putiniano si chiama Gesù.

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Ma mi faccia il piacere

Editoriale di Marco Travaglio
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Sdoppiamenti. “Chiara Ferragni come Jocker sulla copertina de L’Espresso. L’influencer: ‘Denigrata e svilita, ora azioni legali’”, “Chiara Ferragni risponde alla copertina dell’Espresso: ‘Bellissima, grazie a tutti quelli che mi hanno scritto sui social’” (Repubblica.it, 8.3). Delle due l’una: o ci sono due Chiara Ferragni, o Repubblica ha due siti.

La seconda tragica Pina Fantozzi. “Travaglio mi dedica il suo editoriale in prima pagina utilizzando la tecnica patriarcale del dileggio dell’interlocutrice” (Pina Picierno, Pd, vicepresidente del Parlamento europeo, 8.3). Pina, non si sottovaluti: nessun patriarca, neppure Noé, riuscirebbe mai a dileggiarla meglio di quanto non faccia già lei.

Spese faraoniche. “La spesa pubblica per il Superbonus è fuori controllo e la genesi di questo disastro è tutta in capo a Giuseppe Conte e al M5S” (Davide Faraone, deputato Iv, Foglio, 9.3). Invece Iv che lo votò, Faraone incluso, e gli prestò anche il relatore Marattin, non c’entra.

Autocomplotto. “Renzi apre la Leopolda: ‘Certi pm violano la legge, volevano farci chiudere’” (Messaggero, 9.3). Poi ci è riuscito da solo.

Assi nella manica. “Con Schlein la musica sta cambiando, ma va rotto l’asse con i pm” (Enza Bruno Bossio, Direzione nazionale Pd, Unità, 28.2). Giusto: bisogna tornare a quello con i pregiudicati.

Le ultime parole famose/1. “È Todde la terza incomoda” (Renato Soru, Foglio, 23.2). “Come può il Pd allearsi con uno come Conte? Io credo che dalla Sardegna partirà una svolta. Renato Soru ha lasciato il partito e ha dato vita a una coalizione Sarda… vera alternativa credibile… Insomma, il vento della rivoluzione gentile è iniziato” (Andrea Viola, blogger Fattoquotidiano.it, 29.1). Ma infatti.

Le ultime parole famose/2. “Nikki Haley non accenna a lasciare” (Foglio, 24.2). “Haley decisa a restare in corsa” (Corriere della sera, 25.2). “Haley non molla” (Stampa, 26.2). Nikky Haley non ha nessuna intenzione di mollare” (Paolo Guzzanti, Riformista, 6.3). “Nikki Haley si ritira dalla corsa alla Casa Bianca” (Ansa, 6.3). E pazienza, è andata così.

Strettissima attualità. “Duello tra FdI e dem. Barricate Pd in Aul per la medaglia a Tito. Alla Camera la legge per levare l’onorificenza al massacratore slavo. La sinistra non ci sta e risponde con un emendamento: via tutti i riconoscimenti ai fascisti” (Libero, 7.3). Ancora niente su Napoleone.

Ha stato Putin. “In Polonia c’è il forte sospetto che le proteste degli agricoltori contro le importazioni di cereali ucraine siano alimentate dalla propaganda russa. Anche in Francia, dove la protesta rurale non accenna a calmarsi, il presidente Macron ha denunciato le ingerenze della disinformazione e della cyber guerra della Russia” (Foglio, 5.3). Ma certo, che ne sanno gli agricoltori dei cereali? Ovvio che chiedano lumi al noto agronomo Putin.

I garantisti. “La grandiosa Caporetto dei manettari”, “La condanna di Davigo è un passo in avanti”, “L’unico dossieraggio per ora è il suo”, “C’è un giudice a Brescia. Il codice penale vale più del codice Da Vigo” (Foglio, 8.3). “Peccato. È andata male. Condanna bis per Davigo, il pm moralizzatore per anni a reti unificate” (Riformista, 8.3). “Il giustizialista Davigo violò il segreto d’ufficio per colpire un collega” (Identità, 8.3). Com’era quella storiella che sono tutti innocenti fino alla Cassazione?

Colti sul fatto. “Intervista allo scrittore Percival Everett: ‘Gli Usa come l’Impero Romano, la democrazia è a rischio. Trump fa leva sull’ignoranza’” (Repubblica, 6.3). Quelli colti invece votano il rimbambito.

Trasceche? “L’esperienza del trascendentale, del verticale, è qualcosa che ho continuato a cercare sempre in altri luoghi dell’esistere” (Alessandro Baricco, Lettura-Corriere della sera, 10.3). Come può lo scoglio arginare il mare e il trascendentale essere verticale? O voleva dire trascendente?

M’annoi. “Parla Maurizio Mannoni. Dalla Di Cesare a Orsini, ‘chi l’ha detto che serve la sparata per fare audience’?” (Foglio, 8.3). Lui, a scanso di equivoci, non lo guardava nessuno.

Il titolo della settimana/1. “L’anno difficile di Fuortes, l’ex manager della Rai rimasto senza incarichi” (Corriere della sera, 9.3). Oh, no, povera stella, e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/2. “Da Golda Meier a Parenzo, vergogna antisemita” (Stampa, 9.3). Tipo la vergogna di storpiare il cognome a Golda Meir chiamandola Meier.

Il titolo della settimana/3. “Chi voleva incastrare Crosetto?” (Stefano Zurlo, Giornale, 8.3). Crosetto.

Il titolo della settimana/4. “Lo street artist italiano abbraccia lo zar. Calenda: ‘Gli utili idioti dei dittatori’” (Messaggero, 8.3). Poi ci sono quelli inutili.

