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Dino

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GLI EDITTI STUPIDI

l'editoriale Marco Travaglio

07 febbraio 2024

Non abbiamo ben capito se la presenza di Giuliano Amato nelle carceri italiane per presentare il suo ultimo libro sia una pena accessoria per i detenuti (che, qualunque cosa abbiano fatto, non la meriterebbero), o invece il giusto riconoscimento a un uomo politico che in 85 anni suonati ha frequentato tanti inquilini (perlopiù mancati) delle patrie galere. Sia come sia, la decisione del Dap di rinviare il lieto evento previsto ieri a San Vittore non è forse l’anticamera del fascismo, come s’è affrettata a presentarlo Repubblica in prima pagina (“Divieto di parola”: ullallà, non male per chi fino all’altroieri compilava liste di proscrizione contro “putiniani” immaginari per radiarli da università, tv e giornali). Ma è certamente un sintomo di stupidità che non stupisce, visto che arriva dal ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio. Che ora, non bastando Amato, minaccia di partecipare pure lui alla presentazione con Amato, raddoppiando il danno sugl’incolpevoli reclusi. È la stessa ottusa stupidità della fatwa lanciata dalla Stampa contro il dibattito promosso dai 5Stelle nella loro scuola di formazione fra un libero pensatore di destra, Marco Tarchi, e due di sinistra, Donatella Di Cesare e Stefano Fassina, scomunicati come “rossobruni” da chi non sa neppure il significato delle parole che usa e necessiterebbe di un buon armocromista.

Una stupidità che fa il paio con la scelta del sindaco-fantasma di Roma, Roberto Gualtieri, e di alcuni dem di bloccare la cittadinanza onoraria per Julian Assange decisa da tutti i partiti con una mozione proposta da Virginia Raggi e dalla vera sinistra e votata (a fatica) persino dal Pd. Assange è perseguitato dagli Stati Uniti e dai loro servi per aver fatto il giornalista e svelato i loro crimini di guerra: recluso per sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e da cinque in un carcere britannico, fra privazioni e torture psicologiche indicibili. Ora rischia di essere estradato negli Usa e condannato a 175 anni di galera per aver pubblicato documenti veri. Il 20 febbraio l’Alta Corte del Regno Unito esaminerà il suo ultimo ricorso, l’ultima sua speranza di tornare libero. Un endorsement dalla capitale d’Italia (come quello del 2022 per Patrick Zaki) sarebbe un segnale importante, visti i silenzi dei governi turboatlantisti Draghi e Meloni. Ma ora il sindaco si proclama “neutrale” (tra un giornalista e chi l’ha ingabbiato per le sue notizie) e il Pd romano invoca “altre priorità” ben più urgenti di Julian: massì, lasciamolo estradare e seppellire in un carcere americano, poi magari ne riparliamo con calma. Sennò l’ambasciata Usa chi la sente. La prossima volta Assange si scelga meglio i nemici: si faccia arrestare in Ungheria.

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Dino

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SIAMO IN BUONE MANI

l'editoriale Marco Travaglio

08 febbraio 2024

Ai fan dell’elezione diretta del premier, segnaliamo il caso di Biden, affetto da una galoppante demenza senile che nessuno osa chiamare col suo nome per non favorire Trump. Appena Joe dà i numeri, cioè sempre, tutti parlano di gaffe. Ma c’è una bella differenza tra un gaffeur e un rimbambito. Per anni, da senatore e da vicepresidente, Biden seminò gaffe per il mondo. Definì Obama “il primo afro-americano di tendenza, parla bene, sveglio, pulito e bello”. Chiese un minuto di silenzio per la madre del premier irlandese che aveva appena perso il padre. Intimò a un senatore in sedia a rotelle: “Alzati, così ti vedono”. E così via. Poi si candidò alla Casa Bianca e iniziò a vedere cose mai avvenute e viceversa. Strinse la mano a un fantasma. S’inventò di aver assistito al crollo delle torri a Ground Zero. Svelò che “la Thatcher è seriamente preoccupata per Trump” (era la May: la Thatcher è morta nel 2013). Annunciò “l’Armageddon da Mosca”: un lancio di atomiche mai neppure pensato da Putin. Invocò il “cambio di regime in Russia”: subito smentito dai portavoce, come quando rivelò di avere il cancro (era un tumore alla pelle rimosso prima che fosse eletto). In un discorso in tv lesse la nota del suo staff: “Fine della citazione, ripeti la riga”. Disse che “la guerra russo-ucraina non si risolve finché l’Ucraina non si ritira” e “Putin sta perdendo la guerra in Iraq”. Ricevendo Modi, si pose la mano sul cuore all’inno indiano. Evocò un “patto sacro” con Taiwan che imporrebbe agli Usa di intervenire in caso di invasione cinese (e per fortuna non esiste). Non riuscendo a dire Hamas, l’ha appena chiamata “l’opposizione”. E ha narrato un incontro nel 2021 “col presidente tedesco Mitterrand” (francese, morto nel ‘96).

Un tempo lo stato di salute dei candidati Usa era un fatto pubblico e cruciale: il vecchio McCain, sfidando Obama, dovette esibire le cartelle cliniche. Ora, per paura di Trump, si finge di non sapere che Biden è fuori di testa e nessuno domanda chi comanda al posto suo. Ma è la questione più importante della politica mondiale. Nel marzo 2022 Putin e Zelensky si accordarono per il cessate il fuoco, poi arrivò il veto di Johnson e Biden che condannò a morte 500 mila fra ucraini e russi. Il 16 novembre 2022 il capo degli Stati maggiori Usa, generale Mark Milley, sentenziò: “Ci sono poche possibilità che i russi siano cacciati dall’Ucraina: l’inverno è una buona finestra per negoziare la pace”. Ma la Casa Bianca lo ignorò e spinse Zelensky alla controffensiva di primavera del 2023: altre 100 mila vittime ucraine e zero risultati. Chi prese quelle decisioni criminali al posto del rimbambito? Qualcuno che non è stato eletto e che, se Biden fosse rieletto, continuerebbe a far danni nel mondo e a restare impunito.

