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IL BRACCIO E IL GOMITO

l'editoriale di Marco Travaglio

20 gennaio 2024

È una fortuna avere politici e giornalisti così attenti ai veri problemi dell’umanità. Tipo il dilemma se per i ministri sia peggio alzare il braccio o alzare il gomito, o se sia lecito che una comica scherzi impunemente su Beatrice Venezi e sul ministro Sangiuliano, o che un programma di inchiesta faccia un’inchiesta sul padre della premier e sul presidente del Senato, o che un architetto di fama mondiale nominato perciò senatore a vita lavori all’estero mentre i soliti cattivoni mettono alla gogna mediatica un senatore di fame mondiale in affari coi peggiori tagliagole del globo terracqueo. O l’urgenza di mandare in galera chi colora opere d’arte con vernice lavabile per un governo che gli indagati per furto e/o riciclaggio di opere d’arte li fa sottosegretari. O la spasmodica attesa per lo storico dibattito tv Meloni-Schlein, accresciuta dalla suspense per la loro eurocandidatura-burla e per l’esito della gita scolastica del Pd nel resort eugubino purtroppo funestato dalla chiusura della spa.

Pensate invece al dramma di altri Paesi, dove politici e media si occupano di quisquilie: il Patto di stabilità, le guerre in Ucraina e a Gaza, la missione internazionale contro i terribili pirati Houthi, i bombardamenti incrociati di Usa e Uk in Yemen, di Israele in Libano e Siria, di Hamas e di Hezbollah in Israele, dell’Iran in Iraq, Pakistan e Siria, della prossima guerra mondiale contro la Cina per l’imprescindibile Taiwan, robette così. Noi non ci abbassiamo a questi livelli: voliamo alto. A Kiev seguitiamo a mandare armi anche ora che hanno smesso pure gli Usa, per far sterminare qualche altro migliaio di ucraini; la Meloni dice ciò che pensa ai comici russi (“serve una via d’uscita accettabile per entrambi”) e poi appoggia il famoso piano Zelensky, che prevede negoziati con tutti i Paesi del mondo tranne uno: la Russia. Intanto i servizi di Usa e Germania annunciano (cioè auspicano) attacchi russi alla Nato e, per accelerarli, fanno “esercitare” 90 mila soldati. Su Israele, silenzio: bastano e avanzano le formidabili pressioni di Biden, che informa Netanyahu che ha ucciso troppi civili e ci vorrebbe proprio uno Stato palestinese e lui sta per perdere la pazienza, ma poi all’Onu blocca qualsiasi tregua, mentre l’intrepida Italia si astiene. Quanto agli Houthi sciiti che attaccano navi israeliane e occidentali per costringere Tel Aviv a fermare i massacri a Gaza, la nostra soluzione non è fermare i massacri a Gaza, ma bombardare gli Houthi e lo Yemen (così non deve più farlo l’amico Bin Salman) e domani, si spera, pure l’Iran. Il pericolo – ci spiega la stampa atlantista – non è che i 25 mila morti a Gaza diventino 50 mila, ma che i pacchi di Amazon attraverso il Mar Rosso ci arrivino in ritardo. La puntualità è tutto.

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IN GUBBIO PRO REO

l'editoriale di Marco Travaglio

21 gennaio 2024

Noi, malgrado tutto, continuiamo a tifare per Elly Schlein. Ma lei ogni tanto dovrebbe darci un motivo per farlo. A Gubbio ha detto che “Meloni è riuscita a superare Berlusconi. Questo livello di attacchi al giornalismo libero e d’inchiesta… manco ai tempi degli editti bulgari. Dovranno inventare un nuovo tipo di editti, non so, gli editti ungheresi…”. Parole in libertà, comprensibili in bocca a uno dei tanti centrosinistri che a B. non fecero mai vera opposizione, non abolirono una sola legge vergogna, non approvarono una legge antitrust e sul conflitto d’interessi, non lo dichiararono ineleggibile, anzi ci governarono con Monti, Letta e Draghi. Ma non in bocca alla Schlein, che per questi motivi contestò il Pd nel 2013 e ne uscì nel 2015 quando Renzi ne completò la berlusconizzazione. Se B. durò 30 anni fu perché la “sinistra” non capiva (o fingeva di non capire) chi fosse. Ora la Schlein dimostra di non aver capito né chi era B., né chi è la Meloni. Che infatti non perde un voto e il Pd non ne guadagna uno.

B. era uno degli uomini più ricchi del mondo, un violatore di leggi da record mondiale, un finanziatore della mafia, un affiliato alla P2, un imprenditore favorito da tutti i governi (quelli del Caf, poi i suoi e quelli dei “nemici”), il boss del più gigantesco impero editoriale d’Europa, il titolare del più monumentale conflitto d’interessi d’Occidente, un mancato galeotto grazie a giudici, testimoni e finanzieri comprati e a 80 leggi ad personam, un frodatore fiscale da Guinness, un puttaniere ricattabile e ricattato, uno che portava in Parlamento e/o al governo i suoi avvocati, compari, complici, Papi girl, corrotti, corruttori (Previti), ufficiali di collegamento con Cosa Nostra (Dell’Utri e D’Alì), Camorra (Cosentino) e ’Ndrangheta (Matacena e, stando alla condanna in tribunale, Pittelli). Con l’editto bulgaro, così detto perché emanato a Sofia (che c’entra ora l’Ungheria?), ordinò da premier ai suoi vertici Rai di far sparire il più noto giornalista vivente, Biagi, il primo conduttore tv, Santoro, e uno dei migliori satiristi, Luttazzi. I quali, siccome possedeva Mediaset e controllava La7, scomparvero da tutte le tv. Meloni&C., per quanto allergici alla satira e al vero giornalismo (come tre quarti di Pd: quelli che, da renziani, cacciarono dalla Rai Gabanelli, Giannini, Giletti, Porro e, da lettiani, volevano far fuori la Berlinguer e Orsini), non hanno epurato nessuno. Non che non ci provino: è che sono degli incapaci da competizione. Sono dei B. che non ce l’hanno fatta. Vanno combattuti, ma per farlo bisogna conoscerne la natura e i punti deboli. Diceva Marx: “La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Vale per la destra, ma purtroppo anche per la sinistra.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

22 gennaio 2024

Aria fresca. “Duello in tv Meloni-Schlein non prima di aprile. Vespa in pole position” (Repubblica, 20.1). Almeno un segnale di novità ci vuole.

Arrivano i rinforzi. “Monteleone: ‘Rosa e Olindo cittadini onorari di Reggio Calabria appena scarcerati’” (Strettoweb, 21.1). Casomai la Calabria fosse a corto di assassini.

Ripubblica. “Foti chiede 320mila euro a Selvaggia Lucarelli. Lo psicoterapeuta: messo alla gogna” (Repubblica, 20.1). Notizia fresca: li ha chiesti nel 2022.