Il titolo della settimana/5. “Vannacci: ‘Io candidato? Lo dirò qualche giorno prima’” (Repubblica, 4.3). Dopo, in effetti, sarebbe tardi.

Il titolo della settimana/6. “Per la pace, Hamas si arrenda” (Bernard-Henri Lévy, Repubblica, 8.3). Ci parla lui.

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TORNIAMO AL PROPORZIONALE

l'editoriale di Marco Travaglio

12 marzo 2024

Sull’Abruzzo ripetiamo quello che avevamo detto della Sardegna e di tutte le altre consultazioni locali: le elezioni regionali riflettono la situazione del posto. La maggioranza degli abruzzesi non era schifata dai suoi governanti di destra quanto quella dei sardi. Le tante liste pro Marsilio hanno attirato più voti di quelle pro D’Amico. Che non era innovativo e portatore di esperienza e di narrazione appassionanti e trasversali quanto Alessandra Todde. E gran parte degli elettori 5 Stelle, vedendo dietro di lui il vecchio ras pidino Luciano D’Alfonso, hanno preferito astenersi. Tantopiù che, diversamente dalla Sardegna, il campo progressista andava fino a Calenda e perfino a Renzi. L’unica lezione “nazionale” che possono trarre Schlein, Conte e gli altri oppositori del governo Meloni è che quest’idea messianica del campo larghissimo non porta voti larghissimi. Con coalizioni eterogenee buone per votare “contro”, ma non per costruire un governo credibile, i voti non si guadagnano, ma si perdono. Il sistema bipolare e maggioritario dell’elezione diretta a turno unico dei presidenti di Regione – o di qua o di là – espelle dalle urne gli elettori che non vogliono farsi ingabbiare in due ammucchiate: infatti in Sardegna e in Abruzzo il 48%, un elettore su due, non ha votato.

Meglio il doppio turno dei comuni, più rispettoso delle differenze. Ancor meglio il proporzionale, che coinvolge tutti i cittadini. L’ubriacatura bipolare del berlusconismo è finita nel 2013 con l’avvento dei 5 Stelle, malgrado i tentativi renziani di riesumarne il cadavere (puniti dagli elettori) e l’operazione Draghi per livellare tutti i partiti su un unico programma, la sua fantomatica Agenda (bocciata dagli elettori). La politica è fatica, mediazione, compromesso fra istanze e interessi diversi e incomprimibili in due blocchi, specie in un Paese individualista e sfaccettato come l’Italia. Prima che metà degli elettori abbandoni stabilmente i seggi, è il caso di prenderne atto e tornare al proporzionale, anche con uno sbarramento fino al 5% che costringa i partitini simili a unirsi, e con la preferenza unica che impedisca le doppiette e le triplette mafiose e clientelari da Prima Repubblica. Dovrebbero proporlo Pd e 5Stelle, che fra l’altro ne avrebbero la maggior convenienza e dovrebbero abbandonare l’idea mefitica e mortifera dell’“alleanza strutturale”, di qui all’eternità e “a prescindere”. E potrebbero incrociare gli interessi di Lega e FI, tutt’altro che ansiosi di farsi fagocitare dalla Meloni, nonché delle forze di centro e di sinistra. L’unico modo per recuperare gli astenuti, oltre alla buona politica, è esaltare le diversità e le differenze non solo nelle parole, ma anche nelle urne. E poi allearsi con chi è più vicino, o meno lontano.

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ARRENDETEVI ALLA REALTÀ

l'editoriale di Marco Travaglio

13 marzo 2024

È incredibile la fatica che fa il principio di realtà a farsi strada nel dibattito sull’Ucraina, viziato dalla guerra ibrida della disinformatija atlantista. In pubblico, naturalmente, perché in privato anche gli atlantisti meno stupidi parlano come il Papa: la Nato e Kiev hanno perso, Putin ha vinto e, se non si negozia subito, la Russia può papparsi anche il resto del Paese. Paolo Mieli punta i piedi come i bambini capricciosi e, siccome è uno storico, insiste sul paragone farlocco con l’Europa dinanzi a Hitler nel 1940: ma allora Francia, Uk, Urss e Usa schierarono gli eserciti, mica fecero combattere i popoli invasi per procura come fa la Nato con gli ucraini. Oggi i numeri parlano da soli. La Russia, malgrado le mirabolanti controffensive costate 300-500 mila morti, controlla sempre le quattro regioni ucraine occupate due anni fa più la Crimea. L’Ucraina sta finendo i soldati e la Nato (a parte qualche svalvolato) non intende inviarne (sennò scatenerebbe la terza guerra mondiale, la prima tutta atomica), mentre Mosca può reclutarne quanti ne vuole. L’Ucraina ha finito le munizioni, mentre Putin ne produce il triplo di quelle che potrebbero sfornare fra due anni i Paesi Nato se si riconvertissero all’economia di guerra. L’Ucraina, per non fallire, necessita di 50-100 miliardi l’anno e, per continuare a combattere, altri 10-15 al mese; ma gli Usa han chiuso i rubinetti e l’Ue è a secco. Quindi game over: dispiace, ma è dai numeri che bisogna partire.