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SANREMO NOI

l'editoriale di Marco Travaglio

09 febbraio 2024

Sanremo ti ricorda qualcosa, ma non sai bene che cosa. È quasi tutto brutto: le scenografie, i costumi, gli smoking di Amadeus in acciaio inox e vetroresina, per non parlare dei testi dei monologhi (roba da rimpiangere persino la “pikkola Chiara” nel senso di Ferragni), 9/10 delle canzoni e pure i mazzi di fiori. Il dolore, il tumore, il lutto, il suicidio, la guerra, il body shaming diventano industria della lacrima, trash show a mezzadria fra il concerto dei neomelodici, il marketing cassamortaro delle onoranze funebri Taffo e il libro prêt-à-porter del padre della vittima di femminicidio. L’antifascismo è manierismo canzonettaro, col Bella Ciao di Ama&Mengoni. Anche la trasgressione è farlocca: il cantante autoironico di professione invoca il cessate il fuoco a Gaza, poi tiene a precisare “Non volevo essere politico: in vita mia ho fatto tante cazzate, ma non ho mai pensato di avvicinarmi alla politica” e, fra le tante cazzate, non ha ancora capito che se non ti occupi di politica è la politica a occuparsi di te.

A furia di levare questo e quello per il terrore di disturbare non si sa più neppure chi, non è rimasto nulla. Non una sorpresa, un sussulto, un eccesso, un fuori programma (nemmeno programmato), una cosa purchessia che somigli alla televisione e giustifichi tutte quelle telecamere in mondovisione: ma se non succede niente, che bisogno c’è di riprendere tutto in diretta? Fatelo in radio, l’anno prossimo. È vero: fa ascolti, cioè pubblicità, cioè soldi. Ma meno dell’anno scorso e più del prossimo. E li farebbe anche se fosse divertente. Non è snobismo da “io non mi abbasso a vedere Sanremo”. Certo che lo vediamo, un po’ per dovere d’ufficio, un po’ per rassegnazione. Ma cosa vieta di chiamare, oltre a Fiorello e Giorgia, qualcun altro bravo, uno del mestiere, al posto del carrello dei bolliti? Mentre ti poni queste domande, arriva sul palco lo storico scenografo per il premio alla carriera. E chi lo premia? Sua figlia, che lui nomina sua erede. Come nel governo dei fratelli, sorelle, figli, cognati e amichetti d’Italia; ma anche la cosiddetta sinistra chiagni & fotti che si pappa la Rai, poi fa i sit-in perché mangiano anche gli altri e misura la libertà d’informazione dal minutaggio dei leader. Poi arriva la star di Hollywood con le sneaker di cui è testimonial e, casomai non si notino abbastanza mentre accenna a due passi di danza con Amadeus, questi si leva le sue, ma mica è pubblicità occulta, figuriamoci: infatti è palese. Così pensi a Sgarbi, Gasparri, Lotito, i Berluschini, Elkann, De Benedetti, Caltagirone, Angelucci e a tutti gli altri che mica sono in conflitto d’interessi, figuriamoci: solo interessi e nessun conflitto. E finalmente capisci a chi somiglia Sanremo 2024: all’Italia del 2024. Quindi non è solo brutto: è anche perfetto.

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TALE E QUALE SHOW

l'editoriale di Marco Travaglio

10 febbraio 2024

Tutti a parlare dell’intervista di Putin e nessuno si accorge che è un sosia: l’originale è notoriamente morto o in fin di vita, o in default, o sconfitto, o nascosto nel bunker per paura dell’invincibile armata Nato.

Il presidente del Consiglio europeo che si congratula per la rielezione del dittatore azero Ilham Aliyev, responsabile della pulizia etnica anti-armena che ha cancellato dalle cartine il Nagorno Karabakh, non può essere il sincero democratico Charles Michel, cultore del diritto internazionale (in Ucraina) e nemico dell’autocrazia (in Russia): sarà un sosia.

Il presidente Usa che il procuratore Robert Hur decide di non processare perché “nessuna Corte condannerebbe un anziano che ha perso la memoria” e che, per dimostrare di essere lucido, dichiara che il presidente messicano è Al-Sisi e che lui parla abitualmente con Mitterrand e Kohl (morti nel 1996 e nel 2017), non può essere il Biden che si ricandida per altri quattro anni: sarà un sosia.

La leader Pd che dichiara al Foglio di “non poter fare a meno del Festival” perché “Sanremo è Sanremo e non si discute”, è “il mio Festival tra canzoni e femminismo”, e regala succulenti particolari sulla pagina Facebook che amministra dal 2009 commentando le canzoni e financo gli “outfit (“molto bello quello di Big Mama”: testuale), non può essere la Elly Schlein che l’altra sera tuonava solitaria (cioè con la Boschi) contro TeleMeloni (peraltro deserta perché erano tutti a Sanremo) che manda in onda il Festival di Sanremo: sarà una sosia.

Il bravo presentatore di Sanremo che nega come “stronzata” la pubblicità occulta, anzi palese alle sneaker di cui è testimonial John Travolta non può essere l’Amadeus che durante il Ballo del qua qua se n’è uscito a buffo con un “Don’t worry, be happy”, guardacaso lo slogan della marca delle sneaker: sarà un sosia.

Quella che da un mese strilla contro chi l’accusa di fare gli interessi di Elkann non può essere la Repubblica che in prima pagina non ha una riga su Elkann indagato: sarà un giornale-sosia.

L’italovivo che per dieci anni ci ha rotto i timpani e non solo quelli con la “certezza della pena” non può essere il Renzi che lancia sul Riformatorio la proposta Giachetti di trasformare ogni anno di pena in soli 7 mesi: sarà un sosia.

Invece l’impunito che sei anni fa esultava perché il Tribunale di Firenze mi aveva inflitto 50 mila euro di risarcimento a suo padre Tiziano per aver detto la verità a Otto e mezzo, era proprio lui. Infatti ora che la Cassazione ha annullato la mia condanna tace, perché aveva già detto tutto allora: “Dopo le menzogne e il fango, la verità prima o poi arriva, ci sono dei giudici in Italia, bisogna solo saper aspettare, il tempo è galantuomo”. Almeno il tempo.

