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Dino
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RIDERE PER NON PIANGERE
l'editoriale di Marco Travaglio
17 dicembre 2023
Davigo, che si farebbe ammazzare per una battuta, ne ha fatta una sulla sua lunga e infausta esperienza a Brescia: “Non solo non ho commesso reati, ma ho fatto il mio dovere. Ma visto che a Brescia le cose non sempre le capiscono, mi hanno condannato. Ci sono abituato, è il mio 27esimo procedimento a Brescia”. E gli ex colleghi bresciani si sono affrettati a convalidarla, chiedendo al Csm una “pratica a tutela” contro di lui, dimostrando di non aver capito né la battuta né il fatto che era una battuta. Il processo bresciano n. 27 a Davigo è l’unico finito con la condanna in primo grado (i precedenti 26, come gli 80 sugli altri pm di Mani Pulite, erano finiti nel nulla). E solo un tipo spiritoso può liquidarlo con una battuta, vista la collezione di assurdità che costella il caso. Nel 2020 il pm milanese Storari informa Davigo che da 5 mesi la sua Procura cova gravissime accuse di Amara a politici, magistrati (2 del Csm), avvocati, finanzieri e faccendieri su una presunta Loggia Ungheria senza iscriverle nel registro. Davigo, membro del Csm tenuto a denunciare eventuali illeciti togati (col Csm non c’è mai segreto), si fa dare un brogliaccio dei verbali e avvisa 9 consiglieri del Csm (non i 2 accusati da Amara) e il vicepresidente Ermini, che avverte Mattarella. E né il presidente né gli altri 10 notano illeciti da parte di Davigo. Tant’è che il Pg Salvi, anziché incolparlo, chiama il procuratore Greco, che iscrive finalmente il caso Amara.
Ma Brescia indaga Storari e Davigo per violazione di segreto e Greco e l’aggiunta Pedio per la non-iscrizione. Greco è archiviato perché semmai l’iscrizione toccava a Pedio. Pedio è archiviata perché sì, la legge impone l’iscrizione “immediata” e lei la fece 15 giorni dopo che Storari la sollecitò via mail (ma la notizia di reato era stata acquisita da lei e Storari 5 mesi prima!). Storari è assolto perché era convinto di poter dare le carte a Davigo: infatti il segreto non è opponibile al Csm e comunque i verbali degli indagati non sono segreti. Davigo è condannato per aver istigato Storari a darglieli e non aver segnalato il caso con una relazione scritta a tutto il Csm (ma così avrebbe avvisato anche i due accusati!). Ermini dice di averli ricevuti da Davigo e cestinati, cioè di aver distrutto il corpo del (presunto) reato, ma non viene indagato per favoreggiamento: lo sentono come teste. Invece Roma e Perugia indagano Marra e Cascini, 2 degli 11 ex del Csm informati da Davigo, per non averlo denunciato (gli altri 9 no). Ma ora i pm chiedono di archiviarli: non dovevano denunciare Davigo, ergo non commisero reati né loro né lui. Gli unici a pensare che Davigo abbia violato un segreto sono un pugno di magistrati bresciani. Delle due l’una: o sono gli unici al mondo ad aver capito tutto, o a non aver capito nulla.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
18 dicembre 2023
L’autoreggente. “La dura vita del federatore Gentiloni, anche Bindi prende più applausi” (Huffington Post, 15.12). Il federatore si federa da solo.
Francesco Giorgina. “Non esiste TeleMeloni. Con i nuovi vertici, servizio pubblico più pluralista” (Francesco Giorgino, Libero, 11.12). Uahahahah.
Gli ultimi giapponesi. “Kyiv può vincere. Ecco il piano, i tempi e i calcoli” (Micol Flammini, Foglio, 16.12). “L’abisso oggi è davanti più a Putin che all’Ucraina” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 16.12). “Cedere l’Ucraina significherebbe permettere a Putin di farsi gioco dell’Occidente, di indebolire l’Europa e la Nato… stanchezza vorrà dire non poter respirare con l’anima” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 17.12). Dài, è la volta buona che si arruolano.
Superpirlus. “Giorgetti: ‘Il Superbonus è radioattivo come Chernobyl’” (Libero, 16.12). “… una situazione drammatica ereditata soprattutto per il Superbonus, con qualcuno che faceva la campagna elettorale dicendo che si è potuto ristrutturare gratuitamente casa e ci ha lasciato un buco da 140 miliardi” (Giorgia Meloni, FdI, 17.12). Quindi è sicuro: lo prorogano.
Il portafortuna. “Congratulazioni a Augusto Barbera nuovo Presidente della Corte Costituzionale, giusto e dovuto riconoscimento” (Piero Fassino, deputato Pd, Twitter, 12.12). Povero Barbera, non meritava.
Senti chi parla. “’La corsa a intercettare uccide l’intelligence’. Parla Mancini, principe degli 007” (Unità, 16.12). Viva Tavaroli, Pollari e Pompa.
Ha stato Putin. “E ora l’Ucraina teme un Putin dei Carpazi” (Anna Zafesova, Stampa, 16.12). “Vento russo sulla Serbia” (Stampa, 17.12). Ora che è moribondo, Putin è ovunque.
Ha stato Conte. “Il tema qui è l’abilità di Conte nello stare sulla scena, rubandola a Schlein e Pd… non esita a mettere in campo ogni astuzia che la spregiudicatezza gli suggerisce… nello sforzo di superare il Pd nei consensi… l’immoralità della politica non è mai stata un problema per il capo dei 5S” (Stefano Folli, Repubblica, 16.12). Strano che un leader voglia aumentare i consensi del suo partito anziché quelli altrui: arrestatelo.
Ruocco e le sue sorelle. “L’ex M5S Carla Ruocco più vicina a FdI: ‘Ammiro molto la premier e la sorella Arianna’” (Libero, 17.12). Da quando combatteva intrepida contro la Raggi.
Madia, ma dai. “Mancava Renzi, lui è uno di noi” (Marianna Madia, deputata Pd, Repubblica, 17.12). Povera stella. Ma voi chi?
Arraffoni. “Da Scurati a Mauro, gli scrittori rossi che si arricchiscono con i libri sul Duce” (Libero, 16.12). “I camorristi fanno vendere, ci si fanno le serie tv. E magari regalano il pulpito da New York da cui dare lezioni di moralità agli italiani. Sempre a pagamento” (Meloni contro Roberto Saviano, 17.12). Per non parlare degli storici che si arricchiscono su Giulio Cesare e Napoleone e degli oncologi che fanno i soldi grazie al cancro.
Non ha stato nessuno. “Pare che l’idea di mettere un’ex deputata berlusconiana, Nunzia De Girolamo, a condurre un talk show nell’ex TeleKabul non stia dando i risultati previsti” (Sebastiano Messina, Repubblica, 16.12). Pare anche che l’idea l’abbia avuta il Pd, il cui capogruppo Boccia è il marito dell’ex deputata berlusconiana, che era anche ministra di Letta. Ma pare che tutto ciò convenga non dirlo.
Attaccati al tram. “Tram Tva, Federmoda: ‘E ora un tapis roulant’”, “Negoziati contro i Tva: ‘Sciagura per il Centro’” (Messaggero, 11 e 13.12). Vergogna, solo due articoli anti-tram in una settimana al posto dei consueti sette-otto: si batte la fiacca?
L’ideona. “Gli emendamenti della Brambilla al Codice: ‘Patente sospesa per chi abbandona gli animali in strada’” (Corriere della sera, 14.12). Anche per chi va a piedi?
Tank show. “La controffensiva ucraina segna la fine dell’era del carro armato” (Domani, 13.5.2022). “Dal fronte ucraino alla Striscia. Il tank è l’arma imprescindibile” (12.12.2023). Come passa il tempo.
Il titolo della settimana/1. “Schlein riparte da Berlinguer. C’è anche D’Alema. E all’evento con Gentiloni l’aspettano un’ora” (Domani, 16.12). Praticamente una seduta spiritica.
Il titolo della settimana/2. “Il termovalorizzatore di Roma diventerò una miniera d’oro. Fornirà una quantità rilevante di metalli, anche preziosi” (Libero, 15.12). Già pronti i ponti aerei dal Klondike.