Il Papa ha indicato la strada: gli sconfitti Biden, Stoltenberg e il sottostante Zelensky vadano da Putin con la bandiera bianca non per arrendersi (c’è ancora l’80% dell’Ucraina libera da salvare), ma per trattare. Cosa? Un compromesso che parta dai risultati sul campo e non sia solo una tregua a bocce ferme (che potrebbe innescare altre guerre), ma una conferenza internazionale per nuovi assetti che garantiscano la sicurezza di Ucraina, Russia e tutto l’Est europeo. Si sarebbe potuto e dovuto farlo subito prima e subito dopo l’invasione: centinaia di migliaia di morti fa. Ma ora salta su il segretario di Stato vaticano Parolin che, con l’aria di spiegare le parole del Papa, le travisa: “A cessare il fuoco dovrebbero essere anzitutto gli aggressori”. Strano: da mesi Zelensky e gli atlantisti ripetono la fesseria che il cessate il fuoco è un regalo a Putin. E poi chiedere la tregua spetta a chi sta perdendo e ha più da perdere, non a chi vince. Certo, pure i russi dovranno smettere di sparare: ma quando inizierà il negoziato. È stata la Nato (e l’Ue nell’ultima ridicola risoluzione von der Leyen) a dire che la guerra finirà solo con la riconquista delle cinque regioni annesse dai russi. Ora che ha perso, sarebbe bizzarro se dicesse a Putin: “Ok, ci hai sconfitti, quindi cessa il fuoco e ritirati”.

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GLI INCUBI E LA REALTÀ

l'editoriale di Marco Travaglio

14 marzo 2024

Il principio di realtà fatica ad affermarsi non solo nel dibattito sulla guerra in Ucraina, ma anche in quello sulla politica italiana. E a espellerlo sono proprio coloro che dovrebbero basarsi sui fatti: i giornalisti. Che continuano a scambiare i loro desideri (o quelli dei loro padroni) per la realtà, con effetti comici. Dopo la vittoria di Todde in Sardegna vaneggiavano delle magnifiche sorti e progressive del campo largo (che non c’era: Azione e Iv stavano con Soru portandogli sfiga), piangevano per la dipartita dell’amato Centro e attaccavano Conte perché non era morto neanche stavolta, anzi sognava di sorpassare il Pd e – orrore – di tornare al governo. Ora, dopo la vittoria di Marsilio, vaneggiano della fine del campo largo (che ha portato sfiga a chi ci stava), esultano per la rinascita dell’amato Centro e attaccano Conte perché è rimorto un’altra volta. I più ridicoli spiegano le cadute di Lega e M5S come la giusta punizione per le immaginarie nostalgie gialloverdi, il “populismo” e la ritrosia a prolungare la guerra fino all’ultimo ucraino, come se gli abruzzesi avessero votato compulsando Limes. Eppure le analisi dei flussi confermano che gli elettori, specie nelle elezioni locali, sono l’opposto di come li immaginano o li vorrebbero i giornaloni: se ne infischiano degli ordini dei partiti, dei campi più o meno larghi, del Centro, del populismo, del sovranismo, dell’atlantismo e di altre fumisterie politichesi. Badano al sodo: scelgono il candidato e la coalizione che ritengono il meglio o il meno peggio per i loro interessi.

E gli elettori non sono tutti uguali: quelli ideologizzati votano sempre centrodestra o centrosinistra; quelli sudditi-scambisti votano chi li ha favoriti o chi potrebbe favorirli; quelli liberi o “di opinione” fluttuano da una parte all’altra o si astengono a seconda di ciò che passa il convento. Il M5S pesca soprattutto in quest’ultimo bacino: quello di chi chiede onestà, trasparenza, coerenza, soprattutto diversità e rinnovamento. Se sente puzza di establishment, non vota. Apprezza la leadership Pd dell’outsider Schlein, ma in Abruzzo è rimasto in gran parte alla larga da una coalizione con Calenda e Renzi e da un candidato presidente troppo vicino al ras D’Alfonso. Gli elettori Pd sono di bocca più buona: negli anni han dovuto votare pure Renzi e Calenda, oltreché legioni di impresentabili, e ingoiare governi tecnici e ammucchiate con B.. Ma hanno digerito tutto (almeno quelli rimasti) per l’ansia di governare purchessia, non avendo nel sangue l’opposizione. Però, appena han potuto scegliersi il segretario, hanno affossato il cocco dell’apparato, Bonaccini, e svoltato su Elly. I vertici Pd e M5S ascoltino di più gli elettori e meno i commentatori: per vincere le elezioni non basta, però aiuta.

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VITA DA CARLO

l'editoriale di Marco Travaglio

15 marzo 2024

Dite quel che volete, ma Carlo Calenda è un grande. Partito da Ferrari, Sky, Confindustria e Interporto Campano (tutto vero) coi risultati a tutti noti, entrò in politica con Italia Futura di Montezemolo che ne stava uscendo senza esservi mai entrato. Poi si candidò con Monti e fu trombato. Nel 2013 lo raccattò Letta come viceministro dello Sviluppo, e Renzi lo lasciò lì, ma due anni dopo lo paracadutò in Ue come rappresentante permanente dell’Italia. Durò due mesi, che per i suoi standard sono un’eternità, poi fu rimpatriato e promosso ministro. Scortò Renzi al Forum putiniano di San Pietroburgo per giurare che Mosca (già sotto sanzioni per la Crimea) era amica nostra: “Nessuna grande azienda italiana ha mai chiuso bottega in Russia, è un segno di amicizia. Qui ci sono tutte le grandi aziende, il premier, il ministro, le associazioni economiche, le banche. Più di così non potevamo portare, dovevamo traslocare il Colosseo!”. Ora dà la caccia ai putiniani. Confermato da Gentiloni, nel 2018 lasciò il ministero con la brillante operazione Mittal per l’Ilva. Si iscrisse al Pd (“Non servono nuovi partiti”) giusto in tempo per farsi eleggere eurodeputato nel 2019, poi mollò il Pd e fondò Azione (servono nuovi partiti). Si candidò a sindaco di Roma, furioso perché il Pd non lo appoggiava e arrivò terzo. Poi a ogni Amministrativa s’impegnò per far perdere il Pd. Visti i flop, disse che era colpa degli elettori che votano sempre centrodestra o centrosinistra e mai lui.