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PORNOGRAFIA DEL BENE

l'editoriale di Marco Travaglio

11 febbraio 2024

L’ultima frontiera del cretinamente corretto è l’ondata di sdegno (a quando un intervento di Mattarella?) perché un cantante viene fischiato a Sanremo. L’idea che chi paga cifre astronomiche per un biglietto all’Ariston abbia il diritto di trovare brutta una canzone e fare ciò che si fa in tutto il mondo da quando esiste il teatro, cioè fischiare chi non piace e contestare chi lo premia, è ormai insopportabile. Hanno subìto fischi i più grandi registi, attori e cantanti della storia, ma il rapper Geolier no, lui non può: siccome è napoletano, chi non apprezza il suo brano (peraltro incomprensibile in mancanza di sottotitoli), è un fottuto razzista. Si dice che i social ci assuefanno e mitridatizzano a tutto. Ma è molto peggio: ci rendono insensibili alle cose gravissime (tipo la mattanza di Gaza o quel gran genio di Stoltenberg che annuncia la lieta novella di “dieci anni di guerra con la Russia”) e sensibilissimi a quelle normali (i fischi a un rapper, manco l’avessero menato). È una forma di razzismo alla rovescia: siccome molti razzisti ce l’hanno coi meridionali e in particolare coi napoletani, vige l’obbligo di applaudirli tutti, a prescindere. E la stessa immunità avvolge tutti i portatori di messaggi positivi. BigMama combatte meritoriamente il body shaming. Ma è una cantante e si esibisce a Sanremo sottoponendosi al giudizio del pubblico. E non va valutata per le idee, ma per la canzone: se questa è una ciofeca, si può dirlo liberamente senza passare per tifosi del body shaming?

La morte di Giogiò Cutolo, il giovane musicista ucciso in strada a Napoli per un parcheggio, è un dramma insopportabile e bene ha fatto Amadeus a invitare la madre Daniela a ricordarlo sul palco. Ma non si poteva evitare la pornografia del dolore con qualcosa di meno trash e retorico? Il discorso di mamma Daniela alla “nazione” (picco d’ascolti: 16 milioni) dava l’impressione che si stesse candidando a qualcosa. Infatti l’indomani è partito il casting di FdI, seguito dalla disponibilità dell’interessata a correre per le Europee. Tutto legittimo, per carità, anche se per l’Ue servirebbe qualcosa in più di una tragedia in famiglia. Così come per la sorella di Giulia Cecchettin, che s’è fiondata nella famoseria sanremese inventandosi un’astrusa polemica contro il tristissimo e noiosissimo pistolotto del cast di Mare fuori. Il tutto alla vigilia del lancio del libro del padre, amorevolmente seguito dall’Andrew Nurnberg, agenzia londinese di marketing per autori e attori di fiction. Tutto legittimo anche questo, ci mancherebbe. Ma quando persino la morte dei propri cari esce dal silenzio che si deve ai defunti e diventa trampolino di lancio, ascensore sociale e quarto d’ora di celebrità, lasciateci almeno il diritto all’imbarazzo. E al fischio.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

12 febbraio 2024

Orbadeus. “Il Festival sovranista è un disastro” (Domani, 9.2). Resta da capire se il sovranismo l’abbia portato Amadeus, Fiorello, Crowe o Travolta.

Padroni ingrati. “Se i ministri di destra ci querelano”, “Che un governo di destra… provi a estorcere soldi a giornali che per loro, e direi nonostante loro, hanno combattuto e combattono gratis battaglie epocali contro chi li vorrebbe morti, è il segno di quanto il potere possa dare alla testa” (Alessandro Sallusti e Davide Vecchi, direttori Giornale e Tempo, 9.2). Ma come: noi vi facciamo i camerieri gratis e voi ci chiedete soldi?

Merloni. “Quando Elly Schlein dirà ‘mai più con i 5Stelle’ sarà comunque troppo tardi” (Francesco Merlo, Repubblica, 2.2). La Meloni non vede l’ora.

Teste. “Schlein: ‘Sarà un testa a testa con Meloni’” (Messaggero, 7.2). Basta rintracciare le teste e il più è fatto.

Facce. “Renzi: ‘Alle Europee ci metto la faccia’” (Matteo Renzi, Iv, Messaggero, 6.2). Il tempo di trovarne una.

Uozzamèrega! “Noi non siamo ambigui, sappiamo chi scegliere tra Trump e Biden” (Elly Schlein, segretaria Pd, Corriere della sera, 6.2). Ma quindi si candida in America?

Mosche cocchiere. “Renzi: ‘Con questo Pd il governo Meloni dorme sereno’” (Libero, 7.2). Disse il noto oppositore mentre votava la riforma della giustizia del governo Meloni.

Sempre lucido/1. “Un lucido intellettuale come Carlo Galli sostiene da tempo che il M5S è l’erede dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini” (Stefano Folli, Repubblica, 7.2). Lo lustrano ogni mattina col Sidol.

Sempre lucido/2. “Paragonare Trump a Hitler: l’arma di Biden per rilanciarsi” (Domani, 18.1). Ideona vincente, se solo si ricordasse chi è Hitler.

Bei tempi. “Neppure Berlusconi aveva devastato la Rai, la Costituzione come il governo Meloni” (Beppe Giulietti, Foglio, 8.2). Quindi lo smemorato non è solo Biden.

M’hai detto un Prospero. “’Viva il guinzaglio!’: Travaglio e Belpietro ai piedi di Orbàn” (Michele Prospero, Unità, 7.2). Lo portano via.

Tutti fuori. “Schlein: ‘Più detenuti non vuol dire sicurezza’” (Unità, 9.2). Giusto: vuoi mettere la sicurezza di avere tutti i detenuti a piede libero.

Una prece. “Travaglio, mi fai schifo. Tu da questo momento non sarai più tranquillo di parlare contro di me perché ogni giorno parlerò contro di te. Sarà una persecuzione” (Vittorio Sgarbi, ex sottosegretario Cultura, 4.2). Brrr che paura.

Sempre Chiara. “Si potrebbe riflettere sul fatto che il libro, pensato e disegnato per essere aperto e riaperto e consultato anche a distanza di mesi, forse di anni, mal si concilia con uno studio che somiglia a un gioco a tappe – spesso macabro e infatti il disagio studentesco è forte – e non a un processo in cui c’è un titolo da conseguire ma soprattutto un metodo da acquisire e con esso, si spera, consapevolezza culturale. Si potrebbe riflettere che senza libri in comune, coi quali essere d’accordo o no, non ci si esercita e abitua ad avere e creare riferimenti comuni, direi alfabeti… Nessuno capisce niente all’inizio, poi si studia, si parla, si ascolta, ci si confronta, si osserva, si sbaglia. E certe volte non si capisce comunque” (Chiara Valerio, Repubblica, 8.2). Ma infatti.