Sinceri democratici. “Democrazia sotto assedio… Trump, Bolsonaro, Milei: tutta gente che non accetta o, nel caso di Miledi, non avrebbe accettato, un esito elettorale diverso dalla vittoria… È sovversivismo” (Walter Veltroni, Repubblica, 19.1). Quindi, per salvare la democrazia, aboliamo le elezioni.

Mafiosetti. “Esiste un giornalismo specializzato che vive di gogna… ricorda l’ancheggiare spavaldo dei teppisti mafiosetti” (Francesco Merlo, Repubblica, 17.1). Merlo paragonò Zerocalcare ai tagliagole stupratori di Hamas e Beppe Grillo al Malpassotu Giuseppe Pulvirenti, il boss sanguinario reo confesso di una faida da 100 morti l’anno. Resta da capire se sia più teppista o più mafiosetto, ma soprattutto perché si sia deciso a confessare.

Indelebile. “Craxi, uno statista che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’Italia repubblicana” (Ignazio La Russa, FdI, presidente del Senato, 20.1). Più che altro un’impronta digitale.

Capuzzoni. “Travaglio ha liricamente tessuto le lodi della Lucarelli… mentre i puzzoni siamo noi di Libero. Chiaro, no?” (Daniele Capezzone, Libero, 18.1). Chiarissimo.

I competenti/1. “Questi ‘incompetenti’ (i 5Stelle, ndr) che abolivano la povertà dal balcone… hanno ridotto il numero dei parlamentari e sull’onda del populismo hanno iniziato a manomettere la Costituzione… È da una latta aperta che oggi viene fuori un disegno di legge sul premierato che si prefigge di assecondare le virtù dell’‘uomo solo al comando’ (e donna)” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 21.1). L’idea di manomettere la Costituzione per rafforzare il premier e indebolire il Parlamento nel premier più forte nasce con Craxi&Amato, prosegue con la Bicamerale D’Alema&B., con la Devolution di B.&Bossi e con la schiforma Renzi bocciata dagli italiani, che invece approvarono al 69,96% il taglio dei parlamentari che non sfiorava i poteri del premier e del Parlamento. Studia, “incompetente”.

I competenti/2. “Se il magistrato non sa più indagare senza intercettare (ma fa spesso flop)… Nel curriculum di Woodcock più insuccessi che successi… Processo Consip: i due indagati più celebri, Romeo e Del Sette, sono stati assolti” (Tommaso Montesano, Libero, 21.1). Purtroppo Romeo è stato condannato a 2 anni e 6 mesi per corruzione. Se il giornalista non sa più scrivere la verità e fa spesso flop.

Incassese. “L’opposizione, il cui compito sarebbe di tallonare il governo, sembra ora andare a caccia di farfalle” (Sabino Cassese, presidente Commissione Calderoli sui Lep, Corriere della sera, 18.1). Lui, per tallonarlo meglio, lavora per il governo.

La stratega. “L’Italia non vende armi ai Paesi in guerra” (Pina Picierno, eurodeputata Pd, Corriere della sera, 21.1). Infatti gliele regala.

Good news. “Prescrizione, buona notizia” (avv. Gian Domenico Caiazza, Riformista). Per i suoi clienti colpevoli.

Facci ridere. “Il barometro di Transparency International ha in biblioteca i volumi di Società Civile, Imposimato, Lodato, Travaglio e Davigo” (Filippo Facci, Giornale, 19.1). Nemmeno un ladro, per dire.

Sua Bassezza. “Tajani: ‘Dobbiamo essere all’altezza dell’eredità di Berlusconi’” (Giornale, 15.1). Urgono tacchi con rialzo.

Il titolo della settimana/1. “‘Tornano i due Stati’. La nuova offerta di Biden a Netanyahu” (Repubblica, 2.1). Fantocci, batti lei.

Il titolo della settimana/2. “Sui social siamo in balìa del giustizialismo, ma l’Ordine non fa nulla” (Luca Bottura, Stampa, 18.1). Oh no, e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/3. “Il Fatto vuole diventare un partito. Il quotidiano di Travaglio si trasforma in una community sul modello del M5S” (Stefano Zurlo, Giornale, 18.1). Ma va a ciapà i ratt.

Il titolo della settimana/4. “Gli arresti ingiusti costati un miliardo in 30 anni. Ma solo in pochi hanno chiesto il risarcimento” (Giornale, 18.1). Gli altri hanno acceso un cero alla Madonna.

Il titolo della settimana/5. “Schlein tiene aperte 3 opzioni per le Europee” (Corriere, 15.1). Candidarsi; non candidarsi; candidarsi senza candidarsi.

Il titolo della settimana/6. “Bombardamento su un mercato nel Donetsk: almeno 18 morti” (Corriere.it, 21.1). Ma siccome le bombe sono ucraine, non diciamo chi è stato.

Il titolo della settimana/7. “Giuseppe De Rita: ‘Il vaffa dei grillini ha impoverito l’Italia. Il populismo dei 5Stelle ha distrutto il sistema di relazioni che ci ha fatto sviluppare come società moderna. Abbiamo paura a fare figli’” (Verità, 17.1). Per colpa dei 5Stelle non si tromba più.

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SERVE UN DISEGNINO?

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24 gennaio 2024

Quindi è ufficiale: se Putin vince la guerra in Ucraina non è colpa di chi l’ha armata fino ai denti e mandata al massacro, ma dei pacifisti che volevano salvarla. Lo scrive sul Corriere Goffredo Buccini: “Un certo pacifismo, sempre più prossimo all’appeasement sull’Ucraina, apre le porte a un totalitarismo (quello russo, ndr) ben più tangibile di qualche ectoplasma” (i fascisti di Acca Larenzia, condannati da Mosca e purtroppo anche dall’Ue). E accusa il Pd, che ha appena votato col governo l’ennesimo dl Armi, di esser “sempre più attratto dai 5Stelle contrari a sostenere Zelensky” (che infatti han votato contro). Neppure il fallimento della controffensiva di Kiev (100 mila vittime in pochi mesi per recuperare 1/350 dei territori occupati e perderne pure di più, la fine delle forniture militari americane in vista di conflitti più pop (Gaza, Mar Rosso, Taiwan), le contorsioni di un’Ue dissanguata e sfibrata, l’inizio della contro-controffensiva russa che devasterà e ingoierà altri pezzi d’Ucraina bastano ad aprire gli occhi alle nostre Sturmtruppen.