Nel 2022 si allea con Letta per cinque giorni, poi lo pianta all’altare e si mette con Renzi per il famoso Terzo Polo (sesto su sei). Divorzia anche da Renzi e vota le porcate del governo Meloni contro il Rdc e la giustizia. Ma per far perdere il centrosinistra gli va bene pure Renzi: vedi la geniale operazione Soru in Sardegna. In Abruzzo i due sfollagente capiscono che fanno più danni appoggiando i progressisti a insulti, e così fanno. Calenda dice peste e corna di Meloni, Schlein e Renzi che si candidano alle Europee, ma ora fa capire che si candida pure lui perché lo fanno gli altri. In Basilicata cede Azione in franchising alla famiglia Pittella e si dice pronto a sostenere la destra di Bardi. Pd e M5S scelgono il loro candidato e Conte preferisce lasciare Calenda a destra. Ma lui si mette a strillare: han fatto un tavolo senza invitarmi, Conte ha messo il veto su Azione, vergogna! Ci teneva a essere invitato al tavolo per farlo saltare. E nei commenti dei social è già leggenda: “Mamma, Ciccio mi tocca! Toccami Ciccio!”. “Oggi Pirandello è declassato ad autore minore”. “Mi ricorda Il ragazzo di campagna, quando Pozzetto rimane chiuso nel cassone di un camion e picchia i pugni da dentro urlando ‘Vi siete chiusi fuori!’”.

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l'editoriale di Marco Travaglio

16 marzo 2024

È così raro trovare oggi un capo di Stato o di governo con due o tre neuroni attivi che, quando accade, va subito segnalato. Dunque è con grande giubilo che riportiamo le parole di Mattarella a Cassino, città-martire della Seconda guerra mondiale: “Gli storici ci consegnano un numero terrificante di vittime (quasi 200 mila morti, ndr) delle diverse armate (gli Alleati e i tedeschi ex-alleati, ndr) e della popolazione civile in 129 giorni di combattimenti”. Uno dei tanti orrori che dettarono ai Padri costituenti le parole definitive dell’articolo 11: “Nella Costituzione c’è un’affermazione solenne: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Lì ci sono “le ragioni, le premesse del ruolo del nostro Paese nella comunità internazionale: costruire ponti di dialogo e collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo”. Il discorso stride con quello di Macron, che persevera nella follia di inviare truppe Nato in Ucraina, cioè di scatenare la terza guerra mondiale. Dopo aver avallato con parole, opere e omissioni due anni di escalation, spostando ogni giorno più in là la linea rossa dell’indicibile (a Kiev solo armi difensive, anzi anche offensive ma leggere, anzi anche pesanti, anzi anche i tank, anzi anche i mega-carri armati, anzi anche i missili a corto raggio, anzi anche a medio, anzi anche a lungo, anzi pure i caccia), il Quirinale pare spaventato dall’ultima inevitabile conseguenza della bulimia bellicista della Nato, speculare a quella russa. E riscopre l’articolo 11, calpestato dai governi Draghi e Meloni ininterrottamente dal febbraio ‘22, prima che l’Italia sia trascinata in un nuovo conflitto mondiale, il primo tutto nucleare. Un bel progresso rispetto alle giaculatorie sulla “pace giusta”, che non esiste perché dipende dalla guerra, che non è mai giusta: chi l’ha vinta decide e chi l’ha persa deve accettare dolorosi compromessi. Come finora ha osato dire l’unico leader mondiale rimasto lucido: il Papa.

Purtroppo lo stesso allarme non si riscontra nel governo Meloni: qualche ministro pigola che non invieremo truppe per non perdere voti alle Europee, ma nessuno ha gli attributi per chiedere un immediato vertice Nato che isoli Macron e le sue fregole guerrafondaie e avvii una mediazione di pace. Del resto le destre, come il Pd e i vari centrini, hanno appena votato al Parlamento europeo la demenziale risoluzione Von der Leyen che impone il riarmo di Kiev a spese nostre fino alla riconquista delle regioni perdute, inclusa financo la Crimea. Cioè in saecula saec**orum. Chi non andrà a votare alle Europee per estinguere questi pazzi scatenati potrebbe pentirsene amaramente, sempreché sopravviva.

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LA FACCIA E LA PELLE.

l'editoriale di Marco Travaglio

17 marzo 2024

Lo scomposto agitarsi di Macron sempre più Micron sulla guerra la dice lunga sulla statura politica e morale delle cancellerie atlantiste. Che, dopo aver usato il popolo ucraino come carne da cannone per spezzare le reni alla Russia, ora che la Russia le sta spezzando a noi lo usano come carne da macello per le campagne elettorali Ue e Usa. Ma il nanerottolo francese fa storia a sé, perché ha sempre giocato una partita tutta sua sulla pelle degli ucraini. Si crede una via di mezzo fra Napoleone e De Gaulle, cioè il padrone dell’Europa. Nel 2019 decreta la “morte cerebrale della Nato”. E nel 2021, mentre Usa e Nato spingono Putin a invadere l’Ucraina rifiutando l’impegno sulla neutralità che la salverebbe, fa il mediatore. L’8 febbraio 2022 strappa a Zelensky e Putin la promessa di rispettare gli accordi di Minsk per l’autonomia del Donbass (l’altro pomo della discordia). E il 20 febbraio chiama Putin, Biden e Scholz, poi annuncia un vertice fra i primi due. Gli Usa sabotano la mediazione e quattro giorni dopo i russi invadono. Ma lui insiste. Zittisce Biden che dà del “macellaio” a Putin: “Io non l’avrei detto, non si deve alimentare un’escalation di parole e azioni”. E quando Joe accusa lo Zar di “genocidio”, taglia corto: “Parole che non aiutano la pace, anche se le forze russe hanno commesso crimini di guerra”.