Lanzichenecchi. “Una piccola storia ignobile che mi tocca raccontare, così solita e banale come tante. Cantava Guccini. Io invece mi siedo su un treno. Tre sedili dei quattro ordinari, sono già occupati. Al mio posto c’è un tovagliolo sporco, un tubo di Pringles e una bustina di carta. Piccola, forse conteneva un regalo. Verde scuro. Chiedo di chi sono le patatine e in tre mi rispondono erano già qui. Mi chiedo quale sia il senso del collettivo. Di chi lascia i propri resti in uno spazio comune e di chi si siede e resta in uno spazio comune pur di non alzarsi e buttarli, di chi li sposta dal proprio spazio per lasciarli nello spazio di un altro. Prima per sé e poi per gli altri. Erano già qui mi hanno ripetuto in coro e a quel punto ho detto E voi, anche a casa vostra, vivete nella spazzatatura (sic, ndr)? nessuno ha detto niente. La questione non è l’indignazione è una sofferenza logica. Perché stare scomodi quando si può stare comodi, perché non correggere una stortura? mistero” (Chiara Valerio, Instagram, 9.2). Sono bei problemi.

Esilio a Ventotene. “In quello spazio di sopravvivenza morale che rimane Rai3 intorno all’ora di cena, è tornato Pif” (Antonio Dipollina, Repubblica, 3.2). Ma va a ciapa’ i ratt.

Il titolo della settimana/1. “Orlando: ‘Se Conte corre per perdere lo dica’” (Manifesto, 3.2). Deve averlo scambiato per quel segretario del Pd sostenuto da Orlando, tale Letta.

Il titolo della settimana/2. “Michele Misseri esce dal carcere: vivrà nella villa del delitto” (Giornale, 31.1). Due settimane e ancora nessuno che l’abbia candidato alle Europee.

Il titolo della settimana/3. “Reggio Emilia, detenuto incappucciato e torturato: il video shock del pestaggio in carcere” (Repubblica, 10.2). Questo Orbàn non conosce vergogna.

Il titolo della settimana/4. “Il nuovo libro di Renzi”,“Prostamol, il più consigliato in farmacia” (Libero, pagina 10, 4.2). La seconda che hai detto.

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IL REGALO DI TRUMP

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13 febbraio 2024

Il segretario generale Nato Jens Stoltenberg e l’ex e forse futuro presidente Usa Donald Trump hanno parlato del futuro dell’Europa. Il primo l’ha condannata a “decenni di confronto con la Russia” perché “se Putin vince in Ucraina non c’è garanzia che non aggredisca altri Paesi” e “dobbiamo espandere la nostra industria militare più velocemente, aumentare le forniture all’Ucraina e rifornire le scorte” per “passare da una produzione lenta da tempi di pace a una veloce da tempi di guerra”. Il secondo ha riferito la sua risposta al capo di un grande Stato europeo che gli chiedeva se lo difenderebbe da un attacco russo nel caso in cui non mantenesse l’impegno Nato di alzare la spesa militare al 2% di Pil: “Non ti proteggerei e incoraggerei i russi a fare quel diavolo che vogliono. Paga i tuoi conti, se no sei un delinquente”. La frase di Stoltenberg è passata liscia come acqua fresca, mentre quella di Trump ha indignato le cancellerie europee e la stampa al seguito. Eppure lo scenario Trump conviene all’Europa molto più dello scenario Stoltenberg. Sempreché qualcuno si ricordi perché esiste l’Europa.

Il sogno europeo di De Gasperi, Adenauer e Schumann nasce dall’impegno a evitare la terza guerra mondiale con il progetto, purtroppo rimasto sulla carta, di un’integrazione non solo economica, ma anche politica e militare finalizzato alla convivenza pacifica e alla sicurezza reciproca. In questo spirito, per rimuovere tutte le possibili cause di conflitto, nel 1975 l’Ue firmò con Usa, Urss e Canada gli accordi di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, da cui nacque l’Osce. Nel 1990, caduto il Muro e finita la Guerra fredda, Gorbaciov accettò l’unificazione tedesca con l’ingresso della Germania Est nella Nato in cambio dell’impegno di Usa, Ue e Nato a non estendere l’Alleanza un solo palmo oltre il nuovo confine tedesco. Cioè a non minacciare la Russia. Da allora la Nato, anziché sciogliersi per mancanza del nemico, tradì per ben 16 volte quella promessa, allargandosi a Est da 16 a 32 Stati membri. Non contenta, bombardò e destabilizzò la Serbia alleata di Mosca e la mutilò del Kosovo. Infine annunciò l’ingresso di Georgia e Ucraina, gettando le basi per la criminale invasione russa del 2022. Se ora Trump vuole sciogliere la Nato, l’Europa dovrebbe approfittarne per creare una propria difesa (un esercito al posto di 27, risparmiando con le economie di scala) e una propria politica estera autonome dagli Usa. E promuovere una nuova conferenza di Helsinki che garantisca la sicurezza di tutti, incluse Russia e Cina. Che non sta scritto da nessuna parte che siano nostre nemiche. Se gli Usa vogliono continuare a combatterle, affari loro. Noi europei potremo finalmente iniziare a farci gli affari nostri.

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EMMA BONINO

l'editoriale di Marco Travaglio

14 febbraio 2024

“Tutti in coda da Bonino. La gara dei ‘corteggiatori’”. A questa scena imbarazzante tipo Uomini e donne (manca solo Tina Cipollari) il Corriere dedica un’intera pagina, perché è roba grossa. La tronista radicale ha convocato il 24 febbraio in un centro congressi (si prevedono folle oceaniche) un plotone di corteggiatori, ansiosi di accaparrarsi i suoi milioni di voti per fare cappotto o almeno superare il 4% alle Europee: +Europa, Azione di Calenda, Iv di Renzi, il Pd di Schlein, i Verdi di Bonelli, i socialisti di tal Maraio. Tutti invitati dalla nota trascinatrice di masse, tranne uno: il solito fortunello Conte, escluso perché “i 5S hanno esordito col leader della Brexit Farage e votato contro il sostegno a Kiev”. E lei alla coerenza ci tiene. Pasionaria pacifista, ha sostenuto tutte le guerre Nato. E ha risieduto in Parlamento per 46 anni, dal 1976 al 2022: 11 legislature, di cui 8 in Italia e 3 in Europa, ora coi radicali, ora con B. (ai bei tempi di Previti e Dell’Utri), ora con Prodi nell’Ulivo, ora col Pd, ora col clericale Bruno Tabacci per non dover raccogliere le firme per il suo progetto anticlericale. Senza contare le sei o sette autocandidature al Colle, tutte fallite, e i vari incarichi di governo in Italia e in Europa. Franza o Spagna.

