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Dino

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LA SEMIDITTATURA

l'editoriale di Marco Travaglio

01 novembre 2023

La cosiddetta riforma del premierato e dell’anti-ribaltone è una tale ciofeca che dobbiamo prepararci sin d’ora a raderla al suolo nel referendum. Ma non per i motivi che si sentono in giro, tipo che Mattarella se ne avrà a male perché gli levano i senatori a vita e il potere di inventarsi nuove ammucchiate più o meno “tecniche”. Con tutto il rispetto, chissenefrega: le riforme costituzionali non si fanno su misura per questo o quel presidente o premier. Ed è bizzarro che chi rimprovera giustamente la Meloni di farne una su misura per sé la rimproveri anche di non farla su misura per Mattarella.

Le schifezze della proposta non riguardano le persone, ma lo Stato che ne verrebbe fuori: una Repubblica non più parlamentare, né semipresidenziale, ma semidittatoriale. L’elezione diretta del premier non esiste in nessuna democrazia: fu introdotta in Israele nel ’92 e poi abolita dopo tre elezioni perché produceva più instabilità (l’opposto dello scopo dichiarato dai nostri padri ricostituenti). E – come già il mix fra la schiforma renziana e l’Italicum – il combinato disposto con una legge elettorale che dà il 55% dei seggi alla coalizione che arriva prima, anche se non prende neppure la metà dei voti, blinda la falsa maggioranza in una torre d’avorio inespugnabile. Anche se sta insieme con lo sputo e non combina più nulla, paralizzata da risse e veti incrociati, non c’è più verso di sfiduciarla. Non solo il capo dello Stato, ma soprattutto il Parlamento non contano più nulla.

Se si vogliono evitare i ricatti dei partitini e le crisi al buio, basta introdurre la “sfiducia costruttiva” (come in Germania, Spagna, Belgio ecc.): il Parlamento non può sfiduciare un governo se non ne ha già pronto un altro, anche con maggioranza diversa; o, in alternativa, alza bandiera bianca e si scioglie. Ma questo confligge con la fesseria contro i “ribaltoni”, che non esistono: se i parlamentari, ciascuno dei quali rappresenta l’intera nazione, vogliono formare una maggioranza diversa da quella iniziale, sono liberi di farlo. Purché sia gratis: ed è curioso che a tuonare contro i “ribaltoni” siano da 29 anni le destre figlie un leader, B., che andò al potere nel ’94 acquisendo parlamentari dall’opposizione in cambio di posti di governo, nel 2007 comprò senatori per ribaltare il Prodi-2 e nel 2010 raccattò altri voltagabbana per compensare la fuga dei finiani. Quanto ai governi di larghe intese, tecnici (Dini, Monti e Draghi) o politici (Letta), vietare la premiership ai non eletti non sarebbe servito a evitarli: sarebbe bastato che i partiti non li votassero. Purtroppo li votarono ora la Lega (Dini), ora FI e An con dentro la Meloni (Monti), ora FI (Letta), ora FI e la Lega (Draghi). Ora non si sa bene a chi vogliano impedire di rifarlo: a se stessi?

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TALÒTRUFFA '23

l'editoriale di Marco Travaglio

02 novembre 2023

Giorgia Meloni aveva appena sfogato il suo sdegno fuori tempo massimo per il famoso fuorionda di Conte che parlava con la Merkel nel 2019 (“Il nostro punto più basso all’estero! Mai più!”), quando è stata beccata a discutere per un quarto d’ora dei fatti nostri, nonché di Ucraina, Russia, Francia, Africa e Onu con un comico russo che si spaccia per un leader africano. I paralleli con Totò finto ambasciatore del Catonga in Totòtruffa ’62 e con Fantozzi che chiama il megadirettore ereditario visconte Cobram con patata in bocca, molletta sul naso, pentola in testa e accento svedese, si sprecano. Ma nell’inconsapevole gag c’è anche qualcosa di serio.

1. I controlli e i filtri di sicurezza del governo sono, se possibile, più perforabili dei confini da quando li presidia la destra. Il primo che capita chiama Palazzo Chigi con un nome a caso e gli passano subito la premier. Dare almeno un’occhiata al prefisso pare brutto. Complimenti allo staff del consigliere diplomatico Francesco Talò: Talòtruffa ’23.

2. Per il sottosegretario-portavoce Giovanbattista Fazzolari, lo scherzo non dimostra che siamo governati da un cast di comici dilettanti, ma che “la propaganda russa è disperata per il catastrofico andamento dell’‘operazione speciale’ in Ucraina… una continua sconfitta”. Peccato che la Meloni dica ai due comici professionisti l’esatto contrario: “La controffensiva ucraina non sta andando come ci si aspettava”. Kiev e la Nato perdono, Mosca vince.

3. Il comico amatoriale Fazzolari spiega che “Meloni non cade nella trappola dei propagandisti russi e conferma la linea italiana di sostegno all’Ucraina”. Cioè: il fatto che sia caduta nella trappola dimostra che non è caduta nella trappola. Purtroppo è vero l’opposto. Meloni, conversando con i due comici, ribalta di 180 gradi la linea italiana di sostegno all’Ucraina. Infatti parla per la prima volta di “una via d’uscita accettabile per entrambe le parti”, cioè per gli aggrediti ucraini e per l’aggressore russo. Un compromesso, come i “putiniani” e i “pacifinti” avevano sempre chiesto, beccandosi insulti e irrisioni dagli atlantisti, Meloni compresa. Quelli che “non si tratta col nemico” e “l’unica pace giusta è il ritiro dei russi”. Il 13 dicembre scorso, alla Camera, la Meloni sbeffeggiava i Conte e i 5Stelle contrari al nuovo decreto per armare Kiev sine die: “Cosa intendete voi per ‘avviare negoziati’? L’Ucraina deve arrendersi per ottenere la pace? O pensate di convincere i russi a ritirarsi offrendogli il reddito di cittadinanza?”. Ora il negoziato lo vuole lei, però “aspetto il momento giusto” (massì, lasciamo morire ancora qualche migliaio di ucraini). Visto che l’unico modo per cavarle qualcosa di vero è farle uno scherzo, confidiamo in una pronta chiamata dal Catonga.

