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MAESTRI DI VITA
l'editoriale di Marco Travaglio
30 agosto 2023
Dopo il ministro-cognato e quello delle piante e delle dosi, anche il giornalista-principe consorte ci regala una lezione di vita. Ricapitolando. 1) Tutorial di Lollobrigida per una sana alimentazione: per mangiare veramente bene è consigliabile essere poveri o – per i più sfortunati, cioè per i ricchi – diventarlo al più presto, perché “da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi: cercando dal produttore l’acquisto a basso costo, spesso comprano qualità”. E poi chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha pane. 2) Avviso ai naviganti di Piantedosi: “Il naufragio di Cutro è colpa di genitori irresponsabili che fanno partire i figli. La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Quindi, cari migranti, se a casa vostra vi torturano o vi bombardano e la cosa non vi garba, imbarcatevi su yacht o navi da crociera, ma evitate i barconi, sennò poi non venite a lamentarvi se affogate. 3) Consigli di Giambruno contro gli stupri: “Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti, ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche, perché poi il lupo lo trovi”. Lo dicono le statistiche: le ragazze sobrie non le violenta nessuno, perché gli stupratori prediligono quelle che alzano il gomito. Se poi, oltre ad astenersi dall’alcol, le donne si lucchettassero pure gli slip con una cintura di castità, o li presidiassero col filo spinato tipo cilicio o con trappole per topi, sarebbero in una botte di ferro. Certo, per mettersi definitivamente al sicuro, dovrebbero evitare proprio di uscire di casa. Invece pretendono di andare in giro senza il bodyguard e poi si lamentano se le violentano. Ma allora lo dicano che cercano grane.
Prendiamo la lobby più privilegiata: quella dei poveri. Oltre a sfruttare l’indubbio vantaggio di mangiare meglio, o di non mangiare proprio evitando i grassi in eccesso, le indigestioni, le intossicazioni, i bocconi per traverso e la regola delle tre ore prima di fare il bagno, il miserabile ha anche altri vantaggi. Non avendo soldi, nessuno glieli può rubare. Non avendo una casa, non teme rapine, terremoti, cadute dalle scale o dal balcone o dalla finestra, rumori dei vicini, puzze di fritto o di cipolle dalla porta accanto. E il caro-affitti e il caro-bollette gli fanno un baffo. Siccome non ha neppure la macchina, glielo mette in quel posto al caro-Rca, al caro benzina, al caro-accise. E in più va a piedi, cioè fa sport, che è tutta salute. Anche la lobby dei migranti, anziché lamentarsi sempre, dovrebbe ringraziare: se il tuo barcone affonda, puoi fartela a nuoto, che è uno sport olimpico, e metti su muscoli. Ma, se non ci sali proprio, non puoi proprio naufragare. E soprattutto: se tieni la bocca chiusa, le cazzate non escono.
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PALLA DI LARDO
l'editoriale di Marco Travaglio
31 agosto 2023
Era da un po’ che ci mancava Nathalie Tocci, cappellana militare delle truppe Nato in Ucraina e nel mondo. Quella che “non può parlare di Russia chi non è stato in Russia”, ma neppure chi ci è stato o ci sta perché è russo. Quella che le parole non le scrive o le pronuncia: le mitraglia, crivellando persone e cose tutto intorno. Temevamo che il trasloco dal Cda di Eni a quello di Acea e il tragico flop della controffensiva ucraina l’avessero dirottata su temi più consoni, tipo i lampioni fulminati nelle vie di Roma. Invece no: dopo il meritato riposo, la guerriera è tornata più cazzuta che pria a inalare l’odore del napalm al mattino e a marciare avanti e ’ndré sul divano. Ieri, con un fondo sulla Stampa e un’intervista al Giornale, ha giustiziato nell’ordine: quel fottuto putiniano del Papa (“parole gravi” che “riesumano un ricordo di violenza e prevaricazione”); e quel palla di lardo di Zelensky, che osa evocare la “via diplomatica” in Crimea senza chiederle il permesso (“Se apre ai negoziati, gli ucraini lo cacciano dopo due minuti” e, se non lo fanno loro, ci pensa lei).