Il titolo della settimana/3. “Renzi: ‘Io e il mio amico bin Salman: affascinante e ossessionato dai numeri’” (Corriere della sera, 16.12). Il classico amore platonico.
Il titolo della settimana/4. “Il Pd attacca Giorgia ma l’anti-Draghi è lui” (Pietro Senaldi, Libero, 14.12). Lui chi, Draghi?
Il titolo della settimana/5. “Benvenuta Ucraina, ti aspettavamo” (Foglio, 15.12). Per fallire tutti insieme.
Il titolo della settimana/6. “Il Pd non è un partito per cattolici” (Lario Lavia, Riformista, 13.12). Solo per mormoni, buddisti e avventisti del Settimo Giorno.
Il titolo della settimana/7. “L’altra verità sulla sparizione dell’agenda rossa di Borsellino” (Dubbio, 13.12). Sta insieme all’Agenda Draghi.
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MONDI PARALLELI
l'editoriale di Marco Travaglio
19 dicembre 2023
Il trucco è talmente vecchio che lo vede anche un bambino. Eppure in giro è pieno di allocchi che ancora ci cascano. Un politico è disperato perché non ne azzecca una, o perché mente e viene sbugiardato, fallisce su tutto, o perché è circondato da mostri, o perché passa da uno scandalo all’altro, o per tutte queste cose insieme. E allora si sceglie qualche nemico, vero o immaginario non importa, purché sia famoso quanto lui o più di lui, e gli spara addosso a pallettoni. Così il nemico gli risponde e, siccome è famoso, tutti i media rilanciano sia l’attacco sia il contrattacco, che diventano la notizia del giorno e la gente pensa solo a quelli, dimenticando gli errori, le menzogne, i fallimenti, i mostri e gli scandali del politico disperato. Che può tirare a campare un altro po’, fino al fiasco successivo, seguìto immancabilmente da un’altra arma di distrazione di massa. Prendete la Meloni. La sua finanziaria coi fichi secchi è un pozzo senza fondo di vergogne (dalle marchette per gli amici degli amici ai medici in pensione a 72 anni) e lo sarà vieppiù a mano a mano che la gente ne sentirà gli effetti sulle proprie tasche. E siccome in Europa non sta cavando un ragno dal buco sul Patto di stabilità, dovrà presto farne un’altra correttiva con ulteriori lacrime e sangue. La sua squadra è una via di mezzo tra la Famiglia Addams e il bar di Guerre stellari: i casi Lollobrigida, Santanchè, Sgarbi, Delmastro, Giambruno, La Russa, Gasparri, Corsini e ora pure Crosetto. Bankitalia certifica che, levando il Reddito di cittadinanza, ha gettato 900 mila famiglie sul lastrico. Mezza maggioranza vuole prorogare il Superbonus che lei spaccia per una mega-truffa. Più stringe patti anti-migranti con Tunisia, Albania, Gran Bretagna e Madagascar, più migranti sbarcano. E il famigerato Mes, che lei accusava Conte di aver firmato e persino preso, dovrà presto ratificarlo lei.
Infatti di che parlano da due giorni tg, talk, giornali e social? Dell’attacco a Ferragni e Saviano, delle risposte dei due attaccati e delle immancabili “reazioni” (c’è pure chi scambia la Ferragni per una staffetta partigiana: la compagna Balocco). Mondi paralleli, lontani anni luce dalla realtà. Per la Meloni, missione compiuta: le vergogne della casa possono continuare lontano da occhi indiscreti. Tantopiù che, mentre Conte tenta di inchiodarla alle sue balle sul Mes, il Pd è impegnatissimo in un nuovo gioco di società, ancor più avvincente del Perdi-elezioni e dell’Ammazza-segretario: il Fanta-federatore, seguitissimo fra gli editorialisti-onanisti di Twitter e dei giornaloni, che purtroppo non hanno ancora spiegato chi dovrebbe federare cosa e perché. L’ultima mano si è disputata alla presenza (si fa per dire) di Prodi, Gentiloni e Letta: praticamente una seduta spiritica.
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IL CROSETTO DOVE LO METTO
l'editoriale di Marco Travaglio
20 dicembre 2023
Guido Crosetto è uno dei rari esseri raziocinanti in un governo-manicomio. Ma questa non è un’attenuante: è un’aggravante. Perché, diversamente da un Lollobrigida o da uno Sgarbi, non può non capire la gravità di ciò che fa e dice. Il primo a porre un ostacolo insormontabile alla sua nomina a ministro della Difesa fu proprio lui due estati fa in un’intervista a Tpi: “Sarebbe inopportuno, dato il mio lavoro”. Parole sante: era presidente degli industriali della difesa e degli armamenti (Aiad) e senior advisor di Leonardo, e andare al ministero che dà appalti ai suoi ex consociati e committenti avrebbe creato un discreto conflitto d’interessi. Infatti andò proprio lì. E, non contento, a luglio, con un trasloco-fiume tuttora in corso, ha iniziato a trasferirsi con la famiglia dai Parioli in casa di Carmine Saladino, presidente e socio di Maticmind, colosso della cybersecurity affiliato all’Aiad, appaltatore di Servizi e ministeri (fra cui la Difesa), partecipato da Cdp (cioè dal Mef del suo collega Giorgetti): un sontuoso appartamento di 220 mq. con attico, superattico, box, cantine e soffitte, in cui vive stabilmente almeno da settembre con la moglie e i figli. Un fatto che – stando al Crosetto prima della cura – sarebbe inopportuno anche se pagasse l’affitto. Ma lo è molto di più visto che non ha scucito un euro: lo farà “da gennaio perché ci sono ancora lavori in corso” (oltre al trasloco da record mondiale). Questo ha dichiarato ai nostri Lillo e Pacelli e questo abbiamo riportato sul Fatto.
Ma ieri dev’essersi accorto che la scusa non regge e allora, scartato l’alibi scajoliano dell’insaputismo, ha scritto su Twitter che si è “stufato” (senza precisare di cosa). E ha postato le foto dei lavori con tanto di operai (con protezioni antinfortunistiche un po’ opinabili), scalette, calcinacci, cavi scoperti, sacchi di cemento, latte di vernice, pennelli e cartoni in un paio di stanze. Noi vogliamo sperare che le altre siano abitabili, altrimenti non si spiega come faccia a presentarsi sempre lindo e pinto senza macchie di calce sulla giacca e spruzzi di minio sul capoccione. Se fosse così gentile da mostrarci gli altri 200 mq dell’appartamento, potremmo tranquillizzare i fan sulle condizioni di vita sue e dei suoi cari. Naturalmente continueremmo a tacere l’indirizzo, nel rispetto della sua privacy e della sua sicurezza. Eppure Crosetto fa la vittima: “Grazie per aver resa pubblica la mia residenza”. Ma noi abbiamo scritto soltanto che è “in zona Aurelia a due passi dal Vaticano”, dove sorgono migliaia di edifici (siamo nella Roma del 2023, non del ’500). Semmai è stato lui, con quelle foto, a fornire preziosi indizi sull’ubicazione dello stabile. Che però, più che a un attico&superattico nel centro di Roma, fa pensare a un bilocale di Gaza City.
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DELITTO DI CRONACA
l'editoriale ditoriale di Marco Travaglio
21 dicembre 2023
Per Calenda e Renzi l’opposizione è quella cosa che peggiora le porcate del governo. Perciò hanno approvato con le destre il bavaglio tombale: vietata la “pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari”. L’ordine di cattura è per legge un atto non segreto perché viene comunicato (e ci mancherebbe) all’arrestato. Ma ora è proibito pubblicarlo tutto o per stralci. Il giornalista dovrà parafrasarlo con parole sue. Così l’opinione pubblica, invece di sapere cosa scrive esattamente il giudice, quali prove ha raccolto, cosa ha detto l’arrestato o chi lo accusa, dovrà accontentarsi fino al processo (campa cavallo) del riassuntino del cronista. Che potrebbe equivocare il testo, non notare errori o contraddizioni, o magari occultarli apposta per colpire i nemici o favorire gli amici. Oggi, con le parole testuali dell’ordinanza, il lettore può farsi un’idea sulla fondatezza o meno di un arresto e sulla gravità o meno di una condotta. In futuro non più, perché dovrà affidarsi alla parafrasi soggettiva del giornalista. I fatti contenuti nelle ordinanze diventeranno opinioni, a cui un indagato nei guai fino al collo ma anche un giudice in malafede potranno opporre altre opinioni. In pratica la legge impone a noi giornalisti di fare male il nostro mestiere, a essere meno precisi e più approssimativi. Il tutto perché i politici, ormai al riparo dalle condanne grazie a leggi salva-ladri, prescrizioni e immunità assortite, vogliono liberarsi anche dell’ultima noia rimasta: la sanzione sociale che segue alla conoscenza dettagliata delle loro malefatte (la famosa “gogna mediatica”, che nelle democrazie si chiama accountability: dovere di rendere conto).