Il dialogo gli serve per vincere le elezioni contro la filorussa Le Pen e il pacifista Mélenchon: “Non saremo mai cobelligeranti, serve una de-escalation in Ucraina”, “Non si fa la pace umiliando la Russia”, serve “una via d’uscita dalla guerra senza umiliare la Russia”. È così ben informato da credere che sia la Russia a rischiare l’umiliazione, non l’Ucraina. Nel pellegrinaggio in treno con gli altri due magi Scholz e Draghi, chiede a Zelensky di trattare con Putin. Biden s’inventa un “Armageddon nucleare russo” e lui lo invita alla “prudenza”. Chiede a Mosca e Kiev di accettare la mediazione del Papa. E nel dicembre ’22 annuncia con Biden un’inutile conferenza di pace a Parigi. Poi domanda: “Cosa siamo disposti a fare per dare garanzie di sicurezza alla Russia quando tornerà al tavolo dei negoziati? Uno dei punti essenziali, come ha sempre detto Putin, è il timore che la Nato si avvicini alle sue porte e dispieghi armi che potrebbero minacciare la Russia”. Kiev si infuria: “Vuole fornire garanzie di sicurezza a un terrorista assassino?”. Ora deve aver capito che Putin ha vinto la guerra e il fronte Usa-Ue- Ucraina l’ha persa. Ma non può ammetterlo, almeno fino alle Europee di giugno. E, da pompiere che era, gioca l’altra parte in tragedia: quella del piromane, straparlando di truppe Nato a Kiev. Lui ha il problema di salvare la faccia. Noi, la pelle: quella degli ucraini e anche la nostra.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

18 marzo 2024

Premier premiata. “Meloni, premio negli Usa (lo stesso di Draghi)” (Corriere della sera, 12.3). Il Cameriere dell’Anno.

Dal nostro inviato sull’amaca. “Assange e Navalny pari non sono… Ogni paragone, anche vago, tra i torti delle democrazie e quelli dell’autocrazia putiniana e semplicemente insensato. E Assange, comunque un unicum, è un sassolino messo sul piatto della bilancia, mentre su quell’altro piatto c’è un macigno” (Michele Serra, Venerdì di Repubblica, 15.3). Vuoi mettere la soddisfazione di farsi perseguitare dalle democrazie.

Il Merlo bianco. “L’Ucraina abbia il coraggio di alzare bandiera bianca e negoziare. Non è una resa, ma il bene del popolo” (papa Francesco, 9.3). “Fatico e trovare Cristo nell’idea che il più debole debba trovare il coraggio della bandiera bianca, il coraggio di arrendersi al più forte”, “Il Papa con molta chiarezza ha detto che l’Ucraina dovrebbe avere il coraggio di sventolare la bandiera bianca della resa” (Francesco Merlo, Repubblica, 12 e 14.3). Quindi, oltre a non saper scrivere, Merlo non sa neppure leggere.

L’ultima profezia. “Parla Piero Fassino: ‘Il Pd deve parlare a tutti, moderati e riformisti (e stare con Israele)” (Riformista, 13.3). Altre cazzate?

Rimbambiden. “Biden e l’Armageddon quella sera da Murdoch: ‘Putin è a un passo dal nucleare contro Kiev’” (Repubblica, 11.3). Ma era solo la moglie che lo avvisava di aver buttato la pasta.

Transennate i seggi/1. “Caccia ai voti degli ex Dc: Renzi corteggia Follini” (Messaggero, 15.3). Gnamm!

Transennate i seggi/2. “Renzi contro Ursula: ‘Serve una leader non una follower’” (Stampa, 11.3). “‘Von der Leyen non va rieletta’. Poi Renzi attacca Forza Italia” (Corriere della sera, 11.3). Anche le zanzare hanno la tosse.

Transennate i seggi/3. “Renew Italia: Pizzarotti sfida Magi. D’Amato: ‘Nessun veto’” (Riformista, 16.3). Ma chi sono? Di che parlano? O è una sciarada?

Consecutio temporum. “La vicenda Consip ha indebolito il mio governo prima della botta del referendum e per delle accuse false ho perso 10 punti percentuali di consenso” (Matteo Renzi, Giornale, 13.3). Peccato che la vicenda Consip l’abbia rivelata il Fatto il 21 dicembre 2016 e il suo governo sia caduto la sera del referendum del 4 dicembre 2016. Com’era quella del lupo e dell’agnello?C

Chi si scusa con chi. “Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati”, “Non puoi dire che non conosci Mazzei perché lo conosco anche io”, “Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di m**da di Firenze per Medjugorje”, “È vero che hai fatto una cena con Romeo?”, “Non ti credo e devi immaginarti cosa può pensare il magistrato. Non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo, noto a tutti e legato a Rutelli e bo*****o” (Matteo Renzi al telefono col padre Tiziano sullo scandalo Consip, 2.3.2017). “Processo Consip, assolti Tiziano Renzi e Lotti. L’ex premier: ora le scuse” (Messaggero, 12.3.2023). Le sue a suo padre, si spera.

L’insaputo. “La casa al Colosseo? Il processo durò due anni e si concluse dandomi ragione definitivamente. Ma ormai ero condannato dal processo mediatico” (Claudio Scajola, sindaco di Imperia, Giornale, 15.3). No, si salvò dal finanziamento illecito in appello grazie alla prescrizione. Dopo la casa a sua insaputa, la sentenza a sua insaputa.

The Genius. “Parsi: ‘A Meloni conviene tifare Biden’” (Foglio, 16.3). Potrebbe pure organizzare dei riti woodoo.