Il guaio è che, mentre lei riusciva sempre ad agguantare un seggio (tranne nel 2022), i suoi partiti variamente denominati (cambiano nome ogni due anni) finivano invariabilmente trombati: mai superata la soglia nazionale del 3% e quella europea del 4. Nel 2018, alle Politiche, tutti la davano per trionfatrice: fece il 2,55%. Nel 2019, alle Europee, tutti le vaticinavano strepitosi successi: fece il 3,09. Del resto già nel 2010, quando il centrosinistra la candidò a presidente del Lazio (rigore a porta vuota), riuscì a consegnare la Regione alla Polverini. Eppure tutti continuano a scambiare la nota frequentatrice di se stessa per una gallina dalle uova d’oro. Lei tronista e, ai suoi piedi, i corteggiatori attratti dalle sue messi di voti e dalla chiamata alle armi contro la “destra reazionaria e sovranista” che minaccia l’Ue. Nobile proposito, se non fosse che nel 1999 una certa Bonino, eletta a Strasburgo con altri 6 della Lista Bonino, formò il “Gruppo tecnico dei deputati indipendenti” con tutti i peggiori nemici dell’Europa: i 3 eletti della Lega Nord, quello del Msi-Fiamma Tricolore, i 2 fasci belgi di Blocco Fiammingo (poi sciolto dopo varie condanne per razzismo e xenofobia) e l’intera delegazione del Front National di Le Pen. Non la figlia moderata Marine: il padre fascistissimo Jean-Marie. Il leggendario “gruppo Bonino-LePen” fu subito sciolto perché illegittimo: primo e unico caso nella storia dell’Europarlamento. Chissà se le due Bonino si sono mai conosciute.

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ILLUSTRATOFIAT

l'editoriale di Marco Travaglio

15 febbraio 2024

Quand’ero bambino, siccome mio padre lavorava alla Fiat, ogni due mesi ci arrivava a casa IllustratoFiat, l’house organ aziendale che raccontava i nuovi modelli del gruppo, ma anche le storie di dirigenti, progettisti e operai. Due anni fa ha chiuso alle soglie dei 70 anni. Nessuno, leggendolo, si aspettava una visione imparziale dell’industria dell’auto. Era la voce della Fiat, molto più onesta degli altri giornali di casa Agnelli (ora Elkann): prima La Stampa (per i torinesi “La Busiarda”), ora anche il Secolo XIX e Repubblica, che se la tirano da testate indipendenti, anche se tutti sanno chi e a cosa servono. A volte, grazie agli attributi di alcuni direttori e alla furbizia di Gianni Agnelli, riuscivano, se non a essere indipendenti, almeno a sembrarlo (nel 2005 Giulio Anselmi mise in prima pagina sulla Stampa il ricovero di Lapo Elkann in coma dopo il festino con droga e trans). Ma sono lontani ricordi. Oggi i lettori di Repubblica e Stampa, per sapere che John Elkann è indagato per frode fiscale, devono munirsi di microscopio elettronico e fare la caccia al tesoro nelle pagine interne: non una sillaba in prima e, dal secondo giorno, neppure nelle altre. Il tutto mentre Stampa e Repubblica gridano un giorno sì e l’altro pure al bavaglio di destra (come se non ne avessero uno incorporato), ai conflitti d’interessi di destra (come se non ne avessero uno grosso come una casa) e alle censure di TeleMeloni, cioè della Rai che nasconde le notizie negative sul suo editore (il governo) esattamente come Stampubblica col suo. Siccome poi il gruppo Elkann è molto filo-Usa&Israele, la catena degli affetti si allunga alla politica estera. Infatti un mostro sacro come Bernardo Valli se n’è andato inorridito da Repubblica.

Martedì Rep apriva col leggendario titolo “La destra marcia sulla Rai. La maggioranza censura le parole di Ghali”. Purtroppo lo stesso giorno il Fatto rivelava che da venerdì Rep aveva un’intervista a Ghali ma, siccome le sue risposte su Gaza e Israele non garbavano al direttore Sambuca Molinari, l’aveva fatta sparire. È riapparsa solo sul sito di Rep e solo quando il Fatto ha rivelato la censura, accanto a un tragicomico comunicato che smentiva categoricamente la censura confessata lì a fianco e poi denunciata anche dal Cdr. In compenso, sempre martedì e sempre su Rep, Francesco Merlo dava dell’“antisemita” e del “cretino pieno di idee” a Ghali per aver denunciato la mattanza di Gaza dal palco di Sanremo: insulti che nessun censore di TeleMeloni si è mai sognato di lanciare, mentre sono il lessico familiare del mazziere di Sambuca, già noto per aver paragonato Zerocalcare agli stragisti di Hamas. Se Stampubblica si decidesse finalmente a chiamarsi IllustratoFiat, sarebbe tutto più chiaro. E più onesto.

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CI VORREBBE UN AMICO

l'editoriale di Marco Travaglio

16 febbraio 2024

A sentire le scempiaggini che dicono persone ritenute intelligenti viene da domandarsi: ma non ce l’hanno un amico che le consigli e soprattutto le sconsigli?

Ieri dicevamo di Repubblica-IllustratoFiat che strilla contro TeleMeloni perché censura le notizie scomode sul suo editore (il governo) e intanto riesce a non mettere mai in prima pagina l’inchiesta per frode fiscale sul proprio, di editore (John Elkann). Bene, proprio ieri il caso Elkann ha finalmente guadagnato gli onori della prima pagina. Ma non per i nuovi sviluppi dell’indagine per frode fiscale: per il piagnisteo di John, Lapo e Ginevra. Testuale: “Elkann: da 20 anni nostra madre ci perseguita”. Maestra, la mamma mi fa la bua. Oh no, povera stella, chiamiamo il Telefono Azzurro. Possibile che John non abbia una persona cara che gli impedisca di rendersi ridicolo? E che il suo direttore Sambuca, anziché stendere un velo pietoso sul piagnisteo, lo sbatta in prima, dopo aver pubblicato in Cultura il grido di dolore di Elkann senior per i “lanzichenecchi” che funestarono il suo viaggio a Foggia?

Da due giorni i quotidiani sono pieni di dotte analisi sulla storica telefonata della Schlein alla Meloni su Gaza, seguita dalla storica mozione che chiede a Netanyahu di cessare il fuoco perché 30 mila morti sono troppi (pazienza 29 mila, ma 30 no), passata con i voti del Pd e l’astensione delle destre. Ora, a parte il brutto spavento che si sarà preso Netanyahu, sempreché l’abbia saputo, non pare che intenda ritirarsi perché glielo chiede il Pd col Ni dei Melones. Infatti la mozione più inutile della storia serve ai giornaloni per riprendere la rumba sull’epica sfida tra Giorgia ed Elly, che presto si vedranno da Vespa e poi si candideranno a Strasburgo per poi non metterci piede. Dei palestinesi non frega niente a nessuno. La mozione su Gaza serve a dimostrare un altro evento epocale: “Giorgia ed Elly sole sul ring si scelgono come avversarie. Salvini e Conte finiscono nell’ombra” (Corriere); “si sono promosse avversarie e sanno che l’una ha bisogno dell’altra per terminare la costruzione di se stessa” (Merlo, Rep). Ma Elly non ha un amico per farsi spiegare che spetta a lei dimostrare di essere una leader e che farsi scegliere dall’avversaria è un’imbarazzante prova di inferiorità, sudditanza e insicurezza?

