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Dino
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Inserito il - 17/11/2023 : 04:23:46
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L'AUTOSTRADA DELLA SETA.
l'editoriale di Marco Travaglio
17 novembre 2023
Leggiamo dell’idillio sbocciato fra Xi Jinping e Biden (al netto della gaffe d’ordinanza del nonnetto scoreggione) e il nostro pensiero solidale corre alle migliori firme del bigoncio atlantista: quelle che da mesi intimano al governo di cancellare la Via della Seta per compiacere il padrone americano. Solo che, essendo impiegati di ultimo livello, ricevono gli ordini in ritardo e finiscono per obbedire sempre ai penultimi. Mai agli ultimi, che di solito sono contrordini. Infatti restano tutti asserragliati nella jungla con scolapasta in testa e fuciletto a tappo puntato su Mosca e Pechino, perché il padrone s’è scordato di avvisarli che la guerra alla Russia è persa e quella alla Cina è rinviata a data da destinarsi causa bel tempo. Finirà che le Sturmtruppen, sempre fuori sincrono, continueranno a chiedere armi per Zelensky quando gli Usa avranno smesso di inviarne da un pezzo perché si saranno accordati con Putin; e a bombardare la Via della Seta quando Washington e i governi europei più furbi del nostro (cioè tutti: ci vuol poco) avranno già firmato l’Autostrada della Seta.
Idem per Israele: se il criminale di guerra Netanyahu, dopo le stragi negli ospedali di Gaza per sequestrare qualche fucile e la distruzione del Parlamento palestinese (gesto simbolico terrificante, specie per un Paese democratico), proseguirà nel delirio di svuotare la Striscia e deportarne i 2,3 milioni di abitanti non si sa bene dove (il Sinai è dell’Egitto, che tiene le frontiere sigillate), gli Usa non potranno che fermarlo. E ancora una volta le Sturmtruppen resteranno sole a ripetere litanie insensate tipo “Israele è l’aggredito e Hamas è l’aggressore” e “Israele ha diritto di difendersi”, come se il massacro di Gaza non fosse aggressione, ma autodifesa. Poi, con calma, arriveranno i contrordini americani e gli impiegatucci nostrani, con i loro tempi, inizieranno a dire che in effetti Israele aveva un po’ esagerato. Come stanno già facendo alla chetichella sull’Ucraina: niente più liste di putiniani né mantra tipo ”aggressore e aggredito” e “pace giusta=ritiro dei russi”, ma auspici di un compromesso Mosca-Kiev che, a pensarci due anni fa, ci avrebbe risparmiato la guerra e, un anno fa, avrebbe salvato oltre 200 mila vite. Basta aspettare. Nell’attesa, massima solidarietà ai nostri atlantisti smarriti: pure Biden gli è diventato filorusso e filocinese, e mo’? Ricordano Alberto Sordi in Tutti a casa dopo l’armistizio: “Signor colonnello, è accaduta una cosa incredibile! I tedeschi si sono alleati con gli americani e ci sparano addosso!”. Diceva Corrado Guzzanti nei panni di Emilio Fede: “Berlusconi finché era qui potevo aiutarlo, fargli i servizi. Ma ora è sempre in giro: è difficile leccare un c**o in movimento”.
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Inserito il - 18/11/2023 : 04:35:17
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COME PIACEVA
l'editoriale di Marco Travaglio
18 novembre 2023
La scoperta che Salvini è Salvini e fa Salvini è un classico del giornalismo all’italiana, ma solo quando conviene a lorsignori. Il vicepremier e ministro che definisce lo sciopero “weekend lungo” (senz’aver mai colto la differenza fra settimana lavorativa e weekend) e riesce a trasformare un’ordinaria protesta sindacale in un evento epocale conferma la sua irredimibile natura di Cazzaro Verde. Eppure sembra ieri che era l’idolo dei giornaloni, gli stessi che ora lo prendono a pesci in faccia. Correva l’anno 2019 e bisognava buttar giù il Conte-1, che osava combattere la povertà (Rdc), la precarietà (dl Dignità), la corruzione (Spazzacorrotti), la Casta (taglio dei parlamentari e dei vitalizi), la mafia (voto di scambio), la rapina Fornero (quota 100), i fossili (piano rinnovabili), i diktat Ue sull’austerità (due procedure d’infrazione minacciate) e Usa sul golpe Guaidó a Caracas (l’Italia non lo riconobbe, unica in Ue), senza il permesso dei padroni del vapore. Quindi andava bene anche Salvini. I giornaloni iniziarono a ripetere che comandava lui e faceva tutto lui, anche se come sempre non faceva una mazza. Il nuovo Ridolini trasformato in “nuovo Mussolini” e gonfiato come la rana di Esopo fino a fargli vincere le Europee (dal 17 al 34% in un anno). Lui, incredulo di essere preso sul serio, entrò nella parte e si mise a vento di tutte le lobby: da Sì Rdc a No, da No Prescrizione a Sì, da No Triv a Sì, da No Benetton a Sì.
Il vero banco di prova fu il Tav Torino-Lione, l’opera più inutile, costosa e velenosa del mondo, sottoposta all’analisi costi-benefici dei migliori economisti dei trasporti: dopo aver firmato il contratto giallo-verde che lo bloccava, il Cazzaro ne divenne l’uomo sandwich fra gli applausi del partito Calce&Martello e delle gazzette al seguito. Che si spellavano le mani per la sua conversione al “partito del Pil” e delle “madamine”. E quando uscì l’analisi degli scienziati che bocciava il Tav, lo nominarono addirittura contro-perito. Repubblica: “Tav, la controanalisi di Salvini”. Stampa: “Contro-dossier di Salvini: la sospensione della Tav ci costerebbe 24 miliardi”. Messaggero: “‘Non completare la Tav può costare 24 miliardi’. Ecco il dossier della Lega” (che naturalmente non esisteva). La Stampa, già che c’era, promosse Salvini critico musicale, facendogli commentare il Festival di Sanremo. Lui rovesciò il governo e chiese il voto subito per i “pieni poteri”. E Rep titolò meglio della Padania: “Voto subito (ma c’è chi dice no)”. Purtroppo nacque il Conte-2. Ma subito i giornaloni si impegnarono allo spasimo per demolire pure quello e riportare Salvini al potere. Missione compiuta, con Draghi e con Meloni. E ora si permettono pure di piagnucolare.