Giornalismo fantasy. “Il campo largo fa scoppiare la coppia Casalino-Travaglio. La telefonata fra i due… ne discutono polemicamente anche al telefono” (Giornale, 16.3). “Il Giornale: ‘Travaglio e Casalino litigano sull’alleanza del M5s con il Pd’” (Open, 16.3). La telefonata è vera almeno quanto quelle fatte dal Giornale e da Open ai due interessati per verificare la notizia falsa.

Il titolo della settimana/1. “Più che pene alternative servono alternative alla pena” (Unità, 16.3). Tipo non commettere reati.

Il titolo della settimana/2. “Se diamo meno armi agli ucraini, i russi colpiscono più forte” (Foglio, 16.3). Più forte di quando gliene davamo di più?

Il titolo della settimana/3. “Spiavano anche il Cav per sbarrargli il Colle” (Giornale, 12.3). Ma lì bastava spiare le sentenze di Cassazione.

Il titolo della settimana/4. “Mistero Medvedev: i post più aggressivi dell’ex presidente russo coincidono con l’arrivo di vino dall’Italia. Un’inchiesta del giornale indipendente The Insider ha tracciato l’ingresso nel Paese dei carichi provenienti da un’azienda toscana di proprietà di un amico dell’ex presidente russo” (Repubblica, 16.3). Oh no, e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/5. “Vivono in auto con due bimbi piccoli, Antonella Viola compra loro una casa: ‘Ho voluto farlo in silenzio’” (Messaggero, 12.3). Ma niente, non si sa come la notizia è uscita lo stesso in simultanea su tutti i siti e i giornali. Vedi alle volte la sfiga.

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CHI NON MUORE SI RIVEDE

l'editoriale di Marco Travaglio

19 marzo 2024

La notizia non è che Putin ha vinto le elezioni dopo un testa a testa mozzafiato con se stesso. Ma che l’autocrate è ancora vivo, è saldo al comando, ha più consensi di quando invase l’Ucraina, la Russia esiste ancora, i russi sono contenti per la guerra e l’economia (il sondaggista indipendente Volkov a Repubblica: “I russi stanno col leader per l’economia e per Kiev. Un ruolo importante lo hanno giocato anche l’aumento di salari, pensioni e benefit sociali”). Che strano. Le famose sanzioni non hanno mandato Mosca “in default entro qualche giorno” (Letta, 9.3.’22), né avuto “il massimo impatto in estate” (Draghi, 31.5.’22), né sortito “effetti devastanti” (Gentiloni, 4.6.’22). Eppure gli espertoni erano unanimi. Mario Deaglio: “Il rublo non vale più nulla”. Dario Fabbri: “Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente”. Rep: “Il default russo è a un passo”. Stampa: “Per la Russia è default”. Giornale: “Mosca è in default (ma solo tra un mese)”. La sua “Armata Rotta” che “combatte con pale del 1869” e “le dita al posto delle baionette”, ha “finito i russi”, “le divise”, “le munizioni”, ”i missili” ed estrae “i chip per i carri armati da lavatrici, frigoriferi e addirittura tiralatte elettrici”, passava da una disfatta a una ritirata. E l’Invincibile Armata Kiev-Nato trionfava. Rampini: “È iniziata la disfatta militare russa”. Tocci: “Putin ha perso la guerra”. Ferrara: “Kiev le sta dando di santa ragione al colosso russo”. Riotta: “Putin sconvolto dalla Caporetto dell’esercito”. Molinari: “Putin isolato in un vicolo cieco”.

Sempreché fosse ancora vivo. Il dissidente Khodorkovsky alla Cnn: “Putin è impazzito, gli resta un anno o forse tre”. Recalcati (Rep): “Malato? Sofferente? Intaccato dalla morte”. New Lines: “Ha un tumore del sangue”. Daily Telegraph: “Sta morendo di cancro all’intestino”. Proekt, giornale indipendente russo: “Ha un tumore alla tiroide e lo cura facendo il bagno nel sangue estratto da corna mozzate di cervo”. Libero: “Cura il cancro con i clisteri”. Rep: “Il gonfiore del viso, il problema a una gamba, la fatica a muovere un braccio”. Messaggero: “Gonfiore e scatti d’ira da farmaci e steroidi per il tumore”. Stampa: “Demenza senile o Parkinson”. Corriere: “Problemi alla colonna vertebrale per pregressi traumi sportivi, o una neoplasia al midollo spinale compatibile con difficoltà deambulatorie e irrequietezze posturali… down depressivo ed esaltazione maniacale”. Giornale: “Può anche essere diabete”. Messaggero: “Putin è morto? Per Zelensky, ‘non è sicuro che sia ancora vivo’. Quello sugli schermi potrebbe essere una controfigura”. Ora che la cara salma ha rivinto le elezioni con una discreta cera, sorge un dubbio atroce: uno scambio di cartelle cliniche fra la sua e quella di Biden.

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IL CAMPO CARLO

l'editoriale di Marco Travaglio

20 marzo 2024

Carlo Calenda comunica: “L’asse giallo-verde è vivo e lotta insieme a Putin e Trump”, perché “Salvini ha fatto una dichiarazione di elogio a Putin. Conte non ha ritenuto di dire una parola sulle elezioni russe. Salvini inneggia a Trump, Conte rimpiange i tempi degli endorsement per ‘Giuseppi’. Salvini vota per le armi in Ucraina, ma prova a far passare ordini del giorno contro. Conte non vota l’invio di armi e vuole la resa dell’Ucraina. Salvini ha un accordo con Russia Unita… Conte e Salvini dovrebbero essere isolati e scaricati”. E lui, per scaricarli meglio, fa l’asse centro-verde con Salvini appoggiando il suo candidato in Basilicata, il presidente uscente Vito Bardi. Ma non se n’è neppure accorto, avendo ceduto in franchising la sezione lucana di Azione alla famiglia Pittella. Che purtroppo si è scissa tra il fratello maggiore Gianni e il minore Marcello. Entrambi erano trasmigrati dal Pd ad Azione, ma ora il secondo sta con Bardi (e, si suppone, con Calenda), mentre il primo è contro Bardi (e, si suppone, contro Calenda). Nessuna notizia per ora dei cognati, delle nuore, delle zie e dei cugini. In attesa dell’auspicato ricongiungimento famigliare, Calenda spiega che “su Bardi ho sempre espresso giudizi positivi”. Forse tra sé e sé, o a cena con Pittella (Marcello, non Gianni), perché dall’archivio Ansa non risultano suoi giudizi su Bardi (né positivi né negativi) a memoria d’uomo fino a una settimana fa, quando Carletto scoprì la Basilicata e si mise all’asta fra centrodestra e centrosinistra.

