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Dino

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NUOVI TALENTI COMICI

l'editoriale di Marco Travaglio

02 dicembre 2023

Uno dei tratti distintivi di questo governo è l’assoluta impermeabilità al ridicolo. La Meloni si vanta perché le agenzie di rating, dipinte per anni come la Spectre finanziaria, l’hanno promossa e non si accorge che l’hanno promossa proprio perché ha sposato la peggiore austerità della Spectre finanziaria. Intanto i suoi si vantano perché l’autorevole sito Politico le dà del “camaleonte”, cioè della voltagabbana, come se fosse un complimento. Crosetto accusa una corrente della magistratura di complottare contro il governo durante il suo congresso nazionale alla presenza di Conte, Schlein e pure La Russa (primo caso di congiura in luogo pubblico); poi dice in Parlamento non si sa bene a chi che “questo scontro fra politica e magistratura deve finire”, anziché confidarselo allo specchio o mandarsi un vocale. Lamenta anche un “plotone di esecuzione” contro di lui: deve trattarsi di quelle due o tre voci che hanno osato criticarlo per ciò che ha detto. Nulla di paragonabile ai veri plotoni d’esecuzione montati negli ultimi trent’anni, quando chiunque desse noia ai centrodestri veniva puntualmente accusato di ciò che non aveva fatto: dal pool di Milano a quello di Palermo, da Di Pietro a Prodi, dalla Raggi a Conte. Intanto il centrodestra giustifica le schiforme della giustizia con lo scandalo Palamara, ma contemporaneamente promuove Palamara da trafficante di nomine a bocca della verità e a supertestimone che denuncia impavido il suo stesso scandalo (ma solo dopo che il trojan aveva scoperto tutto) e premia tutti i giudici dello scandalo, da Ferri in giù. Notevole anche la passione dei centrodestri per la “terzietà” dei giudici, piuttosto bizzarra per chi fino all’altroieri pendeva dalle labbra di B. e Previti, che i giudici li compravano un tanto al chilo. Ma anche per chi attacca il gup che non copia il pm e respinge l’archiviazione di Delmastro.

Poi c’è Nordio, che resta il nostro preferito ex aequo con Lollo, perché sembra nato apposta per farci divertire. Tutto si può dire delle sue schiforme, eccetto che non siano spiritose. Quella che impone ai giudici di avvertire chi vogliono arrestare con cinque giorni d’anticipo, come le interrogazioni programmate a scuola, fosse un colpo di genio ineguagliabile (si arresteranno solo i paralitici). Invece ora arriva il tetto massimo annuo al budget per le intercettazioni in ogni Procura. Così, se verso novembre un procuratore esaurisce i fondi a causa di un surplus di reati, stacca tutti gli ascolti e chiude bottega fino a Capodanno: ottima notizia per i criminali, che sposteranno il grosso dell’attività in Avvento. Se poi continueranno a farsi arrestare e intercettare malgrado il preavviso, la seminfermità mentale non gliela leverà nessuno.

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IL PROCESSO TELEPATICO.

l'editoriale di Marco Travaglio

03 dicembre 2023

Non sapendo più cosa inventarsi per suffragare il complotto più ridicolo dell’anno, il ministro Crosetto tira la palla in tribuna con un numero a caso: “30.778 innocenti in manette negli ultimi 20 anni”. Il dato si riferisce agli ultimi 30 anni (non 20). Ed è la somma delle persone che nel 1992-2022 sono state risarcite dallo Stato perché finite in carcere o ai domiciliari e poi archiviate o prosciolte o assolte (30.556: 1500 l’anno), o hanno visto ribaltare la condanna definitiva nel processo di revisione (222: 7 l’anno). Ma nessuno può dire se fossero innocenti o colpevoli: in base alla convenzione chiamata “giustizia”, si può dire solo che non sono stati condannati. Se il reato l’avessero commesso o no, lo sanno loro e il Padreterno. Si può essere assolti anche da colpevoli: se il giudice ritiene le prove insufficienti, o se le prove sono sufficienti ma una legge le dichiara inutilizzabili o depenalizza il reato. Com’è accaduto decine di volte negli ultimi 30 anni. Quindi fra quei 30.778 ci sono innocenti e colpevoli che l’han fatta franca.

Fino al 2000 se uno accusava i coimputati, patteggiava e si cuciva la bocca nel processo agli altri, il giudice poteva leggere il suo verbale reso al pm: col “giusto processo” il verbale divenne carta straccia. Oggi il corruttore patteggia per aver corrotto Tizio e Caio, i quali vengono assolti dall’essere stati corrotti da lui perchè le sue accuse sono utilizzabili contro di lui ma non contro di loro. Un tempo gli spacciatori intercettati da una centrale di ascolto della polizia o dei carabinieri venivano condannati; poi le intercettazioni extra-Procure divennero inutilizzabili e giù assoluzioni di spacciatori (tutt’altro che innocenti: spacciano davvero). Il sindaco Pd Uggetti finisce ai domiciliari per aver truccato un appalto: dopo una condanna, un’assoluzione e un annullamento, nel secondo appello viene assolto perchè ha truccato l’appalto, ma il reato è “tenue” grazie alla schiforma che salva chi delinque solo un po’. Legge Cartabia: truffe e furti sono punibili solo a querela. Così il truffatore e il ladro non querelati dal truffato e dal derubato vengono assolti anche se colpevoli. Senza contare che per arrestare servono meno elementi che per condannare: per la custodia cautelare la legge richiede “gravi indizi di colpevolezza”; per la condanna la prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. Sarebbe bello avere giudici onniscienti che arrestano solo colpevoli. Purtroppo il processo telepatico non è stato ancora inventato: in tutto il mondo si arresta prima del processo per salvaguardarlo da chi inquina le prove e da chi fugge. Se poi alla fine viene assolto, è giusto che lo Stato lo risarcisca. Ma è ridicolo che un ministro se ne scandalizzi. A meno che non abbia studiato diritto all’Università di Arcore.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