I “garantisti” pro bavaglio che hanno sempre in bocca Enzo Tortora dovrebbero vergognarsi: gli errori giudiziari saranno molto più difficili da smascherare. Ma chi oggi fa le leggi se ne frega degli innocenti: conoscendosi, pensa solo ai colpevoli. Il Fatto farà obiezione di coscienza e continuerà a pubblicare tutto testuale e, appena processati, ci rivolgeremo alla Corte di Strasburgo che ha già sancito decine di volte il diritto di pubblicare atti di interesse pubblico persino se sono segreti di Stato. Ma siamo curiosi di leggere le perifrasi dei colleghi su intercettazioni tipo quelle sui bunga-bunga, sul “sopramondo” e il “mondo di mezzo” spiegati da Carminati, sul “siamo padroni di una banca?” di Fassino a Consorte, su Ricucci che dice “stamo a fà i furbetti der quartierino” e accusa i finanzieri dei salotti buoni di “fà i froci cor c**o de l’artri”. Frase immortale che, in ossequio alla nuova legge, si potrebbe tradurre così: “A questo punto l’immobiliarista di Zagarolo allude a pratiche omosessuali eterologhe”.
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CRONISTI D'ACQUARIO
l'editoriale di Marco Travaglio
22 dicembre 2023
Igiornalisti che credono di esserlo perché sono iscritti all’albo non vedevano l’ora di essere silenziati da una legge bavaglio dopo tutti i silenziatori che si son messi da soli: ora possono raccontare e raccontarsi che se non scrivono niente è colpa della legge. Metti che gli capiti un’ordinanza di custodia con intercettazioni, filmati, foto o testimonianze su un potente amico loro o del padrone: prima dovevano darsi malati o inventarsi il quarto o quinto funerale della nonna; ora basterà dire che c’è l’emendamento Costa. Tanto chi se lo ricorda più perché fanno i giornalisti e non i pesci da acquario? I giornali di destra e di sinistra li conosciamo: tuonano contro i bavagli dei governi nemici e adorano quelli dei governi amici. Ma ora abbiamo le new entry degli “indipendenti”.
Goffredo Buccini del Corriere 29 anni fa fece il suo ultimo scoop sull’invito a comparire a B. e non ha mai smesso di pentirsene. Intanto è passato, con esiti più infausti, dalla giudiziaria alla geopolitica (“Putin ha già perso la guerra… sta sprofondando in un baratro certificato dal G20 di Bali. Anche il bersaglio minimo del Donbass… s’è mutato in una ritirata”, 19.11.2022). Ma si congratula con il “bravo Costa”, strepita contro “decenni di collateralismo giudiziario” (il suo) e vuole “separare le carriere di pm e giornalista” perché “l’ordinanza di custodia cautelare è storicamente usata sui media per abbattere il nemico poco importa se colpevole o innocente”. Chissà che gente frequenta, se pensa che in ciascuna delle decine di migliaia di ordinanze di custodia spiccate ogni anno ci sia almeno un amico o un nemico del cronista. E deve aver dimenticato che le ordinanze di custodia non le emette un pm, ma un giudice terzo: il gip. Perciò non sono segrete: solo nelle dittature si può arrestare qualcuno senza che si sappia il perché. Ma qui c’è una gran nostalgia dei desaparecidos. L’ordinanza rimane non segreta, ma non è più pubblicabile, né integrale né con stralci virgolettati né tantomeno con le foto o i filmati allegati. Si saprà che Tizio è stato arrestato per un grave reato per gravi indizi di colpevolezza (“gogna mediatica” assicurata): ma non si potrà più citarli fra virgolette o con immagini (che è come vietare di riportare le frasi di un documento, di una conferenza stampa, di un’intervista). Il giornalista si prostituisce per procurarsi il testo, poi deve riassumerlo con parole sue. Se non lo trova, riporta il comunicato della Procura e della polizia giudiziaria (bel “garantismo”). E, se gli arriva una rettifica, non può smentirla carte alla mano. Così i fatti diventano opinioni, verità e bugie si confondono e i cittadini non sanno più chi ha fatto cosa. Che questo sia l’obiettivo di certi politici, è comprensibile. Che lo sia anche di certi giornalisti, è disgustoso.
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I MIELONI
l'editoriale di Marco Travaglio
23 dicembre 2023
Spiace per Paolo Mieloni, che mercoledì a Ottoemezzo aveva celebrato la trionfale campagna d’Europa di Giorgetta&Giorgetti: “Questa è una vittoria per la Meloni: è riuscita a fare un compromesso, tenere unita la maggioranza, non avere un’opposizione che si impunta su una cosa precisa e presentarsi al resto d’Europa su una traccia”. E spiace per Bruno Vesponi, che aveva trasformato il settimanale Gente nel Cinegiornale Luce: “Grazie alla capacità e all’autorevolezza del Presidente (la Meloni, ndr), l’Italia oggi è centrale e determinante sullo scenario internazionale. Pronta a guidare quel cambiamento in Europa che attendiamo da tempo” (eja eja alalà). I due non avevano ancora riposto le lingue nelle apposite custodie che già in Parlamento finiva a schifio: FdI e Lega contro il Mes, FI pro e il ministro dell’Economia Giorgetti pro Mes che viene sconfessato dalla Lega e dalla premier, annuncia che “l’Ue ce la farà pagare”, ma non se ne va. Fortuna che i 5Stelle han votato contro, sennò sarebbe nata una maggioranza Pd-FI-M5S-Azione-Iv che avrebbe ratificato l’orrendo Mes, salvato la faccia al governo in Ue e consentito a Meloni e Salvini di recitare la parte dei nemici solitari dell’austerità, ai quali invece i sovranisti a sovranità limitata si erano appena arresi ingoiando la vera fregatura: il Patto di stabilità e crescita (si fa per dire) imposto da Germania e Francia, che ci costerà almeno 12,5 miliardi l’anno.
Quello sul Mes era un teatrino per nascondere la disfatta nella vera partita che si era giocata il giorno prima: e il Pd, col solito codazzo dei renzian-calendiani e dei giornaloni, ci è cascato. Il vero problema non è il Mes, che continuerà a tener bloccati i soldi dei contribuenti senza che nessuno li chieda per evitare lo “stigma” e la sfiga: è il ritorno dell’austerità, che penalizza i Paesi più indebitati e un vero governo sovranista avrebbe dovuto contrastare con la diplomazia: stringendo alleanze, giocando di sponda con chi ha interessi convergenti, minacciando veti e offrendo contropartite su altri tavoli. Come fece nel 2020 il neofita Conte nella partita del Recovery, ben più ardua di questa: sia perché erano in ballo 500-750 miliardi di eurobond (mai tentati prima), sia perché rifiutava il Mes che tutti volevano imporgli, sia perché l’Ue sospettava di quel premier indicato dal M5S e dalla Lega, per giunta con un ministro degli Esteri amico dei Gilet gialli. Eppure, in tre mesi di incontri e scontri fino agli ultimi tre giorni e tre notti di battaglia, il 21 luglio si arrivò all’unanimità. E l’Italia ebbe 209 miliardi, oltre 36 in più (l’importo del Mes) di quelli previsti dal piano Von der Leyen. Se sovranismo è fare l’interesse del proprio Paese, quello fu un ottimo esempio di sovranismo. Il primo e l’ultimo.