Di Bardi parlava invece Donato Pessolano, segretario di Azione in Basilicata (al quale va tutta la solidarietà), e malissimo: essendo all’opposizione, s’era fatto l’idea di doversi opporre a Bardi. Impresa piuttosto agevole, visti i disastri di Bardi. “I numeri – twittava il Pessolano nel giugno 2023 – smentiscono la propaganda di Bardi. La Basilicata soffre, il sistema sanitario regionale ha bisogno di una riforma seria”. E nel ’22, implacabile: “Bardi e la sua giunta non sono in grado di lavorare sui dossier urgenti. O un cambio di passo o si vada subito al voto”; “Dopo i fallimenti della destra di Bardi, è il momento di tornare protagonisti”; “Ricordate lo slogan ‘Prima i lucani’? L’ennesimo bluff della destra di Bardi, Casellati, Salvini e Meloni!”; “L’ultimo posto in classifica di Bardi tra i Presidenti di Regione non è un problema per Bardi, ma della Basilicata tutta”. Calenda non gli aveva spiegato che la vera opposizione si fa appoggiando i governi. E ora è proprio il Pessolano ad annunciare l’appoggio a Bardi che – assicura dopo la cura – “con tante difficoltà in cinque anni non è stato supportato da una squadra adeguata”. Ecco perché combinava solo disastri: gli mancavano Pessolano e Calenda.

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PROMEMORIA

l'editoriale di Marco Travaglio

21 marzo 2024

Breve promemoria per la Meloni e quelli che “Putin non vuole trattare, ma comunque con lui non si tratta perché ha invaso l’Ucraina” (oh bella: bisogna trattare proprio perché l’ha invasa). Zelensky ha vietato i negoziati per decreto. Putin, anche nell’ultimo discorso (tagliuzzato e ribaltato dai media occidentali), ha detto l’opposto: “Negoziare ora solo perché l’Ucraina sta finendo le munizioni e le serve una pausa per rifornirsi di armi, è ridicolo. Ma siamo pronti a un dialogo serio per risolvere tutti i conflitti e le controversie con mezzi pacifici, con garanzie serie per la sicurezza russa”. L’unico modo per sapere se mente è andare a vedere il bluff. Ricordando che due anni fa Putin e Zelensky, dopo vari incontri dei negoziatori in Turchia con Erdogan e l’israeliano Bennett mediatori, avevano accettato un piano di pace in 15 punti, svelato dal Financial Times: Mosca si ritirava dopo tre settimane d’invasione e non toccava Zelensky; Kiev rinunciava alla Nato e alle sue basi militari e sistemi d’arma e dava autonomia al Donbass in cambio di garanzie di sicurezza da Usa, Regno Unito e Nato.

15.3.2022, Zelensky: “Ammettiamo che non possiamo entrare nell’Ue e nella Nato”. Biden si mette di traverso dando a Putin del “criminale di guerra”. 17.3, Kiev: “Soluzione possibile, dieci giorni per la pace”. 21.3, Zelensky: “I compromessi Ucraina-Russia saranno decisi da un referendum ucraino. Si possono mettere ai voti le garanzie di sicurezza e lo status dei territori temporaneamente occupati in Donetsk, Lugansk e Crimea”. 22.3, Zelensky invita il Papa a Kiev e lo propone “garante della sicurezza” post-negoziato. 26.3, Biden: “Putin macellaio, non può restare al potere”. 27.3, Zelensky: “Neutralità e accordo su Crimea e Donbass in cambio della pace”. 28.3, Zelensky a giornalisti indipendenti russi: “Lo status neutrale e non nucleare dell’Ucraina siamo pronti ad accettarlo: la Russia ha iniziato la guerra per ottenere questo. Poi servirà discutere e risolvere le questioni di Donbass e Crimea. Ma capisco che è impossibile portare la Russia a ritirarsi da tutti i territori occupati: porterebbe alla terza guerra mondiale”. 5.4, Biden coglie i morti di Bucha al balzo per affossare i negoziati: “Non si tratta con un criminale di guerra che va processato”. Zelensky lo ignora: “Tragedie del genere… ti colpiranno sul polso mentre si fa una o l’altra trattativa. Ma dobbiamo cercare opportunità per compiere questi passi”. 9.4. È il giorno della firma dell’intesa russo-ucraina, che non ci sarà mai: Boris Johnson si precipita a Kiev e minaccia Zelensky: “L’Occidente non sosterrà alcun accordo di pace” (versione Ukrainska Pravda), “Non negoziate e continuate a colpire Putin” (versione Bennett). Mezzo milione di morti fa.