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REO CON FESSO
l'editoriale di Marco Travaglio
19 novembre 2023
Avendo un ministro della Giustizia, il giulivo Nordio, che predicava di “diminuire le pene anziché alzarle”, “depenalizzare i reati anziché crearli”, “snellire i processi” e “ridurre il carcere” perché “basta con il panpenalismo”, il governo alza le pene (solo le massime), inventa reati, complica i processi, ingolfa procure, tribunali e carceri realizzando il panpenalismo. Con una lodevole eccezione: i crimini dei colletti bianchi che, non essendo commessi da poveri o donne incinte e danneggiando lo Stato più di quelli di strada, vengono depenalizzati (abuso d’ufficio, evasioni fiscali e traffico d’influenze) o esclusi dal carcere obbligatorio (corruzione e altre minuzie). “Il vero allarme per i cittadini – dice il ministro cabarettista a Libero – sono furti e rapine” (peraltro puniti fin dai 10 Comandamenti). Perciò in un anno il governo ha inventato o aggravato i seguenti reati: rave party, abbandono di rifiuti, omicidio nautico, lesioni nautiche, traffico di migranti, violenza di genere, violenza contro personale sanitario e scolastico, reato universale di gestazione per altri, dispersione scolastica, furti di donne incinte o madri di prole fino a un anno, incendi boschivi, occupazione abusiva di immobili (esclusa Casa Pound), guida in stato di ebbrezza o con uso di cellulare, rifiuto di esibire documenti di guida, parcheggio in aree disabili, spaccio minorile, istigazione all’accattonaggio, truffe ad anziani, rivolte anche pacifiche in carceri e Cpr, istigazione anche epistolare alle disobbedienze medesime, resistenza a pubblico ufficiale, blocco stradale col corpo, imbrattamento di edifici pubblici con vernice lavabile. Si dirà: ma quelle cose non si fanno. Giusto: infatti sono punite dalla notte dei tempi sotto altre etichette.
In più è stata prolungata fino a 18 mesi la permanenza nei Cpr per i migranti che non hanno commesso reati. E ora sono allo studio, su proposta di ministri ed esponenti di maggioranza: la castrazione chimica degli stupratori, pene più alte per l’abbandono di animali, nuovi reati di istigazione all’anoressia, istigazione alla violenza sui social e “stesa” (le baby gang che sparacchiano in aria da auto o moto: detto anche “reato Gomorra” o “reato Mare fuori”). Ciliegina sulla torta: 300 mila agenti di pubblica sicurezza potranno comprarsi un’arma senza licenza né test sanitari o psicologici e portarla dietro fuori dal servizio. Così avremo 300 mila armi in più, che è proprio quel che ci vuole. Nella fretta, mentre alzava le pene per le truffe agli anziani, il governo s’è scordato di abolire la Cartabia che vieta di processare i truffatori se i truffati non li querelano. E di precisare, magari per bocca di Vittorio Sgarbi, che per la truffa ai Beni Culturali la pena massima è un posto di sottosegretario ai Beni Culturali.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
20 novembre 2023
Maritocrazia. “Meloni lancia la ‘rivoluzione del merito’: ‘Basta con l’uno vale uno, è devastante’” (Giornale, 16.11). Ora il motto è: cognato vale due, sorella vale tre.
Bipolarismo. “Blocchiamo tutto, fermiamo tutto, non compriamo più un accidente, non consumiamo più un accidente, non paghiamo più una lira, ma ci fate votare e torniamo a un Paese normale” (Matteo Salvini, segretario Lega, 15.8.2015). “Chi blocca l’Italia paga. Una minoranza politicizzata non può ledere il diritto della maggioranza a muoversi” (Salvini, vicepremier e ministro Trasporti, Libero, 15.11.2023). Quindi anche Salvini ha fatto cose buone, purtroppo otto anni fa.
Roba forte. “Renzi-Mastella, la strana coppia. ‘Lista di centro alle Europee’” (Messaggero, 16.11). Transennate i seggi.
Sturmtruppen. “Bye bye Hamas” (Andrea Ruggieri, Riformista, 17.11). L’ha sbaragliata lui con la sola imposizione delle mani.
Poveretto, come S’ofri. “‘Si è fatto di tutto per spingere Putin a invadere’, dice in tv Travaglio. Nessuno replica” (Adriano Sofri, Foglio, 18.11). E nessuno lo aspetta sotto casa per sparargli come ai vecchi tempi. Dove andremo a finire, signora mia.
Attaccati al tram. “La Lega boccia il tram Tva: ‘Mancano test sul traffico’”, “Il tram in via Nazionale: niente confronto, è bufera”, “Il tram di via Nazionale: ‘Danni per palazzo Alfieri’”. “Tram Termini-Vaticano: ‘Chiesa del Gesù a rischio’”, “Sul tram in via Nazionale il fato di Città Metropolitana” (Messaggero, 13, 15, 16, 17 e 18.11). Ma ’sto tram è peggio di Hamas.
La madre ricostituente/1. “La riforma non tocca il Colle” (Maria Elisabetta Casellati, FI, ministro delle Riforme, Corriere della sera, 17.11). Gli leva solo il potere di sciogliere le Camere, scegliere il premier, risolvere le crisi di governo e nominare i senatori a vita, ma i nastri può continuare a tagliarli.
La madre ricostituente/2. “Ora confronto in Parlamento, l’opposizione non alzi muri” (Casellati, ibidem). Se no?
Sfida e sfiga. “Gualtieri e la sfida per la città: ‘Senza cantieri non c’è futuro’” (Messaggero, 16.11). Da sindaco a umarell.
Ma va? “Repubblica è entrata nella Striscia di Gaza su un blindato dell’Idf” (Repubblica, 13.11). Perché, prima dov’era?
Monsù Vladimir. “Chiara Gribaudo (Pd): ‘Superiamo le diffidenze, salviamo il Piemonte dagli amici di Putin’” (Stampa, 13.11). A Cuneo non si parla d’altro.
Caro amico ti riscrivo. “Lucio Dalla secondo Veltroni. ‘Il cantautore più felliniano’” (Corriere della sera, 15.11). Povero Lucio, non meritava.
Code di paglia. “Portogallo, errore in Procura. L’ex premier Costa confuso con il ministro” (Corriere della sera, 13.11). “Indagato il Costa sbagliato. Portogallo senza governo per il pasticcio dei giudici” (Messaggero, 13.11). Però si è dimesso. Era innocente, ma non lo sapeva.
Le mani avanti. “’Prepara una Maidan 3 per destituirmi’. Zelensky accusa Mosca” (Repubblica, 18.11). Avrà stato Putin.