04 dicembre 2023

Parenti d’Italia. “Atreju è quel posto dove se vai al bagno trovi solo due generi” (social Atreju, festa dei giovani FdI, 30.11). Hanno finito i cognati.
La Ripubblica. “L’Ucraina, fondamentalmente, è persa. Se il nostro obiettivo è salvare vite umane dobbiamo essere molto chiari: la Russia ha vinto. E questo rende molto urgente una trattativa con la Russia” (Alessandro Orsini, 27.2.2022). “Le nostre armi: suicidio assistito per l’Ucraina” (Fabio Mini, Fatto quotidiano, 22.6.2022). “Putin sta vincendo? Non è solo l’Economist a chiedersi se Putin stia vincendo. Lo stanno facendo in molti, a cominciare dai diretti interessati” (Corriere della sera, 3.12.2023). “La controffensiva è fallita. Kiev si arrocca in difesa” (Repubblica, 3.12.2023). Ormai Corriere e Repubblica sono un Fatto in ritardo di un anno e mezzo.
Truffe da sbarco. “Piantedosi: ‘Il modello Albania si può replicare’” (Stampa, 30.11). Mandandoci pure i ministri.
Il vero colpevole/1. “Roma-Expo, tutti i perché di un flop. Urso contro Conte e Raggi. Tajani: un errore il no alle Olimpiadi” (Corriere della sera, 30.11). “Conte pontifica su Expo, ma dimentica i no grillini” (Giornale, 30.11). Ha stato Conte e pure la Raggi, cioè il premier e la sindaca che candidarono Roma all’Expo 2030.
Il vero colpevole/2. “Fine del mercato tutelato. Per Salvini ‘è un errore’. Schlein: ‘È la tassa Meloni sulle bollette’” (Open, 28.11). “Ma quale tassa Meloni. La fine del mercato tutelato per le bollette è stata decisa da Draghi” (Huffington Post, 30.11). “La pagliacciata di sinistra e Conte: su Pnrr e bollette ci han venduti loro. È stato il leader grillino ad avviare la pratica del Recovery” (Verità, 30.11). Ah ecco, volevo ben dire: ha stato Conte.
Fichi Sechi. “Che il M5S sia collaterale alla magistratura militante non fa notizia (i pentastellati sono figli di una cultura giacobina” (Mario Sechi, Libero, 29.11). La dozzina di indagini sul nulla contro la Raggi sono lì a dimostrarlo.
Di Letta e di governo. “Lo strappo di Letta. L’ex braccio destro di Berlusconi boccia il premierato” (Stampa, 1.12). Anche il premierato ha fatto cose buone.
Il perseguitato. “Nasce il sindacato di destra Rai. Vespa: ‘L’Usigrai mi ha maltrattato’” (Foglio, 1.12). Povera stella, è in pensione da vent’anni, conduce due programmi al giorno e guadagna 1,5 milioni l’anno grazie a un contratto da “artista”. Un piccolo fiammiferaio.Dopodomani. “Il ruolo politico di Putin è chiaramente finito. Chi verrà dopo di lui?”, “Orsini, sociologo filo-putiniano”, “La Russia è a costante rischio di default sul debito”, “L’equidistanza del Papa sulla guerra non convince più”. “Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente”, “L’esercito di Putin è a corto di forze”, “La controffensiva ucraina segna la fine dell’èra del carro armato”, “Disfatta russa”, “Zelensky può vincere la guerra”, “Arsenali vuoti e alleati alla deriva. La Russia sta perdendo la guerra”, “Dietro la finta tregua di Putin c’è un esercito allo stremo delle forze” (Domani, 24.3, 6.3, 13.4, 15.4, 1.5, 14.5, 17.10, 11.11.2022, 10.1.2023). “La forza della Russia e la pace da fare presto”, “Il vero sostegno a Putin l’hanno dato i tifosi della guerra a oltranza” (Domani, 2.12.2023). Tipo il Domani?
Attaccati al tram. “Per il tram in via Nazionale esposto alla Corte dei Conti”, “Il tram Tva rischia la paralisi: troppi incidenti sul percorso”, “Il 118 contro il tram Tva: ‘Progetto da bocciare’”, “Tre indicenti in due giorni: allarme sicurezza per il tram” “Municipio II, faro sul tram: ‘Danni al Museo etrusco’”, “Tram, i paletti dell’Anticorruzione”, “L’inchiesta sul tram in via Nazionale. Altolà di Anac al Comune: rischio blocco dell’opera per problemi giudiziari” (Messaggero, 27, 28, 29, 30.11, 1 e 2.12). E anche ‘sta settimana ci siamo guadagnati la pagnotta.
Comici. “In un bel saggio Christian Salmon, studioso sopraffino dei populismi moderni, ci ha spiegato cos’è la Tirannia dei Buffoni. Non solo Trump, Bolsonaro e ora Milei. Ma anche l’indiano Modi e il filippino Duterte, l’ungherese Orbàn e l’inglese Johnson, il russo Putin e il turco Erdogan, fino ad arrivare ai campioni tricolore, Grillo e Salvini. Maschere quasi grottesche… giullari della politica, rissosi ma pericolosi” (Massimo Giannini, Venerdì-Repubblica, 1.12). Se non mancasse Zelensky, si direbbe che i buffoni sono quelli che vincono le elezioni.
Il titolo della settimana/1. “Mattarella non firma il ddl carne coltivata. Servirà prima l’ok Ue” (Repubblica, 1.12). “Mattarella promulga il ddl sulla carne sintetica” (Ansa, 1.12). E pazienza, è andata così.
Il titolo della settimana/2. “‘Se Crosetto parla così, avrà le sue ragioni’, dice Paita (Iv)” (Foglio, 28.11). Uahahahahah.
Il titolo della settimana/3. “Stefano Massini: ‘Lavoriamo sull’anima degli studenti’” (Repubblica, 27.11). “Stefano Massini: ‘Evito le etichette e contamino Freud’” (Repubblica, 2.12). Ma guarda, fai un po’ te.
Il titolo della settimana/4. “Patriarcato. Siamo tutti responsabili” (Luigi Manconi, Repubblica, 29.11). Ma questo a nome di chi parla?