Incurante della realtà (non è un suo problema), la sergenta maggiore Tocci-Hartman parla come se fosse sempre il 24 febbraio 2022: “Non c’è un compromesso, la guerra andrà avanti finché uno vince e l’altro perde” e vince l’Ucraina perché lo dice lei: “la guerra finirà quando la Russia si ridefinirà come Stato-nazione”, cioè diventerà spontaneamente ciò che vuole la Tocci, si ritirerà dalle 5 regioni occupate, farà fuori Putin e si infliggerà da sola “una sconfitta che le faccia capire che non è più una potenza imperiale”: intanto attendiamo con ansia “un cambiamento politico, caos, tentativi di golpe, crollo del regime”, magari “un nuovo Prigozhin che non si fermerà a 200 km da Mosca” e altre delizie sfuse. Che ritroviamo pari pari nell’intervista al Corriere del consigliere di Zelensky Mykhalo Podolyak, roba da far sospettare che Tocci e Podolyak siano la stessa persona: il Papa “incoraggia le manie genocide di Putin” e, con buona pace di Palla di lardo, “è impossibile negoziare col criminale”. Bontà sua, il consigliere aggiunge che “preferiamo il ritiro volontario dei russi a battaglie su larga scala”, perché “la Russia deve perdere”. E qui il sospetto è che Podolyak sia la reincarnazione di Max Catalano (“Meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”). In attesa degli infermieri, il NYT dà lo “sconcertante” bilancio Usa della controffensiva: pochi chilometri riconquistati al prezzo di 70mila soldati ucraini morti da aprile (nell’intero 2022 furono 120mila) in un esercito di 500mila effettivi (inclusi riservisti e paramilitari). Quando li avranno finiti, Podolyak faccia un fischio: così gli paracadutiamo la Tocci.
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LA REPUBBLICA DI FARÒ
l'editoriale di Marco Travaglio
01 settembre 2023
A Caivano, una volta tanto, la Meloni ha detto poche parole impeccabili, diversamente dalla catastrofica trasferta a Cutro. Anche se ha tenuto distanti i residenti e i giornalisti. E, come sempre, è stato perfetto Mattarella a Brandizzo. Né la premier né il capo dello Stato potevano far nulla per evitare gli stupri e la sciagura ferroviaria. Ma rappresentano lo Stato: era doveroso che fossero lì e parlassero così. Il guaio è che ormai, dinanzi a drammi tanto terribili e ricorrenti, anche le parole più appropriate suonano vuote e inutili. I cittadini non credono più a nulla e a nessuno per i troppi proclami, promesse e moniti seguiti dal nulla. Infatti votano (se votano) per la novità del momento, nella speranza (se ce l’hanno) che sia meglio della novità precedente. Ci sarà un motivo se dal 1994 in Italia (nel resto d’Europa non è così), a ogni elezione, la maggioranza di governo perde e la minoranza vince. Ieri Maddalena Oliva ha raccontato l’eterna ri-scoperta del buco nero Caivano ogni volta che qualche vittima ci finisce dentro. Lo stesso si può dire di disastri ferroviari, terremoti, alluvioni, incendi, frane e altre sciagure “naturali” aggravate dall’incuria politica e mediatica. I giornali parlano di “disastro annunciato”, le autorità vengono contestate (o applaudite dalle loro claque), ammettono con aria contrita che “lo Stato ha fallito”, promettono che “non si può morire così”, “non accadrà più”, “non abbasseremo la guardia” o altre frasi fatte, salvano la faccia (e spesso pure la pelle), poi spariscono dai radar.
Trovare le parole in tanto dolore non è facile per nessuno. Ma non è detto che si debba trovarle: per cambiare un po’ le liturgie funebri di Stato si potrebbe anche invertire l’ordine consueto e non parlare proprio. Anziché dire “farò”, parlare solo quando si è fatto. E intanto ascoltare i cittadini. Poi, se proprio si deve parlare, confessare qualche errore. Per esempio ammettere che l’abolizione del Reddito di cittadinanza non c’entra nulla con gli stupri a Caivano, ma c’entra molto col baratro che attende quei disperati senza lavoro né speranza, che dal 2019 sentivano la presenza dello Stato perché avevano visto un governo occuparsi di loro in quanto persone, non numeri o categorie burocratiche (gli orrendi “occupabili”), chinarsi sul loro dramma, renderli protagonisti e cambiare in meglio le loro esistenze. Ecco, se la Meloni si fosse battuta il petto per quella scelta sciagurata impegnandosi a rivederla, sarebbe uscita da Caivano in trionfo. Come Mattarella da Brandizzo, se avesse promesso di non firmare mai più privatizzazioni di beni comuni, tagli ai servizi pubblici e “semplificazioni” di appalti e subappalti che ingrassano ricchi, potenti, corrotti ed evasori e ammazzano la povera gente.