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CHE BEI VEDOVI
l'editoriale di Marco Travaglio
24 dicembre 2023
La prematura dipartita del Mes, venuto a mancare all’affetto dei suoi cari proprio per le Sante Feste, sta causando un’alluvione di lacrime di vedove inconsolabili, orfani affranti e prefiche urlanti. “Un Mes senza l’Italia”, “Eurozona meno stabile”, titola Rep listata a lutto, con sondaggio sul “52% degli elettori favorevole alla ratifica del trattato” (ma “l’82% degli italiani dichiara di non sapere esattamente in cosa consista il Mes”: tutto vero). Per Giannini, la Meloni ci lascia senza Mes per via di una lettera di Mussolini a D’Annunzio del 1926 sulla lira a quota 90, il cui nesso col Mes non può sfuggire. I coniugi Bini Smaghi binano e smagano a edicole unificate: il marito su Rep (“Il governo ha perso credibilità. Non si fidano più di noi”: prima invece un casino); la gentil consorte Veronica de Romanis sulla Stampa (“Il salva-Stati serve a noi e all’Ue”, infatti non l’ha mai chiesto nessuno). Il Corriere raccoglie il grido di dolore della Nazione tutta: “Giorgetti scuote la maggioranza”, “Così siamo più fragili”. Franco trema per l’“isolamento” e Furbini perché dai “partner spiazzati” c’è lo “stop alle simulazioni sulle banche” (qualunque cosa significhi). Per Domani “Siamo diventati un paese affondatore della Ue” e “sulla pelle dell’Italia”. Ma il Foglio non dispera: “Meloni può ancora ratificare il Mes con una riserva come in Germania” (un terzino tedesco?). L’unico vedovo extra-italiano che parla è il capo della banca centrale finlandese, l’ex eurofalco Olli Rehn, che vuole usare il Mes “come piano B per l’Ucraina”, tanto per farci qualcosa.
Sempre per l’angolo del buonumore, Renzi accusa FI di “tradire l’eredità culturale e politica di Berlusconi” (testuale), poi se la prende con “Conte e Casalino”. Già, perché ha stato Conte pure stavolta: essendo sempre stato contro questo Mes, ha votato contro questo Mes. Domani lo paragona a “Zelig”. Rep lo accusa di “puntare a superare il 15%” (mentre un vero leader dovrebbe puntare a perdere voti). La Stampa gli imputa una “svolta populista che preoccupa il Pd” (per pensarla come l’ha sempre pensata doveva chiedere il permesso a Elly). Giannini lo accusa di riesumare “la Cricca Gialloverde” e “l’impiastro eurofobico” dei suoi “sgoverni” (quelli dell’elezione di Ursula e dei 209 miliardi di Pnrr, per dire). Purtroppo, mentre Mattarella è sempre findus in freezer (“Quel gelido silenzio europeista al Quirinale”, Sorgi, Stampa), le esequie del Mes non valicano la cinta daziaria: la stampa estera se ne frega e parla di casa Ferragni, lo spread scende, la Borsa sale. E qui nessuno parla della resa di Giorgetta & Giorgetti al Pacco di stabilità e decrescita di Macron & Scholz. Diceva Mark Twain: “È molto più facile ingannare la gente che convincerla che è stata ingannata”.
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GUAI ALLE VITTIME
l'editoriale di Marco Travaglio
27 dicembre 2023
Il senatore di FdI Alberto Balboni propone di riformare l’articolo 111 della Costituzione – già deturpato da destra e sinistra con una riforma verbosa, fumosa e pericolosa sul “giusto processo” (come se prima i processi fossero ingiusti per legge) – con un semplice comma: “La Repubblica tutela le vittime di reato e le persone danneggiate dal reato”. Ottima idea, che infatti incontra l’ostilità del peggio del Parlamento (FI e Iv), la “frenata del Pd” e il favore del 5S Roberto Scarpinato. Sarebbe ora che le vittime di reato entrassero in Costituzione. Perché sono la vera ragione per cui si celebrano i processi: per rendere giustizia a chi il reato l’ha già subìto e per preservare – levando di torno chi l’ha commesso e dissuadendo chi potrebbe commetterlo – chi rischia di subirlo. E perché i “legislatori” dovrebbero dimenticare gli interessi di avvocati, magistrati e imputati colpevoli concentrarsi solo su quelli delle vittime: gli imputati innocenti che finiscono nelle maglie della giustizia per errore e i cittadini danneggiati da chi calpesta le leggi. Il che non vuol dire che agli imputati colpevoli non vadano garantiti tutti i diritti di difesa: vuol dire che le garanzie non devono impedire alle vittime di avere giustizia, altrimenti non sono garanzie, ma grimaldelli per l’impunità.
Purtroppo, salvo rare eccezioni (le norme sulla violenza sessuale, le tutele ai whistleblower che denunciano illeciti sul luogo di lavoro, la Spazzacorrotti e la blocca-prescrizione), le riforme della giustizia sono sempre studiate su misura degli avvocati (i più rappresentati in Parlamento) e dei loro clienti colpevoli, ma quasi mai delle vittime. Infatti tuttora il pm non è obbligato a interrogare l’indagato prima di chiederne il rinvio a giudizio; e chi viene denunciato ingiustamente e archiviato deve pagarsi l’avvocato. Cose impensabili in un sistema fondato sulla tutela delle vittime: è il colpevole che ha un avvocato sempre a tiro, dà per scontato che chi lo denuncia dica il vero e non ha interesse a farsi interrogare, sennò aggrava la sua posizione. Invece l’innocente e la vittima un avvocato non ce l’hanno e non hanno nulla da nascondere al pm. L’innocente e la vittima hanno fretta (l’uno di essere assolto, l’altro di veder condannato il reo), mentre il colpevole allunga i tempi per arraffare la prescrizione. L’innocente e la vittima, al contrario del colpevole, vogliono più prove e più intercettazioni utilizzabili e pubblicabili per far emergere la verità; e, in caso di errori giudiziari, sperano che la stampa scriva tutto (ordinanze di custodia incluse) per smascherarli. Il colpevole invece vuole il bavaglio ai cronisti, perché sa che le intercettazioni lo incastrano e le ordinanze dicono la verità. Quindi delle due l’una: o il senatore Balboni ha sbagliato proposta, o ha sbagliato partito.
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COME PROTESTARE
l'editoriale di Marco Travaglio
28 dicembre 2023
Ottima l’idea del sindacato dei giornalisti di contestare il Bavaglio alla conferenza stampa della Meloni, prevista per oggi in diretta tv, ma rinviata per malattia. Non altrettanto si può dire dello strumento: i vertici della Fnsi, mentre la premier risponderà alle domande, diserteranno la sala stampa e sfileranno per strada in una polemica “passeggiata”. A parte il fatto che nessun cittadino sintonizzato si accorgerà della cosa, si può fare di meglio. Tantopiù con una premier allergica alle domande, ma molto interessata alla sua immagine. L’ideale sarebbe che tutti i cronisti si presentassero col bavaglio sulla bocca e se lo calassero per la domanda. Ma la nostra categoria, più che a Julian Assange, si ispira a don Abbondio e a Fantozzi, quindi in quella scena che farebbe il giro del mondo illuminando i tratti illiberali del governo berluscomeloniano è inutile sperare. Ci accontenteremmo del minimo sindacale. Cioè che ogni cronista, prima della domanda, leggesse una premessa uguale per tutti: “Signora presidente del Consiglio, faccio il giornalista per informare i cittadini nel modo più completo e preciso possibile. Purtroppo la legge delega approvata dalla Camera il 19 dicembre impegna il suo governo a vietarmi per decreto di informare al meglio i cittadini su atti cruciali per lo Stato di diritto e la democrazia: le ordinanze di custodia cautelare che privano gli indagati della libertà prima del processo, perciò richiedono massima trasparenza e completezza per consentire all’opinione pubblica di controllare sia i magistrati che le emettono, sia i personaggi pubblici che le subiscono. Un atto liberticida aggravato dal ddl intimidatorio del suo collega di partito Alberto Balboni che alza la multa per la diffamazione a mezzo stampa da poche centinaia di euro a 50 mila. Quindi la prego di prendere qui e ora le distanze da questi provvedimenti che violano l’articolo 21 della Costituzione e la giurisprudenza europea e di impegnarsi a non esercitare la delega in nome del diritto costituzionale nazionale e internazionale, a cui tutti i legislatori europei devono sottostare. Non lo chiedo per la mia categoria, che quegli atti continuerà a conoscerli, ma per il popolo italiano da lei rappresentato, che ne resterebbe all’oscuro o male informato da riassunti, perifrasi, interpretazioni soggettive e selettive, dunque fuorvianti”. Dopodiché si spera che il cronista mantenga una postura eretta (non quella adottata nelle messe cantate di Draghi, tra fiumi di saliva e standing ovation finali) e ponga una domanda vera, non un assist precotto alla vaselina. Sennò qualcuno potrebbe domandarsi perché un giornalista auto-imbavagliato protesti per il bavaglio esterno, anziché ringraziare per l’alibi gratuito.