Il rabbino di Roma Riccardo Di Segni è un uomo di valore. Eppure, nella sua lettera a Rep, riesce a deplorare la frase di Ghali, a invocare un ridicolo “contraddittorio” sul palco dell’Ariston, a lagnarsi perché il Papa non condanna abbastanza il pogrom di Hamas (falso, ma purtroppo non c’è il contraddittorio) e a non dire una parola sui 30 mila civili massacrati da Israele. Anche lui non ha amici, o ha gli amici sbagliati?

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EI FU

l'editoriale di Marco Travaglio

17 febbraio 2024

L’altra sera a Ottoemezzo c’era il juke-box di Bin Salman, se possibile più respingente del solito. Parlava col “noi” maiestatico, manco fosse il Papa (ma “noi” chi?). A parte le freddure (“La verità ti fa male, lo so”, “Conte è una banderuola, noi siamo coerenti”, “Il Superbonus ha distrutto il Paese”, “Il mio libro è andato bene”, “Ho una credibilità internazionale”), è riuscito a non dire una cosa vera in 35 minuti. Si è vantato contemporaneamente di aver creato i governi Conte-2 e Draghi e di aver votato la commissione Covid sui governi Conte-2 e Draghi. Ha chiesto di indagare su “Conte che chiamò Putin e fece entrare l’esercito russo in Italia”. Ma il Copasir ha già indagato e sentenziato che la missione russa del 2020 fu “esclusivamente in ambito sanitario con il compito di sanificare ospedali e Rsa… sempre scortata da mezzi militari italiani”: può raccontargliela l’amico Guerini, allora alla Difesa, che la preparò con i russi prima della telefonata Putin- Conte e alla fine ringraziò Mosca. Poi si è bullato di aver “chiesto nel marzo 2020 di riaprire le scuole”, il che avrebbe evitato un milione di anoressici o bulimici: ma lui chiese di riaprire tutto, non solo le scuole, dopo tre settimane di lockdown perché “col virus possiamo convivere”, proprio nel giorno del record di morti (889). Poi ha detto di aver esibito in tv il conto corrente da 15mila euro perché chi governa non deve far soldi: ma era il 2018, governava Gentiloni.

A quel punto ha iniziato a rispondere a pene canino. Domanda sulla sua querelomania: “Hanno arrestato mio padre e mia madre, indagato mia sorella, mio cognato e me” (per dire la sua bella famiglia), ma poi “mio padre e mia madre sono stati assolti” (in un altro processo: quello dell’arresto è in corso e il pm ha chiesto la condanna di padre, madre e sorella) e “io sempre prosciolto o archiviato” (è imputato nel processo Open), mentre “il Fatto è stato dichiarato colpevole di diffamazione progressiva e costante” (ma la colpevolezza si decide in Cassazione, non in Tribunale: dovrebbe saperlo almeno suo padre che in Cassazione ha appena perso). Domanda sui soldi da Bin Salman, ritenuto da Cia e Onu il mandante dell’assassinio del giornalista Khashoggi: “Sa come si chiama il capo della Cia? Sei mesi fa era con me ad Amman e parla con Bin Salman sul Medio Oriente” (ma non prende soldi da lui e non è senatore). E a Riad “i diritti sono aumentati: le donne guidano la macchina”. Ogni tanto, come i vecchi guitti di Polvere di stelle, rimembra le vecchie gag: “Io ho preso il 40% e gli altri no”. Risultato: 6,7% di share, minimo storico di Ottoemezzo senza Sanremo o la Nazionale contro. Uno sfollagente. Un tempo lo guardava anche chi lo detestava. Ora pare che si stia sulle palle da solo.

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IL CONGRESSO DI VESPA.

l'editoriale di Marco Travaglio

18 febbraio 2024

Altro che la morte di Navalny, la caduta dell’ennesima roccaforte ucraina, la strage all’Esselunga, i fondi neri di casa Elkann. La notizia dell’anno, anzi del secolo è un’altra, su cui veniamo quotidianamente aggiornati da un mese. 18.1: “Duello tv Meloni-Schlein, al via preparativi”, “Sul conclave Pd piomba il duello tv Schlein-Meloni: ‘Staff al lavoro’. All’ex convento in bus ‘cantando Ranieri’” (Ansa). “Avviate interlocuzioni staff Meloni-Schlein per duello tv” (Agi). 8.2: “Confermato duello tv Meloni-Schlein” (Ansa). “Duello tv Schlein-Meloni si farà. Staff al lavoro su regole”, “Meloni-Schlein, prossima settimana incontro staff” (Agi). 9.2: “Giorgia-Elly, il duello si sdoppia: il primo sulla Rai, l’altro a Sky” (Messaggero). 11.2: “Ancora non ci sarebbero date anche se gli staff si starebbero confrontando. L’idea è un faccia a faccia in tempo prima che scatti la par condicio, che imporrebbe un confronto tra tutti i candidati” (Ansa). 13.2: “Gli staff si parlano per il duello tv. Nuovi contatti fra i portavoce” (Corriere). 15.2: “Emme contro Esse. Memole il folletto contro il manga Occhi di gatto… materia e antimateria… si cercano, si studiano, si telefonano, si provocano e si corteggiano… Gli staff si parlano, contrattano, mediano… Gli allenatori sono al lavoro” (Corriere); “Contatti tra gli staff. In pole Vespa, poi Sky” (Stampa). 16.2:“Oggi contatti staff Meloni-Schlein per confronto tv. Dettagli e modalità verranno definiti nei prossimi incontri. Lo fanno sapere gli staff” (Ansa).