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SIAMO UOMINI O GENERALI?
l'editoriale di Marco Travaglio
02 settembre 2023
Non è bello giudicare le persone dalla faccia, però qualche volta aiuta. Anche perché “dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia” (Camus). Noi, lo confessiamo, la prima volta che incrociammo lo sguardo del generale Francesco Paolo Figliuolo, un po’ meno espressivo di un boiler spento, fummo colti da parecchi dubbi sulla nomina a supercommissario al Covid. Ma esitammo a esternarli perché era stato SuperMario Draghi in persona a posare lo sguardo su di lui, trasfondendogli la sua infallibilità con la sola imposizione delle mani. Infatti tutti ne parlavano come di un genio (veniva dal Genio degli Alpini). Il suo piano vaccinale era copiato da quello del famigerato Arcuri, i vaccini li avevano acquistati i putribondi Conte e Speranza, ma si gridò al miracolo. Parlava come il colonnello Buttiglione, poi promosso a generale Damigiani: frasi secche, ficcanti, perentorie, rese più solenni dai 27 nastrini che gli piastrellano il lato sinistro dell’uniforme: “Il Piano Vaccini si articolerà in due fasi: 1) procurarceli, 2) inocularli” (e rigorosamente in quest’ordine), “Vacciniamo anche chi passa”, “Sono abituato a vincere, “Svoltiamo”, “Acceleriamo”, “Cambiamo passo”, “Chiudiamo la partita”, “Fuoco a tutte le polveri”, “Diamo la spallata”, “Stringiamci a coorte” (con rima beneaugurante), “Fiato alle trombe” (posseduto da Mike). Ma ogni volta, quando finivamo di scompisciarci, ci scoprivamo circondati da bocche a c**o di gallina e gridolini estatici. Così finimmo per rassegnarci all’idea che il problema fosse soltanto nostro.
Spezzate le reni al virus, Penna Bianca fu promosso da Draghi a Comandante Operativo di Vertice Interforze (dal Covid al Covi) e paracaduto dal fronte ungherese (a fare bau ai russi) a quello del Niger (con i brillanti risultati a tutti noti). Poi la Meloni lo rimpatriò e, siccome è multiuso, ne fece il supercommissario all’alluvione in Emilia-Romagna. Anche lì gli esiti sono sotto gli occhi di tutti: cantieri fermi, fondi col contagocce, zero ristori alla gente disperata. L’altroieri, l’apoteosi: il generalissimo, pancia indentro e petto infuori, marcia sulle zone alluvionate mostrando i soldi del Monopoli. Poi, alla prima domanda dei cronisti, gli parte l’embolo e dice cose che, al confronto, Bertolaso era Churchill: “È inutile che adesso venga a dare delle date. Non abbiamo date, perché dobbiamo mettere a punto le procedure e le piattaforme”. E mentre lui mette a punto, quelli si incazzano. Protesta persino il Pd, che fino a ieri lo portava in processione. Lui è sempre lui, ma non s’è accorto che è cambiato il mandante. Se ti manda Draghi, sei coperto dal mantello di supereroe. Se ti manda la Meloni, sei un povero Figliuolo qualunque, la gente ti sgama e può finalmente sbudellarsi dal ridere.