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BAVAGLIO, PROVA SU STRADA
l'editoriale di Marco Travaglio
29 dicembre 2023
“Ci vorrei parla’ perché gli vorrei di’: ‘Scusami eh, mo’ voglio di’… questo nuovo che arriva è tanta roba… 60 milioni in tre anni so’ tanti lavori… e te li fai tutti te… In Umbria hai fatto… in Lazio hai fatto 50 milioni, non saranno 50, saranno stati 30, cioè come li quantifichiamo? Bisogna parlarci adesso in maniera chiara… ‘Non è che ci sta facendo un favore eh! Ste’…, in tutto questo, tu sai bene che stamo a chiedere veramente un decimo de tutto quello che tu fai… perché poi uno non li quantifica ’ste cose, ma so’ tanto eh! Tanta roba!”. Fabio Pileri, socio di Tommaso Verdini nella società di lobbying Inver, parla il 23.6.2022 con Denis Verdini delle mazzette del 10% pattuite con l’imprenditore Stefano Chicchiani in cambio di appalti pilotati da Anas. Il 12.7 Pileri confida a un amico il timore che Chicchiani “se gli rompono il c***o, parla” e accelera la riscossione: “Se il 27 luglio non mi caccia i soldi (…) ho buttato via due anni della mia vita… Perché dopo è chiaro che io mi devo ferma’ un attimo”. Quanto gli deve Chicchiani? “Secondo me semo arrivati a 500”, più lavori gratuiti in casa Verdini. Il 13.10 Pileri non sa se andare a un summit tra Chicchiani e i due Verdini. E l’amico: “Ci devi anda’, perché Chicchiani non lo becchi più… se non ci vai, poi si mettono d’accordo per i ca**i loro e poi rimani con il cetriolo in mano”. Il 17.10 Pileri gli spiega che Chicchiani non canta perché ha avuto gli appalti illegalmente: “Io gli dico: ‘Scusami, Stefano, gli appalti che hai vinto?’. Io gli parlo in maniera chiara”. Il 5.12 Matteo Salvini – compagno della figlia di Verdini, cioè “genero” di Denis e “cognato” di Tommaso – è da 40 giorni al ministero delle Infrastrutture e Trasporti che vigila su Anas. E un’intercettazione rivela che Chicchiani ha già consegnato 30 mila euro a Tommaso Verdini: 5 mila sarebbero per Pileri, gli altri 25 andrebbero “su” (che, per gli inquirenti, vuol dire Denis).
Ieri Tommaso Verdini è finito ai domiciliari come il padre (che vi risiede stabilmente per due condanne definitive). Salvini non è indagato né citato (è citato, ma non indagato, il sottosegretario leghista Freni), ma averlo nel ministero giusto non deve aver nuociuto ai Verdini. Il resto lo leggete a pag. 6-7. È una delle ultime volte che pubblichiamo legalmente brani di un’ordinanza di custodia prima del Bavaglio. Provate a immaginare queste intercettazioni riassunte e parafrasate dal cronista con parole sue: nessuno ci capirà nulla, oppure politici e avvocati lo accuseranno di averle travisate o equivocate. E gli faranno causa. Così tutti litigheranno sul bignami e nessuno si porrà la domanda che sgorga dalle carte del gip: come può Salvini, col suocero e il cognato lobbisti arrestati per appalti Anas, restare al ministero delle Infrastrutture e Trasporti?
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LA MARCIA TRIONFALE
l'editoriale di Marco Travaglio
30 dicembre 2023
Sul finire dell’anno è giusto e doveroso rendere omaggio agli esperti della grande politica e della grande stampa italiane, che sulla guerra in Ucraina non hanno mai sbagliato un colpo, anzi hanno dato prova di un’intrepida e insospettata indipendenza dalle veline targate Usa, Nato e Kiev, basando le scelte, le cronache, le analisi e i commenti esclusivamente sulla realtà nuda e cruda riscontrata sul campo. Mica come noi “putiniani”.
Default russo. “La Russia andrà in default entro qualche giorno” (Enrico Letta, segretario Pd, 9.3.2022).
“L’impatto delle sanzioni è clamoroso… La Russia è quasi in default” (Luigi Di Maio, ministro M5S degli Esteri, 12.3).
“Mosca è in default (ma solo tra un mese)” (Giornale, 17.3).
“Il rublo non vale più nulla” (Mario Deaglio, Stampa, 1.3).
“Il default russo ora è a un passo” (Repubblica, 7.4).
“Russia verso il default” (Stampa, 7.4).
“Mosca, crac vicino” (Giornale, 7.4).
“Mosca è più vicina al default” (Messaggero, 7.4).
“Per la Russia è default” (Stampa, 11.4).
“Il massimo impatto delle sanzioni alla Russia sarà in estate” (Mario Draghi, presidente del Consiglio, 31.5). Ma non specifica l’anno e il Paese.
“Le sanzioni avranno un effetto devastante” (Paolo Gentiloni, commissario Ue Economia, 4.6).
Putin morente. “Putin è impazzito, gli resta un anno o forse tre” (Mikhail Khodorkovsky, dissidente, Cnn, 5.4)
“Malato? Invecchiato? Sofferente? Intaccato dalla morte… Uccide i suoi figli due volte” (Massimo Recalcati, Stampa, 6.4).
“Ha un tumore del sangue” (New Lines, 13.5)
“Sta morendo di cancro all’intestino” (Daily Star e Daily Telegraph, 7.3).
“Putin ha un tumore alla tiroide e lo cura facendo il bagno nel sangue estratto da corna mozzate di cervo” ( Proekt, quotidiano indipendente russo, 2.4).
“Cura il cancro con i clisteri” (Libero, 2.4).
“Il gonfiore del viso, il problema a una gamba, la fatica a muovere un braccio e il lungo isolamento fisico” (Paolo Mastrolilli, Repubblica, 8.3).
“Gonfiore e scatti d’ira. Sono i farmaci e gli steroidi per il tumore” (Vittorio Sabadin, Messaggero, 14.3).
“Demenza senile o Parkinson” (Stampa, 13.3).
“Problemi alla colonna vertebrale per pregressi traumi sportivi, o una neoplasia al midollo spinale compatibile con difficoltà#768; deambulatorie e irrequietezze posturali… down depressivo ed esaltazione maniacale” (Sandro Modeo, Corriere della sera, 8.3).
“Può anche essere il diabete” (Giornale, 2.4).
“William Burns, capo della Cia: “Putin sembra fin troppo sano” (Rep, 22.7). Pazienza, è andata così.
“Putin è morto? Secondo Zelensky, ‘non è sicuro che sia ancora vivo’. Potrebbe essere una sua controfigura quello che compare sugli schermi” (Messaggero, 19.1.23)
Russia sconfitta. “Putin isolato e in un vicolo cieco” (Maurizio Molinari, Rep, 27.3.22).
“Lo Zar è furioso: gli ucraini stanno umiliando le forze russe” (Margelletti, Stampa, 28.2)
“L’armata rotta dello Zar” (Stampa, 12.3).
“Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente” (Dario Fabbri, Domani, 15.4).
“Il Vietnam dei russi” (Giornale, 18.3).
“Gli ucraini stanno ricacciando gli invasori da dove sono venuti” (Foglio, 29.3).
“Ritirata russa” (Stampa, 30.3).
“Arrivano i nostri” (Giornale, 4.4.22).
“Mariupol non cade”, “L’acciaieria Azovstal resiste: ‘Resa impossibile’” (Rep, 19.4 e 5.5). “Ucraina sotto shock per la resa di Azovstal” (Rep, 17.5).