Casomai qualcuno fosse tentato di snobbare la portata storica dell’evento, a metà strada fra il congresso di Vienna e la conferenza di Yalta, lo invitiamo a riflettere: vi pare che staff e allenatori delle due statiste (da una parte il sottosegretario Fazzolari, dall’altra Ruotolo, il portavoce Alivernini e il capo-segreteria Righi) perderebbero tanto tempo nei preliminari e le meglio penne del bigoncio vivrebbero in perenne erezione, se non ne andasse dei destini del pianeta? Suvvia. Piuttosto vorremmo sapere tutto di questi “contatti” fra gli staff che – svela il Messaggero– non si sono visti, ma lo faranno “in campo neutro, magari negli uffici della Camera e di prima mattina per dare poco nell’occhio”. Si sfiorano in Transatlantico infilandosi nelle rispettive tasche bigliettini cifrati? Nascondono messaggi in codice negli annunci commerciali dei giornali? Accendono e spengono le luci degli uffici con l’alfabeto Morse dopo il tramonto? Ma soprattutto: che dovranno mai dirsi, visto che i dibattiti politici in tv si fanno dalla notte dei tempi? Decidere il dress code e l’armocromia dei tailleur, o il trucco e parrucco bipartisan? Le domande e gli intervistatori? Nel caso, meglio fissare un livello massimo di bava, per non scivolare in studio.

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Ma mi faccia il piacere

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Sherlock Mieli. “Dura polemica tra Israele e il Vaticano, secondo Israele le parole di Parolin sono squilibrate e dietro ci sarebbe Papa Francesco” (Paolo Mieli, Radio 24, 15.2). Il sospetto che dietro la Santa Sede si nasconda il Papa era piuttosto ardito, ma il Mossad l’ha sgamato.

IllustratoFiat. “La difesa degli Elkann: ‘La madre li perseguita’” (Repubblica, 15.2). “Eredità, legali di Elkann al contrattacco: ‘Da 20 anni perseguitati dalla madre’” (Stampa, 15.2). “I legali di Elkann: ‘Fondi eredità non nascosti, ma dichiarati. L’assetto di Dicembre non è in discussione’” (Repubblica, 18.2). “I legali di Elkann: ‘I fondi dell’eredità già dichiarati al Fisco. E l’assetto di Dicembre non si discute’” (Stampa, 18.2). Ma questi due giornali che smentiscono notizie mai date avranno mica qualcosa a che fare con gli Elkann?

Il collasso nella manica. “L’economia russa al collasso sotto il peso della guerra. Putin lo sa bene” (Foglio, 15.2). Crescita del Pil nel 2023: Italia +0,7%, Eurozona +0,5%, Russia +3,6%.

Giuristi per caso. “Paita (Iv): ‘Ma quale bavaglio? Il racconto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare che finisce sui giornali è il punto di vista dell’accusa’” (Riformista, 15.2). Nossignora: le ordinanze di custodia cautelare sono del giudice terzo, non del pm.

Good news. “L’Ue si rafforza sulla Difesa. ‘Eurobond e più risorse per spese militari comuni’” (Stampa, 17.2). Mentre la povertà dilaga, fanno un bel Recovery per le armi. Se poi ci scappa un appaltuccio per i Lince Iveco, tanto meglio.

Il portafortuna. “Due palle al centro. Il pugno nella rosa che serve a Renzi, Calenda e Bonino&Co” (Giuliano Ferrara, Foglio, 16.2). Più che due palle, tre palloni gonfiati.

Savianate. “Il dialogo tra Meloni e Schlein sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre, sembra incredibile, ma lo dobbiamo in gran parte al dibattito generato dalle dichiarazioni di Ghali e Dargen D’Amico” (Roberto Saviano, 15.2). Uahahahahah.

Grandi vittorie. “Schlein segna un punto a suo favore. La premier l’ha scelta come sua interlocutrice” (Francesco Bei, Repubblica, 14.2). Sono soddisfazioni.

Proprietà privata. “Il vertice Conte-Landini irrita il Pd: ‘Siamo troppo generosi con il M5S’” (Stampa, 13.2). “Il feeling Conte-Landini che fa infuriare il Pd scavalcato a sinistra” (Corriere della sera, 13.2). Ma il Pd possiede Landini per usucapione o è solo nuda proprietà?

Pazzesco. “Il dato veramente pazzesco resta un altro: uno come Conte è già stato premier addirittura due volte (Craxi, per dire, una sola)” (Fabrizio Roncone, Sette-Corriere della sera, 15.2). E c’è un dato ancor più pazzesco: anziché nascondere miliardi rubati all’estero, ne ha portati in Italia 209.

Quelli che la Resistenza. “Le fughe nei fiumi gelidi e i finti certificati di malattia: crescono i disertori di Kiev. Il metodo più frequente per evitare di essere arruolati è corrompere i finanzieri e i medici” (Corriere della sera, 14.2). Ma come, non c’era l’intero popolo schierato con Zelensky come un sol uomo per sconfiggere la Russia?

Gombloddo/1. “Ue, ingerenze russe nel voto” (Maurizio Molinari, Repubblica, 11.2). Si vota a giugno, non si sa come andrà, ma ha già stato Putin.

Gombloddo/2. “Una convergenza di interessi fra Trump e Putin si salda a chi soffia sul fuoco della protesta dei trattori” (Massimo Franco, Corriere della sera, 13.2). Ecco chi era il tizio sul trattore: era Putin.

Mai stato meglio. “Non è vero che Biden è rimbambito” (Francesco Merlo, Repubblica, 13.2). Anzi, è lucidissimo. Almeno quanto Merlo.

L’uva era acerba. “Parliamo di Avdiivka. Perché questa battaglia appare così lontana. Anche da Kyiv” (Foglio, 16.2). Forse perché l’Ucraina l’ha appena persa.

Misteri di stagione. “Qualcosa sta cambiando. Ora gli sbarchi calano. In due mesi -41%” (Libero, 16.2). Che sia inverno?

Dentro. “Pantani vive dentro di noi” (Giornale, 12.2). Basta farsi una pera di Epo.

Par condicio. “Perché il Dap sempre a un magistrato?” (Riformista, 10.2). Un po’ di alternanza con i pregiudicati.

Il titolo della settimana/1. “Parla Antonio Tajani: ‘Trump non è un riferimento per FI’” (Foglio, 15.2). Nel senso che non ha idea di chi sia Tajani.

Il titolo della settimana/2. “Gaza, intesa Schlein-Meloni” (Repubblica, 14.2). Palestinesi in delirio. Netanyahu dorme con la luce accesa.

Il titolo della settimana/3. “Gli spari dalla finestra al veglione di Geolier” (Verità, 15.2). Pronta la tessera onoraria di FdI.

Il titolo della settimana/4. “L’Ariston riflesso dell’immobilismo” (Stefano Folli, Repubblica, 10.2). Ha parlato Speedy Gonzales.