Il capocomico. “Orsini è un personaggio della commedia, al pari di molti altri. A lui il compito di farneticazioni filoputiniane” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 13.11). Tipo aver detto un anno e mezzo prima ciò che oggi dice persino il Corriere.
Maestro di vita. “Il killer obeso fa la star in tv: ‘La mia non è vita’” (Giornale, 15.11). Quella della fidanzata che ha ucciso con 57 coltellate invece sì.
Concorrenza sleale. “Bongiorno contro Grillo: ‘Uno show sul dolore’” (Messaggero, 14.11). “Bongiorno: ‘Grillo ha trasformato il dolore in show’” (Libero, 14.11). Gelosona.
Eventi epocali. “Atreju, Schlein risponde no all’invito”, (Repubblica, 17.11). “Schlein dice no alla festa di FdI” (Corriere della sera, 17.11). “Atreju, il no di Schlein” (Stampa, 17.11). “Schlein sbaglia a non andare ad Atreju” (Federico Geremicca, Stampa, 17.11). “Atreju, Meloni attacca Schlein: ‘Bertinotti non aveva timore’”, “Giorgia contro Elly, le duellanti che polarizzano la sfida per le Europee” (Repubblica, 18.11). “Meloni attacca Schlein per il suo no ad Atreju. La premier: ‘Bertinotti non aveva paura’” (Stampa, 18.11). Ma un bel chissenefrega no, eh?
Il titolo della settimana/1. “La politica è genuflessa ai dogmi intoccabili dei magistrati antimafia” (Giorgio Spangher, Dubbio, 16.11). C’è addirittura chi insinua che esista la mafia.
Il titolo della settimana/2. “Salari bassi, si muove il governo” (Messaggero, 16.11). Per abbassarli.
Il titolo della settimana/3. “Più di 300 imputati e 600 avvocati. È Rinascita-Scott. Farsa o tragedia?” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 17.11). Più che altro, processo.
Il titolo della settimana/4. “Ecco perché Olindo e Rosa sono in cella da innocenti” (Antonino Monteleone e Francesco Priano, Giornale, 13.11). Uahahahahahah.
Il titolo della settimana/5. “Parla Renato Soru:; ‘Tradito dal partito che ho fondato’” (Foglio, 14.11). Tiscali?
Il titolo della settimana/6. “Per far vincere Kyiv (Kiev, ndr) la coalizione Ramstein deve pianificare il 2024” (Foglio, 18.11). Mo’ se lo segnano.
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UN PO' DI SILENZIO
l'editoriale di Marco Travaglio
21 novembre 2023
Il giornalismo è un bel mestiere: ogni giorno scrivi e sfoghi ciò che hai dentro. Ma ci sono momenti in cui vorresti fare l’eremita, senza nessuno che ti chieda di dire la tua, di sfoderare una soluzione pronta cassa e a pronta presa. E questo accade quando una soluzione non c’è o, se c’è, è più grande di te. Per esempio di fronte al male assoluto nascosto in un ragazzo apparentemente normale che – almeno secondo le indagini – scanna l’ex fidanzata prima che si laurei e la getta in un burrone. Siccome ne parlano tv, social e giornali, bisogna parlarne sempre di più e ogni giorno aumentano gli spazi in cui se ne parla, anche se diminuiscono le cose da dire. Ne parlano i politici rinfacciandosi colpe più o meno vere o proponendo leggi più o meno utili o improvvisando mea culpa più o meno ridicoli pur di arraffare un titolo, un sommario, una didascalia che parli di loro. Ne parlano scrittori, artisti, psicologi, giornalisti: tutti con la loro panacea pronta all’uso, tutti sicuri che è colpa della famiglia, no delle madri, no dei padri, no della scuola, no della società, no del patriarcato, no dei politici, no della destra, no della sinistra, no del governo, no dello Stato, no delle leggi mancanti (ovviamente “bipartisan”) in una cacofonia che stona almeno quanto gli applausi ai funerali. E rende ancor più prezioso il valore del silenzio. Dinanzi alla morte si tace. Chi crede prega, chi non crede riflette, tutti dovrebbero tacere. Soprattutto se non hanno nulla di utile da dire.
Poi, con calma e sottovoce, potrebbero provare a stare vicino a chi è genitore, a chi è figlio, a chi è marito, o moglie, o fidanzato, o fidanzata, ad ascoltarlo, a parlargli della fatica della vita, del dolore da fallimento, dello smacco da rifiuto, della noia da bambagia, dell’elaborazione del dolore, del valore di battere la testa e di mordersi la lingua e di frenare le mani, della differenza tra l’amore e il possesso e fra la realizzazione personale e il successo (o, peggio ancora, la famoseria), della caducità dei sentimenti, del rispetto per la libertà dell’altro, dell’importanza di lasciarlo andare e di rimettersi in gioco, sempre con fatica, con rispetto e senza scorciatoie. Poi si potranno fare tutti i giri di vite che si vuole, ammesso e non concesso che i femminicidi uccidano perché non sanno che è vietato e si rischia l’ergastolo o poco meno. E si potranno organizzare tutti i corsi scolastici di “educazione all’affettività”, sempreché si potesse insegnarla dalla cattedra in un’aula avulsa dai veri educatori dei nostri tempi: cioè i social network, la tv, il cinema, la strada, gli amici e tutti i “modelli” di riferimento” che oggi arrivano molto prima e molto meglio dei maestri, dei professori e dei genitori. E alla fine vincono, nella cacofonia che ha ucciso il silenzio.