“L’Ue può trasformare Putin in un moscerino” (Foglio, 22.4).
“40 democrazie sono più forti della Russia. Non c’è storia, vinciamo noi” (Beppe Severgnini, Otto e mezzo, La7, 1.5).
“L’Armata Rotta di Putin” (Giornale, 7.5).
“È iniziata la disfatta militare della Russia” (Federico Rampini, Corriere, 13.5).
“Anche se prende il Donbass, Putin ha perso” (Nathalie Tocci, Stampa, 14.6).
Controffensiva d’estate. “Russi in fuga” (Corriere, 11.9).
“Disfatta russa” (Rep, 11.9).
“Kiev avanza, i russi fuggono” (Stampa, 11.9).
“Riconquista ucraina, russi in ritirata”, “Disfatta russa”, “Tracollo prevedibile” (Giornale, 11.9).
“Disfatta russa” (Domani, 11.9.22).
“Ucraini alle porte della Russia. La controffensiva raggiunge il confine” (Rep, 12.9).
“Caporetto russa a Nord-Est” (Giornale, 12.9.22).
“L’Ucraina le sta dando di santa ragione al colosso russo” (Giuliano Ferrara, Foglio, 13.9.22).
“Putin è sorpreso dalla controffensiva ucraina, sconvolto per la Caporetto dell’esercito… come il topo in trappola” (Gianni Riotta, Rep, 22.9.22).
“L’Afghanistan di Putin” (Foglio, 22.9.22).
“Se Putin usa l’atomica è perché ha perso” (Stampa, 11.10). Ah beh, allora che si sbrighi.
“La grande ritirata russa. Svolta nella guerra” (Rep, 10.11.22). La controffensiva estate-autunno non scalfisce il controllo russo sulle regioni prese a febbraio-marzo: Donetsk, Lugansk, Kherson e Zhaporizhzha (più la Crimea annessa nel 2014). Ma mai disperare.
“Putin sta finendo i russi” (Libero, 21.10).
“Ai russi mancano anche le divise per i soldati” (Giornale, 23.11).
“Mosca avrebbe missili per altri tre attacchi su larga scala” (Libero, 2.1.23).
“L’Ucraina vincerà. Russia anno zero. Come la Germania nel 1945” (Bernard-Henri Lévy, Rep, 6.1).
“Putin sta finendo i missili e non puo#768; produrne altri” (Messaggero, 9.1).
Assedio a Bakhmut
“Bakhmut resiste ai russi, Zelensky: È il nostro muro vivente” (Messaggero, 16.2).
“Bakhmut non può cadere” (Lorenzo Cremonesi, Corriere, 11.3).
“Salvare Bakhmut, inviare dal cielo gli angeli sterminatori” (Ferrara, Foglio, 15.3).
“Bakhmut, avanzata di Azov” (Messaggero, 11.5).
“Gli ucraini avanzano a Bakhmut” (Corriere, 19.5). Poi purtroppo cade pure Bakhmut.
“Bakhmut perde appeal” (manifesto, 31.3).
“Bakhmut è caduta, ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin” (Raineri, Repubblica, 21.5).
“Bakhmut ai russi, ma non possono spostarsi e Zelensky dice: sono solo macerie” (Corriere, 21.5).
“Bakhmut è una trappola? Per i russi la conquista può essere uno svantaggio” (Corriere, 22.5). Ecco: li han lasciati vincere per fregarli meglio. E poi l’uva era acerba.
Controffensiva di primavera
“In Crimea le forze ucraine si preparano all’offensiva per chiudere il conflitto entro la primavera” (Ansa, 19.11.22).
“I russi si bombardano da soli” (Corriere, 22.4.23).
“Kiev avanza sul Dnipro: prove di controffensiva” (Messaggero, 24.4).
“Kiev avanza nella regione di Kherson. Prove di controffensiva” (Stampa, 24.4).
“Via alla controffensiva. Mosca è spalle al muro” (Giornale, 24.4). Ma sono solo le prove o è partita?
“Forze russe impreparate. Kiev: l’Est nostro in 3-6 mesi” (Messaggero, 28.4).
“Controffensiva entro il 15 maggio” (Verità, 30.4). Ah, non è partita.
“La controffensiva fa paura e i soldati russi scappano” (, 1.5). Prim’ancora che parta.
“Ecatombe russa” (Stampa, 3.5).
“Dal 20 maggio le condizioni per la controffensiva” (Rep, 7.5). Ma non era entro il 15?
“Kiev frena gli alleati sulla controffensiva: ‘Non dovete aspettarvi troppo da noi’” (Corriere, 8.5). Basta saperlo.
“Kiev, contrattacco a Bakhmut” (Corriere, 11.5). Ah, è già partita.
“Kiev ha iniziato la fase uno della controffensiva” (Rep, 11.5).
“Zelensky: ‘La controffensiva? Non adesso’” (Verità, 12.5). Era la fase zero.
“I soldati ucraini parlano di ‘controffensiva difensiva’” (Corriere, 14.5). La offensiva che arretra.
“Offensiva a tutto campo. ‘Arriveremo a Mosca’” (Stampa, 25.5).
“Putin vivo o morto” (Stampa, 26.5).
“La controffensiva c’è, ma a pezzettini” (Libero, 26.5). Perciò non si vede.
“Pronti alla controffensiva” (Stampa, 28.5). Ma non era già partita una dozzina di volte?
“Il dopo Putin è vicino” (Carlo Pelanda, Libero, 28.5).
“L’offensiva di Zelensky: ‘Pronti a liberare i territori occupati’” (Stampa, 4.6). Ci siamo quasi.
“L’ora dell’attacco”, “È il D-Day di Zelensky” (Rep, 6.6).6). Dài che ci siamo.
“Prove generali di controffensiva” (Corriere, 6.6). E niente, era una finta.
“Kiev: partita l’offensiva” (Messaggero, 9.6). “Controffensiva ucraina” (Stampa, 9.6). No, è vera.
“Le avanguardie di Kiev oltre la prima linea russa” (Rep, 10.6).
“Il cuneo degli ucraini tra le armate di Mosca. Kiev riprende 4 villaggi” (Repubblica, 12.6).
“Gli ucraini più agili, 3 villaggi liberati” (Corriere, 12.6). Ma non erano 4? Facciamo buon peso.
“Controffensiva in pausa” (Giornale, 20.6). “Stop di 7 giorni” (Messaggero, 20.6). Sarà la settimana bianca estiva.
“Zelensky ammette: ‘La controffensiva procede a rilento’” (Domani, 22.6).
“La controffensiva senza testimoni” (Rep, 22.6). Clandestina.
“Il Fattore Zeta: l’omino in maglione militare. Zelensky, comandante in capo della resistenza, protagonista del vertice Nato” (Goffredo Buccini, Corriere, 22.6).
“Stallo, allarme di Washington: ‘Le forze ucraine male su tutti i fronti’” (Stampa, 24.6). “L’esercito di Kiev: la vera controffensiva deve ancora iniziare” (manifesto, 24.6). Che avevate capito.
Il golpe. “Prigozhin: sfida a Putin”, “Uno Zar più debole” (Corriere, 25.6). “Il leader russo mai così a rischio: ora il suo potere può sgretolarsi” (Rep, 25.6). “La sfida di Vladimir è per la sopravvivenza” (Giornale, 25.6). “La debolezza dello Zar” (Molinari, Rep, 25.6). “La Russia si sbriciola. Orsini, Santoro, Di Battista e Travaglio non avevano capito un tubo” (Sallusti, Libero, 25.6). “La marcia su Mosca è appena all’inizio” (Foglio, 27.6).
“La Russia fallita di Putin” (Parsi, Foglio, 26.6).
“Putin come Nicola, l’ultimo degli zar” (Tocci, Stampa, 26.6).
“La fine della propaganda su Putin invincibile” (Luciano Fontana, Corriere, 26.6).
“Al nuovo Putin non crede nessuno. Sempre più commentatori parlano di un sosia” (Anna Zafesova, Stampa, 2.7). È rimorto Putin. Poi invece muore Prigozhin.
“Nona Mikhelidze: ‘La morte di Prigozhin costerà cara a Putin, o la paga o sarà il Terrore e verserà altro sangue’” (Libero, 28.8).