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L'HANNO RIMASTO SOLO

l'editoriale di Marco Travaglio

05 dicembre 2023

Mesi fa, all’ennesima lista di putiniani, scrivemmo a mo’ di battuta che presto o tardi tutti avrebbero abbandonato Zelensky e sarebbe toccato a noi, noti servi di Putin, difenderlo. Mai fare battute. Infatti il momento è già arrivato. E il capo delle forze armate certifica la sconfitta sul campo in polemica con Zelensky. Usa e Nato accusano Zelensky di aver perso la guerra (persa in realtà da loro) per non aver fatto di testa sua (invece ha fatto di testa loro). E premono perché tratti dopo averlo spinto a non farlo, anzi a vietare per decreto i negoziati in attesa della disfatta russa, del default di Mosca e della caduta di Putin. Come ha ricordato l’ex premier israeliano Bennett, Biden e Johnson bloccarono l’intesa Mosca-Kiev da lui propiziata per un cessate il fuoco nel marzo 2022: mezzo milione di morti fa. Zelensky rinvia le elezioni del 2024 perché teme di perdere pure quelle, con buona pace della propaganda sul popolo schierato come un sol uomo con lui e con la guerra a oltranza fino all’ultimo ucraino. Sua moglie non vuole che si ricandidi, temendo di restare prematuramente vedova in una guerra civile scatenata dagli oltranzisti nazistoidi che lo ritengono troppo debole e i trattativisti filoccidentali che lo giudicano troppo rigido. Il sindaco di Kiev dice che la famosa democrazia ucraina somiglia alla Russia: noi lo sospettavamo almeno da quando Zelensky mise fuorilegge gli undici partiti di opposizione, ne arrestò il capo, unificò le tv in un solo canale di propaganda ed epurò ministri, generali e autorità locali con accuse di corruzione non suffragate dai magistrati. L’ex presidente filo-Usa Poroshenko tenta di incontrare il filo-putiniano Orbán e i conservatori Usa e Ue, ma viene fermato alla frontiera e accusa Zelensky di “involuzione autoritaria”. Ora, se non lo salva Bruno Vespa, interveniamo noi.

Ps. Paolo Mieli, polemizzando con un giornale a caso, dice che chi vide giusto fin dall’inizio aveva torto perché, senza le armi Nato e Ue all’Ucraina, Putin sarebbe arrivato a Kiev (o, secondo la teoria Servergnini, a Lisbona). Paolino, non fare il furbo. Nato e Ue non ci competono. Noi abbiamo sempre chiesto che l’Italia non inviasse armi a Kiev (in base all’art. 11 della Costituzione, non poteva farlo e infatti non l’aveva mai fatto in 75 anni con alcun Paese non alleato), ma solo aiuti difensivi, finanziari, sanitari e alimentari. E si facesse mediatrice di una tregua e di un compromesso con S. Sede, Israele, Turchia e Cina per salvare il salvabile di un Paese destinato alla distruzione e al massacro senz’alcuna speranza di sconfiggere la Russia. Quindi non polemizzare con ciò che in questi 21 mesi non abbiamo mai detto, ma con ciò che abbiamo detto. E, se puoi, non scordarti ciò che hai detto tu.

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FINE PENA SEMPRE.

l'editoriale di Marco Travaglio

06 dicembre 2023

Se si facesse un sondaggio sul gioielliere che ha ripristinato e privatizzato la pena di morte contro due ladri in fuga che non potevano fargli nulla (né legittima né difesa) ed è stato giustamente condannato a 17 anni in primo grado per duplice omicidio, temiamo che la maggioranza degli interpellati starebbe dalla sua parte. Come la destra becera che ci sgoverna. Ma sarebbe sbagliato dedurne che gli italiani si sono convertiti alla pena di morte: se in Italia, come nei Paesi civili, le pene scritte in sentenza fossero scontate fino in fondo, sparirebbe quella diffusissima sensazione di insicurezza che nessuna statistica sui reati in calo riesce a debellare. Basterebbe un po’ di equilibrio e di serietà: proprio ciò che manca sia alla destra, forcaiola sui delitti di strada e garantista su quelli dei colletti bianchi, sia alla sinistra, perdonista e giustificazionista più o meno con tutti.

Il Pd e i suoi media cavalcano il caso Delmastro-Cospito, ma alla pancia del Paese non fanno neppure il solletico: sebbene il sottosegretario sia sotto processo per aver violato un segreto di Pulcinella (la relazione del Dap sulla visita di Orlando, Serracchiani e Verini al terrorista e ad alcuni boss mafiosi al 41-bis, peraltro nota a molti giornali), le persone normali continuano a indignarsi di più perché tre big del Pd andavano in pellegrinaggio da un figuro che aveva gambizzato un manager dell’Ansaldo e piazzato una bomba per fare strage di allievi carabinieri e facevano il pianto greco perché, poverino, è in isolamento. Intanto riparte la rumba per quell’altro galantuomo di Cesare Battisti, il terrorista condannato all’ergastolo per quattro omicidi, evaso nel 1981, latitante in giro per il mondo fino al 2007 e finalmente estradato nel 2019. Nel giro di quattro anni la cosiddetta giustizia italiana l’ha già trasferito dall’alta sicurezza alla detenzione comune e gli ha abbuonato sei anni di “liberazione anticipata” che, in aggiunta ai sette scontati in carcere tra Francia, Brasile e Italia, gli consentono di superare i dieci e di chiedere i primi “permessi premio” (ma premio per cosa?). Se ora il Tribunale di sorveglianza di Reggio Emilia glieli concederà, lo rivedremo a piede libero. Ad adiuvandum, il gentiluomo chiede di incontrare i parenti delle sue vittime grazie a un’ideona contenuta nella schiforma Cartabia: la “mediazione penale” in nome della “giustizia riparativa” (vuoi mettere quanto ti senti riparato facendo quattro chiacchiere con chi ti ha ammazzato il padre o il marito). Naturalmente i familiari non vogliono vederlo, ma il solo fatto che lui l’abbia chiesto può essere un elemento positivo di valutazione per farlo uscire. E noi questa farsa la chiamiamo ergastolo. Poi ci stupiamo se qualcuno si fa giustizia da sé e diventa pure una star.

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LA MARCIA SU RAMA

l'editoriale di Marco Travaglio

07 dicembre 2023

Siccome ogni giorno ha la sua comica, anzi due o tre, noi siamo irresistibilmente attratti dallo storico accordo Italia-Albania per la deportazione di una quota infinitesimale dei migranti che il governo anti-migranti è riuscito a raddoppiare: la famosa marcia su Rama. I tecnici ministeriali stimavano un costo di 100 milioni l’anno. Ma in pochi giorni il preventivo è già raddoppiato a 200 milioni l’anno per 5 anni (semprechè qualche essere senziente non chiuda il rubinetto). Se si pensa che i 10 nuovi Cpr previsti in Italia costeranno 19 milioni l’anno, viene da scompisciarsi. Anche perché, su 153 mila migranti sbarcati nel 2023, i due costosissimi Cpr albanesi potranno ospitarne 720 per volta. E non si sa quanto i graditi ospiti vi verranno trattenuti: se resteranno un mese, come sostiene metà del governo (opzione A), la capienza sarà di 9 mila all’anno; ma se resteranno fino a 18 mesi, come sostiene l’altra metà del governo (opzione B), l’Albania ne prenderà 720 ogni anno e mezzo.

Cioè: i Salvini&Meloni che tuonavano contro i 35 euro al giorno spesi dalla sinistra per ogni migrante, ne spenderanno 761 al giorno e 277.777 l’anno nell’opzione A; e 63,4 al giorno e 23.148 l’anno nell’opzione B.. In ogni caso, tanto varrebbe affittare a ciascuno una villetta o pagargli una suite al grand hotel. Un capolavoro. E i preventivi sono ancora provvisori, visto che non basterà deportare in Albania i famosi 720 migranti: siccome paga tutto Roma e niente Tirana, bisognerà assumere e spedire in loco 45 funzionari civili e altri 10 dell’amministrazione penitenziaria, più altri 18 amministrativi e 30 assistenti in collegamento con 10 magistrati della Procura di Roma, oltre a 5 medici, 4 infermieri, 2 funzionari amministrativi sanitari e poi agenti di polizia à gogo con imbarcazioni e voli charter per trasbordare i migranti dall’Albania all’Italia, senza contare il sovraccarico burocratico di ricorsi e controricorsi per la “soluzione” extraterritoriale (ed extraeuropea). Una farsa così imbarazzante che nessun ministro ha voluto metterci la faccia. E quando diciamo nessuno intendiamo Tajani che, non riuscendo a giustificare i 200 milioni buttati, ha detto che comunque “sono molti meno di quelli sequestrati per la malagestione del Superbonus” (che il suo partito vuole prorogare). Se è per questo, sono molti meno anche dei 368 milioni di dollari frodati al fisco dal suo leader B. nel solo caso dei diritti Mediaset. Perciò temiamo che la diffida legale di Sangiuliano a Un giorno da pecora a non prenderlo più in giro, ove mai fosse presa sul serio da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, non sortisca l’effetto sperato. Per il governo-vaudeville non c’è più bisogno di satira, parodie e battute: si prendono in giro da soli.

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LA COMMISSIONE FILINI

l'editoriale di Marco Travaglio

08 dicembre 2023

Dopo quelle sulla gestione del Covid (cioè su Conte), sul Rdc (cioè su Conte e Tridico), su Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, sui casi David Rossi, via Poma, Regeni, Moby Prince e Forteto, su Mani Pulite, sui processi a B., sul Russiagate di Savini, sulla strage di Bologna, sugli anni di piombo, sulle morti bianche, sui femminicidi, sulle periferie e – si spera – sulle Ztl, si sentiva giusto il bisogno di una commissione d’inchiesta sul Superbonus (cioè su Conte). La annuncia Francesco Filini, che non è l’amico di Fantozzi, esiste davvero, è un deputato di FdI: “Il Superbonus è il più grande scandalo della storia della Repubblica per i tanti miliardi spesi. Una misura definita dall’ex ministro Tria ‘criminale’ e che io definirei ‘criminogena’ per le truffe. È opportuno scavare a fondo su cosa è successo”. Bravo, bravissimo: scavi.

Scoprirà che la criminale-criminogena Giorgia Meloni, nel 2022, promise di “tutelare i diritti del Superbonus e migliorare le agevolazioni edilizie”. E il criminale-criminogeno cognato Francesco Lollobrigida (FdI) nel 2021 chiese di prorogare il Superbonus per tutto il 2023. E il criminale-criminogeno Maurizio Gasparri (FI) nel 2021 invocò “con forza e determinazione l’estensione di tutti i bonus edilizi, da quelli per le facciate al 110%, alle abitazioni unifamiliari”. E il criminale-criminogeno Giovanbattista Fazzolari (FdI) nel 2022 presentò due emendamenti per estendere il Superbonus al 2024 per gli impianti fotovoltaici. E il criminale-criminogeno Matteo Salvini (Lega) nel 2021 voleva levare “il tetto Isee per il Superbonus” e nel 2022 “rilanciare il Superbonus che ha creato lavoro per imprese, artigiani, operai e valore per le famiglie”. E il criminale-criminogeno Gilberto Pichetto Fratin (FI) nel 2020 voleva prorogare il Superbonus all’intero 2021. E il criminale-criminogeno Enrico Zanetti, consigliere economico di Giorgetti, certificava a giugno che “con l’effetto di retroazione fiscale l’impatto del Superbonus sulle finanze pubbliche è addirittura positivo”. E il criminale-criminogeno Tommaso Foti (FdI) voleva rendere strutturale il Superbonus fino al 2025 e lasciarlo pure ai truffatori in caso di “lieve scostamento” o “colpa lieve”. E due settimane fa la criminale-criminogena FI chiedeva la proroga del Superbonus per chi ha lavori in corso. Poi, una volta condannato e – si spera – arrestato l’intero governo, la commissione Filini potrà serenamente dedicarsi alla prossima inchiesta parlamentare: quella sui prof e avvocati che diventano premier, portano 209 miliardi di fondi europei, vengono rovesciati due volte in tre anni, ma continuano a primeggiare nei sondaggi sui leader più popolari e talvolta, nel taschino della giacca, portano la pochette.

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DRAGHI SALVA COSE

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09 dicembre 2023

Ogni tanto Draghi salva qualcosa. Ora Rep informa che Macron ha “un piano per il dopo elezioni europee” (senza sapere come finiranno): “Draghi alla Commissione per salvare l’Europa”. L’idea non è nuova: l’aveva proposta Conte a Macron e Merkel nel 2019 (dopo le Europee, non prima), ma lui era “stanco” (a 72 anni: ora ne ha 76). Da cosa precisamente dovrebbe salvare l’Europa non è dato sapere, anche perché lui stesso ha appena detto presentando il libro di Cazzullo nella chiesa dei gesuiti che l’Ue non esiste. Ma SuperMario riuscirebbe a salvare anche il nulla. Nel 1992, dg del Tesoro con Andreotti, salva l’Italia di Tangentopoli con una ricetta infallibile sul “Britannia” di Elisabetta II: privatizzare le aziende di Stato per tagliare il debito pubblico, che invece triplica, arricchendo la grande finanza e impoverendo i ceti medio-bassi. Salvataggio fallito, o perfettamente riuscito, secondo i punti di vista. Poi, con Ciampi, Dini, Barucci e Amato, salva la lira, che polverizza le riserve di Bankitalia e si svaluta del 30%. Però banche e speculatori che hanno la preveggenza di scappare in tempo comprando in marchi e in dollari fanno affari d’oro. Salvataggio fallito, o perfettamente riuscito, secondo i punti di vista. Nel 2005, dopo tre anni di licenza premio a Goldman Sachs, è governatore di Bankitalia per volontà di B. e salva le banche con le fusioni. Soprattutto Mps, che compra Antonveneta al doppio del valore: un bidone da cui, malgrado iniezioni di decine di miliardi pubblici, non si riavrà più.

Nel 2011 il Salvatore vola alla Bce. E nell’estate dello spread puntella il governo B.-3 commissariandolo con la famosa lettera: acquisti massicci di titoli di Stato in cambio dell’anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013. B. cade lo stesso e arriva Monti, che anticipa il pareggio con tagli “lacrime e sangue” a lavoratori e pensionati. Fra l’altro inutili: lo spread resta altissimo finché Draghi nel luglio 2012 promette di salvare l’euro (“whatever it takes”) con acquisti illimitati di debito pubblico. Nel 2015, con tutta la trojka, salva la Grecia gettandola sul lastrico a colpi di austerità. Nel 2021 salva l’Italia dal Conte-2 che ha portato 209 miliardi dall’Ue e sta ultimando il Pnrr e varando la campagna vaccinale. Ma nessuno si accorge del salvataggio (a parte Salvini e B. che tornano al governo e la Meloni che raddoppia i voti) né ricorda una sola sua riforma (a parte la schiforma Cartabia, le armi a Kiev e le sanzioni alla Russia che ne causeranno il default “entro l’estate”, non si sa di che anno). Neppure lui: infatti tenta la fuga sul Colle e, respinto con perdite, si sfiducia da solo. Ora, lasciata l’Italia in buone mani, è pronto a salvare l’Europa. Che forse, per quante colpe abbia, non se lo merita.

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LEGGE E CONTRORDINE

l'editoriale di Marco Travaglio

10 dicembre 2023

LEGGE E CONTRORDINE
Margaret Thatcher, non una mammoletta, diceva: “So che la Bbc mi attacca, ma non posso farci niente”. E si guardò bene dal farle qualcosa. Perché era forte e si sentiva forte. Così come la democrazia britannica, che mai tollererebbe attentati alla cattedrale dell’informazione. Ora questi ominicchi del governicchio Meloni, non contenti di avere Rai e Mediaset ai loro piedi, si credono forti perché ogni giorno attaccano un potere di controllo indipendente, e non si accorgono di quanto siano e appaiano deboli. Avendo un rapporto problematico col Codice penale, attaccano la magistratura e i suoi strumenti d’indagine (tipo le intercettazioni: perché sanno bene ciò che fanno e dicono) e depenalizzano le specialità della casa (l’abuso d’ufficio e il traffico d’influenze, che vietano familismi, cognatismi e raccomandazioni). Siccome mentono appena respirano, detestano la stampa libera che li sbugiarda con le domande e i fact checking. Ma sono anche ridicoli, quindi allergici alla satira: vedi diffida legale a Un giorno da pecora che osa sbertulare financo un ministro laureato. Ed essendo pure un branco di incapaci, non amano sentirselo rinfacciare da chi è pagato per far di conto. Un giorno è la Corte dei Conti, “riformata” per abolirne i controlli preventivi e prossimamente quelli successivi, con la scusa della “paura della firma” (ma basterebbe non firmare porcate e nessuno avrebbe nulla da temere). Un altro sono le soprintendenze (già bersaglio di Renzi), attaccate da Cingolani – consigliere di Pichetto Fratin – perché sono fissate col patrimonio culturale e ambientale. Un altro ancora è Bankitalia, che segnala i danni dall’abolizione del Rdc, del Pos obbligatorio e del tetto di 2 mila euro al cash e viene messa in riga da Fazzolari (“è partecipata da banche private”).

Poi c’è l’Ufficio parlamentare di bilancio che si permette di segnalare le leggi scritte coi piedi e/o senza copertura. Ci sono i pm e la polizia giudiziaria che indagano su chi commette reati: ergo, per Crosetto e altri, fanno “dossieraggi” e complottano contro il governo. Ci sono i giudici, tipo Apostolico e decine di altri, che disapplicano le leggi incompatibili con la Costituzione e la giurisprudenza europea, dunque per Meloni remano contro il governo e per Salvini devono dimettersi. C’è il Csm che per legge dà pareri sulle norme in materia di giustizia: complotto pure quello. Dulcis in fundo c’è l’Anticorruzione, che si ostina a essere anti anziché pro bocciando i favori a corrotti e corruttori nel codice degli appalti e nelle pratiche del Ponte sullo Stretto, quindi il presidente Giuseppe Busia se ne deve andare per far felice Salvini. E nell’attesa Nordio non lo invita alla Conferenza Anticorruzione dell’Onu. Al suo posto sarebbe perfetto Formigoni.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

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11 dicembre 2023

Occupato. “Emergenza capre. Popolo di ignoranti” (Libero, 6.12). È la campagna abbonamenti.

L’unta del Signore. “L’appassionata lezione di Chiara Valerio su una delle sue scrittrici preferite, Fleur Jaeggy: ‘Ho letto i suoi libri dappertutto e in ogni condizione d’unto delle mani’” (Repubblica.it, 10.12). Sempre come se fosse antani.

La martire. “Intervista esclusiva all’ex parlamentare Ue simbolo del Qatargate: ‘Io, Eva Kaili, un trofeo dei giudici per colpire la democrazia europea’” (Dubbio, 9.12). E quei 750 mila euro in contanti, di cui 150 mila nascosti in sacchi a casa sua, cos’erano? Chiedo per un amico.

InKassese. “Per salvare Roma servono i generali, per Gualtieri la ghigliottina” (Sabino Cassese, Foglio, 30.11). “Sì al premierato, ma serve di più per avere stabilità” (Cassese, Libero, 9.12). La proporrò per il ruolo di kapò.

Pare che dorma. “Che sorpresa, Putin si ricandida. Nessuna suspense” (Foglio, 9.12). Per essere uno che era morente o forse già morto, che è stato sbaragliato dalla controffensiva ucraina e che ha mandato la Russia in default, ha una discreta cera.

Pare che dormano. “Ha raccolto pochi consensi… l’iniziativa di Elly Schlein a favore dell’Europa. Due giorni di dibattiti in cui sono coinvolti i volti storici del partito: Gentiloni, Prodi e Letta… Un indizio positivo per quel che vorrà essere la prospettiva del Pd” (Stefano Folli, Repubblica, 9.12). Più che una prospettiva, una seduta spiritica.

Le fonti del Clitumno. “Il candidato Draghi”, “Ue, si tratta su Draghi” (Repubblica, 8 e 9.12). “Mario Draghi non è interessato alla presidenza della Commissione europea: così precisano fonti vicine all’ex premier” (Corriere della sera, 9.12). E pazienza, è andata così, sarà per la prossima volta.

Un pesce di nome Zanda. “All’Ucraina dobbiamo mandare l’aviazione” (Luigi Zanda, Pd, Domani, 5.12). Nell’attesa, potrebbe paracadutarsi lui.

Il collezionista. “Salvini chiama il gioielliere condannato” (Libero, 6.12). Non se ne lascia scappare uno.

Lo smemorato. “Salvini sente il gioielliere: ‘Sappi che ti sono vicino, ora cambiamo la legge’” (Stampa, 6.12). In effetti l’ultima del 2019 è una porcata: l’ha fatta lui.

Cellule dormienti. “Pd-M5S, ci sarà un federatore? Le ipotesi su Sala o Gentiloni” (Maria Teresa Meli, Corriere della sera, 5.12). “Rutelli e la rimpatriata Campidoglio. Tutti guardano a Gentiloni” (Foglio, 5.12). Per capire quando si sveglia.

Lo spazzino. “Gualtieri annuncia: ‘A Natale pulirò Roma’” (Libero, 6.12). Lo dice a tutti i Natali, ma non precisa mai di che anno.

Benvenuti fra noi. “I timori della Nato: prepariamoci a cattive notizie da Kiev” (Libero, 4.12). “Bibi e Zelensky, leader fuori stagione” (Domenico Quirico, Stampa, 5.12). “Nel confronto con Cina e Russia l’Occidente sembra già stanco. Stiamo arrancando” (Federico Rampini, Corriere della sera, 8.12). “Zelensky va portato al tavolo a trattare” (Augusto Minzolini, Giornale, 8.12). “Tempo, petrolio e Hamas. Putin ci ha messo in saccoccia” (Libero, 8.12). “Perchè adesso in Ucraina rischia di vincere Putin” (Nathalie Tocci, Stampa, 8.12). Orsini, è lei?

Nelson Riina. “Ricordiamo Mandela abolendo il 41-bis” (Sergio D’Elia, Unità, 6.12). Perchè, era mafioso anche lui?

Gatto Delmastro. “Spezzeremo le reni alle correnti della magistratura” (Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario FdI alla Giustizia, 5.12). Ma non c’è un fascista serio che gli voglia bene e gli ricordi che spezzare le reni porta sfiga?

Colpa di Virginia. “Qualità della vita 2023, la classifica generale. Roma perde quattro posizioni” (Sole 24 ore, 4.12). Mi sa che ha stata la Raggi.

Attaccati al tram. “Tram, weekend da incubo”, “Tram, lo stop del commissario”, “Tram, ora il Pd si divide: ‘Meglio spostare i fondi’”, “Tram in via Nazionale: ‘Ora cancellate l’opera’”, “Giubileo, salta la tranvia Tva”, “Tram, lavori rinviati per ‘criticità’. E il Pd vota insieme ai 5S”, “Consiglio diviso sul tram”, “Lo strano asse sulla tranvia: il Pd si appoggia ai 5Stelle”, “Via Nazionale, il tram a fine corsa. I residenti: una boccata di ossigeno”, “Via Nazionale, no al tram”, “Tva, il centrosinistra va in tilt: ‘Nessuno controlla l’aula’” (Messaggero, 4, 5, 6, 7, 8, 9.12). Spezzeremo le reni al tram.

Il titolo della settimana/1. “Ossessione antifascista. Sinistra allo sbando” (Tempo, 9.12). Non è uno scherzo: tutto vero.

Il titolo della settimana/2. “A Firenze Renzi si gioca tutto: ‘Il Pd mi butta fuori dall’alleanza’” (Domani, 9.12). Non è uno scherzo: tutto vero.

Il titolo della settimana/3. “Digos alla Scala, il Pd attacca: ‘Identificateci tutti’” (Repubblica, 9.12). Non serve, i soliti noti li conoscono già.

Il titolo della settimana/4. “Selfie e chef stellati. L’altra Scala di Meloni alla mensa dei poveri” (Repubblica, 8.12). Dal produttore al consumatore.

Il titolo della settimana/5. “Come può la sinistra allearsi coi 5Stelle di Travaglio e del patibolo?” (Piero Sansonetti, Unità, 7.12). Ma farsi visitare da uno bravo mai?

Il titolo della settimana/6. “Matteo è Matteo” (Alessandro Sallusti, Giornale, 4.12). Perché Sanremo è Sanremo.

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TE NE VAI O NO

l'editoriale di Marco Travaglio

12 dicembre 2023

Conte chiede alla Meloni di far dimettere Santanchè, Delmastro e Sgarbi. La Santanchè risponde con una risata e un bacio. Sgarbi dice parole a caso: “Conte, prima di parlare delle mie consulenze, si occupi delle sue: da Retelit ad Acqua Marcia” (perfettamente lecite e risalenti a quando Conte faceva l’avvocato, prima di chiudere lo studio nel 2018 quando divenne premier e mai più riaprirlo da leader 5S, mentre Sgarbi continua a incassare soldi da privati mentre è – o proprio perché è – sottosegretario). Crosetto, chissà perché, si sente chiamato in causa anche se nessuno lo nomina e perde un’altra occasione per tacere: “Io sono un garantista da sempre anche con gli avversari. Delmastro è stato rinviato a giudizio con la richiesta del pm di non rinviarlo a giudizio, il che mi dà l’idea di come potrebbe andare a finire (per il noto garantista il pm conta più del giudice, ndr). Santanchè non mi pare abbia nulla sul piano giudiziario (è solo indagata per bancarotta fraudolenta e falso in bilancio, ndr). Su Sgarbi non mi pare ci sia nulla di giudiziario (a parte una condanna definitiva per truffa allo Stato, due indagini appena chiuse per sottrazione fraudolenta e per esportazione illecita di un quadro, ndr). Quindi bisognerebbe dimettersi per articoli di giornali amici di Conte? Ha una bella idea di democrazia…”. In effetti nelle democrazie – a lui ignote – ci si dimette anche per articoli di giornale, se i fatti sono gravi e certi: vedi Nixon sul Watergate svelato dal Washington Post.

Perciò pensiamo che Conte abbia torto su Delmastro: il livello di segretezza del documento passato a Donzelli è ancora controverso e comunque era già noto alla stampa. Invece Conte ha ragione su Santanchè e Sgarbi: per quanto è emerso dalle indagini giudiziarie e giornalistiche (le nostre), dovrebbero andarsene subito. Non tutti i pubblici ufficiali indagati o imputati o condannati in via provvisoria o inchiodati dalla libera stampa devono dimettersi: dipende dai fatti accertati e dalla loro compatibilità con la “disciplina e onore” imposti dalla Costituzione. E la compatibilità devono deciderla, con spiegazioni pubbliche e criteri trasparenti uguali per tutti (amici e nemici), i leader di governo e di partito: assumendosi la responsabilità e le conseguenze di una cacciata o di una difesa. Nel 2019 Conte era premier e si scontrò con Salvini mettendo alla porta il suo fido sottosegretario Siri: non perché era indagato, ma perché emergevano rapporti col socio di un prestanome di Messina Denaro. Subito dopo, il viceministro leghista Rixi fu condannato in primo grado per le spese pazze in Liguria e si dimise sua sponte. Poi fu assolto e ora è di nuovo viceministro. Persino l’Italia, dal 2018 al 2021, è sembrata una democrazia. Poi ha smesso.

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ZELENSKY IL DENTONE

l'editoriale di Marco Travaglio

13 dicembre 2023

Con tutto il rispetto che si deve al leader di un Paese invaso dai russi da due anni, dilaniato dalla guerra civile da nove, infestato di nazisti, corrotto fino al midollo ed economicamente fallito, Zelensky ricorda Guglielmo il Dentone: il personaggio di Alberto Sordi che, nel film I complessi, si presenta al concorso Rai per il nuovo lettore del telegiornale e nessuno osa dirgli in faccia che con quelle zanne non può andare in video. In 21 mesi e rotti di guerra il mediocre comico ucraino si è trasformato in attore consumato, calandosi alla perfezione nella parte e nel copione che gl’impresari e gli sceneggiatori angloamericani gli hanno assegnato: l’eroico condottiero che guida il suo popolo (o quel che ne resta) alla resistenza armata da una controffensiva trionfale all’altra fino alla vittoria dell’Impero del Bene, cioè alla sconfitta della Russia, alla riconquista delle cinque regioni perse e alla caduta di Putin. Purtroppo, come sapeva fin dall’inizio chiunque fosse dotato dei minimi rudimenti di storia, economia, geopolitica e strategia, nessuno di quegli obiettivi è stato mai alla portata: era pura propaganda, del tutto sconnessa dalla realtà.

La realtà sono centinaia di migliaia di vittime (oltre 100 mila fra morti e mutilati ucraini solo nella “controffensiva di primavera” partita in estate e finita in autunno senza lasciare traccia), mandate al macello senz’alcuna speranza dai criminali della Nato, che ne conoscevano l’assoluta inutilità: il comandante Usa Mark Milley aveva previsto il fallimento 13 mesi fa e proposto di sfruttare lo stallo per negoziare un compromesso e salvare il salvabile. Invano. La realtà sono i circa 250 miliardi di dollari buttati dall’Occidente per armare e finanziare l’Ucraina: 132 dai Paesi Ue, 69 dagli Usa, 36,5 da Gran Bretagna e altri Stati. E i mille miliardi di dollari che serviranno per ricostruirla: cifra spaventosa e destinata a lievitare, visto che nessuno fa nulla per fermare la distruzione, anzi tutti s’impegnano a prolungarla in attesa di non si sa bene cosa. Intanto ogni mese di guerra costa all’Occidente 25 miliardi di dollari e altrettanti alla Russia, che però reagisce meno peggio di noi perché, mentre noi ne annunciavamo il default, si riconvertiva all’economia bellica. Anche le braccia aperte dell’Ue a Kiev si sono rivelate promesse da marinaio: sia perché si scopre che l’Ucraina ha ben poco di democratico, sia perché quel buco nero potrebbe inghiottire la già agonizzante economia europea. Perciò ora, con le elezioni in Usa e in Ue, nessuno vuole buttare altri soldi (le vite umane per il cattivo Putin e i buoni occidentali non sono un problema) in una guerra ormai persa. Resta da trovare qualcuno che prenda da parte Zelensky il Dentone e gli spieghi la triste realtà, magari con un disegnino.

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GNÈ GNÈ

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14 dicembre 2023

Chi ha visto il confronto alla Camera fra Meloni e Conte capisce perché la premier voleva Schlein e non Conte ad Atreju: per oscurare il leader che più la impensierisce e creare un finto bipolarismo Giorgia-Elly a proprio vantaggio. Ma capisce anche un’altra cosa: i peggiori nemici della Meloni sono i suoi fidi, che la mandano in Parlamento totalmente impreparata. Per trovare una catastrofe comunicativa simile bisogna tornare a Cutro, dove però aveva accanto Sechi, e ho detto tutto. Ora vien da chiedersi dove abbiano trovato qualcuno che è pure peggio: sul Mes e sul Superbonus, la Meloni pare la bambina dell’asilo che, presa con le mani nella marmellata, risponde “specchio riflesso, chi lo dice lo è mille volte più di me, gnè gnè!”. Sul 110% ha riciclato la balla della truffa ai danni degli italiani, mentre le frodi su quel bonus sono rarissime e senza un euro di costo per lo Stato, che invece s’è giovato della misura col rilancio dell’edilizia, l’aumento di Pil post-Covid migliore della Ue (il gatto morto è il suo Pil, che non rimbalza neppure), extra-introiti fiscali, un milione di occupati e benefici ambientali. Ma soprattutto s’è scordata di aver promesso appena 13 mesi fa di prorogare ed estendere il bonus, cosa che peraltro vogliono i gruppi parlamentari della sua maggioranza nel Milleproroghe.

Sul Mes, poi, la sua coda di paglia è ancor più lunga: le brucia che Conte non l’abbia preso (aveva inventato di meglio: i 209 miliardi del Recovery), malgrado lei e Salvini l’avessero accusato il 10.4. 2019 di averlo firmato nottetempo e di nascosto (“alto tradimento!”, “spergiuro!”). Conte li sbugiardò dimostrando di non aver firmato nulla, né col favore delle tenebre né alla luce del sole e ricordò che il Mes era nato nel 2011 grazie al governo B.3, di cui facevano parte Meloni e la Lega e che approvò il ddl per ratificare la decisione del Consiglio europeo che avviava il Salva-Stati. Poi nel 2012 (governo Monti) il Parlamento ratificò il trattato istitutivo del Mes: il Pdl in cui militava la Meloni votò Sì. Ora la premier chiede al Pd: “Perché non l’avete approvato voi?” (ma il vecchio Mes lo approvarono il suo governo e il suo partito 11-12 anni fa e il nuovo va votato ora). Poi sfida il principio di non contraddizione e accusa Conte e Di Maio di averlo approvato nel 2021 col Pd. Viene in mente un’invettiva di Gesualdo Bufalino: “E quando parlano poi, quale quotidiano inesauribile vilipendio della parola, è questa l’offesa che duole di più: ci taglieggiano, ci sgovernano, ci malversano, ma almeno stessero zitti; smettessero questo balletto di maschere, questo carnevale del nulla, al riparo del quale mani avide intascano, leggi inique o vane si scrivono, ogni proposito onesto si sfarina in sillabe senza senso”.

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LESA DRAGHITÀ

l'editoriale di Marco Travaglio

15 dicembre 2023

Reato più, reato meno, dopo quelli di rave party, omicidio nautico, lesioni nautiche, abbandono scolastico, imbrattamento di edifici con vernice lavabile, istigazione all’accattonaggio, all’anoressia e alla violenza social, istigazione anche epistolare a proteste anche pacifiche in carceri o Cpr, occupazione di immobili (con esenzione per CasaPound), blocco stradale o ferroviario (con esenzione per i lollobrigidi), i tempi sono maturi per l’istituzione di un nuovo gravissimo delitto, punibile con ergastolo ostativo e 41-bis: la lesa Draghità. L’altro giorno la Meloni ne ha detta una giusta: il governo Draghi non era granché: tante photo-opportunity con i leader europei, tipo quella sul treno per Kiev con Scholz e Macron, e pochi risultati, peraltro pessimi (schiforma Cartabia, flop del price cap su gas e petrolio russi, armi a Kiev con i risultati a tutti noti, soliti rinvii su catasto e balneari): tant’è che se ne accorse pure lui, tentò la fuga al Quirinale e fu respinto con perdite. Ma il potere mefistofelico del Superbanchiere s’è fatto subito sentire. E la premier, come sempre quando ne azzecca una (vedi il Mes e gli extraprofitti bancari), s’è rimangiata tutto: “Non ce l’avevo con Draghi, ma col Pd” (mai fotografato con Scholz e Macron). Ma non è bastato: chi commette un reato mica può farla franca smentendolo o scusandosi.

Infatti, con tutto quel che accade in Italia e nel mondo, Repubblica ha aperto sull’orrendo delitto: “Meloni, attacco a Draghi. La premier contro lo statista che l’Europa rimpiange”. Testuale. Strano che l’unica leader di opposizione a Draghi lo attacchi. Ma Rep va capita: sette mesi prima delle elezioni europee, ha già deciso che sarà Lui a presiedere la nuova Commissione. Sambuca Molinari va in giro a torchiare politici (la povera Elly) che tardano ad arruolarsi nella compagnia dei Dragon Ball (per ora composta dal solo Sambuca). Il fatto che l’interessato si sia subito detto disinteressato non rileva. Dev’essere Draghi e sarà Draghi, con tanto di Agenda Draghi, malgrado le ricerche di archeologi e speleologi non l’abbiano rinvenuta: è come l’agenda rossa di Borsellino, che però almeno esisteva. Francesco Bei, su Rep, lacrima come una vite tagliata per questa “Italia immemore” che ha già dimenticato l’“uomo che ha salvato l’euro (e la Nazione, come si usa dire oggi), ha vaccinato milioni di cittadini…, ha scritto in poche settimane il Pnrr”. Ma vorremmo rassicurarlo: noi ricordiamo perfettamente l’Uomo che, camuffato da migliaia di medici e infermieri, vaccinava milioni di italiani con la sola imposizione delle mani, occupate a scrivere di Suo pugno le 337 pagine del Pnrr. Non sia mai che, in questa Italia immemore, i primi indagati per lesa Draghità fossimo proprio noi.

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TOTÒ, VITTORIO E IL PENNELLO PROIBITO

l'editoriale di Marco Travaglio

16 dicembre 2023

Da tempo sospettavamo che il governo Meloni si ispirasse a Totò, ma ora ne abbiamo la certezza. Anzi, l’expertise. La storia l’ha raccontata Thomas Mackinson sul Fatto. Dieci anni fa Sgarbi, già condannato per truffa ai Beni culturali, presenta un libro al castello di Buriasco (Torino), visita la pinacoteca e valuta tutti i quadri tranne uno del ’600: la Cattura di San Pietro di Rutilio Manetti. Poco tempo dopo il suo amico-assistente-autista Paolo Bocedi si presenta alla proprietaria e le chiede di venderglielo, ma lei rifiuta. A stretto giro arrivano i ladri e lo rubano, tagliando la tela e lasciando lì la cornice. È il febbraio 2013. La proprietaria denuncia il furto ai carabinieri. A luglio Sgarbi manda al restauratore Gianfranco Mingardi una tela arrotolata senza cornice, con un lembo strappato e un pezzo incollato sul retro con lo scotch: è la Cattura di San Pietro di Manetti. Mingardi la restaura e la riconsegna a Sgarbi. Il quale nel 2021 inaugura una mostra a Lucca con un pezzo forte: la Cattura di San Pietro, un “inedito di Manetti” di sua proprietà. Peccato che sia identica a quella rubata, salvo due dettagli: una candela sullo sfondo (come se qualcuno l’avesse aggiunta alla maniera di Mister Bean, per far credere che esistano due quadri gemelli) e le dimensioni ridotte di 15 cm per lato (come se qualcuno l’avesse tagliata). Ora Sgarbi dice di averla trovata in una villa da lui acquistata nel Viterbese: peccato che fosse un rudere vuoto e invaso dagli sterpi, senza tetto né cancello. Anche il restauratore lo smentisce: “È lo stesso dipinto: si vede dalle imperfezioni come le gocciolature, un bravo copista mai le avrebbe riprodotte. La candela, quando lo restaurai, non c’era”.

E qui interviene Antonio Scorcelletti ( Totò, Eva e il pennello proibito di Steno): un copista dell’“arte assenteista” (“nelle mie opere manca sempre qualcosa”) che diventa complice involontario di una truffa al museo madrileno del Prado. Deve dipingere una Maja in camicia (da notte) identica, se non per l’abbigliamento, alla Maja desnuda e alla Maja vestida di Francisco Goya, da vendere per 200 milioni come “inedito” del grande pittore. Ma poi si fa prendere la mano e sforna pure le Maja in mutande, in pagliaccetto, in reggiseno, in bikini e così via, prima di passare a Raffaello. E si autocompiace per i capolavori: “Ma guarda tu, la Maja di questo Goya è identica alla mia: tutti sono capaci di fare, il difficile è copiare!… Non bisogna sottovalutare il copista: cosa accadrebbe se un copista si mettesse a creare? Qualsiasi pittorucolo si sentirebbe autorizzato a copiare i copisti e dove si andrebbe a finire?”. Scorcelletti va a finire in galera. Sgarbi invece è sempre sottosegretario.

Foto dal web

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