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I BARI DI BARI

l'editoriale di Marco Travaglio

22 marzo 2024

Il Pd pugliese ha gravemente peccato e dovrebbe confessare. Ma non ciò che non ha fatto e che gli rimprovera la destra più spudorata dell’universo: e cioè le collusioni mafiose, smentite anche dalla Procura di Bari, che parla di “fenomeno circoscritto”, “marginale”, che “non incide sull’attività dell’amministrazione”, che anzi “è sempre stata nella direzione della lotta alla criminalità”. Bensì ciò che ha fatto, ma che la destra si guarda bene dal rinfacciargli perché lo pratica sempre anch’essa: il trasformismo. Sia il sindaco Decaro sia il presidente Emiliano hanno imbarcato troppi voltagabbana da destra. E, fra gl’imbarcati (in Comune), c’era anche la consigliera finita sotto inchiesta per voto di scambio con i clan. Non sappiamo se sia colpevole o innocente, ma il suo ingresso ha sporcato il Pd e ha ripulito (ove mai fosse possibile) la destra. Almeno mediaticamente. Nei fatti sappiamo bene che il detersivo in grado di ripulire la destra italiana non è stato ancora inventato. Infatti, mentre il capogruppo forzista Gasparri tuona contro le presunte collusioni del Pd, l’inventore del suo partito Marcello Dell’Utri, condannato definitivo per concorso esterno in mafia, si vede sequestrare dal gip di Firenze una decina di milioni non dichiarati dopo la sentenza, in gran parte gentilmente offerti da B. negli anni del suo aureo silenzio. E, mentre il governo di destra cinge d’assedio Bari avviando l’iter per sciogliere il Comune, saltano fuori i video della Procura che immortalano un esponente del clan Parisi mentre compra voti per la consigliera ora indagata quand’era candidata della destra nel 2019 e spiega al compare che “Decaro non dà niente”, mentre “sono quelli (gli avversari di Decaro, ndr) che stanno dando un sacco di soldi… Stanno andando tutti quelli di Bari Vecchia, perché stanno dando i soldi, capito?”.

Di qui il Pd pugliese (ma non solo) dovrebbe partire per fare tesoro dello scandalo, finirla con le pratiche consociative, piazzare dei cerberi alle sue porte e abolire le primarie “aperte” ai non iscritti sul candidato sindaco: per evitare nuovi intrusi, stavolta dal basso e non dall’alto, servono meccanismi meno permeabili e più protetti. Ma solo nel Paese di Sottosopra può capitare che il governo di chi ha candidato tutto il peggio possibile, da Dell’Utri a D’Alì, da Cuffaro a Cosentino, e impedì financo il commissariamento del Comune laziale di Fondi, inquinato fin sopra i capelli dai clan, dia lezioni di antimafia a un sindaco sotto scorta per minacce mafiose. Per il centrodestra dei tartufi eredi del berlusconismo, andrebbe un po’ aggiornata la famosa risposta di Alberto Sordi, ballerino in Un americano a Roma, alle pernacchie del troglodita in prima fila: “Ormai hai trent’anni, è ora che tu sappia di chi sei figlio”.

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PAZZI DA SPA ZZARE

l'editoriale di Marco Travaglio

23 marzo 2024

Dopo le faccette nere in Senato, la premier cabarettista si è recata al Consiglio di guerra europeo che l’ha dichiarata alla Russia, anche se nessuno s’è accorto di lei. E forse lei non s’è accorta della dichiarazione di guerra alla Russia. La posizione dei leader che contano si è capita: Michel vuole “prepararsi alla guerra per avere la pace” (praticamente un deficiente); Borrell e Sánchez non vogliono “spaventare i cittadini europei” dicendo la verità, sennò poi non li votano; Macron si traveste da boxeur e vuole inviare truppe a Kiev (non si sa per fare cosa, visto che è l’unico) e frugare nelle nostre tasche per eurobond da investire in armi (mica nella lotta alla povertà e nel green); Scholz, Orbán e i nordici non vogliono altri salassi. È della Meloni che non si capisce la posizione, eccetto il fatto che attende ordini da Biden e trema all’idea che vinca Trump. Stando al documento finale, si direbbe che condivida l’agghiacciante Piano di emergenza con “un approccio multirischio ed esteso a tutta la società” per “rafforzare e coordinare la preparazione militare e civile e di una gestione strategica delle crisi nel contesto dell’evoluzione del panorama delle minacce” (le nostre: la Russia non ha mai minacciato di attaccare un Paese Nato o Ue, mentre è stato un governo Nato e Ue – la Francia – a minacciare di attaccare la Russia). Stando alle sue dichiarazioni di ieri (“Non ho visto un clima di guerra” e il Piano è roba da “protezione civile”), si direbbe che la Meloni non abbia capito ciò che lei stessa ha firmato. Stando alle parole di Crosetto (“Non dobbiamo preparare la guerra, ma scongiurarla”), si direbbe che la premier non parli col ministro della Difesa o che siano di due governi diversi. Stando invece alla sua celebre telefonata coi due comici russi (“Il problema è trovare una soluzione che sia accettabile per entrambe le parti”, russi e ucraini), viene da chiedersi perché non l’abbia mai pronunciata in Parlamento né in Ue.

Se alle elezioni europee di giugno e americane di novembre gli attuali leader e i loro partiti non saranno spazzati via, gli storici del futuro – ove mai sopravvivessero – dateranno al 21 marzo 2024 l’inizio della Terza guerra mondiale. Eppure gli europazzi scatenati che firmavano la dichiarazione di guerra se la ridevano beati, quasi che discutessero le misure delle zucchine come ai bei tempi. Non si sono neppure accorti del messaggio devastante che continuano a inviare al Sud del mondo: anatemi, condanne, sanzioni, e mandati di cattura per Putin; e chiacchiere da bar sulla tregua a Gaza per non toccare Netanyahu, che in cinque mesi ha sterminato 32 mila palestinesi, il triplo dei civili ucraini uccisi dai russi in due anni. Poi si meravigliano se ci odiano tutti.

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