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CHIAMATE GLI INFERMIERI

l'editoriale di Marco Travaglio

03 novembre 2023

Non so quale virus circoli nell’aria, ma a naso parrebbe molto più insidioso del Covid. Perché non attacca i polmoni, ma il cervello. Ieri, come fosse la cosa più normale del mondo, il pregiudicato per mafia Marcello Dell’Utri, circondato da altre preclare fedine penali, ha preso la parola al cimitero Monumentale di Milano mentre il pregiudicato Silvio Berlusconi veniva iscritto all’albo dei milanesi illustri grazie al concorso esterno del sindaco Sala e della sua maggioranza. Il pregiudicato vivo, celebrando quello morto, l’ha paragonato a Cavour e a Mazzini. Poi Paolo Berlusconi ha citato Dante e morta lì. Intanto, su Repubblica, Francesco Merlo paragonava il fumettista Zerocalcare – reo di aver disertato il Lucca Comics, patrocinato dell’ambasciata israeliana – ai terroristi di Hamas reduci dal pogrom di 1.400 ebrei. Testuale: “Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele, così si decora la coscienza e si sente come le pantere nere alle Olimpiadi del 1968”. In attesa degli infermieri, che non arrivano mai, varie firme di Rep si sono dissociate dal poveretto con qualche lustro di ritardo (fra le altre sue imprese, rammentiamo il grazioso parallelo fra Beppe Grillo e il “Malpassotu che, da un buco della campagna siciliana, masticando odio e cicoria, scagliava i suoi pizzini per sfregiare i nemici e umiliare gli innocenti”: cioè Giuseppe Pulvirenti, boss della mafia catanese reo confesso di una faida da 100 morti l’anno).

Uscito dalla redazione di Rep, il virus è planato sul sottosegretario Alfredo Mantovano, persona solitamente equilibrata. Il quale, a proposito dello scherzo telefonico alla Meloni, ha dichiarato che “lei l’aveva capito subito”. E neppure si è accorto di rendere ridicolo se stesso, ma anche lei. Che – basta ascoltare la telefonata – non aveva capito un bel nulla. Sennò avrebbe messo giù subito, non dopo un quarto d’ora, e avrebbe avvertito il Parlamento (Copasir). O, se avesse voluto godersi lo scherzo, avrebbe ripetuto ciò che dice in pubblico sulla ritrovata sintonia con Macron e sul radioso avvenire dell’Ucraina. Invece ha pregato il finto leader africano di tenere per sé le confidenze, poi ha detto peste e corna dell’alleato francese e dell’offensiva ucraina, infine gli ha annunciato in anteprima mondiale un piano per “una via d’uscita accettabile per entrambe le parti” (Kiev e Mosca). Tutte cose che non avrebbe dovuto dire neppure al vero leader africano, mai visto né conosciuto prima. Figurarsi a due comici russi. Ora si attende che la chiamino le Iene travestite da Putin e da Zelensky per chiudere la guerra. E che Giambruno annunci la sua separazione dalla compagna per il vergognoso fuorionda.

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LE SPIE DAL SEMIFREDDO

l'editoriale di Marco Travaglio

04 novembre 2023

Non contento dei danni fatti alla Meloni come portavoce (il più veloce della luce: è durato tre mesi), Mario Sechi ha deciso di completare l’opera come direttore di Libero. E, temendo di non farcela da solo a darle il colpo di grazia, s’è portato dietro Daniele Capezzone. Ieri i due noti caratteristi hanno riempito tre pagine e mezza di Libero per dimostrare che quello alla premier non era uno scherzo, ma “una trappola russa”, un raffinatissimo “piano” e “intrigo” di “guerra ibrida”, “cibernetica” e “mediatica” architettata da due “propagandisti”, “un’operazione di disinformatija”, “un classico del repertorio dei servizi di Mosca”, ultimo anello di “una catena accuratamente oliata dall’intelligence russa” per “la conquista del cuore e della mente dei popoli”, “una micidiale operazione di sabotaggio” che ci precipita “dentro la matrioska della Russia” che, di bambolina in bambolina, porta dritto a Putin, “abile giocatore di scacchi” (ma non era un pazzo moribondo?), le cui “impronte digitali giungono fino a Gaza City” (dietro Hamas c’è “il gruppo Wagner”: chi non muore si rivede) e “la fondamentale posizione euro-atlantica” della Meloni è decisiva per le sorti del pianeta: “se l’Italia flette” viene giù tutto. Ma l’Italia non flette, eh no: i due agenti del Kgb travestiti da comici hanno avuto pane per i loro denti, “perché Giorgia Meloni ha una naturale prudenza e coerenza nell’esporre i problemi e le sue conclusioni; ma ci hanno provato con maestria”. Poi a sgamarli ha provveduto l’astuto Sechi: “Mi è bastato fare un paio di domande a Lexus a 8 e mezzo per mostrare il suo vero volto” (quello di un comico molto più sbarazzino con Putin di Sechi con la Meloni).

In effetti la raffinatissima operazione di intelligence, disinformatja, guerra ibrida e cibernetica si è avvalsa delle più sofisticate tecnologie su piazza: un telefonino. I comici han chiamato Palazzo Chigi e subito li ha richiamati la premier che, con la naturale prudenza e coerenza, s’è confidata per mezz’oretta con uno dei due, scambiandolo per un leader africano anche se parlava come Ivan Drago di Rocky IV (“Io ti spiezzo in due”) e gli ha detto l’opposto di quel che dichiara in pubblico. Poi, siccome “s’è accorta subito dello scherzo” (Mantovano dixit) ed è ben conscia delle insidie spionistico-cibernetiche dell’impero russo, se n’è rimasta zitta per 44 giorni: sotto ricatto o sotto scacco degli agenti russi camuffati da comici e dei loro mandanti, senza avvertire i Servizi e il Copasir, ma aspettando che fossero quelli a spiattellare tutto. Ora, non vorremmo deludere i due Le Carré de noantri, ma la loro spy story, più che La spia che venne dal freddo, ci ricorda Totò e Peppino divisi a Berlino: protagonisti Giuseppe Pagliuca e Antonio La Puzza.

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ZEROCHIARA

l'editoriale di Marco Travaglio

05 novembre 2023

Avendo sempre attaccato tutto il meglio e leccato tutto il peggio d’Italia, Francesco Merlo fa l’effetto opposto di Cetto La Qualunque: se ti profuma, ti sputa. Infatti, insultando Zerocalcare, non poteva tributargli encomio più solenne. Purtroppo mezza redazione di Rep ha preteso un articolo riparatorio. E, quel che è peggio, l’ha affidato a Chiara (si fa per dire) Valerio. Che sarebbe anche una brava scrittrice, se solo si capisse quello che scrive. La sua difesa di Zerocalcare che diserta Lucca Comics per il patrocinio israeliano inizia così: “Bruno De Finetti, grande matematico italiano, nel suo saggio Sul probabilismo (1933) scrive non è importante perché il FATTO che IO prevedo accadrà, ma perché IO prevedo che il FATTO accadrà. Bisogna stare attenti alla posizione del ‘perché’ e dell’‘io’”. E qui almeno si capisce da chi ha imparato a scrivere: dal grande Bruno De Finetti, che “stabilisce una cosa formidabile e ciò che ciascuno di noi coincide con l’errore di valutazione che compie”. E non una volta per tutte: “volta per volta”. Quindi, come diceva il grande De Finetti, ma pure il mio tabaccaio, bisogna “cercare di non commettere errori gravi”. Sì, ma Zerocalcare? Aspetterà. “Molti di noi siamo (sic, ndr) diventati il luogo e il modo non della discussione ma della posizione”. Ah ecco. E qui si arriva al punto: “‘Pro e contro Zerocalcare?’ è forse una domanda sufficiente? Io penso non lo sia”. E vabbè. “Noi non discutiamo più”: “giochiamo a ruba bandiera”. Noi chi? Boh. Però, se lo dice lei, anzi esse, mi fido. “‘The best way put is always through’ ha scritto Robert Frost in A servant To Servants (in italiano, per i tipi di Adelphi, nella raccolta Fuoco e Ghiaccio, 2002, traduzione di Silvia Bre)”. Mo’ me lo segno. Ma torniamo a Zerocalcare, anzi no: “Esercizio di alterità non significa accettazione della medesima”. Non sia mai. Seguono: la “‘reductio’ a ruba bandiera della cultura italiana”, il “capitalismo nella sua matura fase semantica che produce e macina concetti più che oggetti”, la “scuola pubblica come percorso formativo nel quale il risultato è più importante del modo in cui il risultato si raggiunge o non si raggiunge”, gli “highlights dei goal, app per dating, consegna del cibo a domicilio et alia”. Come fosse antani.

Poi, proprio sul finale, appare Zerocalcare: “Si può decidere di portare il corpo o decidere di non portare il corpo”, sempre -beninteso- “volta per volta”: “‘Pro e contro portare il corpo?’ è ancora una domanda non sufficiente. Si risponde sì o no e si frantumano le problematicità che l’altro porta, a sé e a noi”. Ok, ma la Valerio con chi sta? “Con chi ha portato il corpo e chi ha sottratto il corpo” a Lucca, perché o “stanno lì, o non ci stanno”. Ma va? Però allora ditelo che ce l’avete con Zerocalcare.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

06 novembre 2023

Calamità. “Usare le calamità per attacchi politici e strumentali al governo è sconsiderato” (Giorgia Meloni, presidente FdI del Consiglio, 3.11). Quindi le pandemie non sono calamità.
Cappellate. “Fratelli di Bannon: la trama complottista che lega Grillo e Meloni. Come le espressioni ‘Sostituzione etnica’ e Grande Reset sono transitate in Italia passando per i meet-up dei Cinquestelle e la propaganda di FdI” (Stefano Cappellini, Repubblica, 31.10). Per non parlare della sostituzione etilica.
Il tutto per la parte. “Perchè i ragazzi di Sydney chiedono la riapertura delle camere a gas” (Mattia Feltri, Stampa, 31.10). Perchè i rubrichisti di prima pagina della Stampa scrivono str**z*te?
Due Totò inediti. “Sembra una scena di ‘Totò ambasciatore del Catonga’” (Giuseppe Caruso, Foglio, 2.11). “Un film da rivedere per l’occasione, consigliato dall’ex ministro Enzo Amendola: Totò e l’ambasciatore di Catonga’. Sipario” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 2.11). A parte che il sipario si apre e si chiude a teatro e non al cinema, non esistono film di Totò con quei due titoli. Esiste Totòtruffa ’62.
Nomen omen. “Riforma istituzionale. Le mani sulla Repubblica” (Repubblica, 31.10). “Le riforme della destra. Assalto alla Costituzione” (Repubblica, 4.11). Sembra ieri che, ai tempi dell’assalto renziano alla Costituzione, le mani sulla Repubblica le metteva pure Repubblica.
Moglie di NN. “Rai, scatta l’emergenza per il crollo di ascolti: De Girolamo a rischio… TeleMeloni… la Caporetto degli ascolti” (Giovanna Vitale, Repubblica, 3.11). Chiedo per un amico: ma Nunzia De Girolamo è la moglie di Lollobrigida o di La Russa?
A grande richiesta. “Formigoni medita il suo ritorno in campo: ‘Io alle Europee? Me lo chiedono in tanti…’” (Giornale, 30.11). Soprattutto gli ex compagni di cella.
Tutto va ben madama la Meloni. “Giorgia Meloni all’estero si sta muovendo bene” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 5.11). Specialmente quando si ferma per telefonare.
Mo’ me lo segno. “Zelensky tra Ue e paura: ‘Non dimenticatevi di noi’” (Giornale, 5.11). Ora mi faccio un nodo al fazzoletto.
Manco copiare. “Se Putin arruola la Jihad nella sfida all’Occidente… Da qui il ringraziamento di Hamas al capo del Cremlino… Se aggiungiamo… il sostegno di Mosca a Hamas al Consiglio di sicurezza dell’Onu… non è difficile arrivare alla conclusione che il Cremlino ha compiuto una netta scelta di campo… Ucraina e Israele sono due democrazie alle prese con il tentativo del Cremlino di ridisegnare con la forza, ed a solo suo vantaggio, l’architettura di sicurezza globale” (Maurizio Molinari, Repubblica, 5.11). “La Russia dietro Hamas? È una completa assurdità. Non pensiamo che la Russia sia coinvolta in alcun modo. Quindi si tratta di pure teorie cospirazioniste” (Alexander Ben Zvi, ambasciatore israeliano a Mosca, 11.10). Come riuscire a farsi smentire dal padrone prima ancora di parlare.
Due nomi, due garanzie. “Inutili gli allarmi sul rischio golpe. La nostra Carta va modernizzata” (Luca Palamara, Giornale, 4.11). “La riforma va nella direzione giusta” (Sabino Cassese, Stampa, 5.11). Se avevamo qualche tentennamento sulla riforma Meloni, è tutto passato.
Toh, la complessità. “Senza affrontare la complessità, non è possibile capire come la guerra di religione e di terrore promossa da Hamas riguardi l’esistenza stessa d’Israele e dell’Occidente” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 5.11). Orsini, è lei?
Obbligo di preavviso. “Arrestatele, anche se è illegale”, “Hanno arrestato la moglie e la suocera di Aboubakar Soumahoro. Con grande gioia dei razzisti italiani” (Piero Sansonetti, Unità, 31.10). E niente, anche ‘sto gip s’è dimenticato di chiedere il permesso a Sansonetti.
Il titolo della settimana/1. “Quando Travaglio diceva: ‘Sì, Israele deve difendersi’”,“Travaglio smascherato” (Libero, 4.11). Lo diceva quando il governo israeliano si difendeva da Hamas e non lo dice più quando ammazza 10mila civili (4mila bambini) in 28 giorni.
Il titolo della settimana/2. “Le piazze occidentali sostengono Hamas più di Hezbollah” (Foglio, 4.11). Uahahahahahah.
Il titolo della settimana/3. “Scherzo alla Meloni di due comici russi. Solo l’opposizione grida allo scandalo” (Giornale, 2.11). A parte la stampa mondiale.
Il titolo della settimana/4. “I cantieri fanno traslocare Spelacchio e l’albero si prende piazza del Popolo” (Repubblica-cronaca di Roma, 3-11). Mi sa che ha stata la Raggi.
Il titolo della settimana/5. “Matteo Renzi: ‘Pronti a votare il testo (la riforma costituzionale Meloni, ndr), se migliorato” (Corriere della sera, 5.11). In qualità di mascotte portafortuna.

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GALLI DELLA BOMBA

l'editoriale di Marco Travaglio

07 novembre 2023

Tutto ci saremmo aspettati da un atlantista di provata obbedienza come Ernesto Galli della Loggia, per giunta su un giornale benpensante come il Corriere, fuorché la giustificazione storica, politica, filosofica e morale del terrorismo di Hamas e di altre pie confraternite di kamikaze e tagliagole. Eppure leggete qua: “Oggi ben pochi si ricordano… del rapporto stretto tra le armi e la democrazia, tra la guerra e la nascita stessa dei regimi democratici”. Vuoi la democrazia? Inizia a sparare, e non a militari armati: devi “uccidere anche civili innocenti, donne, vecchi, bambini”, “uccidere per uccidere”. E da quel lago di sangue sboccerà, come per incanto, la democrazia. Sì, è vero, qualche pirla “pensa che la guerra costituisca intrinsecamente un male in sé”. Ma, come dice Hamas, “a volte evitare la perdita della libertà, sottrarsi a una vita in schiavitù, alla prospettiva di veder sterminati il proprio popolo e la propria cultura, è possibile solo affrontando il pericolo di morire e il rischio di uccidere”. Anche con attentati suicidi. “A volte non c’è che la guerra capace di evitare un male maggiore”. Quanno ce vo’, ce vo’. Con buona pace dei “facili moralismi”, degli “slogan gratificanti nei cortei”, delle “pandette dei tribunali”, che ancora vanno dietro a “quelli che attualmente almeno 3 o 4 trattati e convenzioni internazionali definiscono crimini di guerra”.

Per dire la pirlaggine dei “criteri odierni”: vorrebbero vietare gli “ordigni al fosforo, appositamente mirati a uccidere quante più persone possibile”. Ma si può? Fortuna che i criteri odierni non andavano ancora di moda 80 anni fa, sennò gli inglesi non avrebbero potuto “radere al suolo molte città tedesche” e sterminarne “in una sola notte un terzo dei propri abitanti”, “600 mila civili”: tipo Amburgo, dove “una sorta di vento di fuoco si riversò per le strade ad oltre 150 km all’ora, l’asfalto delle strade si liquefece, corpi orrendamente dilaniati si ridussero a un terzo della loro grandezza naturale” e “non pochi dei sopravvissuti caddero in uno stato di demenza”. E qualche pacifinto vorrebbe impedire simili delizie? “Una guerra inumana, certo”. Ma bando alle ciance: “È questa guerra che è all’origine della democrazia”, “quasi mai il male può essere sconfitto dal bene”. Basta sentirsi dalla parte del Bene e si può fare tutto: “il bene è costretto a servirsi dei mezzi più discutibili”. Che poi “discutibili” è un po’ troppo duro: “birichini”, ecco. Diamoci dentro a massacrare civili in nome del Bene. Lo dice anche Hamas.

P.s. Mentre il giornale va in stampa, mi avvisano che forse Galli della Loggia non voleva giustificare i mezzi discutibili di Hamas, ma quelli di Israele. Però allora urge una lista del Bene e del Male, di chi può e di chi non può. Sennò poi uno si confonde.

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MENTI MALATE

l'editoriale di Marco Travaglio

08 novembre 2023

La tragedia di Gaza ne contiene altre due e non si sa quale sia peggio: purtroppo Netanyahu non ha un piano; e purtroppo Biden ha un piano. Il premier israeliano fa bombardare la Striscia alla cieca perché non sa che altro fare (sradicare Hamas è una pia illusione, come dimostrano i sette attacchi di Israele a Gaza negli ultimi 15 anni), ma deve mostrare di fare qualcosa (una mattanza che moltiplicherà adepti e kamikaze di Hamas, anche in Cisgiordania) e soprattutto sa che, finita la guerra, finirà la sua carriera politica (quindi la guerra deve durare il più possibile). Il presidente Usa, con la protervia ignorante tipica dei neocon e dei democrat, pensa di risolvere la questione paracadutando su Gaza l’ottantottenne Abu Mazen, più malandato e screditato di lui, indebolito dagli stessi americani e israeliani, e dicendo ad Hamas: “Scànsati che arriviamo noi”. È la geniale soluzione adottata in Afghanistan e in Iraq: arrivano i nostri, piazzano un fantoccio che piace a loro a decine di migliaia di chilometri, si illudono che per ciò stesso piaccia alla popolazione, poi scoprono che quella non gradisce e reagisce maluccio (in Iraq i sunniti spodestati dagli sciiti hanno fondato l’Isis, in Afghanistan i talebani si son bevuti in mezza giornata il famoso “esercito regolare” costato un occhio alla coalizione occidentale).

Mentre Sleepy Joe invita l’amico Bibi a imparare dagli errori Usa nella “guerra al terrorismo” che lo moltiplica da vent’anni, è il primo a ricascarci. Altrimenti smetterebbe di giocare a Risiko col mondo e si porrebbe il problema numero uno, almeno per chi esporta democrazia in tutto il globo terracqueo: la volontà dei popoli. Se si votasse oggi a Gaza e in Cisgiordania, Hamas trionferebbe più che alle elezioni del 2006, le ultime. Certo, si può dire ai palestinesi che devono ciucciarsi Abu Mazen senza eleggerlo, sennò sbagliano di nuovo a votare. Ma così anche i meglio disposti capiscono che, per farsi sentire, non c’è che la lotta armata: e Abu Mazen dura quanto un gatto in tangenziale. L’idea che, dopo tutto l’odio e i massacri, i palestinesi accettino di buon grado una “leadership moderata” (quella che gli scegliamo noi) può uscire soltanto da una mente malata: infatti è venuta a Biden. Un leader di media intelligenza si attiverebbe per dare loro un buon motivo per non votare Hamas e scegliersi rappresentanti migliori. Cioè taglierebbe l’erba sotto i piedi di Hamas che campa di odio e miseria, eliminandone le cause. Come? Fermando la strage e varando un piano Marshall di ricostruzione e investimenti a Gaza e in Cisgiordania, per portare sviluppo, lavoro e infrastrutture. Affinché i palestinesi votino bene, devono stare bene. È l’unica soluzione ragionevole: infatti non ne parla nessuno.

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IL LEONE E LA CAROTA

l'editoriale di Marco Travaglio

09 novembre 2023

Gasparri col cognac e la carota diventa subito un classico della commedia all’italiana nel reparto caratteristi, senza offesa per Tina Pica e Tiberio Murgia. Gli manca soltanto lo scolapasta in testa. Purtroppo il noto “parlamentare e giornalista” non si esibisce al Bagaglino del Salone Margherita, ma alla commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai in veste di vicepresidente del Senato, per processare il direttore di Report Sigfrido Ranucci, reo di aver fatto la bua ai suoi vecchi camerati La Russa e Urso, al suo vecchio benefattore Silvio, al suo nuovo fiancheggiatore Matteo R. e ad altre preclare figure. Infatti, in sua difesa, accorrono subito tal Filini dell’ufficio Sinistri di FdI e la sua nuova fan Maria Elena Boschi. Quando si tratta del Marty Feldman della politica, lo spettacolo è sempre divertente e al contempo penoso. La Vigilanza, per legge, non può sindacare sui contenuti giornalistici della Rai, quindi l’audizione di Ranucci è del tutto fuorilegge. La commissione, ove mai avesse un senso, dovrebbe valutare il rispetto del contratto di servizio, cioè il buon andamento dell’azienda, devastata dai vertici nominati dai compari di Gasparri e dai loro predecessori con la fuga di quasi tutti i campioni di ascolti, rimpiazzati da un branco di pippe lesse. Invece viene lapidato l’artefice di uno dei pochissimi programmi di successo: l’unico di informazione rimasto.

Non sapendo a cosa attaccarsi (carota a parte) per attaccare Ranucci, l’aspirante cabarettista piagnucola perché “un sito della Rai” (così chiama l’account Twitter di Report) non ha cancellato un commento “terroristico” contro di lui (che può essere rimosso solo da chi l’ha postato), ergo “la Rai ha pubblicato il commento” e lui ora la denuncia. Lui che da quando esistono i social li usa per insultare chiunque lo nomini. Cosa c’entri Ranucci in tutto ciò sfugge ai più. Ma a quel punto si passa a contestare le denunce subite dal giornalista: quelle sporte dai politici che poi lo chiamano in Vigilanza a giustificarsene. Ranucci spiega di averne 178 e di essere stato finora sempre assolto. Gasparri risponde di aver portato il cognac e la carota per dargli “coraggio” (di cui cognac e carota sono notoriamente due simboli). Lui del resto è un celebre cuor di leone. Se un giornalista lo critica, lui lo denuncia. Se lui insulta qualcuno, scappa a chiedere protezione a mammà. Cioè al Parlamento, che dichiara insindacabili tutti i suoi insulti con provvedimenti regolarmente annullati dalla Consulta. L’ultimo l’ha salvato dal processo per un tweet del 2015 sulle cooperanti Vanessa e Greta sequestrate in Siria: “Sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo”. Ma la Corte non s’è ancora pronunciata. Meglio conservare la carota.

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ATTACCO ALLA FAMIGLIA

l'editoriale di Marco Travaglio

10 novembre 2023

Per i parenti dei potenti, l’aria si fa ogni giorno più irrespirabile. Si sa che in un Paese meritocratico, peggio che calvinista, come l’Italia, chiunque porti un cognome famoso, anche per pura omonimia, rischia grosso. Dalla politica all’università, dalla cultura alla tv allo sport. Riteniamo dunque non solo giusto, ma sacrosanto, che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano abbia promosso Geronimo Stilton La Russa nel Cda del Piccolo Teatro di Milano per sottrarlo dalle prevedibili rappresaglie dei veri privilegiati d’Italia: i figli di nessuno. Il rampollo del presidente del Senato completa così (solo provvisoriamente, si spera) una collezione di poltrone che Barbacetto riepiloga a pag. 11 e che possiamo immaginare con quante lacrime e quanto sangue si è conquistato malgrado il cognome che porta. La grama esistenza dei figli di papà, ma anche di cognati, nipoti, mogli, fidanzate e amici dei Vip è nota a tutti e ogni indennizzo ai malcapitati è benvenuto. Si pensi soltanto all’ostracismo subìto nella Pa dai congiunti di Napolitano e Mattarella o dagli allievi di Cassese e al repentino dimenticatoio in cui la dipartita di B. ha relegato i pargoli Marina e Pier Silvio presso FI e il governo. Sfido io che Gravina, presidente di Federcalcio, ha prontamente assunto la figlia di Giorgetti e il figlio di Tajani: un gesto caritatevole per metterli al riparo dalla vita di stenti cui li avrebbe costretti l’infausta parentela.

È la stessa logica che ha issato il cognato d’Italia Lollobrigida al ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, la sorella d’Italia Arianna Meloni a capo della segreteria politica del partito (inspiegabilmente denominato “Fratelli d’Italia”), il cugino del ministro Fazzolari all’Iss, la fidanzata del viceministro Cirielli a capo della segreteria tecnica del ministro Schillaci (“ma solo in base al suo curriculum”, garantisce il fidanzato), la figlia della colf di Sgarbi nello staff del sottosegretario, che in precedenza aveva promosso il suo ex autista rimasto senza patente assessore all’Antimafia nel comune di Salemi: il furore parentofobico tipico dell’Italia li avrebbe fatti a pezzi. E non perché siano legati a uomini di governo. Nunzia De Girolamo, ex ministra forzista del governo Letta e moglie del capogruppo Pd Boccia, è stata risarcita per il doppio handicap con un bellissimo programma su Rai3, Avanti popolo. Ma il popolo si sta accanendo contro di lei boicottando proditoriamente il programma a colpi di telecomando solo per farle pagare la sua incolpevole parentela. Era già capitato al povero Cetto La Qualunque: “Vogliono negare a mia figlia il posto di primario di chirurgia con la scusa che non è laureata. Ma a che c***o serve la laurea!? Mia figlia ha due mani da fata: può operare”.

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IL VESPIERATO

l'editoriale di Marco Travaglio

12 novembre 2023

Siamo in ansia per Bruno Vespa, il noto “artista” (come da contratto) che stipendiamo poco e male (un milioncino e mezzo l’anno non di più) per tenerci sempre informati su Rai1 non solo tre sere a settimana con Porta a Porta, ma da quest’anno anche quotidianamente con Cinque minuti. Per riparare all’ostracismo da video che lo perseguita da quando è nato per ordine di tutti i governi, l’insetto reietto regala anche degli editoriali sui social della Rai. E l’altroieri ne ha dedicato uno a un’altra vittima della censura: Giorgia Meloni che, oscurata com’è da Rai e Mediaset, non riesce a farci sapere quanto bella, buona e giusta sia la sua riforma del premierato. Fortuna che ha provveduto lui, col trasporto e la competenza che gli sono propri. Mani giunte e sguardo rapito, come si conviene per le cose sacre, Vespa ha premesso che “gli italiani sono presidenzialistida sempre” (da quando erano quasi tutti monarchici e poi pure fascisti): deve averlo saputo dal suo sondaggista preferito, il Divino Otelma. Poi una breve ma ficcante lezione di diritto costituzionale comparato: “Ora una riforma light… light… light… quasi che il sapore non si sente”. Una tale delizia che non si capisce perchè l’opposizione si opponga, persino qualche esponente della maggioranza la trovi una schifezza e qualche italiano, Dio non voglia, mediti di votare No al referendum.

E qui il giureconsulto aquilano sfodera l’arma fine di mondo: “I primi ministri di Inghilterra, non parliamo poi di Macron che è una Madonna… di Spagna e Germania contano infinitamente di più dei loro presidenti della Repubblica. Uno non sa neanche come si chiamano. Non ho capito tutto ‘sto pericolo dove sta”. In effetti è dura ricordare i nomi dei presidenti della Repubblica inglese e spagnolo, ma anche olandese e belga, perché Inghilterra e Spagna, ma anche Olanda, Belgio, Danimarca e Lussemburgo sono monarchie. Quindi è decisamente più facile ricordare i nomi dei sovrani che, casomai sfuggissero al nostro Pico della Mirandola, sono Carlo III, Filippo IV, Guglielmo Alessandro, Filippo, Margherita II ed Enrico. Però, per venirgli incontro, possiamo immaginare che i sei regni europei abbiano anche dei presidenti della Repubblica: che so, l’inglese Ugo, lo spagnolo Gino, l’olandese Ciccio, il belga Gennaro, la danese Marisa e il lussemburghese Peppino. Ora non vorremmo che i dioscuri Gasparri&Boschi convocassero Vespa in Vigilanza come Ranucci e gli intentassero un processo staliniano per uso criminoso della televisione pubblica pagata con i soldi di tutti, magari brandendo una carota e un cognacchino. Ma confidiamo che non lo faranno: quelli convocano solo chi dice la verità, quindi Vespa è in una botte di ferro.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

13 novembre 2023

Tutto vero. “Ecco tutto quello che fa Israele per evitare vittime civili e per aiutare la popolazione di Gaza” (Giulio Meotti, Foglio, 7.11). Allora mi sa che dovrebbe aiutarla un po’ meno.

Merito.“La Russa jr al Piccolo. Pd-5S: ‘Poltronopoli’. Lui: ‘No, me lo merito’” (Repubblica, 9.11). È il Piccolo che non se lo merita.

Il partigiano Gnazio. “La nomina di Geronimo La Russa al Piccolo: ‘Mio padre era contrario’” (Open, 10.11). Poi, dopo strenua resistenza, ha vinto il curriculum.

Al-Schlein. “La piazza del Pd dell’11 novembre accoglierà bandiere pro Hamas?” (Radio Capital, intervista a Elly Schlein, 7.11). Ma ovvio. E pure le cinture esplosive.

L’arma segreta. “Elly, lascia il Pd per farlo vivere. Il tempo è scaduto: il Pd non è tuo. Ridaccelo, serve all’Italia” (Piero Sansonetti, Unità, 7.11). Prossimo segretario: Sansonetti, con Romeo alla cassa.

Incassese. “L’accordo di Meloni con l’Albania è utile e legittimo’” (Sabino Cassese, Foglio, 9.11). Dài che ci scappa un’altra poltroncina.

Grasso è bello.“Torino, killer torna in libertà perché obeso. Uccise con 57 coltellate la fidanzata dopo un litigio in vacanza: condannato a 30 è stato scarcerato dopo 6. ‘In cella mangia troppo e male’” (Verità, 11.11). “‘È obeso e fuma tanto’. E il killer esce dal carcere” (Giornale, 11.11). E poi dicono che mangiare e fumare fa male.

Record. “In 12 mesi record di occupati” (Giorgia Meloni, 10.11). Nelle famiglie dei ministri.

Scontato. “Formigoni ha scontato la pena: ‘Pronto a correre se ci sarà spazio. La mia casa è il centrodestra’” (Corriere della sera, 12.11). Dopo 5 anni e 10 mesi fra carcere (poco) e servizi sociali per corruzione, non noterà neppure la differenza.

Incontri. “In tanti mi chiedono di rientrare, amici con cariche istituzionali, dirigenti di partiti e gente che incontro per strada” (Formigoni, ibidem). Quindi continua a frequentare brutta gente.

Democrazia diffusa. “Israele ha eliminato già 60 comandanti di Hamas” (Libero, 12.11). Ma esattamente quanti capi ha Hamas?

Ti piace il presepe? “Ursula von der Leyen… tratta insieme a noi per arrivare a un accordo con Putin… Bruxelles non può dirlo, ma lo sussurra dietro le porte a ogni singolo incontro, i costi del conflitto, umani ed economici, sono da tempo insostenibili. È arrivato, per Zelensky, il momento di rinunciare a qualcosa per guadagnare un nuovo status nel presepe continentale” (Andrea Malaguti, Stampa, 1211). Orsini, è lei?

L’autovoto. “Il Campidoglio si dà i voti e si promuove: ‘Per trasporti e rifiuti siamo da 8’” (Repubblica, cronaca di Roma, 11.11). Oste, è buono il vino?

Il vice-Papa/1. “Aldo Maria Valli: ‘Il Papa vuole disarticolare la Chiesa. Bergoglio ha in testa una nuova religione, ecologista-mondialista. Il Sinodo? Una truffa per far passare certe idee come le benedizioni ai gay. Sulle guerre, nessuno lo ascolta. Serve una controrivoluzione per rimettere Dio al centro’” (Verità, 11.11). Prossimamente su questi schermi: papa Aldo Maria I.

Il vice-Papa/2. “Il Papa si fa strumentalizzare dall’Iran” (Foglio, 7.11). “L’antisemitismo e il Papa ambiguo” (Lucetta Scaraffia, Stampa, 7.11). Che sia diventato sciita?

Il solito tram-tram. “Tram in via Nazionale: ‘Sprecati i soldi del Pnrr’”, “Camion sulla linea elettrica e il tram 2 si blocca ancora”, “Tram a via Nazionale: ‘Meglio i bus elettrici’”, “Il tram Termini-Vaticano: ‘Allarme per la Basilica’” (Messaggero, 7, 8, 10, 11.11). Sicuri che il Messaggero non abbia qualcosa a che fare con Caltagirone e che Caltagirone non abbia qualcosa a che vedere con la metro di Roma?

Due gocce d’acqua. “Nancy Pelosi: ‘Biden come Kennedy’” (Corriere della sera, 6.11). Dopo Dallas, però.

Il titolo della settimana/1. “C’era una volta Cavour” (libro di Giuliano Amato, ed. Mulino, 2023). Poi arrivò Amato.

Il titolo della settimana/2. “Perchè il premierato di Meloni può essere un antidoto al populismo” (Giovanni Orsina, Stampa, 12.11). Ma va’ a ciapà i ratt.

Il titolo della settimana/3. “Dal grafene a Putin l’universo complottista ‘tradito’ da Meloni. La pandemia e il 5G, Bill Gates e Soros, la guerra e i morti vip. Nel mondo parallelo tutto si tiene” (Stefano Cappellini, Repubblica, 6.11). Vedi sopra.

Il titolo della settimana/4. “Elly va in piazza con Conte e verdi, ma sa solo dire no al governo” (Giornale, 12.11). Strano: sta all’opposizione e dice no al governo. Dove andremo a finire.

Il titolo della settimana/5. “Francia. Il sospetto di una ‘pista russa’ nell’indagine sugli atti antisemiti. L’inchiesta nasce dall’arresto di due moldavi” (Repubblica, 7.11). “Influenze russe. Il mandante delle stelle di David sui muri di Parigi è un moldavo vicino a Mosca” (Foglio, 11.11). Ha stato Putin.

Il titolo della settimana/6.
“Una riforma-obbrobio” (Domani, 7.11). Propio uno sgorbrio.

Il titolo della settimana/7. “Alex Bornyyakov, ministro ucraino dell’Innovazione: ‘Così la guerra ha spinto l’Ucraina a diventare digitale’” (Sole-24 ore, 11.11). Pensa un po’ che c**o.

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ERRATA CORRIGE

l'editoriale di Marco Travaglio

14 novembre 2023

Da qualche giorno discuto con diversi lettori che pretendono la mia abiura sul fatto che nel 2005 Israele ritirò esercito e coloni da Gaza, da allora non più occupata ma duramente presidiata ai confini e dal 2006 governata da Hamas. Purtroppo non posso accontentarli: il Fatto esiste per raccontare i fatti. Tutti. Infatti dal 7 ottobre racconta il pogrom di Hamas e i crimini di guerra israeliani a Gaza. Fissati a terra i fatti, c’è totale libertà di opinioni. Nessuno scandalo se 4 mila docenti universitari chiedono al governo italiano “l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane”. Pensavamo che le università fossero zona franca e sacra e non ricordiamo appelli per rompere con quelle di Iran, Siria, Arabia, Qatar e altre culle di democrazia, ma ognuno è libero di pensarla come vuole. Purché rispetti i fatti. Invece i prof invitano a “considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza” (il massacro di Hamas del 7 ottobre, ndr), da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica”. E qui ci dev’essere almeno un refuso: nel 1948 Israele nacque in base alla risoluzione Onu 181 che spartiva l’ex Mandato britannico in uno Stato ebraico e uno palestinese.

Il primo nacque nei confini Onu senza occupare un millimetro in più. Il secondo no: i governi arabi e la leadership palestinese violarono la risoluzione Onu e mossero guerra a Israele per ricacciarne a mare gli ebrei. La persero e Israele dilagò in Galilea Est, Gerusalemme Ovest e una fetta di deserto del Negev. Ma nel ’49 si ritirò da Gaza, occupata dall’Egitto, e dalla Cisgiordania, annessa dalla Giordania. Quindi a occupare i territori palestinesi furono Egitto e Giordania fino al 1967, quando li persero nella Guerra dei Sei Giorni insieme ad altri, fra cui il Sinai. Israele nel 1978 lo restituì all’unico Stato arabo che firmò la pace, l’Egitto. Che però non rivolle Gaza, occupata fino al 2005. Nel 1993, quando anche Olp e Giordania firmarono la pace, partì il percorso di Oslo sulla Cisgiordania, stroncato dall’assassinio di Rabin, dai no di Arafat a Barak e di Abu Mazen a Olmert, dall’ictus di Sharon e dagli opposti estremismi di Hamas e Netanyahu. Possibile che fra i 4 mila prof non ce ne sia uno di Storia che corregga “oltre 75 anni” in 38 per Gaza e 56 per la Cisgiordania? Ma ne basterebbe uno di Logica: se Gaza è occupata da sempre, perché Onu, Usa e Ue chiedono a Netanyahu di “non rioccuparla”? E se la risoluzione Onu 181 che legittima Israele non vale, come si può intimare a uno Stato abusivo di rispettare le altre risoluzioni Onu? O il diritto internazionale funziona a targhe alterne?

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HORROR GRILLO SHOW

l'editoriale di Marco Travaglio

15 novembre 2023

Orrore, scandalo, indignazione: Fazio ha invitato Grillo a parlare e Grillo ha parlato, ma è un comico al tramonto che non fa più ridere, ha bestemmiato santa Giulia Bongiorno, ha detto di aver fallito e peggiorato l’Italia, ma “Fazio non gli ha chiesto le scuse” (Messina), “un’ora di comizio di autoassoluzione, di banalità spacciata come show, un goffo tentativo di ridare cittadinanza mediale a un signore che con gli sberleffi, la furia giustizialista, l’imbroglio politico mascherato da millenarismo pop ha recato al Paese danni enormi: un favore al governo” (Grasso), “la tragedia di un uomo ridicolo” (Giannini), “la tragedia di un uomo dimenticato” (Ellekappa), “un Berlusconi che non ce l’ha fatta” (Bottura, cioè un Grillo che non ce l’ha fatta), “ ” (Casaleggio jr.), “Beppe Grillo chi?” (Foglio), “trasforma il dolore della mia assistita e prova a mettere pressione al Tribunale” (Bongiorno, gelosa di chi vuole rubarle il mestiere), “non l’ho visto ma è stato molto sgradevole” (Saraceno), “mi stupisco che Fazio inviti un simile personaggio” (Elsa Fornero).

Noi naturalmente partecipiamo all’orrore, allo scandalo e all’indignazione delle meglio firme del bigoncio: in un Paese dove le tv si sono contese per anni Previti, Dell’Utri, Contrada, Riina jr., Scattone e Ferraro, fanno campagne per Rosa e Olindo, ospitano stabilmente Mancini, Mori, Fabrizio Corona e non hanno ancora finito di leccare la bara di B., quel Grillo stona un bel po’. Il fatto poi che non faccia ridere i migliori esperti di tv non deve stupire: sono così esperti di tv e disabituati alla satira, all’ironia e al paradosso, che non capiscono le battute. Infatti, dopo aver detto che era tutto un delirio, ne hanno prese molto sul serio due: quella su se stesso che ha fallito e rovinato l’Italia e quella su Conte che non si capiva quando parlava e poi è migliorato. “Hai visto, l’ha detto anche lui, quindi è vero”. Grillo è talmente fallito come mattatore che ha regalato al Nove il record di ascolti e ne parlano tutti. E il suo progetto politico è talmente fallito che i 5Stelle, creati nel 2009 senza un soldo e con tutti contro, sono da 14 anni sul podio dei primi tre partiti, hanno vinto due elezioni e guidato due governi, poi Draghi (sciaguratamente cofondato da Grillo) e Meloni hanno passato il loro tempo a demolire ciò che avevano fatto di buono i governi Conte in tre anni (molto più della destra e della sinistra in 20): Rdc, dl Dignità, Spazzacorrotti, blocca- prescrizione, Superbonus, Pnrr (col salario minimo), taglio dei vitalizi, cashback, piano green, via della Seta, politica estera multipolare ecc.. E tuttora l’agenda politica è monopolizzata al 90% dalle idee dei 5Stelle: o per cancellarle o per rubarle. Un fallimento da crepare d’invidia.

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BONANOTTE

l'editoriale di Marco Travaglio

16 novembre 2023

Beccata col sorcio in bocca per il conflitto d’interessi di senatrice-presidente della commissione Giustizia e avvocato (anche in un processo al figlio del fondatore di un partito di opposizione), la sen. avv. Giulia Bongiorno risponde piccata sul Corriere con l’arma che più le è propria: la superc***ola multipla.

1) “È stata proprio l’esperienza maturata nei processi con donne vittime di violenza a permettermi di dare un contributo decisivo alla scrittura di leggi in favore delle donne… quella sullo stalking e il Codice rosso… Avrei saputo scriverle se non avessi maturato questa esperienza sul campo?”. Ah saperlo, ma qui nessuno ha detto che non doveva fare l’avvocato prima di entrare in Parlamento: il conflitto d’interessi (fra il suo potere politico e il diritto di tutti i cittadini a essere giudicati da giudici non condizionati dal potere politico) nasce dal fatto che continua a fare l’avvocato, cioè a rappresentare parti private, mentre legifera come rappresentante della Nazione. Anche i magistrati che entrano in Parlamento si giovano della pregressa esperienza sul campo: ma devono deporre la toga. Si suppone poi che le violenze sulle donne e gli stalking che la Bongiorno ha seguito in tribunale prima di entrare in Parlamento siano simili a quelli che continua a seguire fra le aule giudiziarie e quelle parlamentari. Quindi può serenamente chiudere lo studio legale, come ha fatto Conte anche da leader M5S non parlamentare, senza perdere memoria di cosa sia una violenza o uno stalking.

2) “La mia notorietà non dipende dalla carica parlamentare; piuttosto le mie competenze sono al servizio della collettività. Ho iniziato a lavorare a 28 anni nel processo Andreotti”. Lì, per la verità, diede prova delle sue incompetenze, quando al verdetto d’appello (prescrizione per il “reato commesso fino alla primavera 1980”) sbraitò: “Assolto! Assolto! Assolto”. Il suo capo Franco Coppi, conoscendo la differenza fra assoluzione e prescrizione, non l’avrebbe mai fatto.

3) “Se si estremizzasse il concetto di conflitto d’interessi, si arriverebbe all’assurda e illiberale conseguenza di dover ammettere solo parlamentari di professione, perché chiunque svolga un’attività o una professione è un potenziale portatore di interessi della sua categoria”. A parte il fatto che la divisione dei poteri è l’essenza del liberalismo, non dell’illiberalismo, nessuno vuole vietare il Parlamento a chi ha un lavoro: ma di continuare a farlo durante il mandato. Perché un professore che entra in Parlamento deve mettersi in aspettativa e un avvocato – professione molto più “sensibile” dell’insegnamento – no? Bere alcolici è lecito e guidare l’auto pure: è vietato fare le due cose contemporaneamente. Lo capisce o serve un disegnino?

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