Il titolo della settimana/5. “‘In Ungheria rischio tortura’. Negata l’estradizione per l’amico di Ilaria Salis” (Repubblica, 14.2). A menarlo in cella possiamo pensarci tranquillamente noi.

Il titolo della settimana/6. “Mameli, eroe sovranista tra soap opera e melodramma” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 14.2). Pare fosse legato a Orbán.




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A TARGHE ALTERNE

l'editoriale di Marco Travaglio

20 febbraio 2024

Le uniche certezze su Navalny, unico oppositore superstite di Putin, sono che è morto in un gulag artico e che la responsabilità della sua prigionia e dei feroci trattamenti subiti (incluso l’avvelenamento del 2020) ricade tutta sull’autocrate russo. Non si può escludere, viste le decine di personaggi scomodi morti ammazzati o vittime di strani incidenti, che sia stato ucciso e che l’ordine sia partito da Putin. Ma al momento, senza elementi certi, non si può neppure affermarlo, anche se i governi di mezzo mondo si sono affrettati a farlo un minuto dopo, senza prove. Gli opposti complottismi si esercitano nel giochino del cui prodest: per gli anti-russi, Putin non vedeva l’ora di tappare la bocca per sempre al grillo parlante; per i filorussi quel cadavere eccellente serve al mondo Nato per scagliarlo addosso a Putin ora che sta vincendo la guerra in Ucraina e gli Usa e l’Europa si sono abbondantemente stufati di svenarsi per quella causa persa. A lume di naso, un autocrate intelligente ha poco da guadagnare e molto da perdere – a un mese dalle elezioni che stravincerà per mancanza di rivali e nel momento più difficile per il fronte pro Kiev – dalla morte di un oppositore più popolare qui che là e sepolto vivo a 2 mila km da Mosca. Tantopiù se è vero, come sostiene la Bild, che Navalny gli serviva vivo per scambiarlo con un agente russo recluso in Germania.

Ma le indagini non si fanno a lume di naso: se bastasse il cui prodest, i fratelli Kennedy sarebbero gli assassini di Marilyn, Schmidt dei capi della Raf, Marcinkus di Calvi, Andreotti di Pecorelli, Sindona e tanti altri, per non parlare delle stragi mafiose che aprirono la strada a FI ecc. Ogni Paese, democratico o autoritario, ha i suoi cadaveri eccellenti in cerca d’autore. Ed è curioso che chi denuncia i complottismi altrui ci si tuffi a pesce solo con la Russia. E poi taccia sui 30 mila civili ammazzati da Netanyahu a Gaza. O su Assange arrestato e torturato psicologicamente dall’Uk per conto degli Usa per il delitto di giornalismo. O su Darya Dugina fatta esplodere in un’autobomba a Mosca dai servizi di Zelensky solo perché figlia di un filosofo putiniano. O su Gonzalo Lira, il blogger cileno con cittadinanza Usa arrestato in Ucraina perché ne criticava il regime, malato, mai curato e morto in carcere senza uno straccio di protesta. Il fatto poi che persino la fiaccolata per ricordare giustamente Navalny (oppositore coraggioso al di là delle idee xenofobe e fascistoidi, che in Italia l’avrebbero portato in carcere per istigazione al razzismo in base alla legge Mancino) diventi uno spot per spedire altre armi a Kiev e far ammazzare altre migliaia di ucraini autorizza i peggiori sospetti. Ma li lasciamo volentieri ai complottisti un tanto al chilo garantisti a targhe alterne.

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ASSALNY

l'editoriale di Marco Travaglio

21 febbraio 2024

Mentre in Russia i media di regime (tutti) dedicano poche righe a Navalny e grande spazio al ritorno in tavola delle banane e dei gamberetti, che finora scarseggiavano per le sanzioni, in Italia i media di regime (tutti tranne due o tre) riservano pagine e pagine a Navalny e neppure una riga all’udienza dell’Alta Corte di Londra sull’estradizione di Assange negli Usa. Repubblica, come sempre, batte tutti: 7 pagine su Navalny e non una sillaba su Assange, recluso da 12 anni a Londra, prima nell’ambasciata d’Ecuador poi in carcere, che ora rischia di marcire in una galera americana per il resto dei suoi giorni per aver documentato i crimini di guerra della Nato. Anziché vergognarsi, Stefano Cappellini rivendica la censura: “Chi si impunta a cambiare discorso per parlare di Assange lo fa con un obiettivo chiarissimo e ripugnante: sminuire la morte di Navalny e suggerire che l’Occidente fa come o peggio di Putin”. E va capito: chi fa pseudogiornalismo embedded non riesce a concepire il vero giornalismo contro il potere. Il poveretto finge di non sapere che l’udienza su Assange è una notizia e va data a prescindere dal giudizio (poteva parlarne e poi chiedere la garrota). O forse pensa che il Fatto si sia messo d’accordo mesi fa con l’Alta Corte per fissare l’udienza il 20 febbraio dopo aver saputo da Putin (e da chi se no?) che Navalny sarebbe morto il 16.

Ribaltare il suo sragionamento a pene canino sarebbe facile: chi cambia discorso per parlare di Navalny lo fa allo scopo ripugnante di sminuire la persecuzione di Assange. Ma significherebbe ridursi al suo livello, cioè sottozero. Noi, per strano che possa sembrargli, proviamo lo stesso sdegno per i perseguitati da tutti i regimi: Navalny (malgrado le sue idee razziste), Assange, Khashoggi (segato a pezzi dai servizi di Bin Salman), Gonzalo Lira (il blogger cileno e cittadino Usa arrestato perché criticava Zelensky e morto in un carcere ucraino), Andrea Rocchelli (il reporter italiano assassinato dalle truppe ucraine nel 2014 mentre documentava la guerra civile in Donbass e ancora in attesa di giustizia). Versiamo le stesse lacrime per i civili caduti in tutte le guerre: ucraini uccisi dai russi, ucraini del Donbass ammazzati dagli ucraini di Kiev, israeliani trucidati da Hamas, palestinesi sterminati da Israele. E siamo antifascisti contro tutti i fascisti: quelli italiani ed europei (inclusi i fascio-atlantisti finlandesi e baltici), quelli russi della Wagner e del nazionalismo navalnyano, quelli ucraini dell’Azov e di alcuni partiti filo-Zelensky. E non vediamo l’ora che qualcuno stili la hit parade dei crimini di guerra per scoprire se “l’Occidente fa come o peggio di Putin”. Nell’attesa, l’Occidente ha già stravinto a mani basse un campionato: quello dell’ipocrisia.

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