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CODICE RISSA
l'editoriale di Marco Travaglio
22 novembre 2023
Il bello e il brutto dell’“educazione all’affettività”, invocata come arma letale e “bipartisan” contro i femminicidi, è che gli educatori e gli educandi non saranno tutti uguali: saranno cittadini in carne, ossa, idee, giudizi e pregiudizi. E non sempre la carne, le ossa, le idee, i giudizi e i pregiudizi degli educatori coincideranno con quelli degli educandi, né tantomeno con quelli dei loro genitori, parenti, amici e modelli di riferimento. Quando i politici di sinistra o del M5S propongono lezioni scolastiche di affettività, le pensano molto diverse, se non opposte, da quelle immaginate dai meloniani, leghisti, o forzisti. Ma i programmi scolastici li decide il ministero: quando governeranno gli uni emaneranno certe direttive per il corpo insegnante e quando governeranno gli altri le sostituiranno con tutt’altre. Così avremo un bipolarismo dell’affettività che cambia ogni cinque anni (se va bene, o male a seconda dei gusti) e incrocia i cicli scolastici: due anni affettività di destra e tre di sinistra, o viceversa. Sempreché gli insegnanti destri obbediscano ai ministri sinistri e i sinistri ai destri. Immaginiamo un ragazzo di destra o un bambino con genitori di destra e un docente di affettività di sinistra: il ragazzo contesta l’insegnante per come gli parla di gay, gender fluid, aborto, divorzio, contraccettivi, e i suoi compagni si schierano un po’ con lui un po’ col prof; il bambino racconta a casa cosa gli hanno insegnato e l’indomani i genitori vanno a protestare con l’insegnante o col preside, poi scrivono ai giornali o sui social o nei talk, poi la Meloni, o Salvini, o Valditara, o Lollobrigida, o Pillon, o Mollicone (quello che vuole spezzare le reni a Peppa Pig) chiedono la cacciata del “Professor Gender”, mentre le opposizioni lo difendono. Stessa scena se il prof è un destro maschilista patriarcale “pro life” e “anti-gender”, di quelli che fanno impazzire la sinistra femminista e Lgbtq+: ne basterebbe uno per far pentire Elly Schlein e tutti i tifosi della famosa legge bipartisan per l’educazione all’affettività. Ma, siccome metà dei votanti è di destra, di insegnanti ne avremmo migliaia.
Nel migliore dei mondi possibili si rispetterebbe l’autonomia della scuola, si discuterebbe civilmente, si sentirebbero gli esperti, si esporrebbero le varie opzioni e si lascerebbero le conclusioni al libero arbitrio degli studenti. Ma siamo il Paese del palio delle contrade, dove basta un voto negativo al cocco di mamma o un fallo fischiato al figlio di papà per scatenare la furia dei genitori contro l’insegnante o l’arbitro che “non si deve permettere”. Siamo realisti: anziché educare all’affettività, la scuola diventerebbe una via di mezzo fra il Vietnam, il pollaio e la prima pagina di Libero. Altro che bipartisan. E i ragazzi, mentre i grandi litigano, tutti su Youporn.
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FRECCIALOLLO
l'editoriale di Marco Travaglio
23 novembre 2023
Girano brutte voci su Francesco Lollobrigida, in arte Marchese del Lollo. No, non quelle sul Frecciarossa Roma-Salerno trasformato in Frecciablu, un Freccialollo che ferma a Ciampino a gentile richiesta: questa per lui è routine. Ma quelle sull’intenzione della cognata premier di candidarlo alle Europee per paracadutarlo a Bruxelles e levarselo dai piedi. A parte il fatto che l’Europa – pur con tutte le sue colpe – non merita tanto, a noi chi ci pensa? Già ci hanno privati di Giambruno da un giorno all’altro, a tradimento, senza preavviso né un sostituto all’altezza. E ora vogliono portarci via pure l’altro caratterista che allietava le nostre giornate, l’ultima ragione che rendeva sopportabile questo governo. Dove sono gli artisti, gli intellettuali, i lanciatori di appelli e contrappelli su ogni tema dello scibile umano? Armiamoci di carta, penna e calamaio (o calamaro, come direbbe lui, noto studioso di granchi blu): “Nessuno tocchi Lollo”. Sì, ci resterebbero Mezzolitro Nordio e Maria Elisabetta Casellati Alberti Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, ma da un po’ di tempo appaiono dimessi, senza verve, fuori forma e senza il Marchese Cognato potrebbero perdere vieppiù ispirazione. E la sua prematura dipartita sarebbe un brutto colpo anche per noi. Quando le notizie dal Palazzo scarseggiano, basta mettergli un microfono sotto il naso e lui dà la svolta alla giornata.
Nel pieno delle polemiche sul cognatismo meloniano, se la prende coi giovani disoccupati che poltriscono “sul divano anziché coltivare i campi” (o, in subordine, sposare la sorella della premier e diventare ministri). Il governo anti-migranti riesce a raddoppiare gli sbarchi di migranti? Lui grida alla “sostituzione etnica” fra le ola del Ku Klux Klan, poi sfodera la classica toppa peggiore del buco: “Non sono razzista, sono ignorante” (che è una bella soddisfazione). Il governo abolisce il Reddito di cittadinanza levando di bocca ai poveri anche l’ultimo tozzo di pane? Lui spiega: “Da noi i poveri mangiano meglio dei ricchi: cercando dal produttore l’acquisto a basso costo, spesso comprano qualità” (infatti alla Caritas non si trova un tavolo manco a prenotare e la Guida Michelin assegna due o tre stelle ai cassonetti più frequentati dai famosi barboni gourmet). Girano voci sulle scappatelle di un big di FdI con la deputata neomamma che ha fatto il test di gravidanza? Lui avverte subito i cronisti, come la prima gallina che ha fatto l’uovo: “Vi siete chiesti perché il nome non l’ha ancora fatto nessuno? Voglio vedere chi è il primo che lo scrive!”. Quando serve una minchiata, lui c’è sempre e non tradisce mai. Un altro così dove lo troviamo? Fatelo pure scendere da tutti i treni che vuole, ma dal governo mai. Resti a bordo, c***o.
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FRATELLI DI TRENITALIA
l'editoriale di Marco Travaglio
24 novembre 2023
Come sempre avviene quando un politico fa una porcheria, lo scusario che sfodera insieme ai suoi scudi umani per giustificarla si rivela molto peggio della porcheria medesima. Quando B. tempestò di telefonate da un vertice a Parigi il capogabinetto della Questura di Milano per far rilasciare la minorenne Ruby fermata per furto, lo scandalo era già grosso; ma quando spiegò che la marocchina era la nipote del presidente egiziano e si rischiava un incidente diplomatico, la cosa si fece enorme. Poi, dopo aver detto “mai pagato una donna in vita mia”, finì imputato per aver fatto prostituire Ruby in cambio di soldi e, per migliorare la sua posizione, se ne uscì con l’immortale “La pagavo perché non si prostituisse”. Scajola si fece comprare due terzi di un appartamento con vista Colosseo da un costruttore del giro governativo e la cosa era già grave; ma quando dichiarò che il fellone gliel’aveva pagata a sua insaputa, peggiorò decisamente la situazione.