Controffensiva d’estate. “La controffensiva avanza. Primi militari di Kiev oltre il ponte sul Dnepr” (Rep, 27.6).
“Per lo zar è l’inizio della fine” (Rep, 28.6).
“Attacchi su tutti i fronti: così Kiev logora i russi”, “L’élite mollerà Putin anatra zoppa. Occhio alle prossime elezioni” (Rep, 3.7).
“Bakhmut circondata, russi intrappolati” (Corriere, 11.7).
“La Nato vince ancora contro Putin”, “Altra brutta giornata per gli utili idioti del putinismo” (rag. Cerasa, Foglio, 12.7).
“Biden: Putin ha già perso” (Corriere, 14.7).
“La controffensiva ora va a piedi” (Foglio, 20.7).
“Le mosse disperate dello Zar all’angolo” (Giornale, 23.7)
“Parsi: ‘Kiev vincerà. Controffensiva prudente. Kiev è più solida della Russia’” (Libero, 24.7).
“L’Ucraina ha annunciato la liberazione del villaggio di Staromayorskoye. È importante… Girkin disse che, in caso di conquista di Staromayorskoye, si apriva lo scenario peggiore per i russi a sud” (Jacopo Iacoboni, Twitter, 27.7). Mai più senza Staromayorskoye.
“Mosca teme il tracollo: ‘L’artiglieria non ce la fa’” (Rep, 28.7).
“Spinta massima di Kiev” (Giornale, 28.7).
“Kiev ‘sfonda’ la prima linea. Saltata la prima delle tre cortine Surovkin verso Zaporizhzhia e Crimea” (Giornale, 29.7).
“I cecchini hi-tech di Kyiv. Le forze ucraine passano alla controffensiva elettronica” (Foglio, 10.8).
“Petraeus: ‘La controffensiva è solo all’inizio. Putin capirà che non può vincere’” (Stampa, 14.8).
“Offensiva fallita. Per l’intelligence Usa non raggiungerà l’obiettivo” (Stampa, 19.8). Ma in Italia non si bada a certe quisquilie.
“Putin isolato anche dagli amici resta nel suo bunker russo” (Zafesova, Stampa, 23.8).
“Lo zampino della Nato dietro i successi di Kiev” (Libero, 27.8).
“‘In trincea con i lupi’. Così i soldati ucraini avanzano sul fronte Sud” (Rep, 27.8).
“Gli ucraini avanzano: ‘Superata la linea russa a Sud’. Ora puntano al mare, così isolerebbero la Crimea dalla Russia” (Rep, 28.8).
“Perché la controffensiva di Kyiv potrebbe ancora sorprendere critici e pessimisti” (Foglio, 28.8).
“Per la Crimea tutto dritto” (Foglio, 29.8).
“Kiev avanza oltre il Dnipro” (Stampa, 30.8).
“Il prossimo golpe. I soldati russi non combattono, le difese sono bucate”, “L’economia russa: un colabrodo” (Foglio, 31.8).
“Kiev avanza ancora. Lo Zar è nervoso. Gli Usa: ‘Notevoli successi’” (Libero, 2.9).
“Kiev, grande avanzata a Sud: ‘Ko la linea di difesa russa’” (Messaggero, 4.9).
“Stoltenberg: ‘La controffensiva avanza di 100 metri al giorno’” (Ansa, 7.9). Quindi nel 3023 dovremmo essere a buon punto.
“Quei 100 metri al giorno degli ucraini. Ma possono sfondare in 4 mesi” (Corriere, 9.9).
“L’offensiva senza limiti di Kiev: ‘Può durare fino all’inverno’” (Domani, 12.9).
“Controffensiva mai avvenuta” (Lucia Annnziata, Stampa, 13.9).
“La controffensiva da lontano è il metodo meno sanguinoso per ottenere lo stesso risultato: isolare la Crimea e liberare il Sud” (Foglio, 14.9).
“Kiev sfonda la linea Surovkin nel Sud” (Corriere, 23.9).
“Assalto alla Crimea. Sfondata la linea di Mosca a Sud: ‘Arriviamo’” (Stampa, 23.9).
“L’analisi militare. La Russia è in trappola: può cadere prima del voto Usa. Prigozhin è stata la prima crepa all’interno del blocco russo, che alla fine potrebbe implodere di colpo” (Antonella Scott, Sole 24 ore, 28.9).
“Kiev, svolta offensiva” (Giornale, 18.10).
“L’ingiusta solitudine di Zelensky” (Paolo Mieli, Corriere, 20.11)
“La controffensiva è fallita. Kiev s’arrocca in difesa e blinda i confini” (Rep, 3.12). “Putin sta vincendo?” (Corriere, 3.12). Ma non mi dire.
“Perché adesso in Ucraina rischia di vincere Putin” (Tocci, Stampa, 8.12).
“Zelensky va portato al tavolo a trattare. Per il bene dell’Ucraina servono concessioni” (Augusto Minzolini, Giornale, 8.12).
“Tempo, petrolio e Hamas. La ricetta con cui Putin ci ha messo in saccoccia” (Libero, 8.12).
“Ucraina, la Russia lancia la manovra a tenaglia: offensiva verso Avdiivka” (Rep, 13.12).
“Un vincitore nel 2023? Putin, ahinoi” (Rampini, Corriere, 25.12).
“Washington cambia le priorità a Kiev: ‘Adesso l’importante è solo difendersi’” (Verità, 28.12).
Risultato finale della controffensiva primavera-estate secondo il New York Times: in 9 mesi di scontri sanguinosi, i russi sulla difensiva hanno guadagnato 510 kmq a Nord-Est; e gli ucraini all’offensiva appena 385 a Sud. Mosca continua a controllare quattro regioni (il 18% del territorio) più la Crimea: 135mila kmq, l’equivalente di mezza Italia. Kiev ha riconquistato 1/350 dei territori occupati: il corrispettivo della provincia di Prato, la seconda più piccola d’Italia. Il tutto al prezzo di 250 miliardi di dollari tra fondi e armi forniti da Usa, Ue e Regno Unito; e soprattutto 100 mila vittime ucraine tra morti e mutilati dall’inizio del 2022, in aggiunta agli almeno 400 mila caduti sui due fronti nel primo anno e agli 8-10 milioni di profughi ucraini su una popolazione di 44. L’Ucraina, economicamente già fallita prima della guerra, richiederà dai 500 ai mille miliardi di dollari per essere ricostruita. Ma intanto continua a essere distrutta dalla guerra e a spendere ogni mese 10 miliardi (nostri) per proseguirla: quasi il doppio di ciò che spende la Russia, che però ci guadagna pure: il suo Pil è stimato in crescita dell’1,5% nel 2024 e del 2% nel 2025, contro lo 0,5% e all’1,2% della zona euro. Una grande vittoria per l’Occidente, per la Nato, per l’Europa e soprattutto per il giornalismo italiano.
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BIANCO, ROSSO E VERDINI
l'editoriale di Marco Travaglio
02 gennaio 2024
Salvini è giustamente indignato per gli attacchi a Tommaso e Denis Verdini, l’uno arrestato e l’altro indagato (perché già agli arresti) per gli appalti truccati all’Anas. I due galeotti non sono omonimi della sua fidanzata Francesca Verdini: sono il fratello e il padre di lei, cioè il quasi cognato e il quasi suocero di lui. Chi attacca loro attacca lei e dunque lui. Ovviamente “a orologeria” (lo fanno per mandargli di traverso il cotechino e le lenticchie). Il peggiore è un politico che da Verdini padre è letteralmente ossessionato: negli ultimi otto anni gli ha dedicato più tweet di quelli riservati alle sue principali passioni (prosciutti, salami, formaggi, migranti, Boldrini e gattini). Il 2.10.15, appena Verdini mollò FI per fondare Ala, fiancheggiare Renzi e cofirmarne la schiforma costituzionale, twittò: “Fini, Alfano e Verdini: mi fanno schifo i traditori”. Il 6.10.15 rincarò: “Discuto e dialogo con tutti. Ma di una cosa sono certo: dove ci sono gli Alfano e i Verdini non c’è la Lega!”. Il 24.1.16 strillò: “Verdini dice: ‘Se il centrodestra sarà guidato da Salvini, io voterò per Renzi’. Bene, non ci serve il voto di poltronari e traditori”. Il 21.2.16 tuonò: “Renzi dice che con Verdini ha ‘uno strano amore’. Questa è la coppia di fatto più pericolosa per gli italiani”. Il 25.2.2016 passarono le unioni civili: “Renzi: ‘Ha vinto l’amore’. Sì, quello fra Renzi e Verdini. Che schifo”. Il 18.9.16 giurò: “Se ti chiami Formigoni, Verdini, Fini o Scajola non mi interessi”. Il 5.10.16 ululò: “Sono schifato! Stanno cambiando la Costituzione Verdini, che canta, Renzi e Alfano”. Il 12.11.16 promise: “Chi sta con Alfano e Verdini non sarà mai nostro alleato”. Il 16.11.16 domandò alla claque di giureconsulti: “Devo cambiare in peggio la Costituzione per vedere la faccia di Renzi, Alfano e Verdini sui libri di storia?”.