Se fossero oneste, prenderebbero atto della dura lezione dei fatti, ammetterebbero di avere sbagliato tutto e si scuserebbero con chi aveva ragione fin da subito: non gli inesistenti putiniani, ma chi chiedeva di negoziare. Non per consegnare l’Ucraina a Putin, ma per salvarla dall’inevitabile vittoria di Putin trattando prima o subito dopo l’invasione. Non con vuote parole da Miss Italia sulla pace nel mondo, ma con un compromesso basato sulla neutralità di Kiev e l’autonomia del Donbass: quella accettata a Minsk e poi tradita dai governi ucraini di Poroshenko e Zelensky, che seguitarono a bombardare le regioni russofone fino all’invasione russa (e anche dopo, vedi la strage di domenica al mercato di Donetsk: 25 civili morti e 40 feriti). Infatti quel negoziato si fece, mediato dall’allora premier israeliano Naftali Bennett nel marzo ’22, subito dopo l’invasione: Putin rinunciava a disarmare e “denazificare” l’Ucraina e a uccidere Zelensky, il quale rinunciava a entrare nella Nato. “Credo davvero – disse Bennett – che esistesse una chance per il cessate il fuoco”, grazie al “pragmatismo di Putin che capiva totalmente le costrizioni politiche di Zelensky” e alla parallela apertura di Kiev. Ma Biden e Johnson “bloccarono la mediazione” e decisero di “continuare a colpire Putin”. Cioè di affidare il destino ucraino al responso del campo di battaglia, svuotando i tavoli negoziali e riempiendo Kiev di armi e illusioni a oltranza fino alla sconfitta della Russia. Ora purtroppo il campo di battaglia il suo responso l’ha dato. Restano da avvertire gli ultimi italo-giapponesi asserragliati nella giungla delle loro panzane. Anche eventualmente con un disegnino.

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IL GIORNO DELL'AMNESIA

l'editoriale di Marco Travaglio

25 gennaio 2024

Il 27 gennaio celebreremo il peggior Giorno della Memoria da quando, nel 2005, l’Onu lo istituì per ricordare le vittime della Shoah nella data in cui, nel 1945, l’Armata Rossa liberò i superstiti del lager nazista di Auschwitz. Da allora, mai come oggi la Memoria è stata inquinata da rigurgiti di antisemitismo: il vecchio che riaffiora dalle fogne e il nuovo che contagia anche insospettabili, soprattutto i giovani più ignari della storia. Il tragico paradosso di questo truce revival antisemita è che il primo colpevole è il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, insieme ai leader, agli intellettuali e ai media che lo sostengono o non lo condannano (che è la stessa cosa). E fra questi, purtroppo, anche molti responsabili delle comunità ebraiche, troppo impegnati a bollare di antisemitismo filo-Hamas chiunque critichi Israele per accorgersi che così autorizzano l’altrettanto assurda equazione “Netanyahu uguale Israele uguale ebrei”. E finiscono col portare acqua al mulino di chi traccia assurdi paralleli fra il genocidio dei genocidi, la Shoah, e gli atroci crimini di guerra del governo israeliano a Gaza. O prende a pretesto i 25 mila palestinesi uccisi nella Striscia per negare a Israele il diritto a esistere falsificando la storia. Il 7 ottobre il pogrom di Hamas contro 1300 ebrei israeliani aveva suscitato un’ondata mondiale di simpatia e solidarietà a Israele. Poi Bibi, in 100 giorni e più di feroce rappresaglia a Gaza, è riuscito a rendere Israele più odioso e odiato di quanto non fosse mai stato.

Se dal 1948 non erano mai morti tanti ebrei in un giorno quanti il 7 ottobre, nessuno dei conflitti arabo-israeliani aveva mietuto tante vittime come la mattanza di Gaza. Il primo, fra Lega Araba (Egitto, Libano, Siria, Transgiordania, Iraq e Arabia Saudita) e Israele, durò un anno nel 1948-’49 e contò 6 mila morti israeliani (di cui 2 mila civili) e 10 mila arabi (perlopiù militari). La guerra di Suez fra Egitto e Israele, nel 1956, durò 8 giorni con mille caduti egiziani e 180 israeliani. Nella guerra dei Sei Giorni del 1967 fra Israele e Lega Araba, persero la vita 700 soldati israeliani e 20 mila arabi. Nei 36 giorni di quella del Kippur, nel 1973, perirono 2.300 soldati israeliani, 12 mila egiziani e 3 mila siriani. I 25 mila civili uccisi a Gaza in 100 giorni per (non) sconfiggere Hamas sono un unicum anche nella secolare e sanguinosa guerra arabo-israeliana. E ora chi non ne sa o non ne ricorda nulla serberà nella Memoria soltanto Gaza. Almeno finché Netanyahu non verrà cacciato e condannato.

Ps. In ogni famiglia ci sono nonni o genitori che ci hanno raccontato le deportazioni nazifasciste. Inviateci i vostri racconti a lettere@ilfattoquotidiano.it: il Fatto li pubblicherà nel Giorno della Memoria.

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FUORI CONTROLLO

l'editoriale di Marco Travaglio

26 gennaio 2024

Forse non sapremo mai se l’aereo russo abbattuto in Russia dall’Ucraina trasportasse 65 prigionieri ucraini pronti per uno scambio, come dice Mosca, o armamenti diretti al fronte, come dice Kiev. Ma due cose già le sappiamo. 1) Ad abbatterlo sono stati i Patriot forniti dagli Usa: con tanti saluti alle garanzie di Zelensky sul fatto che le nostre armi vengono usate per difendersi dai russi a casa propria e non per attaccarli a casa loro. 2) I media ucraini governativi (cioè tutti: è una democrazia liberale, no?) hanno rivendicato l’attentato; poi han fatto retromarcia appena Mosca ha avvisato Kiev che aveva sterminato 65 suoi soldati; poi l’esercito si è assunto la paternità dell’attacco; infine Zelensky ha chiesto “un’indagine internazionale” (su un attacco ucraino!). È il copione già seguito negli altri atti terroristici di Kiev: l’assassinio di Darya Dugina, le distruzioni dei gasdotti e del ponte Russia-Crimea. Ma è anche l’antipasto di ciò che accadrà quando, con o senza Zelensky, si arriverà finalmente a un cessate il fuoco.

La propaganda atlantista dipinge l’Ucraina come un monolite: presidente, ministri, maggioranza parlamentare, esercito, milizie paramilitari, servizi segreti, popolazione. Tutti uniti contro qualunque tregua fino alla sconfitta di Putin e all’ingresso nella Nato. Balle. Il regime è spaccato, i vertici politici, militari, di intelligence e delle milizie vanno in ordine sparso, il popolo è diviso tra anti-russi, filo-russi e fautori di un compromesso che ponga fine a tanta morte, distruzione, corruzione e miseria. E Zelensky è sempre più isolato, all’esterno per la fine degli aiuti Usa e all’interno per la disfatta della controffensiva, la rottura col capo dell’esercito e il ricicciare del predecessore-rivale Poroshenko: ha rinviato sine die le elezioni del 2024 ed evocato un golpe ai suoi danni, mentre la moglie si è detta contraria alla sua ricandidatura perché teme che perda o le elezioni o la vita. È possibile che la reazione contraddittoria all’abbattimento dell’aereo russo dipenda dal fatto che l’ha deciso una fazione del regime contro altre. Magari per sabotare quel barlume di dialogo avviato con Mosca per massicci scambi di prigionieri. Sarebbe la prova che Zelensky ha perso il controllo o della guerra o della sua gestione mediatica. E un segnale d’allarme per il “dopo”: chi rispetterà e chi farà rispettare il cessate il fuoco? Con tutte le armi che abbiamo inviato a Kiev senza neppure renderle tracciabili per sapere a chi vanno, ogni clan potrà sabotare la tregua seguitando a sparare e trasformando vieppiù il Paese in un covo di terroristi. Così, in caso di missione internazionale di peacekeeping, i nostri soldati sarebbero bersagli di un fuoco doppiamente amico. Sarebbero degli ucraini a spararci. E con le nostre armi.

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MA MI FACCIA IL PIACERE.

l'editoriale di Marco Travaglio

29 gennaio 2024

Aggiungi un posto a tavola. “Rivolta per la nomina al Teatro di Roma. Il Pd: Scelta violenta” (Giornale, 22.1). “Schlein: “Occupano poltrone, superato il livello di allarme” (Repubblica, 22.1). “Il Campidoglio minaccia: stop ai fondi” (Messaggero, 22.1). “Il Pd pronto a un’azione legale. Gualtieri: Ricorrerò in tutte le sedi possibili” (Stampa, 22.1). “Artisti e politici in piazza: atto fascista, inaccettabile” (Corriere della Sera, 22.1). “Teatro di Roma, la pace delle poltrone. Destra e sinistra sdoppiano il direttore dopo la modifica dello statuto. Accordo Sangiuliano-Gualtieri-Rocca. Divisi gli incarichi: si va verso De Fusco direttore artistico e Cutaia dg” (Repubblica, 28.1). Allarme democratico rientrato. Basta così poco, alle volte, per sventare l’avvento del fascismo.

Brrr che paura. “Accogliente, inclusivo: Gentiloni sta tornando e fa già molta paura” (Fabrizio Roncone, Sette-Corriere, 26.1). Noi, per dire, dormiamo con la luce accesa.

Insulti sessisti. “La direttrice d’orchestra: Denigrata da Bonolis che mi chiama signora” (Stampa, 28.1). Prossima volta, un bel vaffanc**o di incoraggiamento.

Piccoli putiniani crescono. “È ucraino ma filoputiniano. Annullato il concerto del pianista Romanovsky alla Sapienza. Prima a Padova, poi a Bari. Ora anche a Roma” (Repubblica, 22.1). “La tennista ucraina di 16 anni stringe la mano all’avversaria russa. Protagonista del gesto Lisa Kotliar, sconfitta nel torneo juniores degli Australian Open da Vlada Minchova. Il governo chiede spiegazioni, il padre si scusa pubblicamente: Mia figlia è giovane e inesperta, ma è una patriota. Ha sbagliato e non succederà più” (Repubblica, 23.1). Questi non stanno bene.

Stampantis. “Stellantis: ‘Investiti miliardi in Italia’. L’export delle auto prodotte vale il 63%” (Stampa, 25.1). “Stellantis tra due Stati, ma per i francesi è troppo italiana” (Repubblica, 26.1). Sorge persino il sospetto che Stellantis abbia qualcosa a che fare con Stampa e Repubblica.

Trascinatori di folle/1. “Noi pronti ad allearci con Bonino. Non vogliamo ammucchiate” (Matteo Richetti, capo deputati Azione, Corriere della Sera, 28.1). Riché, magna tranquillo.

Trascinatori di folle/2. “Pizzarotti: Pronto a correre per +Europa” (Corriere della Sera, 25.1). Un po’ di jogging fa sempre bene.

Sorpresa/1. “Pozzolo positivo alla prova dello stub: Si rafforza l’ipotesi che sia stato lui” (Corriere della Sera, 24.1). Ma non mi dire.

Sorpresa/2. “Pozzolo archivia lo sparo di Capodanno. ‘Per me è tempo di tornare a fare politica’” (Stampa, 27.1). Si salvi chi può.

Bin Rignan. “Attaccare un editore perché non piacciono i titoli di un quotidiano significa mettere in discussione la libertà di stampa” (Matteo Renzi, senatore Iv, Stampa, 25.1). Molto più pratico usare direttamente la sega circolare.

Dilla tutta. “È difficile definire di sinistra i 5Stelle, con la loro spregiudicatezza che li ha portati a governare sia con la Lega, sia col Pd” (Massimo Franco, Corriere della sera, 23.1). Mica come il Pd che governò con FI (Monti e Letta) e poi con Lega, FI e 5S (Draghi).

Sempre lucido. “I miei incontri segreti con Davigo per scrivere la Finanziaria del 1993” (Sabino Cassese, Corriere della sera, 23.1). “I giudici scrivevano persino la Finanziaria” (Filippo Facci, Giornale, 24.1). “Storia del golpe del 1993: quando Davigo dettò la finanziaria al governo Ciampi” (Piero Sansonetti, Unità, 24.1). Naturalmente gli incontri Cassese-Davigo del 1993 non sono mai avvenuti: i due si videro nel 1996, e non per scrivere la Finanziaria, ma per studiare norme anti-corruzione per il Comitato Violante.

Sempre più Chiara. “Bruno De Finetti, grande matematico italiano, … scrive non è importante perché il FATTO che IO prevedo accadrà, ma perché IO prevedo che il FATTO accadrà. Bisogna stare attenti alla posizione del ‘perché’ e dell’‘io’” (Chiara Valerio, Repubblica, 4.11.23). “Nel momento in cui Bruno De Finetti, grande matematico italiano, osserva che nella valutazione di un certo fatto è fondamentale l’attribuzione della causa, del perché, tutto cambia rispetto all’errore. La differenza fondamentale è nell’attribuzione del ‘perché’ – scrive De Finetti – non certo perché il FATTO che io prevedo accadrà, ma perché io prevedo che il FATTO accadrà” (Chiara Valerio, Stampa, 25.1.24). Ah, ecco, mi pareva.

Il titolo della settimana/1. “Il ritorno del golpista. La premier dica se sta con Trump o la democrazia” (Piero Ignazi, Domani, 26.1). Ma la democrazia non è quella cosa in cui il popolo decide chi governa?

Il titolo della settimana/2. “La corsa populista del M5S. Conte arruffapopolo” (Domani, 26.1). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Io c’ero: quella di Silvio fu una vera rivoluzione, fu vera passione” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 26.1). C’erano pure il compagno Dell’Utri e il subcomandante Previti.

Il titolo della settimana/4. “Orsina: ‘FI diede una casa a chi si sentiva perso dopo Tangentopoli’” (Dubbio, 271.). In alternativa alla cella.

Il titolo della settimana/5. “Tajani in pressing su Netanyahu: ‘Due Stati’” (Verità, 26.1). È fatta.

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FACCIAMO UN SIT-OUT

l'editoriale di Marco Travaglio

30 gennaio 2024

Finalmente una battaglia su cui concordiamo non al 100, ma al 110% con Elly Schlein: un sit-in per liberare la Rai dal governo e dai partiti e trasferirla immantinente a una fondazione indipendente. Praticamente un sit-out. Avendo collaborato nel lontano 2004 alla legge popolare che proprio questo proponeva, siamo tentati di partecipare all’iniziativa, anche per aiutare la segretaria a non dimenticare nessun lottizzato, a cominciare dai suoi. Elly c’entra solo con quelli dell’ultima infornata. Ma chi le sta accanto, non proprio di primo pelo, ha sistemato intere generazioni di raccomandati e potrebbe scordarsi qualcuno, o vergognarsi di aver comandato in Rai senza vincere un’elezione (l’apoteosi fu sotto Draghi, con l’ad-tanguero Carlo Fuortes, quando Palazzo Chigi calcolò la quota Pd in almeno il 60% degli 11.536 dipendenti). Ora l’evacuazione di massa, agevolata dalla fuga a Sanremo dei più alti papaveri, potrebbe avvenire così.

Elly Schlein si presenta sotto i palazzi di viale Mazzini, via Teulada, via Asiago e Saxa Rubra armata di megafono, chiama per nome i lottizzati di sua competenza e intima loro di uscire con le mani alzate. Per riaccompagnarli alle rispettive dimore, può tornare utile il torpedone della scampagnata eugubina. L’importante è che il mezzo sia capiente perché, fra direttori, condirettori, vicedirettori, presidenti e amministratori, i dem sono legione. Bravissimi, bravini o scarsi, non è questo il tema. Stando ai primi calcoli spannometrici, le prime vittime della Grande Ritirata pidina dovrebbero essere: la consigliera del Cda Francesca Bria; i direttori di Tg3 (Orfeo), Radio2 (Sala), Radio3 (Montanari), Palinsesti (Coletta) e San Marino Rtv (Vianello); due vicedirettori del Tg1, uno del Tg2, due della Tgr, uno del Gr1, due di Rainews24, uno di Rai Parlamento, tre degli Approfondimenti; i capi di Rai Cinema, Rai Fiction, Rai Cultura, Offerta Informativa, Rai Kids, RaiPlay e Digitale, Rai Way e Staff dell’Ad, Contratto di servizio; e uno stuolo di corrispondenti e conduttori di tg e talk, fra cui spicca per flop e conflitto d’interessi Nunzia De Girolamo in Boccia. Casomai avanzasse tempo, scorteremmo volentieri Elly Schlein in un sit-in a sorpresa, tipo rave party, in Largo Argentina per chiedere di annullare lo sdoppiamento dei direttori del Teatro di Roma concordato dal sindaco Gualtieri col ministro Sangiuliano per affiancare al destrorso De Fusco il pidino Cutaia, che doveva lasciare il Maggio Fiorentino al povero tanguero Fuortes rimasto a spasso, ma nelle ultime ore ha deciso di tenersi il certo e mollare l’incerto. Non sia mai che qualcuno sospetti il Pd di barattare la Resistenza al ritorno del fascismo con qualche culetto al calduccio in più.

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RUBANO PURE LE BATTUTE

l'editoriale di Marco Travaglio

31 gennaio 2024

Mai fare battute. Qualche settimana fa, a Otto e mezzo, dissi a un Mario Sechi inerpicato su uno specchio per difendere le schiforme Nordio che non si depenalizza l’abuso d’ufficio perché molti indagati non vengono condannati: con questa logica, andrebbero abrogati tutti i reati contro la Pa. Due giorni dopo, in Parlamento, Nordio ha trasformato la mia battuta in programma di governo: “I reati contro la Pa sono obsoleti”. Infatti l’Italia, dopo i progressi compiuti fino al 2021 nella classifica di Transparency sulla corruzione percepita grazie alle riforme Bonafede dei due governi Conte, con lui e prima con Cartabia ha ripreso a peggiorare: depenalizzare l’abuso e annunciare una sorte simile per corruzione, concussione, traffico d’influenze illecite, peculato, truffa e così via, senza contare la prescrizione e le intercettazioni, è un “liberi tutti”.

Sempre a mo’ di battuta, ci eravamo divertiti a immaginare cosa avrebbe detto il presidente della commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, alla Meloni del suo piano Mattei pieno di vuoto se lei non l’avesse scambiato per due comici russi, tipo Totò ambasciatore del Catonga. Ora finalmente Faki si è materializzato a Roma: lei ha fatto dell’autoironia (“È quello vero!”) e lui le ha fatto passare la voglia di ridere: “Avremmo preferito essere consultati: noi non tendiamo la mano, non siamo mendicanti”. E subito alla premier è venuta una gran nostalgia dei due comici russi.

Quando Vittorio Sgarbi, pregiudicato dal ’96 per truffa aggravata e continuata ai danni dei Beni Culturali, fu promosso sottosegretario ai Beni Culturali, ironizzai: forse Meloni&C. vogliono dargli un’altra chance, o vedere quanto impiegherà a farsi tornare la tentazione. E lui mi prese così sul serio che in un anno riuscì a farsi indagare per sottrazione di beni al fisco e riciclaggio di un quadro rubato. E siccome la politica è la prosecuzione dell’ossimoro con altri mezzi, ieri è stato pure condannato per aver paragonato una sindaca onesta come Virginia Raggi al mafioso Vito Ciancimino (è lo stesso Sgarbi che, da sindaco di Salemi, promosse il suo autista assessore all’Antimafia, poi il Comune fu sciolto per mafia). Sempre scherzando, avevo domandato alla Meloni che altro debba fare un membro del governo per esserne cacciato, se Sgarbi è ancora al suo posto: tirarsi giù la patta in pubblico? L’altra sera, puntuale, Sgarbi s’è tirato giù la patta davanti alle telecamere di Report e ha pure augurato simpaticamente al cronista un cancro o un incidente stradale. E tutti zitti. Ora verrebbe da chiedere se per cacciarlo stiano aspettando che si cali in testa il vaso da notte, o direttamente il water delle dirette social. Ma rischieremmo di dargli un’altra idea.

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HEZBOLLAH COAST TO COAST

l'editoriale di Marco Travaglio

01 febbraio 2024

Le cronache sulla Rai sono quasi meglio di un film di Mel Brooks.
Ufficio Sinistri. L’altroieri Rep denuncia fremente di sdegno: “Il Tg1 è tutto per Meloni: a dicembre Schlein oscurata e appena 30 secondi al Pd. Zero interventi per la segretaria del primo partito di centrosinistra e principale oppositrice, 24 per Conte… premiato” perché “più congeniale alla narrazione sovranista”. Il Pd, che non s’era accorto di essere sparito per un mese dal principale tg italiano, appena lo legge su Rep ci crede, si straccia le vesti e affila le armi in vista del grande sit-in contro TeleMeloni. Poi purtroppo l’Osservatorio di Pavia si scusa: un banale errore del database ha fatto sparire i dati sulla Schlein, che al Tg1 di dicembre ha avuto 10 minuti. Cioè più di tutti gli altri leader: non solo Conte (6), ma pure Mattarella e Meloni (8). Idem per il Pd, che ha lo stesso tempo di parola di FdI (9,4%) con molti meno voti. Che farà ora Elly al sit-in anti-Rai? Attaccherà TeleSchlein? Fingerà un malore? Diserterà dicendo che deve andare al cinema? Vatti a fidare dei giornali amici.

Reparto Destri. Prosegue incessante l’arruolamento al nuovo sindacato governativo della Rai, UniRai, il cui leader Francesco Palese è già una leggenda per lo stalking telefonico inflitto ai colleghi affinché mollino l’Usigrai e passino con lui (“Ahò, stampa er modulo!”). Ne va della nuova egemonia culturale (parlando con pardon) della destra contro il giogo comunista sul servizio pubblico, di cui Vespa è l’imperituro testimonial. Il mese scorso, “per offrire una casa a chi non si riconosce nel pensiero unico” e stare “al fianco di chi crede nel merito per garantire un’informazione professionale di qualità”, UniRai ha nominato il suo direttivo, in cui spicca il giornalista lucano Nello Rega, ex “inviato di Televideo” (sic) ora a Rainews24, con delega all’“Informazione e conflitti”. Un tipico caso di meritocrazia. Rega nel 2011 rivelò di aver subìto minacce di morte islamiste (una testa d’agnello nell’auto) e di essere fuggito miracolosamente a un attentato di Hezbollah sulla statale Basentana, in Basilicata, a colpi di fucile. La celebre colonna lucana del Partito di Dio era sbarcata nottetempo sulle coste di Maratea per eseguire la fatwa degli ayatollah che gliel’avevano giurata per il suo best-seller Diversi e divisi sulla convivenza fra cristiani e islamici, tant’è che gli fu subito assegnata e poi rafforzata una scorta armata. La risposta basentana a Salman Rushdie crollò miseramente quando il pm di Potenza, indagando sulle sue denunce, scoprì che Rega si era inventato tutto per farsi potenziare la scorta: la questura gliela levò e il Tribunale lo condannò a 8 mesi per simulazione di reato. Di qui la delega meritocratica a “Informazione e conflitti”: chi meglio di lui.

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ASTENERSI COMPETENTI.

l'editoriale di Marco Travaglio

02 febbraio 2024

Ormai in Italia parlano, scrivono e legiferano di giustizia solo persone che non hanno la minima idea di cosa sia. Per cui capita di leggere sulla Stampa due editoriali indignati e increduli: “Se chi uccide un bambino può evitare la galera”, “Se chi accusa di stupro subisce 1400 domande. Processo alla vittima”. E, su quasi tutti i giornali, una miriade di commenti contro la Meloni che non è ancora riuscita a farsi ridare da Orbàn, suo amico, Ilaria Salis, detenuta da 11 mesi in Ungheria in condizioni deplorevoli.

1) Perché lo youtuber che ha ucciso il bimbo non va in galera? Perchè l’omicidio non è volontario, ma colposo; perché ha patteggiato una pena (superiore alla media) che prevede “4 anni e 4 mesi di reclusione”; e perché nel Paese di Bengodi da tutti dipinto come un inferno giustizialista la reclusione è quasi sempre finta: le pene sotto i 4 anni si scontano comodamente a casa (domiciliari) e poi a zonzo (servizi sociali). E allo youtuber, detratti i mesi scontati in custodia cautelare (sempre a casa), restano meno di 4 anni. È un folle automatismo tutto italiano, voluto dai politici di destra e sinistra per sé e compari, e chi come noi lo denuncia da anni si becca regolarmente del manettaro. Anche dalla Stampa. Che ora strilla perché, anziché a un ladro di Stato, tocca a uno che ha fatto un incidente stradale.

2) Perchè la giovane che accusa Ciro Grillo e i tre amici deve rispondere a 1400 domande dai legali dei quattro imputati, come se non fosse la vittima? Perché al momento non è la vittima e gli imputati non sono i colpevoli. Il processo si fa proprio per accertare chi dice la verità e chi mente, dunque gli avvocati di parte civile esaminano la denunciante e i difensori la controesaminano. Con tutte le domande che ritengono utili, se il giudice le ammette. I difensori avevano anche accettato di acquisire le sue dichiarazioni al pm per evitarle il bis in aula, ma i suoi legali hanno chiesto di risentirla. Si chiama “giusto processo”, non “processo alla vittima”.

3) Perché la mediazione di Meloni con Orbàn sul caso Salis è complicata, ai limiti dell’impossibilità? Perché, facendo parte dell’Ue, l’Ungheria è uno Stato di diritto con una magistratura indipendente dal governo, ancorché con codici più severi e trattamenti carcerari più incivili dei nostri. Ma da anni la commissione Ue accusa Orbàn di voler mettere sotto controllo i magistrati. E ora cosa gli si chiede? Di sostituirsi ai giudici per decidere non solo come dev’essere trattata una detenuta italiana, ma addirittura di concederle (in pieno processo) i domiciliari, ovviamente in Italia, e poi possibilmente di assolverla. Se non lo fa, è un fascista. Se invece lo fa, dimostra che i giudici ungheresi prendono ordini da lui, quindi è un fascista lo stesso.

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COME PAGARE UN TOSSICO

l'editoriale di Marco Travaglio

03 febbraio 2024

Grandi festeggiamenti perché l’Ue ricatta il ricattatore Orbán e gli strappa un sì al nuovo pacco dono da 50 miliardi all’Ucraina. Cioè all’ennesimo autogol spacciato per vittoria. Neppure gli agricoltori vessati e impoveriti che assediano il Palazzo di Bruxelles per contestare le scelte europee di austerità a senso unico, la concorrenza sleale del grano ucraino, i prezzi folli dovuti a gurre che l’Ue fa di tutto per alimentare bastano a far riflettere i conducenti dell’autobus impazzito che chiamiamo Europa e i loro aedi. Questi pazzi scatenati non si accorgono di gonfiare le vele ai peggiori fascio-nazionalismi, che cavalcano strumentalmente il ceto medio massacrato, le piccole e medie imprese stritolate, le periferie sociali del lavoro schiavista e del non lavoro. E non sentono lo stridore offensivo di quei 50 miliardi inviati a un Paese fallito, corrotto ed estraneo all’Ue, in aggiunta ai 110 già donati dal 2022, per tenerlo in vita artificialmente un altro po’ e finanziargli nuove controffensive flop con altri 500 mila riservisti da mandare al macello. Il tutto per supportare gli interessi degli Usa, che hanno chiuso i rubinetti dopo aver buttato 113 miliardi, ma ringraziano noi scemi di guerra perché ora il conto lo saldiamo noi. Inviamo 50 miliardi alla cieca, senza sapere che fine faranno, né indicarne l’uso, né condizionarli a un iter diplomatico per un cessate il fuoco e un negoziato basato sull’esito del campo che salvi quel poco di salvabile rimasto.

All’Europa tutta, non solo ai 27 dell’Ue, servirebbe una conferenza per la sicurezza di ogni Stato che disinneschi tutti i focolai di tensione: quelli dovuti alla Russia e quelli causati da Nato&Ue che, se avessero lasciato neutrale Kiev e rispettato i patti di Minsk sull’autonomia del Donbass, avrebbero evitato la guerra. E se oggi intervenissero sulle cause della pirateria nel Mar Rosso, cioè i crimini di Israele a Gaza e dell’Arabia Saudita in Yemen, anziché sugli effetti, cioè i raid degli Houthi, eviterebbe un’altra escalation con il Sud e l’Est del mondo che non impoverisce gli Usa, ma noi europei. Inviare soldi al regime ucraino spappolato, sconfitto e fuori controllo è come darli a un figlio tossico: non un incentivo a disintossicarsi, ma a drogarsi. Pare averlo capito persino l’atlantista Fubini, quando nota sul Corriere che i 230 miliardi già buttati dall’Occidente in Ucraina non le han fatto recuperare nulla di ciò che ha perduto. Poi però invita Zelensky a “trovare una nuova definizione di vittoria”: che sarebbe “consolidare il territorio difeso con enorme coraggio” (quello che Putin non ha occupato), non potendo più riprendersi il resto (quello che Putin ha occupato). Non male, come idea: basta chiamare sconfitta la vittoria di Putin e abbiamo vinto noi.

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FUOCHI AMICI

l'editoriale di Marco Travaglio

04 febbraio 2024

Non sappiamo se sia vero che ieri le truppe di Kiev, con i nostri soldi e le nostre armi, hanno bombardato una panetteria nel Luhansk ammazzando almeno sette persone: lo dicono i filo-russi, speriamo che sia falso. Non sappiamo neppure se sia vero che l’areo militare russo abbattuto dalle truppe di Kiev, con i nostri soldi e Patriot (“nostri” di noi occidentali “buoni” e astuti, s’intende), trasportava 65 soldati ucraini destinati a uno scambio di prigionieri (tutti morti): lo dicono i russi, speriamo che sia falso. Invece è senz’altro vero che gli Usa hanno bombardato non solo la nemica Siria, ma anche l’Iraq, nostro amico da quando nel 2003 lo liberammo da Saddam Hussein e dal suo regime sunnita issando al potere i suoi nemici sciiti. Purtroppo non calcolammo che i sunniti si sarebbero incazzati: infatti crearono l’Isis, cioè lo Stato Islamico fra Iraq e Siria e un’ondata di terrorismo in Occidente (specie in Europa). E, per combatterli gratis, mandammo a morire i curdi, che poi lasciammo alle amorevoli cure del nostro caro Erdogan. Ma non calcolammo nemmeno che gli sciiti sono filoiraniani: eppure lo sapevamo bene nella guerra Iran-Iraq, infatti armammo Saddam contro gli ayatollah anche con le armi di distruzione di massa che poi lo accusammo di conservare per spararci addosso.

E così ora ci ritroviamo a Baghdad gli sciiti da bombardare e i sunniti dell’Isis che continuano a spararci con le nostre armi. La stessa svista ci costò un pochino anche nei Balcani, dove il più pulito ha la rogna, ma noi scegliemmo i puzzoni kosovari contro i puzzoni serbi, concedemmo financo l’indipendenza al Kosovo, poi purtroppo divenuto un covo di jihadisti che iniziarono a spararci addosso con le nostre armi. Stessa scena dell’Afghanistan, dove armammo i mujaheddin contro i russi e poi ce li ritrovammo in veste di Talebani a puntarci contro le nostre stesse armi. E decidemmo di neutralizzarli con una guerra di 21 anni che li rafforzò e li riportò al potere cento volte più potenti e popolari di prima, mentre le truppe Usa scappavano a gambe levate tipo Saigon. Nel 2006 il Senato Usa tracciò il bilancio dei primi cinque anni di “guerra al terrorismo” in Afghanistan e in Iraq dopo l’11 Settembre: era già costata “mille miliardi di dollari”, ma aveva “peggiorato la posizione americana” producendo più terrorismo di prima. Ora vedremo quanto impiegheranno tutte le armi che abbiamo regalato all’Ucraina, quando la musica cambierà, a rivoltarcisi contro. Perché in tutte queste guerre le armi sono quasi sempre le nostre: cambia solo chi le usa e contro chi. A furia di appiccare incendi in Paesi che non sai neppure dove stanno sulla carta geografica, presto o tardi ti spari nei c*gli**i.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale Marco Travaglio

05 febbraio 2024

Il pistolino pallido. “Pozzolo: ‘FdI non mi espelle, io come Clint Eastwood’” (Libero, 2.2). L’ispettore Pirlaghan.

Lezioni di storia. “Oggi il ricordo dello sterminio (la Shoah, ndr) è meno ecumenico, se si considera che al ‘43 a oggi lo Stato di Israele viola sistematicamente il diritto” (Unità, 31.1). Cioè da cinque anni prima di nascere: però, che precocità.

Tunnel. “Salvini sulla Tav: ‘Oggi parte un’opera irreversibile’” (un tunnel di 60 km nelle Alpi ideato nel 1987 e mai iniziato, Repubblica, 18.12.23). “La fortezza di Hamas: fino a 720 km di tunnel sotto Gaza, quasi il doppio della metro di Londra” (Foglio, 18.1.24). E chiamare Hamas in Val di Susa?

Chi può e chi non può/1. “Protesta agricoltori: i privilegi non sono eterni” (Repubblica, 2.2). Vale anche per gli Elkann?

Chi può e chi non può/2. “Il doppio schiaffo dei nuovi kulaki”, “Meloni cede ai trattori” (Repubblica, 3.2). Invece leccare il kulako a Stellantis.

Autoriciclaggio. “Antiriciclaggio, Gualtieri a Bruxelles: ‘Roma ha le carte in regola per la sede’” (Messaggero, 31.1). Con tutti i riciclati che ha il Pd, non ce n’è per nessuno.

AutoAmato. “Sembra che l’elemento determinante (della destra, ndr) sia piazzare i propri uomini dentro la Corte costituzionale” (Giuliano Amato, Repubblica, 31.1). E, se gli uomini non si chiamano Giuliano Amato, non si fa.

Vasi comunicanti. “Biden rompe il tabù: consegnare all’Ucraina il ‘tesoro di Mosca’” (Corriere della sera, 1.2). “Il Pentagono: Kiev ha fatto sparire 1 miliardo di aiuti militari. Al 2 giugno 2023 è andato perduto o rubato il 56% di missili, sistemi anticarro e antiaerei inviati dagli Usa” (Verità, 3.2). Sequestrare i beni ai corrotti russi per regalarli ai corrotti ucraini: ideona.

Giù al Nordio. “Csm, l’affondo di Nordio: ‘Sanzioni troppo leggere alle toghe che sbagliano’” (Messaggero, 3.2). Lui, per dire, riuscì a restare pm fino alla pensione.