Ora figurarsi se un primatista mondiale del settore come Lollo può fare eccezione. Dice il ministro-capostazione di Fratelli di Trenitalia, spalleggiato dalle sottostanti Fs, che la fermata à la carte del Frecciarossa Roma-Salerno a Ciampino non era ad personam perché “potevano scendere tutti”, mica solo lui. Quindi il fatto che le Fs abbiano detto sì al cognato della Meloni, dunque ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare e ferroviaria, non è un privilegio, ma una norma erga omnes: in caso di ritardo si fa sempre così. A chi non è capitato di salire su un treno sempre fermo, chiamare un parente o un amico perché si avvicini con la macchina e scendere subito grazie alla squisita gentilezza del capotreno? È noto che i treni ritardatari fanno scendere chiunque ovunque voglia e, siccome i passeggeri si fanno venire a prendere in posti diversi, ogni convoglio effettua tante fermate impreviste quanti sono i passeggeri, centuplicando il ritardo che ha accumulato di suo. Lollo, per dire, aveva l’auto blu che l’attendeva a Ciampino: ovvio che sia sceso lì. Potevano farlo anche gli altri, ma hanno preferito lasciarlo solo, forse perché erano tutti comunisti, o magari perché l’idea di ritrovarsi soli in aperta campagna e dover proseguire a piedi per Napoli o Salerno, non disponendo di auto blu nei paraggi, non era proprio il massimo. Magari abitavano in una delle città comprese fra Roma e Salerno ma, ignari del Lodo Lollo, non hanno pensato di chiedere altre soste intermedie. Altrimenti, per accontentarli tutti, il Frecciarossa si sarebbe trasformato in un accelerato, in un carro bestiame o in un trenino per pendolari. Che poi sono i veri privilegiati d’Italia: i poveri non solo mangiano meglio dei ricchi, ma viaggiano pure da dio.
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SEMPRE PIÙ CHIARA.
l'editoriale di Marco Travaglio.
25 novembre 2023
In quest’epoca caotica urgono punti di riferimento saldi e netti. Infatti la Schlein in piazza del Popolo e Formigli a Piazzapulita si sono rivolti a Chiara (si fa per dire) Valerio, che in fatto di saldezza e nettezza non teme rivali. Nel comizio dal palco del Pd ha subito colto nel segno: “Tutte le persone che conosco sanno cucinare pasta aglio olio e peperoncino. Ogni persona a modo suo. Tempo di cottura, peperoncino intero, in polvere o frantumato. Piccante o meno piccante. Aglio con l’anima o senza. Tutte le persone che conosco sono capaci di giudicare se la pasta aglio olio e peperoncino di uno è meglio o peggio di quella di un altro”. Forte di queste incrollabili premesse, pur con una lievissima confusione fra parlare come mangi e di ciò che mangi, la Valerio ha indicato la retta via: “Una cultura e una politica del dissenso, dell’eccezione, della variazione che somigliano all’aglio olio che facciamo tutti. Si potrebbe parlare di polenta, arancini, arancine, arancinu, porchetta e fave e cicoria. Nella cucina non c’è segregazione, autonomia differenziata, premierato… Io dico che dobbiamo essere ciascuno come aglio olio e peperoncino, grazie”. Prego, si figuri.
Rapito da tanta ialina chiarezza, Formigli ha chiamato la Valerio a illuminare ogni anfratto dello scibile umano. La destra occupa la cultura al posto della sinistra? “Io non penso che ci siano le poltrone che fanno le persone, penso che ci siano le persone che fanno le poltrone, quindi, diciamo, diamo le persone che fanno le poltrone, se non diamo le persone che fanno le poltrone ma partiamo dalla poltrona secondo me, diciamo, non è una cosa né culturale né soprattutto divertente”. In effetti a Poltrone e Sofà si ride poco. La destra ammazza le donne col patriarcato? La sinistra le difende con le Valerio: “Io penso, esattamente come David Foster Wallace, che ci sia un’acqua in cui tutto questo accade e quest’acqua performa e forma sia Filippo Turetta che Giulia Cecchettin che me e lei (inteso come Formigli, ndr). Quindi tutti agiamo in base a un’acqua, ecco. Io penso che dove possiamo arrivare significa pensare che siamo tutti un’acqua”. Sempre con scappellamento a sinistra. A quel punto gli spettatori superstiti si sentono molto più patriarcali di prima e Formigli, in evidente stato di ipossia, manda un video della Murgia, amica della Valerio ma comprensibile. La Valerio ne elogia la “grande nettezza” e il “dadaismo”, ma poi pensa bene di tradurla in valeriese: “Io penso che sfottere la confidenza sia il contrario della cautela e sia l’unica cosa culturale, io temo le parole fuori dal contesto, temo le parole singole di cui abbiamo paura, penso sempre che debba esserci una struttura, uno spessore, un’ironia in cui possiamo parlarci”. Volentieri, ma di cosa?
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TROPPI SOLDI, ANZI NO
l'editoriale di Marco Travaglio
26 novembre 2023
Nel marzo 2020, quando Conte propose a Macron e sette premier del Sud Europa un Recovery Fund per uscire vivi dalla pandemia , tutti ridevano: l’“Azzeccagarbugli con la pochette” fallirà, prenda i 36 miliardi del Mes senza tante storie. Poi la von der Leyen approvò il piano e destinò 172 miliardi all’Italia. Ma tutti sghignazzavano: a “Giuseppi” non li daranno mai. “Sul ring europeo con le mani legate… L’Italia non potrebbe arrivare peggio preparata al vertice europeo” per “il sovranismo economico di Conte” (Rep, 17.7). “Ue, l’Italia all’angolo” (Rep, 18.7). “Conte Dracula. In Europa rischiamo di restare a secco” (Sallusti, Giornale, 18.7). “L’Ue non dà i soldi perché non si fida di Conte. Voi al suo posto cosa fareste?” (Libero, 18.7). “Fondi Ue ridotti all’Italia: 10 miliardi in meno” (Messaggero, 20.7)”. “172 miliardi all’Italia” (Corriere, Rep e Stampa, 20.7). 21 luglio: dopo tre giorni e tre notti di battaglia in Ue, il Recovery passa all’unanimità e l’azzeccagarbugli torna a Roma con 209 miliardi, 36 più del piano Ursula. FdI si astiene. Gennaio 2021: Renzi butta giù il Conte 2 mentre sta finendo di scrivere il Pnrr. Mattarella chiama Draghi, che lo completa, lo snatura in parte, trasloca la cabina di regia da Palazzo Chigi al Mef e accumula ritardi. Renzi scopre che i miliardi “non li ha portati Conte, ma un algoritmo olandese”. Molinari, su Rep, rivela che è stato “il governo Draghi a ottenere la maggioranza dei fondi”.
Ottobre 2022: la Meloni va al governo, riporta la cabina di regia a Chigi e perde altro tempo. Bisogna trovare un colpevole: uno a caso. Bernabè: “Si sapeva che non avremmo saputo spenderli, ma Conte chiese lo stesso tanti soldi: errore colossale”. Stagnaro (Giornale): “La responsabilità è di Conte e Draghi: han scelto di chiedere integralmente i fondi europei”. Nicola Rossi (Foglio): “Irresponsabile e sconsiderata la scelta del governo dell’epoca (Conte, ndr) di raccattare ogni risorsa disponibile”, che ora va “restituita”. Molinari (Lega): “Rinunciamo a parte dei fondi”. Crosetto (FdI): “Prendiamo solo i fondi che useremo”. Verderami (Corriere): “La scommessa di Conte sul Pnrr e i dubbi di Gentiloni: meno rischi con prestiti graduali”. Boeri e Perotti (Rep): “Si è voluto portare a casa più soldi possibile”. Ergo non solo i 209 miliardi li portò Conte, non Draghi o l’algoritmo olandese. Ma ne portò troppi: si vergogni e arrossisca. Ieri, all’improvviso, la Meloni annuncia che l’Ue ci dà “21 miliardi in più” (per Giorgetti sono 12 e per il Sole 24 ore 2,8, ma fa niente) e la stampa tutta si spella le mani. Quindi i miliardi di Conte non erano troppi, ma troppo pochi. In attesa di nuovi mirabolanti sviluppi, abbiamo finalmente capito che diavolo significa Pnrr: Pagliacci nazionali rosiconi ridicoli.
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MA MI FACCIA IL PIACERE.
l'editoriale di Marco Travaglio
27 novembre 2023
Mirini. “È un anno che sono nel mirino” (Francesco Lollobrigida, ministro FdI Agricoltura e Sovranità alimentare, Corriere della sera, 26.11). E non s’è ancora accorto che il mirino è il suo.
Ballusti. “La spiccata capacità a delinquere è dimostrata dai precedenti penali dell’imputato… un giornalista che, in un limitato arco di tempo (dal 2.9.2001 al 30.5.2003) ha sei volte manifestato una reiterata indifferenza colposa nei confronti del diritto fondamentale della reputazione e una volta (il 12.10.2002) ha leso direttamente tale bene… Sette pregresse condanne per diffamazione… La gravità del fatto delineata dalle modalità di commissione di fatti caratterizzati da particolare negatività…” (sentenza della Cassazione che condanna per l’ottava volta Alessandro Sallusti, 26.9.2012). “Io sono incensurato” (Sallusti, È sempre Cartabianca, Rete4, 22.11.2023). Uahahahahah.
Bin Rignan. “Oggi più che mai facciamo sentire la nostra voce contro la violenza sulle donne. A cominciare dalle donne violentate in Israele dai terroristi di Hamas, dalle donne che lottano in Iran, dalle donne private della libertà in Afghanistan, su questi temi anche e soprattutto gli uomini devono far sentire la propria voce” (Matteo Renzi, senatore Iv, 25.11). Lo dice pure bin Salman.
Tititiritu? “Meloni: ‘Mosca può riportare la pace ritirandosi’” (Stampa, 23.11). L’ha detto anche a Netanyahu?
Eliminare. “Matti Friedman: ‘Israele ha un’unica strada per sopravvivere: eliminare Hamas e tutti i terroristi da Gaza’” (Stampa, 25.11). Fabbricandone di nuovi.
Indovinello. “‘Scarso valore’: così il governo negò i fondi al film di Cortellesi”, “’Opera di scarso valore’: e il ministero della Cultura negò i finanziamenti al film di Cortellesi. Bocciata la pellicola diventata simbolo della lotta delle donne contro la violenza. La protesta sui social” (Repubblica, 24.11). Si sono solo scordati di precisare che il 12 ottobre 2022, quando il finanziamento al film fu bocciato, il governo era quello di Draghi e il ministero era retto da Franceschini, ma fa niente: capita, con i Migliori.
Er Mejo. “Autostrada dei Parchi ritorna a Toto. La revoca di Draghi è costata 5 miliardi” (Stampa, 19.11). Era o non era il Migliore?
L’ideona. “Il consiglio a Schlein di Franceschini: sull’elezione diretta non dire solo dei No” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 25.11). Si sentiva giusto la mancanza di qualche bel Ni.
Expertise. “Quasi tutti i ministri non hanno competenza, rappresentano soltanto gli interessi di qualcuno” (Vittorio Sgarbi, sottosegretario Cultura, 25.11). Lui invece rappresenta i suoi.
Attaccati al tram. “La rivolta di Corso Vittorio: ‘Il tram qui è una follia’”, “Il tram a via Nazionale: ‘È uno spreco di soldi’”, “Manifestazioni e scioperi. ‘Tram fermo un giorno su 3’”, “Il tram in via Nazionale: ‘Spreco di soldi pubblici’”, “Sos chiesa dei Fiorentini: ‘No al tram: è pericoloso’”, “Tram in via Nazionale, le criticità in Consiglio” (Messaggero, 20, 21, 22, 23, 24, 25.11). Si potrebbero appaltare a Caltagirone pure i tram, oltre alla metro. Così la fa finita.
Imbecilli. “La frase: ‘Non tutti gli uomini uccidono le donne’, è peggio che falsa. È imbecille” (Adriano Sofri, Foglio, 21.11). Ci sono anche gli uomini che uccidono i commissari.
Museo del Prado. “Comunque il tipo umano più compatibile con lo stupratore non è né il comunista né il fascista: è il pacifista” (Iuri Maria Prado, Twitter, 18.11). Lo portano via.
Chiara e lo scuro. “L’ultima strumentalizzazione di una tragedia che mi viene in mente è quella di Indi Gregory, la bambina inglese affetta da una gravissima patologia che… è stata accolta all’Ospedale Bambin Gesù” (Chiara Valerio, “Meloni e il retaggio del patriarcato”, Repubblica, 22.11). Indi Gregory non è mai stata accolta al Bambin Gesù: è morta in un hospice inglese. Sempre per via del patriarcato.
Il titolo della settimana/1. “Fatture false all’insaputa dei figli della Casellati” (Giornale, 24.11). Le famose fatture che si emettono e si firmano da sole.
Il titolo della settimana/2. “Gratteri non ha neanche scalfito la vera ‘ndrangheta. Dentro l’aula bunker di Lamezia non è stato processato alcun Riina” (Il Dubbio sulle 207 condanne al maxiprocesso Rinascita Scott, 22.11). Tutta brava gente.
Il titolo della settimana/3. “Ma quale sentenza storica, i giudici hanno stroncato la presunta cupola mafiosa: 11 anni a Pittelli” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 21.11). Lei si aspettava l’ergastolo.
Il titolo della settimana/4. “Il ritorno di Putin fra i Grandi è una vittoria della Nato” (Sallusti, Giornale, 21.11). Un trionfo.
Il titolo della settimana/5. “L’errore di Lollobrigida? Rinunciare all’auto blu cedendo al grillismo” (Maiolo, Dubbio, 24.11). Te pareva che era colpa di Grillo.
Il titolo della settimana/6. “Il momento Churchill di Elly Schlein” (Andrea Malaguti, Stampa, 19.11). Ma pure il momento Napoleone.
Il titolo della settimana/7. “Io maschio sto con Elena” (Massimo Giannini, Repubblica, 25.11). Adesso siamo tutti più tranquilli.
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HAMAS IN TOGA
l'editoriale di Marco Travaglio
28 novembre 2023
Crosetto sembrava uno dei pochissimi ministri muniti di un cervello funzionante. Abbiamo denunciato il suo conflitto d’interessi di presidente e consulente dei costruttori di armi che diventa ministro della Difesa. Ma, le rare volte in cui siamo d’accordo con lui, non abbiamo difficoltà a dirlo: per esempio sull’urgenza di un compromesso Ucraina-Russia e sulla prudenza nella guerra Israele-Hamas. Perciò, quando gli parte la brocca, ci poniamo domande che per un Lollobrigida, una Santanchè, uno Sgarbi, un Gasparri sarebbero oziose: che gli sta capitando? Che si è bevuto? Quest’estate denunciò un oscuro complotto a base di “dossieraggi” e “nuove P2”: poi si scoprì che un finanziere indagava per un pm su alcuni suoi soci poco raccomandabili. Ora torna alla carica, anzi alla scarica, evocando sul Corriere un’altra congiura perché ha sentito dire di riunioni di magistrati carbonari per colpire il governo a indagine armata. L’attacco preventivo ricorda il metodo Gasparri, che, interpellato da Report sulla società di cybersicurezza da lui presieduta all’insaputa del Parlamento, inscena un interrogatorio a Ranucci a base di carote e cognac per poter dire che, quando il servizio andrà in onda, non è un’inchiesta giornalistica, ma una vendetta personale. Ma il caso di Crosetto è ancor più grave perché nessuno, a parte lui, può sapere se esista un’indagine in grado di terremotare il governo, e a carico di chi. Dunque, appena si scoprirà una qualunque indagine su qualunque esponente di centrodestra, lui potrà alzarsi in piedi e strillare: “Io l’avevo detto!”. E soprattutto: “Non è un’indagine, ma un attentato al governo”. Ma questa, nel dizionario della lingua italiana, si chiama intimidazione.
Se un pm già indaga, magari con l’ausilio di qualche carabiniere, ora sa di essere nel mirino del ministro responsabile dell’Arma dei Carabinieri: se vuole vivere sereno gli conviene archiviare tutto (altrimenti prenderà pure un brutto voto nella “pagella” inventata dalla Cartabia e peggiorata proprio ieri da Nordio). E se in futuro un carabiniere scoprirà una notizia di reato su un esponente o un amico del governo, saprà cosa fare per salvarsi la carriera: inguattare tutto. In un clima del genere, immaginare che esistano frotte di magistrati ansiosi di rovinarsi la vita indagando sui padroni d’Italia, anzi di organizzare apposite riunioni per inventare inchieste contro il governo, è non solo ingenuo, ma ridicolo. Basta controllare i sotterranei delle procure, dove pm e agenti stanno già scavando tunnel come sotto gli ospedali di Gaza: non per cospirare contro la Meloni e i suoi fratelli, ma per nascondersi appena salta fuori un loro reato. Nella speranza di non essere mai più trovati, né tantomeno liberati.
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IL POSTO GIUSTO
l'editoriale di Marco Travaglio
29 novembre 2023
Esperimento: prelevare un mafioso detenuto al 41-bis, bendarlo, portarlo a un dibattito in Parlamento senza dirgli dov’è e lasciarlo in ascolto. “Mi raccontano di riunioni di magistrati che parlano di come fermarci. Siccome ne abbiamo viste di tutti i colori, mi aspetto ricomincino”. “Il pericolo è l’opposizione giudiziaria che ci ha sempre affossati”. “Dopo i casi Tortora, Mannino, Mori e la storia di centinaia di persone dal 1994 a oggi, si può nascondere come si è comportata una parte della magistratura?”. “Non se ne può più, ci vuole una riforma della giustizia”. “Siamo sotto attacco, arriveranno nuove inchieste”. “Se non facciamo qualcosa, verranno a prenderci uno per uno”. “Mi aspetto le solite inchieste a orologeria”. “Fanno politica con le indagini”. “Aveva ragione Silvio, i giudici sono pazzi, antropologicamente estranei alla razza umana: se fai quel mestiere devi essere mentalmente disturbato”. “Bisogna fargli il test psico-attitudinale”. “E dargli le pagelle come a scuola”. “Sì, ma il voto dobbiamo darglielo noi avvocati, così ci divertiamo”. “I magistrati sono un cancro da estirpare”. “Peggio della banda della Uno Bianca”. “Eversori, roba da Brigate rosse”. “Tangentopoli è stata una barbarie”. “Puro Terrore giacobino”. “Invece di inseguire teoremi su di noi, vadano a prendere i veri delinquenti”. “Io non ce l’ho con tutti i magistrati, solo con quelli che mi perseguitano”. “Si sono pure inventati la trattativa Stato-mafia”. “Rovinano il buon nome della Sicilia”. “E della Campania allora?”. “Ma pure della Calabria”. “Danneggiano l’economia e il Pil”. “Le tasse sono un pizzo di Stato”. “L’evasione di chi si vede chiedere il 40 o 50% del guadagno è un diritto naturale nel cuore degli uomini”. “Lasciamo in pace le partite Iva e diamo la caccia ai veri evasori”. “E basta con ’sti Pos e ’sti limiti ai contanti, io pago e incasso cash, mica siamo in Russia”. “Con la mafia bisogna convivere”. “Il Ponte sullo Stretto ce lo invidierà tutto il mondo”. “Basta controlli antimafia, rallentano gli appalti e i lavori”. “Non possiamo mica fare una gara per ogni appalto”. “Le intercettazioni violano la privacy e la Costituzione, sono un inutile spreco di denaro”. “Tanto i veri mafiosi non parlano al telefono”. “Bisogna abolire l’abuso d’ufficio”. “E il traffico di influenze illecite, allora?”. “La blocca-prescrizione di Bonafede è una bomba atomica”. “Bisogna ripristinare la prescrizione, che è una garanzia per tutti”. “O almeno tenerci l’improcedibilità”. “Pure questo Ranucci di Report ha scassato la minchia”. “Sì, ma pure ’sto Fatto Quotidiano”. A questo punto il mafioso prova a indovinare dove si trova: “Avverto un clima familiare, sento aria di casa… Ci sono: è un summit di cosca?”. La risposta è esatta!
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LA RITIRATA DI RUSSIA.
l'editoriale di Marco Travaglio
30 novembre 2023
Martedì Repubblica ha intervistato in pompa magna Anna Netrebko, “regina della lirica, soprano russa senza confronti, voce da brivido, vigore espressivo, piglio da diva, milioni di follower e carisma ammaliante”, “scoperta dal geniale direttore Valery Gergiev, vicino a Putin”. A dieci giorni dalla prima della Scala che la vedrà mattatrice nel Don Carlo di Verdi, si è concessa in “esclusiva” a Rep “a patto di non citare quei temi” (la guerra in Ucraina). E Rep ha subito accettato: “Bello prendersi una vacanza dai fuochi e affrontare il ritratto del suo personaggio verdiano”. Non bello: bellissimo. Abbiamo atteso 24 ore prima di scriverne per dare modo ai Riotta, Mieli, Polito, Cappellini, Severgnini, Folli, Grasso, Sarzanini, Guerzoni, Iacoboni e gli altri atlantisti nostrani di infilare Rep in una nuova lista di putiniani servi della cyberpropaganda russa. Invece tutti zitti e Mosca.
Sembra passato un secolo, non 18 mesi, da quando la “regina della lirica” dovette ritirarsi dalla Scala perché Sala e il teatro avevano cacciato il “geniale direttore” Gergiev per putinismo molesto. Altri teatri cancellavano i balletti di Tchaikovsky e altri musicisti protoputiniani. La Fiera del libro per ragazzi di Bologna bandiva editori e autori russi. Il Festival della fotografia di Reggio Emilia rimandava indietro il russo Gronsky, così putiniano che appena rientrò a Mosca sfilò in un corteo contro la guerra di Putin e fu arrestato dalla polizia di Putin. Gli atleti russi, olimpici e pure paralimpici, erano banditi dalle gare o costretti a parteciparvi senza bandiere. La Bicocca, dopo approfondite ricerche, scoprì che era russo anche tal Dostoevskij, sedicente scrittore che, con Tolstoj, Cechov, Puskin, Gogol’ e altri putribondi figuri, minacciava di diffondere la propaganda putiniana e sospese il seminario di Paolo Nori sulle sue opere. Mezzo mondo cancellò i film russi e i corsi di russo. Le fiere feline squalificarono i gatti russi per evitare miagolii putinisti. Il concorso Albero dell’Anno espulse la quercia di Turgenev (pure lui proditoriamente russo). Banditi anche gli intellettuali e artisti ucraini che avevano osato nascere o esibirsi in Donbass o in Crimea. La delegazione russa fu estromessa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz, notoriamente liberato non dall’Armata Rossa, ma dagli ucraini e dagli americani (come ne La vita è bella di Benigni). Il tutto fra le standing ovation della stampa atlantista. La stessa che ora copia Orsini, relega l’eroico Zelensky nei trafiletti, invoca un compromesso Mosca-Kiev prima che si noti la disfatta Nato e stende tappeti rossi alla regina putiniana della lirica, che si esibirà non a caso dinanzi a La Russa. Di questo passo c’è pure il rischio che riabilitino quel Dostoevskij.
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I BLUES COGNATI
l'editoriale di Marco Travaglio
01 dicembre 2023
Fedele al detto romano “Co’ le cazzate ce mannano avanti li treni”, Gino Lollobrigida ha arricchito in Senato il già pregevole scusario sulla fermata per uso personale del Frecciarossa a Ciampino. Ha ribadito di averla chiesta “senza la pretesa di un trattamento di favore”, fingendo di non capire che il favore non è quello che lui chiede – peraltro chiamando l’ad di Trenitalia, il cui cellulare notoriamente è stampato su tutti i biglietti ferroviari – ma quello dell’altro che risponde di sì. Ha ripetuto che “tutti i passeggeri hanno avuto la possibilità di scendere a Ciampino”, anche se curiosamente nessuno ha voluto coglierla, non sapevano che minchia fare nell’amena località suddetta e non essendosi premurati di convocare sul posto le rispettive auto blu. Poi il colpo di genio, una rivisitazione dei Blues Brothers dove John Belushi si giustifica con la fidanzata per un ritardo sospetto: “Ero rimasto senza benzina, avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c’era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c’è stato un terremoto, una tremenda inondazione, e poi le cavallette! Non è stata colpa mia, lo giuro su Dio!”. Fra i vari alibi, il Blues Cognato (Blues brother in law) ha optato per l’inondazione: “Ho evitato gravi conseguenze ai tanti cittadini che sostavano all’aperto a Caivano in una giornata di allerta meteo”. Ha salvato quei poveri bambini dalla pioggia, che poi peraltro non è caduta.
Freccialollo aveva appena finito di parlare e nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, luogo sacro dei gesuiti, andava in scena il rito più profano e pacchiano mai visto dalla cacciata dei mercanti dal tempio per mano di Gesù e del sacco di Roma a opera dei lanzichenecchi: la presentazione del libro di Cazzullo sugli antichi romani. Dinanzi all’altare barocco, che non risulta sconsacrato (non ancora almeno), alla presenza di 500 fedeli più o meno vip a mani giunte nei banchi, erano assisi su tronetti dorati e damascati i due celebranti, il Cazzullo e Mario Draghi, e la concelebrante Nancy Brilli, chiamata a declamare non le Sacre Scritture, ma brani scelti dell’opera cazzulliana. Roba da far invidia a Vespa, che di presentazioni cafonal-libresche è maestro da secoli, ma non aveva mai sospettato di poterle officiare in chiesa fra un rosario e un funerale. Per fortuna nessuno domanderà a Draghi, l’uomo a cui non si deve chiedere mai, né ai gesuiti se le chiese siano aperte alle presentazioni di tutti i libri o se – Dio e Sant’Ignazio non vogliano – si tratti un privilegio ecclesiastico riservato a lui e ai suoi amici. Sennò dovrebbero attingere dal repertorio di Lollo. Noi comunque ci prenotiamo per la riedizione del libro su B.. Che s’intitola Il Santo, mica pizza e fichi.
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