Il 28.11.16 annunciò una legge per abolire Denis e i suoi simili: “Nella mia riforma chi cambia partito dovrebbe dimettersi. Lo proponemmo al Pd, ma loro stanno con Alfano e Verdini”. Il 30.11.16 spiegò: “Non voglio imbarcare gente che ha cambiato 37 partiti e ha già fregato gli italiani, vedi Alfano e Verdini”. E non disdegnava neppure il più bieco giustizialismo a orologeria. Il 15.11.16, venti giorni prima del Referenzum, sparò: “Uno dei padri costituenti della nuova Costituzione è Verdini, per cui sono stati chiesti altri 4 anni di galera”. L’1.12.16, a tre giorni dalle urne, chiese “un voto per mandare a casa Renzi, Boschi, Alfano, Verdini”. I quali persero il referendum, ma non andarono a casa. In compenso a casa di Verdini, nel frattempo bipregiudicato, iniziò a recarsi un giorno sì e l’altro pure il politico che insultava Verdini un giorno sì e l’altro pure: il suo nome era Matteo Salvini. Appena Matteo Salvini lo scopre, gli fa un c**o così.
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MEZZANOTTE DI FUOCO
l'editoriale di Marco Travaglio
03 gennaio 2024
Le scene di caccia in Basso Biellese al cenone con i Delmastro, sfociate nel ferimento di un giovane con la pistola del deputato Pozzolo e chiaramente ispirate alla saga di Fantozzi, confermano che i Fratelli d’Italia non sparano solo cazzate e, più che fascisti, appartengono alla categoria descritta da C. M. Cipolla: gli stupidi, che danneggiano gli altri, ma anche se stessi. Perciò hanno la scorta. Prendete l’on. Pozzolo, finiano, poi leghista, ora meloniano, fan di Ratzinger e Bukowski (due gocce d’acqua), celebre per il tweet profetico “Mai visto una pistola sparare da sola”. Il 31 dicembre non sa cosa portare al veglione della Pro Loco. Panettone? Pandoro? Spumantino? Banali. Meglio il revolverino North american arms appena comprato per difendersi dagli ayatollah, che gliel’han giurata per il suo sostegno alla “resistenza iraniana” inserendolo sulla lista nera subito dietro a Rushdie. Alle ore 23 Delmastro se ne va, come l’orchestra del maestro Canello che al cenone di Fantozzi&C. parte col countdown un’ora prima arretrando furtivamente le lancette per anticipare la mezzanotte e poi fugge in un’altra festa pagata meglio. Mentre tutti estraggono petardi, stelle filanti, cappellini e lingue di Menelik, Pozzoli sfodera il fiammante pistolino, ovviamente carico: “Bel gioiellino eh? Ragazzi, volete provarlo?”. Sarà mica colpa sua se parte il colpo che centra il genero di un agente di scorta di Delmastro dimenticato lì. Ci mancherebbe che uno non potesse più sparare neppure a Capodanno. Purtroppo la solita Procura rossa ha aperto l’ennesima inchiesta a orologeria e ha preteso financo di passare la versione dell’onorevole pistolero all’esame Stub. Ma lui ha rifiutato di consegnare i vestiti perché sarebbero coperti da immunità parlamentare (che non copre più neppure per le persone, fuorché per voti, opinioni, arresti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri). La prossima volta la invocherà anche per l’alcol test, peraltro superfluo (lui è così anche da sobrio).
Intanto FdI fa sapere che la sparatoria è “un fatto di cronaca senza rilevanza politica”: mica è il Capodanno di Conte a Cortina (peraltro disarmato). L’anno prossimo FdI festeggerà con una battuta di caccia. Il Pozzolo arriverà in uniforme da generale prussiano a bordo di un tank Lince restituito da Zelensky, passerà a Delmastro il trombone da brigante calabrese: “Tenghi, tanto è completamente sca…”. E lì la valle sarà squarciata da una tremenda esplosione. Il sottosegretario verrà coperto con frasche mentre l’onorevole s’infilerà il minirevolver nella cintura esplodendo inavvertitamente un colpo che estinguerà la sua attrezzatura da riproduzione. E da allora indosserà dei mutandoni con un’eloquente dicitura: “Chiuso per lutto”. Foto dal web
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I SOLITI NOTI
l'editoriale di Marco Travaglio
04 gennaio 2024
Le carte della Verdineide confermano purtroppo che l’Italia è la culla del giustizialismo. Infatti Verdini, condannato definitivamente a 12 anni di carcere per due bancarotte fraudolente, ha scontato ben 91 giorni in galera, poi tre anni fa ottenne i domiciliari nella villa di Pian dei Giullari perché a Rebibbia rischiava il Covid (gli altri 1200 detenuti invece no). Ma era sempre a Roma in permesso per visite odontoiatriche (certe zanne richiedono una manutenzione quotidiana e a Firenze notoriamente non si trova un dentista manco a pagarlo). E bivaccava al ristorante Pastation del figlio Tommaso per incontrare lui, il suo socio Pileri e gli imprenditori che mantenevano la sacra famiglia. Da settembre è indagato pure per aver violato i limiti dei domiciliari, ma le feroci toghe rosse non hanno ancora pensato di rispedirlo in galera. Resta da capire cosa debba fare di più un onesto delinquente per riuscire a finire dentro.
Ma il dato più inquietante è l’endemica mancanza di ricambio nelle classi tangentizie. Una gerontocrazia che non si rassegna alla pensione e monopolizza il mercato della mazzetta tarpando le ali a tanti giovani ansiosi di farsi valere. Non c’è solo l’eterno Verdini che, oltre alle bancarotte, vanta citazioni (anche a giudizio) nei casi P3, P4, terremoto dell’Aquila, Scuola dei marescialli (condanna e prescrizione), Consip (condanna in tribunale). C’è pure Lorenzo Cesa, arrestato la prima volta nel ’93 per tangenti su appalti Anas e reo confesso in un verbale dall’incipit memorabile: “Intendo svuotare il sacco”. Ora non è indagato, ma fa sempre cose e vede gente. È indagato invece Vito Bonsignore, già deputato andreottiano e imprenditore autostradale, pregiudicato per le mazzette del ’92 sull’ospedale di Asti, celebre anche perché 32 anni fa un manager Fs raccontò ai pm di avergli consegnato 100 milioni di lire in una scatola di cioccolatini davanti a Montecitorio, poi tornato in auge per la scalata Bnl (condannato e poi assolto) e per un conto di 5 milioni di euro in Liechtenstein. E in società con Pileri, socio dei Verdini, c’era Andrea Carminati, figlio di Er Cecato. Del resto già le retate Expo e Mose del 2014 avevano riportato ai disonori delle cronache i revenant del 19’92: Greganti, Frigerio, Luigi Grillo, Baita, Maltauro… Non si butta mai via niente, l’usato sicuro tira sempre: chi non muore si risiede. È per via dell’esperienza: Verdini, fra un’otturazione e l’altra, dispensava ripetizioni su come mascherare le tangenti da consulenze. Come Totò-Dante Cruciani che, in vestaglia a righe sulla terrazza dei domiciliari, erudisce i Soliti ignoti su come si scassina una cassaforte. Poi arriva “la madama” e lui finge di fare il bucato: “Maresciallo, come vede si lavicchia”.
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