Ha stato Putin/1. “Ian Bremmer: a Gaza sta vincendo il Cremlino” (Repubblica, 30.1). Uahahahahah.

Ha stato Putin/2. “Agricoltori in strada. ‘L’Europa ci affama’. Così neofascisti e no vax cavalcano la rivolta” (Repubblica, 29.1). E Putin, dove lo mettiamo?

Ha stato Putin/3. “Cas Mudde (University for Georgia): ‘Sull’informazione i modelli di Meloni sono Putin e Trump. Il rischio è la violenza’” (Repubblica, 29.1). Tranquillo, i modelli sono B. e Renzi, tutta roba nostra.

Zero virgola. “La Russia si è rotta. Il Pil è in crescita del 3 per cento, ma il paese civile cade a pezzi” (Anna Zafesova, Stampa, 31.1). L’Ue invece, col Pil in crescita dello 0,5%, sta una favola.

Tutti d’un prezzo/1. “Non entro in Azione” (Elena Bonetti, deputata Iv, 10.9.23). “Non mi iscrivo ad Azione” (Ettore Rosato, deputato Iv, 1.10.23). “Bonetti e Rosato sono entrati in Azione” (Agi, 29.1.24). Chi l’avrebbe mai detto.

Tutti d’un prezzo/2. “Russia: la Ue abolisca le sanzioni!”, “No alle sanzioni, sì a una soluzione diplomatica Russia-Ucraina”, “Il messaggio della Nato è aggressivo verso la Russia”, “Il governo rinnova le sanzioni alla Russia e condanna il made in Italy!” (Fabio Massimo Castaldo, eurodeputato M5S, Twitter, 2014-2015). “Gli europarlamentari di Lega, FI, Iv e Calenda hanno finalmente gettato la maschera… Hanno appena votato contro un emendamento che avrebbe vietato i tirocini non remunerati. Vergogna!”, “Renzi e Calenda si sono trasferiti direttamente nei banchi della maggioranza per dare l’ennesimo colpo alla giustizia e smantellare la Spazzacorrotti… Vergogna!” (Castaldo, 2022). “Con un’iniziativa di rara coerenza Fabio Massimo Castaldo e Federica Onori vengono in Azione su un punto dirimente: la tenuta di un asse di sostegno all’Ucraina e l’europeismo” (Carlo Calenda, leader Azione, 1.2.24). Rara coerenza.

Povera stella. “Povero Sinner tra moralismo e Sanremo… Non so perché viva a Montecarlo… Come tutti, ha diritto a risiedere dove gli piace e dove gli conviene… non capisco quale furia da tribunale morale spinga tanti acidi italiani a processare un ragazzo che non viola le leggi, non evade le tasse, non commette reati” (Francesco Merlo, Repubblica, 1.2). “Inizia la caccia a Sinner: c’è chi lo vuole in Italia per fargli pagare le tasse” (Pietro Senaldi, Libero, 31.1). Ma non mi dire.

Il titolo della settimana/1. “Denti di drago, mine e trincee: lo scudo russo per rallentare l’offensiva russa” (Corriere della sera, 24.5.23). “Mine e denti di drago sulla ‘linea Zelensky’ dove gli ucraini si difendono dai russi” (Repubblica, 2.2.24). Che fanno, copiano?

Il titolo della settimana/2. “Con i raid nel mar Rosso gli Usa ci fanno un favore” (Verità, 15.1). Pensa che c**o.

Il titolo della settimana/3. “Pista da Bob a Cortina: parte il cantiere sprint” (Corriere della sera, 3.2). Quello che doveva partire nel 2019.

Il titolo della settimana/4. “È Meloni il miglior leader Ue” (Marco Tronchetti Provera, 2.2). Lui del resto crede di essere un imprenditore.

Il titolo della settimana/5. “Trucchi palestinesi: ‘Fatte al computer le foto disperate dei bimbi di Gaza’” (Libero, 3.2). Per nascondere quanto godono.

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Dino

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l'editoriale Marco Travaglio

06 febbraio 2024

Per la serie “I dibattiti inutili dell’opposizione che fanno perdere voti e rotolare le palle”, le menti più illuminate della Nazione discutono se sia il caso che il Pd, fra quattro anni, si allei con Conte che rifiuta il gioco della torre Biden-Trump e per giunta ha alcune idee diverse dal Pd e, anziché tenersele, le espone impunemente a chi gliele chiede. Va detto che il dibattito ha già fatto progressi, rispetto a quando lo stesso trust di cervelli intimava al Pd di andare al voto nel 2019 dopo il Papeete per regalare i pieni poteri a Salvini; poi di abbattere il Conte-2 per eccesso di successi; poi di non allearsi con Conte, dato per morto alle elezioni del 2022, bensì con trascinatori di folle tipo Calenda, Renzi, Bonino, Di Maio e Moratti in nome di una misteriosa Agenda Draghi. Ma non si vede perché un ex premier che ambisce a tornare dovrebbe sostituirsi agli elettori Usa, manco fosse al bar, scegliendo fra un guerrafondaio rinc*gli**ito e un pazzo scatenato, sapendo che uno dei due potrebbe ritrovarselo nei summit a rappresentare il principale Paese alleato. E magari sentirsi rispondere come Mattarella alla ministra francese che nel ‘22 ci insegnava a votare: “Grazie, ma sappiamo badare a noi stessi”.

Ancor più incomprensibile è l’altra domanda: come potrà il Pd allearsi col M5S che la pensa diversamente su Kiev, Gaza, Ius soli, Rai, Mes, giustizia ecc.? Visto che nessuno la pone al M5S, è chiaro il retropensiero: il Pd comanda e il M5S porta i voti con le orecchie. Il guaio è che, su quelle e altre questioni, il M5S ha un’idea e il Pd ne ha sette o otto, a seconda del capocorrente interpellato. Ma le alleanze non si fanno annullando o annettendo un partito all’altro. Sennò chi votava il partito annullato o annesso si astiene e la somma dell’alleanza è a perdere. Ora che sono all’opposizione, Pd e M5S devono distinguersi il più possibile per recuperare astenuti, non per moltiplicarli. Il Pd contesta la Meloni perché non è abbastanza allineata all’establishment italiano ed europeo. Il M5S la attacca perché si è consegnata all’establishment. E devono continuare così, come le tre destre nell’infausta èra Draghi: FI e Lega al governo, FdI all’opposizione (perlopiù finta). Perciò poi vinsero (oltreché per le divisioni avversarie) e perciò la Meloni doppiò gli alleati. L’opposizione è molto più efficace se fatta su temi e con linguaggi diversi. Sull’immigrazione, lo Ius soli (specie in un Paese di transito come l’Italia) è un assist della Schlein alla Meloni, che teme molto più Conte quando le rinfaccia di aver triplicato i migranti. La sintesi si farà alla fine, alle elezioni politiche, e si dovrà ripartire per forza dall’ottima esperienza del Conte-2. Quello che il nostro trust di cervelli bombardò per un anno e mezzo perché funzionava troppo bene.

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