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LA SCUOLA DEI BUONI
l'editoriale di Marco Travaglio
03 settembre 2023
Le rivelazioni di Giuliano Amato a Repubblica sulla strage di Ustica non rivelano nulla che Amato e altri non avessero già rivelato, pur tra mille contraddizioni e amnesie. Ma rivelano molto su Amato, una scatola nera vivente che digerisce tutto, e sulla terrificante classe politica anni 80-90 che qualche buontempone osa pure rimpiangere. E soprattutto sono un utile promemoria sulla Nato “difensiva” dei “buoni”, che gli stessi umoristi ancora contrappongono alle autocrazie cattive: quelle che invadono Paesi vicini, violano l’autodeterminazione dei popoli, usano la strage e il delitto politico per eliminare nemici, rivali e testimoni pericolosi. L’ultima barzelletta è che noi “buoni” non abbatteremmo mai un aereo per far fuori un Prigozhin con altre nove persone. Infatti Amato conferma che i buoni francesi, coperti da 43 anni di silenzio complice dei buoni italiani e dei buoni americani, abbatterono con un missile un aereo di linea sterminando 81 innocenti (manco un Prigozhin, per dire) per “far fuori Gheddafi” (che doveva essere su un altro velivolo e invece non c’era perché forse l’aveva avvertito il nostro governo). E questo fa buon peso con tutte le altre stragi organizzate e/o coperte da funzionari dello Stato e/o della Nato, con un bilancio di vittime civili e inermi sempre approssimato per difetto: perché non calcola la scia di morti misteriose che seguiva ogni eccidio, decimando i testimoni o i complici che avrebbero potuto parlare. Gaspare Pisciotta, suicidato all’Ucciardone con un caffè alla stricnina, come altri 10 depositari dei segreti di Portella della Ginestra morti in circostanze misteriose. Il “nero” Ermanno Buzzi, strangolato in carcere dopo la condanna in primo grado per Piazza della Loggia. Il boss Nino Gioè, coinvolto nella strage di Capaci e morto “suicida” a Rebibbia dopo le strane visite di uomini dei Servizi. Luigi Ilardo, il boss di Enna ammazzato subito dopo aver annunciato l’intenzione di collaborare, grazie a una soffiata istituzionale a Cosa Nostra.
Ustica fa storia a sé, perché oltre agli 81 passeggeri del Dc9 ha mietuto molte altre vittime: il giudice Rosario priore, nella sentenza-ordinanza del 1999, conta 12 “morti sospette” di persone che sapevano qualcosa degli abbattimenti dell’aereo Itavia o del Mig libico caduto in Sila 20 giorni dopo, ma non arrivarono all’interrogatorio per malaugurate coincidenze. Ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica o addetti a centri radaristici e missioni di volo: due morti nel disastro di Ramstein, uno in un’altra sciagura aerea, due in incidenti stradali, tre impiccati, due vittime di omicidi, uno d’infarto. Sarebbe bello avere qualcosa da insegnare a Putin: purtroppo gli abbiamo già insegnato tutto. E ha imparato benissimo, ma senza superare i maestri.
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IO SO CHE TU SAI CHE IO SO
l'editoriale di Marco Travaglio
04 settembre 2023
Dopo le non-rivelazioni di Amato su Ustica, ecco quelle di un altro dinosauro di tutte le Repubbliche: Luigi Zanda, ex portavoce di Cossiga, ex Mose, ex Lottomatica, ex Giubileo, ex De Benedetti, ex capogruppo Pd, ex tutto: anche lui dice e non dice, ricorda e non ricorda. Nel doppiofondo della politica c’è un esercito di vegliardi che conservano segreti indicibili e ogni tanto ne distillano una goccia per ricordare a chi di dovere che sanno tutto: è il loro elisir di lunga vita, ma soprattutto carriera. Infatti non vanno mai in pensione. Come gli ex capi dei Servizi, che appena messi a riposo collezionano cariche nelle partecipate e nessuno riesce a levarceli di torno tranne il cassamortaro. Si spiega così un fatto unico in Occidente: non c’è mistero d’Italia o delitto eccellente di cui si sappia tutto e che si possa mandare in archivio. Ora Amato e Zanda, che stavano l’uno nella pochette di Craxi e l’altro di Cossiga, pretendono chiarezza su Ustica da Macron, che quel giorno aveva 2 anni e mezzo. Inutile domandarsi come si possa convivere per 43 anni con dentro tutti quei vermi, lutti e liquami senza un ruttino. Beata ingenuità: chi ha il paraflu nelle vene, un frigo al posto dello stomaco, un freezer al posto del fegato e un registratore di cassa al posto del cuore, sopravvive solo così. Più sai, meno parli, più campi. Quando la leggendaria commissione Telekom Serbia promosse Igor Marini a supertestimone delle tangenti miliardarie di Milosevic a Prodi, Dini e Fassino sui conti Mortadella, Ranocchio e Cicogna, ai pm torinesi bastò domandargli che mestiere facesse. Rispose che scaricava frutta e verdura ai mercati generali di Brescia. E si capì che non poteva sapere nulla di vero, altrimenti sarebbe stato perlomeno ministro. Invece, quando Massimo Ciancimino, con vari pentiti di mafia, raccontò la trattativa del padre col Ros, i vari Mori, Martelli, