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GOMBLODDO!
l'editoriale di Marco Travaglio
15 settembre 2023
Una volta, fra scie chimiche, chip sottopelle e falsi sbarchi sulla Luna, i complottisti erano i baluba a 5Stelle. Poi il complottismo ha infettato chi lo denunciava in casa d’altri (come le fake news). Tipo il Corriere, che sbatté in prima le foto segnaletiche di 12 “putiniani d’Italia” segnalati dai Servizi, poi si scoprì che se li era inventati il Corriere. O tipo Repubblica, che quest’estate ha sgominato una Spectre ancor più tentacolare e perniciosa: quella dei pescatori (“Commercianti, balneari e pescatori: la destra nelle mani delle lobby”). Siccome un complotto tira l’altro, ha spopolato quello sui “dossieraggi” della “nuova P2” che avrebbe svelato a un giornale la notizia più pubblica del mondo: i suoi compensi di consulente per Leonardo. Poi è emerso che la temibile loggia era composta da un solo finanziere della Dna che vagliava le segnalazioni antiriciclaggio sui suoi soci in un b&b. Grande eco anche alle vili minacce a Roberto Calderoli, ministro notoriamente scomodo in certi ambientacci per la sua riforma dell’Autonomia: “Se non la smetti col genocidio del Sud, ti uccideremo con la nostra potenza di fuoco. Siamo la mafia”. Che poi è la tipica firma usata dall’ufficio marketing di Cosa Nostra. Molto clamore per la denuncia di Marco Cappato, in mirabile sincronia con la sua autocandidatura a Monza: “Chiedo a Meloni se sia vera l’informazione, giuntami anonimamente, che sarei intercettato da mesi dai servizi segreti” (che, com’è noto, adorano morire di noia). Palazzo Chigi ha risposto “No”. E morta lì.
Con i complotti della brigata Wagner in tutto l’orbe terracqueo si può riempire una Treccani. Ma la scomparsa di Prigozhin, già “macellaio di Putin”, promosso a “chef” dal fan club atlantista dopo la retromarcia su Mosca, ha levato letteralmente il pane di bocca ai complottisti de noantri. Il norcino stellato ha comunque fatto in tempo a patrocinare il golpe in Niger, la nuova crisi in Kosovo e il boom di sbarchi dal Nordafrica (i barconi li varava personalmente lui sul bagnasciuga), prima di venire prematuramente a mancare. Poi il suo jet è precipitato in Russia e i complottisti nello sconforto, non sapendo più a chi dare la colpa di tutto. Il golpe in Gabon, per dire, con la cacciata dell’amico Ali Bongo, è ancora in cerca d’autore. Fortuna che ci è rimasto Putin, a cui Rep è riuscita ad affibbiare con una sola intervista a Cicchitto ben due farse: la caduta di Draghi e il libro di Vannacci. Poi tutti a stupirsi se Meloni e Salvini, con giornalucci al seguito, gridano al complotto persino per il loro strepitoso fiasco sui migranti. Il Giorgiale di Sallusti ci vede financo “la regìa del Pd”, come se i dem fossero in grado di dirigere qualcosa, non riuscendoci neppure con se stessi. Più probabile che il regista sia Prigozhin, da morto.
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TRUFFE DA SBARCO
l'editoriale di Marco Travaglio
16 settembre 2023
Se il guaio della Schlein è che non la capisce nessuno, quello di Meloni e Salvini è che li capiscono tutti. I loro annunci, promesse e slogan sono così semplici ed efficaci da risultare non solo facili da comprendere, ma anche difficili da dimenticare. E per loro è un bel casino, trattandosi di cazzate irrealizzabili, tantopiù quelle su un problema insolubile come quello dei migranti. Che al massimo si possono ridurre con un lungo, paziente e costoso lavoro di diplomazia e intelligence coi Paesi di provenienza, offrendo soldi in cambio di rimpatri e freni alle partenze (con la delicatezza tipica di quei regimi). Ma non fermare, almeno finché l’Occidente seguiterà a rapinarli e a usare quei Paesi come riserve di caccia per le proprie guerre per procura. Il blocco navale è facile da capire: peccato che non esista al mondo una flotta in grado di coprire l’intera costa nordafricana e, se mai esistesse, il suo arrivo in acque altrui sarebbe un atto di guerra. Infatti, finita la campagna elettorale, la Meloni ha smesso di parlarne. Ne parla ancora Salvini, che in campagna elettorale ci vive 365 giorni l’anno: continuerà a parlarne senza fare una mazza, che poi è la sua professione (ieri postava sui social un gattino morto). La Meloni aveva promesso di “inseguire gli scafisti in tutto il globo terracqueo”: siamo ansiosi di sapere quando parte, e per dove. Voleva anche spiegare ai partenti “i rischi che corrono”: potrebbe affiggere dei manifesti alla Garbatella. Intanto ha alzato a 30 anni la pena per gli scafisti e varato l’“omicidio nautico”, così imparano, tiè: purtroppo non se ne sono accorti e il nuovo reato si candida a produrre qualche processo in meno dell’oltraggio al Re. Il comandante della Guardia Costiera, Nicola Carlone, aveva anche proposto “pene più severe per chi si mette al timone dopo aver bevuto troppo”: si sa che i naufragi li provocano gli scafisti ubriachi (allo studio anche la prova del palloncino in mare aperto).
E così, fra decreti Sicurezza/Cutro/Flussi, commissari straordinari, guerre e paci con l’Ue, la Francia e le Ong, sostituzioni etniche, complotti dalla Wagner, della Cina, di Macron, di Scholz e del Pd (come no), stragi in mare e karaoke sulla Canzone di Marinella, “svolta”, “cambio di passo”, “giro di vite”, “piano Mattei”, “piano rimpatri”, “porti chiusi”, “pugno di ferro”, “tavoli”, “cabine di regia”, “patti”, “assi” con i Paesi europei, africani e del globo terracqueo visti solo da giornali e tg, su su fino al mirabolante “memorandum con la Tunisia” dell’affidabilissimo Saied per “difendere i confini” dall’“invasione”, il governo anti-sbarchi ci ha regalato 120 mila sbarcati in nove mesi: più del doppio di quando governavano i pro-sbarchi. Se non fossero così impegnati, verrebbe da chiamare gli infermieri.
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MI SCAPPA IL GOLPE
l'editoriale di Marco Travaglio
17 settembre 2023
Sono tornati. Quelli del Partito dei Padroni fanno sempre così: per qualche mese si rassegnano a quei noiosi fastidi chiamati democrazia, elezioni, popolo sovrano, Costituzione. Poi è più forte di loro: gli scappa il golpe bianco. Non lo fanno apposta: ce l’hanno nel Dna. Non sopportano che governi chi è stato eletto da milioni di persone, a meno che non lasci comandare loro, che sono una dozzina (i voti non li contano: li pesano). Per un po’ lusingano e minacciano ogni nuovo premier o nuovo leader con i loro giornaloni, per vedere se obbedisce. Poi basta che quello prenda una posizione autonoma, senza chieder loro il permesso, e partono all’assalto per buttarlo giù. A Renzi non accadde perché da rottamatore si tramutò subito in restauratore, infatti fu il popolo a cacciarlo. Accadde a Salvini, ma solo per i primi sei mesi di governo gialloverde, quando votò Rdc, dl Dignità e Spazzacorrotti: poi sposò Tav, Benetton, prescrizione, precariato e divenne il loro idolo. Accade da cinque anni a Conte, che non obbedisce su nulla, infatti ha subìto una dozzina di Conticidi tentati e uno riuscito. Ora tocca a Meloni e Schlein, incensate per mesi perché non cambiavano nulla (a parte le proprie idee) e ora lapidate: la premier perché si permette un micro-prelievo alle banche e non si genuflette al Mes; la segretaria Pd perché stringe l’alleanza coi 5S e riscopre un po’ della sua vocazione antimilitarista.
È il destino di chiunque tenti la benché minima deviazione dall’ortodossia dei padroni italiani, europei e americani. Che hanno sempre pronto un governo tecnico guidato da loro per ribaltare il voto “sbagliato” del popolo bue (i veri fascisti danno sempre dei fascisti agli elettori). L’ultima reincarnazione del golpe si chiama “partito dell’Europa”: lo lancia su Rep Stefano Folli, la cantatrice calva (col riporto) dei padroni. Dice che la Meloni era partita bene, col presentat’arm a tutti gli establishment; poi ha bestemmiato i dogmi del Mes e di Gentiloni (parlandone da sveglio), s’è ricordata perché ha vinto le elezioni e ora “i centri in cui si decide la politica dell’Unione” (di solito logge o caveau) sono “insofferenti”. Anche con l’“opposizione Schlein-Conte”, che cresce nei sondaggi, ha azzeccato la campagna sul salario minimo, ma vuol dare i soldi ai poveri anziché ai ricchi, ai ladri e ai mercanti d’armi, quindi raus. Al posto della destra e del centrosinistra, il Folli invoca un appetitoso “partito dell’Europa… I nomi sono quelli di Gentiloni, Monti e per certi aspetti lo stesso Draghi, fautori dell’ortodossia europeista proiettata in avanti”. Gnamm. Bisogna “tenerne conto” anche se è “un partito senza voti elettorali” (sic). Il fatto che non abbia un voto sembra un handicap, invece è un vantaggio. Perché il popolo è populista.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
18 settembre2023
Slurp. “Se per il Centro spuntasse Draghi. SuperMario potrebbe richiamare personalità da tutti i partiti. L’idea è del più machiavellico dei politici italiani: Renzi” (Luigi Bisignani, Tempo, 10.9). “Il ritorno di Draghi”, “Incarico Ue per Draghi: ‘Grande mente europea’”, Ritorna SuperMario ‘riserva’ dell’Unione, ma volerà alto su contese e politica” (Repubblica, 14.9). “’Supermario ‘ prepara la missione” (Corriere della sera, 14.9). “Draghi, il ritorno” (Stampa, 14.9). “Draghi ‘arruolato’ dalla Ue e Meloni. Ecco le strategie dell’ex premier” (Domani, 14.9). “Il Mister Wolf dell’Unione. Risolvo problemi: l’Europa richiama Draghi in servizio” (Libero, 14.9). “Von der Leyen chiama Draghi. E apre la Fase-2 del Green Deal” (Messaggero, 14.9). “Competizione draghiana. Pillole di draghismo con vista sull’Europa” (Foglio, 14.9). Alla lingua non si comanda.
Ultimo grido. “I giudici insorgono. ‘Le grida manzoniane non fermeranno la violenza minorile’” (Repubblica, 7.9). Quelle manzoniane erano le “gride”, a meno che Manzoni non si mettesse a urlare.
Prima e dopo la cura. “L’Annunziata getta la maschera e si candida con il Pd” (Libero, 3.9). “Annunziata gela Elly: non mi candido” (Libero, 4.9). Come sparare una cazzata e dare la colpa alla Schlein.
Punta. “Così Renzi punta alla presidenza del Consiglio europeo” (Foglio, 6.9). O, in alternativa, a imperatore del Giappone.
Agenzia Stica**i. “Può sembrare strano che il giorno dopo essermi candidato a Milano per un ruolo politico nell’Europa di domani (non di ieri, ndr), io abbia preso un aereo e sia andato a Palermo per stare tre giorni con 500 ragazze e ragazzi a Terrasini” (Matteo Renzi, Riformista, 6.9). Da non dormirci la notte, guarda.
Ei fù. “Fù proprio quel melting pot culturale…” (Riformista, 26.8). Culturale con l’accento sulla u.
Orgoglio e vanto. “Io rappresento la continuità con Salvini” (Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, Corriere della sera, 16.9). Sono soddisfazioni.
Il patRiotta. “E’ quindi legittimo immaginare che perfino Brera, di certo quell’uomo magnifico che era Bearzot, assolto il dovere nazionale del tifo, in fondo al cuore avrebbero simpatizzato per i coraggiosi ucraini, magari, con un patto scaramantico, rivolto a tutti coloro che domani, a San Siro… terranno per i colori giallo-blu” (Gianni Riotta sulla partita di calcio Italia-Ucraina, Repubblica, 11.9). Ma va a ciapà i ratt.
Forza Prigozhin. “Attacco al confine con la Polonia: l’ombra di Wagner” (Giornale,11.9). “Jihad, Wagner, carestie: l’Africa è una polveriera” (Libero, 15.9). “Tajani: ‘La Wagner spinge i migranti’” (Giornale, 16.9). La Cavalcata delle Minchiate.
Vinciamo noi/1. “Kim da Putin, solo un teatrino: il corso della guerra non cambierà. La produzione di armi della Corea del Nord è troppo esigua perché possa diventare l’elemento di svolta. L’incontro dimostra che la Russia è disperata, la Cina è in crisi, mentre India e Usa vanno avanti” (Bill Emmott, Stampa, 15.9). E la controffensiva ucraina va una bomba. E Biden sta una favola.
Vinciamo noi/2. “Tanti piccoli attacchi e un grande obiettivo: isolare la Crimea. La controffensiva da lontano è il metodo meno sanguinoso per ottenere lo stesso risultato: liberare il Sud” (Foglio, 14.9). Ah, ecco perché non si vede una mazza: è la famosa controffensiva da lontano.
Vinciamo noi/3. “Podolyak, consigliere di Zelensky: ‘Trattare sulla Crimea? No, ma meglio il ritiro russo di battaglie su larga scala’” (Corriere della sera, 30.8). Con Putin ci parla lui.
Concorrenza sleale. “Giovanni Malagò: ‘La politica la smetta di ‘occupare’ lo sport” (Libero, 3.9). Ci pensa già lui.
Madeleine/1. “Campidoglio, Alfonsi: ‘Sul diserbo cambiamo tutto, la gara dei 5S è stata un flop’” (Repubblica, 6.9). Non è sindaca da due anni, ma è sempre colpa della Raggi.
Madeleine/2. “Xylella Fastidiosa: le ambiguità di Conte” (Riformista, 16.9). Ah, ecco chi è stato, mi pareva.
Che strano. “Il paradosso del colpo di stato in Niger: i militari formati dall’Occidente si ribellano” (Domani, 8.9). Oh bella: ma è proprio perché ci conoscono.
M’annoi. “In Rai, tranne Vespa, accade raramente di vedere qualcosa di non omologato, conduttori di grande personalità” (Maurizio Mannoni, Repubblica, 14.9). Tranne Vespa, come no.
Compro una C. “Ulivisti, repubblicani, conservatori, atlantisti, In Europa è l’ora della maggioranza ‘Urca’” (rag. Cladio Cerasa, Foglio, 25.8). Con i c*gli**i, diventa Urcca.
Il titolo della settimana/1. “Sono sempre Giorgia” (Libero, 12.9). Teme che la scambino per la sorella.
Il titolo della settimana/2. “Italiani d’Europa. Incarico ufficiale per l’ex premier Enrico Letta, dovrà studiare lo sviluppo del mercato unico. Von der Leyen si affida a lui e a Draghi” (Stampa, 16.9). Pensa che c**o.
Il titolo della settimana/3. “Tiziana Ferrario: se ti rubano il Rolex è colpa tua che sei ricco. ‘Non si gira con orologi da 500mila euro’” (Libero, 7.9). Giambruno, è lei?
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ANGOSCE DI GIORNATA
l'editoriale di Marco Travaglio
19 settembre 2023
Sono settimane che stiamo in pensiero per Ettore Rosato, il deputato italovivo che nel 2017 ci garantì un sereno trapasso dalla peggior legge elettorale del mondo (Porcellum) alla peggior legge elettorale del mondo (Rosatellum). Scrivono gli intenditori che ha deciso di mollare Renzi, “ma non sa dove andare”. È indeciso fra tre approdi, uno più appetitoso dell’altro: Azione, “ma non da Calenda (tendenza Bonetti)” (Corriere: qualunque cosa significhi), FI e Lega. Visto lo stato comatoso in cui versano sia il suo vecchio partito sia i tre possibili nuovi, viene in mente Guzzanti nei panni di Veltroni: “Io DiCaprio l’ho chiamato, ma ha rifiutato la candidatura perché ha detto: ‘Già ho fatto Titanic, non mi posso fossilizzare nella parte di quello che affonda’…”. Il fatto che FI e Lega siano al governo con la Meloni e Azione all’opposizione, non fa un baffo né a lui né a loro. È il bello dei partiti italiani, che a ogni voto s’interrogano sulla disaffezione e l’astensionismo e poi non rimandano mai indietro un voltagabbana, anzi se li strappano tutti di mano. Vaneggiano da 30 anni di “norme anti-ribaltoni”, quando basterebbe vietare l’accesso in casa propria ai transfughi altrui (come fanno i famigerati 5Stelle, che sono notoriamente baluba, somari, scappati di casa, ma appena escono dal M5S diventano tutti Einstein e destra, centro e sinistra sgomitano per imbarcarli).
L’altro cruccio che ci turba i sonni è il drammatico appannamento della Meloni dinanzi a qualunque difficoltà. Un tempo risolveva i problemi più complessi con frasi secche, efficaci e comprensibili a tutti. Ora sbarca a Lampedusa e, appena vede un mini-corteo di contestatori, scende dall’auto blu e se ne esce con la seguente frase: “Io ci metto la faccia”. Come il sarto de I promessi sposi, che nel suo quarto d’ora di celebrità quando il cardinal Borromeo entra in casa sua per salutare Lucia e ringraziarlo di averla ospitata, non riesce a dire altro che “Si figuri!”. E – scrive Manzoni – “non solo rimase avvilito sul momento; ma sempre poi quella rimembranza importuna gli guastava la compiacenza del grand’onore ricevuto. E quante volte, tornandoci sopra… gli venivano in mente, quasi per dispetto, parole che tutte sarebbero state meglio di quell’insulso si figuri!”. Un politico lucido si pentirebbe subito, come il sarto, di quell’insulso ci metto la faccia: ai lampedusani, traditi dagli sbarchi raddoppiati sotto il governo anti-sbarchi del blocco navale e dei porti chiusi, non può fregar di meno se lei va in giro con la sua sfaccia o con quella di un altro. Ma temiamo che non se ne renda conto: il ci metto la faccia è il mantra preferito dai nostri politici, anche se non vuol dire nulla (o forse proprio per questo). È la miglior alternativa che conoscono alla plastica facciale.
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IL GOVERNO DEL LUNEDÌ
l'editoriale di Marco Travaglio
20 settembre 2023
È inutile girarci attorno: noi nutriamo una segreta passionaccia per il ministro Piantedosi. Non solo per il cognome, che aveva suscitato speranze in tanti sia per le piante sia per le dosi, purtroppo stroncate dal decreto anti-rave. Ma soprattutto perché, appena apre bocca, tutti trattengono il fiato perché può uscirne qualsiasi cosa (caratteristica che divide con gli altri due capi dell’opposizione clandestina al governo: Lollobrigida e Giambruno). Il suo eloquio, per forma e contenuti, ricorda quello di un mattinale di questura compilato da un ubriaco: i migranti scampati ai naufragi sono “carichi residuali”, quelli che han perso un bambino in mare sono “genitori irresponsabili che fanno partire i figli in condizioni di viaggio pericolose” (rifiutando ostinatamente di imbarcarsi su yacht o navi da crociera), i cinque operai falciati dal treno notturno a Brandizzo hanno pagato “la suggestione dei social e la distrazione da video” e così via. Ma, essendo tutto affidato al caso come la lotteria di Capodanno, può pure capitare che da quella bocca esca qualcosa di sensato. È accaduto ieri, quando ha smentito complotti e regìe occulte (la Wagner, la Schlein, Soros, la Francia, la Germania, l’Ue, i rettiliani) dietro il boom di migranti sbarcati, con buona pace di Meloni e Salvini, e ha messo in dubbio che la Tunisia intenda rispettare il memorabile memorandum siglato da Saied con Giorgia e Ursula. Testuale sul complotto: “Salvini può dirlo da leader politico facendo anche delle supposizioni, io da ministro dell’Interno devo avere delle prove”. Ora – a parte il fatto che Salvini non è solo un leader: è anche un ministro e un vicepremier – l’idea che Piantedosi ha dei leader è rivelatrice: li considera dei cazzari che possono sparare qualunque panzana passi loro per la testa. E, visti i leader che frequenta, si può capirlo. Non resta che avvisare gli elettori che, casomai non l’avessero ancora capito, ne saranno entusiasti.
Nel 1999 l’Associazione Arbitri querelò Aldo Biscardi per il mitico moviolone del suo Processo del Lunedì. Il giudice gli diede ragione e archiviò il caso con la seguente, decisiva motivazione: “La credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta assai bassa, secondo l’opinione comune, trattandosi di notizie artatamente create o ‘gonfiate’ per suscitare la discussione e la polemica… Ne deriva che la credibilità dell’informazione offerta e la conseguente attitudine di questa ad essere, in ipotesi, idonea a ledere l’altrui reputazione sono oltremodo inconsistenti”. Ora il Processo del Lunedì è stato rimpiazzato dal Governo del Lunedì, la cui cialtroneria è così elevata da risultare penalmente irrilevante. Fuorché, forse, per un reato minore: l’abuso della credulità popolare.
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CENSURA "LIBERALE"
l'editoriale di Marco Travaglio
21 settembre 2023
Da quando, morte le ideologie, si dicono tutti “liberali”, non s’è mai vista tanta gente che passa il tempo a tappare la bocca al prossimo. Appena un tizio dice una cosa fuori dal coro, giusta o sbagliata che sia, un’orda di “liberali” si precipita a zittirlo, a invocare tribunali, authority, comitati, commissioni, sub-commissioni, task force anti-fake news, tavoli, sinedrii, a intimare che sia cacciato chi ha parlato e chi gli ha dato la parola, che chiunque passi di lì “prenda le distanze”, mentre il titolista unico estrae il prestampato multiuso: “È bufera”. Facci fa una battutaccia e gli cancellano il programmino Rai: “È bufera”. Saviano insulta premier e vicepremier e gli chiudono il programma Rai (già registrato e pagato): “È bufera”.
Le ultime bufere di questo rito stanco, noioso e autoritario sono due in un giorno solo. Gratteri dà un’intervista al Fatto per dire la sua sulle schiforme del governo? Apriti cielo. Facci, censore censurato, lo accusa di fare il “capo dell’opposizione”. E il Foglio, nota palestra del “liberalismo”, ordina al Csm di “vigilare attraverso la sua sezione disciplinare” sul procuratore che “parla contro provvedimenti del governo” (anziché a favore, come i giullari di corte e il Foglio). Intanto un programma mattutino di Radio1 condotto da Marcello Foa ospita i vaccinisti Zambon e Galli e lo psicoterapeuta antivaccinista Citro della Riva. Il quale ricorda gli effetti avversi (rari, ma troppo sottovalutati) e ripete le fregnacce sui vaccini studiati apposta per “fare del male”. Frase che il conduttore rintuzza blandamente. Riapriti cielo. Il circoletto dei politici renziani e de sinistra che credono di essere stati eletti per dettare i palinsesti invoca punizioni esemplari, seguito a ruota dai giornalisti-tutori dell’ordine costituito. Il meglio lo dà il direttore di Radio Rai Francesco Pionati, leghista di scuola demitiana: “Quelle dichiarazioni non corrispondono in alcun modo né al mio personale pensiero, né alla linea editoriale dei Gr e di Radio1”. Come se ci fosse una legge che impone di corrispondere al pensiero di Pionati (ove mai esistesse) e alla linea editoriale (quella del governo di turno). Come se il Citro – tuttora iscritto all’Ordine dei Medici, che l’aveva sospeso molto liberalmente perché non vaccinato – fosse l’unico spacciatore di bufale che entra in uno studio Rai (che, per espellerli tutti, dovrebbe sbarrare le porte al 90% dei politici e dei giornalisti). E come se i delirii dei Citro non avessero avuto ben altra audience sul web, senza impedire che si vaccinasse oltre il 90 per cento degli italiani (e sarebbero stati ancor di più se il trionfalismo Pro Vax e la censura anti-No Vax non avesse vittimizzato questi ultimi rendendoli affascinanti in certi ambienti). Se questi sono i liberali, ridateci i fascisti e i comunisti.
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TORNA A CASA, LETI!
L'editoriale di Marco Travaglio
22 settembre 2023
Avendo sempre posseduto parecchi cognomi e quattrini, dunque moltissimi giornalisti e pochissimi elettori, Letizia Moratti era riuscita a far credere di non essere “mai stata di centrodestra” e a spacciarsi per la candidata ideale del centrosinistra alle Regionali in Lombardia. Non appena i DeRege del Centro, Calenda e Renzi, se la accaparrarono, i giornali dei padroni fecero a gara nell’intimare al Pd di non lasciarsi sfuggire “Donna Letizia”, “The Iron Lady”, “Nostra Signora di Milano”, che era appena uscita dal centrodestra in cui non era mai entrata (era solo assessore e vicepresidente della giunta Fontana Lega-FI-FdI) perché Meloni non l’aveva fatta ministra. Tuonava contro “la destra estremista e sovranista di Meloni” (che fino a un mese prima era “molto seria, la apprezzo perché è pragmatica ed è donna”), “il centrodestra che ha tradito” e “non c’è più” perché ha espulso “l’area liberale e riformista”, “costruisce solo recinti”, “ci chiude nei muri”. Ergo non chiedeva, ma pretendeva “i voti del centrosinistra”.
Sul Corriere, Polito el Drito denunciò “le tante contraddizioni”: ma non dell’ex presidente Rai, ministra e sindaca berlusconian-muccioliana che nominò Dell’Utri direttore artistico del Lirico, devastò la Pubblica Istruzione, marciò con Borghezio contro rom e migranti, reclamò la galera per i tossici, calunniò Pisapia e tante altre belle cose; bensì “della sinistra che condanna Moratti come ‘voltagabbana’”, mentre “con la sua scelta ha molto da perdere”, insomma è “il contrario del trasformismo”. Sul Foglio, il rag. Cerasa lanciò “L’opzione Moratti per il Pd” e Salvati sentenziò: “Al Pd serve Moratti”. De Benedetti mobilitò i sottostanti Zanda (“Letizia può vincere, grande occasione, il Pd la sostenga”) e Domani (“Il Pd può usare Moratti per spaccare il centrodestra”, “Il caso Moratti mette già a rischio la maggioranza”). Ma i più arrapati erano quelli di Repubblica: Merlo spiegò che “non ci vuole Machiavelli per capire che la sinistra potrebbe trarre vantaggio dalla lacerazione della destra in Lombardia”; Cappellini si eccitò per l’“occasione così chiara” che “il Pd non può sciupare”, visto che “Moratti ha mollato la destra con motivazioni forti”; la Aspesi deplorò “i pregiudizi della sinistra” contro la compagna Letizia; e un sondaggio ad hoc accertò che “solo lei vincerebbe contro Fontana”. Lei non aveva dubbi: “Non considero l’idea di non vincere”. Infatti arrivò terza su tre, dietro Fontana e Majorino, col 9,8%. Ma la prese bene. “Mi sento a casa nel Terzo Polo”, “Punto alle Europee: con Renzi e Calenda per una rete di alleanze che andrà oltre il Terzo Polo”. Talmente oltre che ieri ha annunciato al Giornale: “Rientro al centro del centrodestra”. C’è sempre una prima volta.
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LO DIFENDEREMO NOI
l'editoriale di Marco Travaglio
23 settembre 2023
Ora che tutti gli articoli sull’Ucraina sembrano scritti da Orsini senza che nessuno gli chieda scusa o gli versi almeno la Siae (anzi, dicono pure che non ci azzecca mai, mentre lo copiano con 18 mesi di ritardo), dobbiamo prepararci a difendere Zelensky dal cinico tradimento dei presunti amici: le cosiddette democrazie occidentali, che l’hanno illuso di armarlo e finanziarlo in saecula saec**orum fino all’ineluttabile vittoria finale (contro la Russia e le sue 7 mila testate atomiche), hanno usato il suo popolo come carne da macello nell’ennesima guerra per procura e ora lo scaricano un po’ per volta, giorno dopo giorno, per non dare troppo nell’occhio. Di questo passo, al pover’uomo non resteremo che noi “putiniani”, come ci raffigurava la propaganda atlantista perché scrivevamo ciò che tutti sapevano e vedevano, ma nessuno diceva. Se le ultime sfilate internazionali del presidente ucraino sono state imbarazzanti, non è stata colpa sua (lui è sempre lo stesso), bensì degli “alleati” che l’hanno esposto a figuracce cosmiche.
I membri del G20 a Nuova Delhi gli hanno fatto fare la solita passerella, poi hanno censurato “l’uso della forza” in Ucraina senza neppure citare la Russia. All’Onu, mentre lui tuonava, la Polonia – il Paese più antirusso e più armato della Nato antirussa – annunciava lo stop alle forniture militari, un po’ per le elezioni imminenti (chi arma Kiev perde persino lì), un po’ per la guerra del grano. A Washington gli hanno lasciato chiedere di parlare al Congresso (ci era riuscito persino B.), per poi farlo liquidare dallo speaker della Camera Kevin McCarty con parole sprezzanti: “Non abbiamo tempo, dobbiamo discutere il bilancio”. Che non contempla le nuove armi per 24 miliardi promesse da Biden e bocciate dai Repubblicani fino al 2024 (quando, con la campagna elettorale, l’Ucraina passerà di moda, dopodiché potrebbe tornare Trump e chiudere definitivamente il rubinetto). Lo stesso Biden, peraltro, ha glissato sui tempi d’invio dei supermissili Atacms (per gli F-16, campa cavallo: bisogna prima addestrare i piloti). Tant’è che per la prima volta Zelensky ha pronunciato la parola “sconfitta”: “Se non ci armate ancora, perdiamo la guerra”. In realtà, com’era prevedibile dall’inizio e tantopiù col fallimento della controffensiva, Kiev la guerra la sta già perdendo: c’è persino chi teme una contro-controffensiva russa da Nord, dove Putin ha pronte nuove truppe al confine. Chissà se, con tutte le carte in tavola, qualcuno dei nostri scemi di guerra capirà ciò che è sempre stato lampante. Chi si batte per un cessate il fuoco e un compromesso territoriale lo fa per il bene dell’Ucraina, non della Russia: i veri putiniani sono gli atlantisti.
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IL PEGGIORISTA
l'editoriale di Marco Travaglio
24 settembre 2023
Ci vuole un gran talento a fare il parlamentare per 70 anni, il presidente della Repubblica per nove, il presidente della Camera per 5, il ministro dell’Interno per 2 senza mai azzeccarne una. Quindi Napolitano di talento ne aveva da vendere. Fascista fino alla Liberazione e poi comunista, nel 1956 esalta l’Armata Rossa che soffoca nel sangue la rivolta di Budapest, anzi libera l’Ungheria dal “caos” e dalla “controrivoluzione” e “salva la pace nel mondo”. Plaude al Pcus che esilia Solzenicyn. Partecipa all’espulsione dei dissidenti del manifesto, critici sull’invasione della Cecoslovacchia. Poi diventa il “comunista preferito” di Kissinger, ma anche della F*******t. Capo della destra Pci (i “miglioristi”, detti “piglioristi” per le loro arti prensili), fa la guerra a Berlinguer che osa porre la “questione morale” e chiamare Craxi col suo nome: “gangster”. Nel ‘92, quando i gangster finiscono sotto inchiesta, è presidente della Camera e legge in aula la lettera del socialista Moroni, suicidatosi perché coinvolto in Tangentopoli, fiancheggiando l’assalto degli impuniti a Mani Pulite.
Nel 2006, dopo un passaggio al Viminale sanza infamia e sanza lode, diventa presidente della Repubblica. E inizia a impicciarsi dappertutto in barba alla Costituzione. Come racconterà il ministro Padoa Schioppa, mette i bastoni fra le ruote al Prodi 2 in nome della prima missione della sua presidenza: le larghe intese con B. (il leader Pd Veltroni gli va dietro e si brucia subito). La seconda è l’attacco a tutti i magistrati che indagano sul potere: Woodcock, De Magistris, Robledo, Forleo e i pm di Palermo che hanno scoperto la trattativa Stato-mafia, trascinati alla Consulta perchè intercettando Mancino si sono imbattuti nella sua sacra Voce. Moniti, pressioni e sanzioni tramite il Csm, ringraziamenti ai procuratori che sterilizzano le indagini scomode (come Bruti Liberati sul caso Expo) e interventi a gamba tesa contro chi non lo farebbe mai (come quello che blocca il Csm perché non nomini Lo Forte a Palermo). Al terzo governo B. la dà sempre vinta, firmando tutte le leggi vergogna (tranne il decreto Englaro). E quando il Caimano ne fa una giusta opponendosi all’attacco Nato in Libia, lo costringe a intrupparsi. Lo salva pure dalla sfiducia dei finiani, rinviandola di due mesi e dandogli tempo di comprare i “responsabili”. Lo scaricherà solo quando lo farà l’establishment nazionale e internazionale. Intanto scava trincee contro i 5Stelle che minacciano l’Ancien Régime di cui è santo patrono e imbalsamatore. “Boom dei 5Stelle? Non vedo nessun boom”, esclama stizzito ai loro primi successi. Va bene ‘sta democrazia; ma, se il popolo non obbedisce, si abolisce il popolo.
Nel 2011 B. si arrende allo spread e agli scandali e lui, per scongiurare le elezioni, architetta il governo tecnico di Monti, che fa pagare la crisi ai più deboli. Crede di aver salvato l’establishment, invece nel 2013 il M5S balza da zero al 25,5%, alla pari col Pd di Bersani, che prima di Monti aveva la vittoria in tasca. Napolitano dà il meglio di sé: dopo aver giurato per mesi che mai si farà rieleggere, briga per il bis per sbarrare la strada a Rodotà, candidato di Grillo, Vendola e base dem (occupy Pd di Schlein) e a Prodi (impallinato dai franchi tiratori che, per sua maggior gloria, uccidono pure Bersani): due presidenti che rispetterebbero gli elettori benedicendo un governo di cambiamento M5S-Pd-Sel. Incontra B. per garantirsene l’appoggio, si fa rieleggere da Pd, FI e Centro e crea in laboratorio il governo Letta con i partiti che han perso le elezioni per tener fuori chi le ha vinte. Un altro golpe bianco, ma pure miope: all’opposizione ci sono M5S, Lega e FdI: i partiti che vinceranno le elezioni dal 2018 al 2022. Mentre i giudici di Palermo distruggono le sue intercettazioni, lui commissaria le Camere con un discorso della corona mai visto prima in una Repubblica parlamentare: la sua presidenza bis sarà a tempo (ma la Costituzione parla di 7 anni) e “a condizione” (che i partiti che l’han rieletto formino il governo e riformino la Costituzione che ha giurato di difendere per ben due volte).
Però il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi: dopo tre mesi B. viene condannato in Cassazione e deve lasciare il Parlamento per la Severino. Lui gli dà pubblicamente le istruzioni per ottenere una grazia incostituzionale, che gli promette in segreto se lascerà il Senato prima di venirne cacciato: tutto purché FI tenga in piedi Letta. Ma FI se ne va col suo leader pregiudicato: altri intrighi per far nascere il Ncd coi cinque ministri forzisti imbullonati alla poltrona. Letta comunque va a casa nel febbraio 2014, cacciato da Renzi che ha vinto le primarie Pd all’insegna della “rottamazione”. Napolitano cambia cavallo e provvede subito a formattare il Rignanese per la restaurazione. Dalla lista dei ministri, piena di impresentabili, depenna l’unico buono: Gratteri (non sia mai che faccia funzionare la Giustizia). E impone a Renzi la sua vera fissazione: la riforma costituzionale per verticalizzare vieppiù il potere, come chiedono i poteri finanziari italiani e internazionali. Renzi esegue e ci rimane stecchito, entrando di diritto nel Comitato Vittime di Napolitano insieme a Prodi, Veltroni, Letta, Bersani, Fini e Monti. Re Giorgio si dimette nel 2015, giusto in tempo per perdersi i boom dei 5Stelle alle Comunali del 2016 a Roma e Torino e alle Politiche del 2018. Con tutto quello che ha fatto per loro.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
25 settembre 2023
Mamma mia che impressione. “Il libro più venduto in Italia è quello del generale Roberto Vannacci, ‘ma a me fa impressione che siano sempre primi anche quelli di Marco Travaglio e Andrea Scanzi’: ci scherza su Pigi Battista…” (Liberoquotidiano.it, 20.9). Ok, d’ora in poi cercheremo di venderne qualcuno in meno per venirgli incontro.
Nunzia vobis. “Nel nuovo programma mi ispiro a Funari. Con Meloni da ragazze facevamo i comizi in pantaloncini. Berlusconi? È stato un padre” (Nunzia De Girolamo, Repubblica, 23.9). Più che altro, un Papi.
Pompe funebri. “Napolitano, addio al Presidente che amava l’Europa”, “Fu ‘costretto’ alla rielezione”, “Un liberale tra le file del Pci, colto e convinto europeista”, “Protagonista dei valori dell’Occidente”, “Noi collaboratori al lavoro con lui e mai ‘per’ lui”, “Napolitano, quelle lacrime di solitudine” (Repubblica, 23 e 24.9). “Un comunista ‘atarassico’. Capì per primo la fine di un’epoca”, “La religione laica dello Stato e quelle risate strappate a Obama”, “Preparato ed elegante in Brioni finì per conquistare Yale”, “Con Napolitano, ‘l’atarassico’ il giorno dell’elezione” (Corriere della sera, 23 e 24.9). “Grazie, Presidente”, “Con te finisce un’epoca”, “Un uomo nato per le istituzioni”, “Il grande italiano che difese la memoria”, “Il migliorista che innovò il Pci” (Stampa, 23.9). “Il garantista amante del dialogo” (Messaggero, 23.9), “Napolitano, vita di un grande presidente. Storia del grande comunista che salvò l’Italia” (Foglio, 23.9). “L’ultimo colosso del Pci” (Unità, 23.9),“Il Riformista” (Il Riformista, 23.9). Era un bel presidente, un apostolo, un santo!
Resto mancia. “Io penso che non è il tempo del calciomercato, è il tempo di scelte politiche col governo che fa la sua parte e l’opposizione la sua. Io via de Italia viva? Resto dove sono, non faccio nulla” (Ettore Rosato, deputato Iv, L’aria che tira estate, La7, 17.7). “Le incertezze di Rosato: addio a Renzi ma non sa dove andare” (Corriere della sera, 17.9). “Rosato lascia Iv: Renzi lo anticipa e lo scarica” (ilfattoquotidiano.it, 22.9). Gli siamo vicini.
Gelosone. “Renzi scippa un deputata a Calenda: ‘Carlo ora flirta con Pd e 5S’” (Giornale, 22.9). Quelli con cui Renzi ha governato dal 2019 al 2022: come si permette?
Il vero oppositore. “Forza Italia certifica la propria fine politica ritirando gli emendamenti garantisti alla Camera: se il partito che fu di Berlusconi molla sulla giustizia, quale bandiera può rimanergli in mano? Il Monza?” (Matteo Renzi, Il Riformista, 22.9). Il difetto di Forza Italia è che non è abbastanza berlusconiana.
Paura eh? “In Italia volteggia minacciosa la sagoma di Nicola Gratteri, neoprocuratore ammazzasette di Napoli” (Maurizio Crippa, Foglio, 20.9). Vergogniamoci per lui.
Sfiga su sfiga. “‘Via il direttore dell’Egizio’. Dopo FdI, la fatwa della Lega, ma Sgarbi lo difende” (Repubblica, 22.9). Poveretto, non lo meritava.
Superballa Superbonus/1. “La truffa record di Mr Miliardo grazie alla bolla del Superbonus. Dopo l’indagine della Guardia di Finanza è fuggito a Dubai” (Repubblica, 17.9). “Superbonus, ‘Mister Miliardo’ si difende: ‘Io a Dubai? Sempre rimasto a San Severo. Mai utilizzato il Superbonus 110%’” (Corriere della sera, 19.9). En plein.
Superballa Superbonus/2. “Per Eurostat il Superbonus 110% non è debito pubblico” (Italia Oggi, 15.2). “Ma c’è anche lo scarso credito generato dal superbonus, quei 100 milioni (sic, ndr) di debito che pesano sul bilancio” (Stefano Folli, Repubblica, 14.9). Questo riesce a sbagliare persino mentre mente.
Autoattacco/1. “Ci sono giornalisti che, chiusi per tutta la vita nella loro stanzetta, riempiono il proprio giornale scrivendo (male) dei giornali degli altri” (Francesco Merlo, Repubblica, 21.9). Tipo Merlo, per dire.
Autoattacco/2. “Marcello Foa ha più volte pubblicato vere e proprie fake news, spesso senza correggersi” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 21.9). Tipo la lista dei “putiniani d’Italia” inventata dal Corriere e attribuita ai servizi segreti senza correggersi.
Minculpionati. “Ora Foa ha tutto chiaro: i toni devono essere pacati, gli attacchi banditi, invitare i No Vax non è consentito. Credo che lui l’abbia capito, sennò glielo faremo capire noi” (Francesco Pionati, direttore Rai Radio1, Repubblica, 21.9). Signorsì signore!
Il titolo della settimana/1. “Open, Renzi scalda i motori: ‘Il processo più ridicolo degli ultimi anni’” (Dubbio, 19.9). Per via dell’imputato.
Il titolo della settimana/2. “Cosa non ha fatto Giorgia. Smentiti tutti i gufi di sinistra: i mercati non sono crollati, il fascismo non è tornato e l’Italia è più che mai al centro del dibattito mondiale” (Giornale, 22.9). Ridono tutti, nessuno escluso.
Il titolo della settimana/3. “La frattura fra Kyiv (Kiev, ndr) e Varsavia è pessima. Il ruolo possibile di Meloni” (Foglio, 21.9). Portare le grappe.
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VIVA IL NAZI (SE È UCRAINO)
l'editoriale di Marco Travaglio
26settembre2023
Non ha commesso errori né gaffe il presidente della Camera canadese Anthony Rota, quando venerdì ha chiesto la standing ovation per “l’eroe ucraino e canadese della Seconda guerra mondiale che combatté per l’indipendenza dell’Ucraina contro i russi” Yaroslav Hunka, 98 anni, che sedeva sugli spalti per applaudire Zelensky. Né lui, né i deputati che si sono alzati ad applaudirlo, né Zelensky che non ha detto una parola. Nessuno poteva sapere che Hunka“prestò servizio nella 14ª divisione Waffen Grenadier delle SS naziste i cui crimini contro l’umanità durante l’Olocausto sono ben documentati” (come han reso noto gli Amici del Centro Wiesenthal). Ma chiunque avesse letto un Bignami della Seconda guerra mondiale sa che chi combatteva in Ucraina contro i russi stava con i nazisti. Lo sanno gli ucraini, che venerano come eroe nazionale il collaborazionista delle SS Stepan Bandera, eleggono partiti neonazisti in Parlamento e vantano milizie neonaziste nelle forze armate. E lo sanno i canadesi, che dichiararono guerra alla Germania 26 mesi prima degli Usa e combatterono i nazisti al fianco dell’Urss (che ci rimise circa 27 milioni di morti).
Quello che è accaduto al Parlamento di Ottawa durante la visita di Zelensky è l’ultima tappa dello strisciante sdoganamento del neonazismo ucraino iniziato il 24 febbraio ’22 con l’invasione russa. Fino ad allora media e politici occidentali, Onu, Osce e Amnesty denunciavano i partiti neonazisti in Ucraina e i crimini delle loro milizie in Donbass. Poi è scattata la sordina e infine la beatificazione degli “eroi” del battaglione Azov con le rune stilizzate e le svastiche tatuate. Un pietoso velo sul paradosso di un presidente ebreo che loda le milizie neonazi e arringa il Parlamento greco in tandem con un figuro dell’Azov, fra le proteste di governo e opposizione. L’ha notato, rara avis, il Pulitzer Glenn Greenwald: “È incredibile che la stampa occidentale, dopo un decennio passato a chiamare gli Azov fanatici neonazisti, ora ne parli con ammirazione e dica che il loro nazismo è propaganda russa”. A furia di lasciar correre per carità di patria (ucraina), un anno fa l’ambasciatore di Kiev a Berlino celebrò come “combattente per la libertà” Bandera, criminale di guerra coinvolto nella deportazione e uccisione di migliaia di ebrei. E il 4 novembre l’Onu approvò l’annuale risoluzione russa per la “lotta alla glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che alimentano razzismo e xenofobia”. Ma con soli 106 Sì (contro i 121 dell’anno precedente), incluso quello di Israele. Contrari, come sempre, Usa e Ucraina; e, per la prima volta, tutti i Paesi Nato e alleati, esclusa la Turchia e inclusa l’Italia. Gli antinazisti, com’è noto, sono dei fottuti putiniani.
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TUTTI DEFUNTI TRANNE I MORTI.
l'editoriale di Marco Travaglio
27 settembre 2023
Dal conto terrificante dei morti in Ucraina vanno fortunatamente detratti i risorti. L’ultimo, stando al video diffuso da Mosca che lo ritrae piuttosto vispo a una riunione di militari, è l’ammiraglio Sokolov, capo della flotta russa nel Mar Nero, che Zelensky e dunque la stampa italiana davano per deceduto nel bombardamento a Sebastopoli. Il penultimo è il macellaio ceceno Kadyrov, trapassato per insufficienza renale secondo Kiev e la stampa italiana prima a marzo, poi dieci giorni fa, e ricomparso in un video mentre fa jogging; si era detto che era un fake, ma ieri ha postato i suoi elogi al figlio che picchia un detenuto: sdegno unanime (e sacrosanto) sui social, anche da chi s’è scordato di avvisare che è vivo (sennò di che minchia s’indigna?). Il più celebre morto che parla resta Putin, affetto da una trentina di cancri e da una settantina di altre patologie e sempre dipinto come morente dai servizi occidentali. Finché a gennaio Zelensky diede il lieto annuncio: “Non sono sicuro che sia vivo: quello che vediamo può essere un sosia”. Eppure, per essere un cadavere, ha sempre una discreta cera. In aprile toccò al ministro della Difesa: “Shoigu, voci di infarto: ‘Avvelenato. Menomato per sempre’” (Giornale). Dopo tre giorni risorse. A maggio schiattò il bielorusso Lukashenko, ma si scordarono di avvisarlo e non se ne accorse neppure lui.
Poi c’è il reparto avvelenati da Putin, affollatissimo. Il 28.3.’22 l’intera stampa atlantista assicurò che Putin aveva fatto secco con armi chimiche l’amico oligarca Abramovich. Che l’indomani riapparve in gran forma. Il 1.8.2022 Repubblica sparò: “Malore in Sardegna per Chubais, ex fedelissimo di Putin: si teme avvelenamento… uno dei principali strumenti degli apparati di Putin per disfarsi degli oppositori”. Cinque giorni dopo, ferale notizia: “Chubais dimesso dall’ospedale di Olbia. Sindrome Guillain-Barré, non veleno”. E pazienza. Già il giorno dell’invasione fece il giro del mondo la notizia dei 13 soldati ucraini sull’Isola dei Serpenti che, all’arrivo dei russi, li mandano ‘affanc**o’ e vengono tutti sterminati. A Kiev furono celebrati come “eroi”. Poi resuscitarono a uno a uno e furono liberati in uno scambio di prigionieri. Il percorso inverso ha compiuto il pilota-eroe ucraino Stepan Tarabalka, popolarissimo sui social come l’“inafferrabile fantasma di Kiev” perché – stando ai media – fra marzo e aprile 2022 aveva abbattuto centinaia di unità russe (fino a 40 al giorno) senza farsi prendere. Senonché il 2 maggio l’Aviazione ucraina ammise che i suoi raid erano tutti inventati: i russi l’avevano abbattuto già a marzo. Ma, al contrario di tanti defunti risorti, aveva continuato a vivere e a colpire anche dopo la sua morte. Un po’ come l’informazione.
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IL BONUS CAZZATE
l'editoriale di Marco Travaglio
28 settembre 2023
Ora che Giorgia Meloni ha invitato gli alleati a “non superare il livello di guardia”, siamo tutti più tranquilli. Per due motivi. 1) Anche nel governo Meloni, per strano che possa sembrare, esiste un livello di guardia. 2) Non è ancora stato superato, altrimenti la Meloni avrebbe intimato a qualche alleato (uno a caso: il vicesegretario leghista Crippa, che aveva appena paragonato il governo Scholz al Terzo Reich di Hitler) di chiedere scusa e non farlo più. Restiamo dunque in trepidante attesa di sapere con esattezza dove si collochi l’asticella, pronti anche a scavare, se del caso. Un indizio lo fornì la stessa premier in partenza per le ferie quando, allarmata dall’assalto alla diligenza della Manovra, intimò ai ministri di evitare le “misure spot” e di chiedere solo “cose che si possono fare”, confessando così di essersi circondata di una manica di cazzari. Ora, con comodo, ci dirà se fra le misure spot che non si possono fare e dunque non vanno neppure nominate per non superare il livello di guardia rientrino il blocco navale, l’abolizione delle accise, la fine della pacchia per l’Europa, il sostegno militare all’Ucraina fino alla vittoria contro la Russia e la svolta legalitaria con Nordio alla Giustizia. Cioè le cinque parole d’ordine su cui lei, non un cazzaro qualunque, vinse le elezioni, seguite da una sesta: la leggendaria promessa di partire personalmente all’inseguimento degli scafisti in tutto il globo terracqueo.
Ci sarebbe poi lo storico La Russa, che derubricò i nazifascisti uccisi dai partigiani in via Rasella a “banda musicale di semipensionati”, poi indagò sulla denuncia di stupro a carico del figlio, lo assolse su due piedi e condannò la ragazza. E il geniale Nordio, che teorizzò come i veri mafiosi non parlino al telefono alla vigilia dell’arresto di Messina Denaro grazie al fatto che per fortuna parlava solo al telefono. E il sempre lucido Piantedosi, che chiamò “carico residuale” i migranti vivi. E il sagace Calderoli, che si disse minacciato dalla mafia perché aveva ricevuto una lettera firmata inequivocabilmente “Siamo la mafia”. Un capitolo a parte meritano le prodezze del reparto Famiglia. Tipo Gino Lollobrigida con la sostituzione etnica a opera della Spectre, i privilegi gastronomici della potente lobby dei poveri da guida Michelin, i fannulloni sdraiati sul divano fra i miliardi del Reddito di cittadinanza per non andare a zappare la terra e altre lollate. O Andrea Giambruno, che dichiara guerra a un ministro tedesco e agli scienziati del clima, poi avvisa le ragazze stuprate che basta non alzare il gomito per non incontrare i lupi (notoriamente attratti dall’alito alcolico). Spot? Livello di guardia? Oppure fidanzati, cognati, parenti e affini godono di uno speciale Bonus Cazzate?
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CARO AMICO, TI PRESCRIVO
l'editoriale di Marco Travaglio
29 settembre 2023
Difficile trovare qualcosa di più trasversalmente odiato della prescrizione. Quella all’italiana, che le destre, Azione e Iv vogliono ripristinare azzerando la Spazzacorrotti del 2019 e tornando all’ex Cirielli imposta da B. nel 2005, funziona così. Tizio stupra una ragazza fuori dalla discoteca. Questa denuncia il fatto dopo qualche settimana, appena supera lo choc. Partono le indagini e la prescrizione inizia a ticchettare (dal giorno in cui è avvenuto il fatto, non da quando è stato scoperto). Si ascoltano i testimoni, alcuni vengono intercettati o si vedono sequestrare i telefonini, si cercano immagini dalle telecamere, si individua un sospettato, si raccolgono le prove, lo si arresta. Finite le indagini c’è il deposito degli atti, poi i 90 giorni per farne altre a richiesta delle parti, poi la richiesta di rinvio a giudizio, poi l’udienza preliminare e il rinvio a giudizio. Dopo mesi o anni inizia il processo e, dopo mesi o anni, arriva la condanna di primo grado. L’imputato ricorre in appello e lì, se i giudici sono lenti (o qualcuno viene trasferito) e gli avvocati la tirano in lungo con tutti i cavilli gentilmente offerti dal Codice di procedura, scatta la prescrizione prima della sentenza. Se invece si fa in fretta, il verdetto d’appello arriva in tempo. Ma la mannaia può calare in attesa di quello definitivo (il terzo, oppure il quinto se la Cassazione annulla con rinvio). Così lo stupratore resta innocente e torna libero di frequentare il quartiere, di incontrare la stuprata che l’ha denunciato e, incoraggiato dall’impunità, di riprovarci con altre ragazze.
La stessa scena si ripete ogni anno in 200 mila processi (eccetto quelli per omicidio volontario e strage), con tempi diversi a seconda dei reati. Un’amnistia selettiva per ricchi (quelli che possono permettersi di pagare gli avvocati per anni). Un incentivo ad allungare i tempi per arraffare la prescrizione anziché la condanna. E la paralisi del processo “accusatorio”, che può funzionare solo se – come nei Paesi anglosassoni – il 90% degli imputati patteggia o sceglie il rito abbreviato rinunciando al dibattimento, ma nessuno lo fa per non giocarsi la prescrizione. Perciò, dopo tanti appelli di magistrati, giuristi, giornali e vittime, Bonafede fermò la prescrizione dopo la prima sentenza. Ora che la coraggiosa riforma inizierebbe a salvare i primi processi da morte certa e a evitare che i tanti Tizio tornino liberi di stuprare, le tre destre e il Terzo Palo la cancellano. Resuscitando B. e l’ex Cirielli (il meloniano che all’epoca si vergognò di darle il suo nome e oggi non fa una piega). I 5Stelle si oppongono da soli, mentre il Pd riesce ad astenersi persino sulla loro mozione salva-troyan per tangentari. Riuscirà Elly Schlein a lasciarsi sfuggire una battaglia sacrosanta che imbarazza Meloni e, per giunta, porta voti?
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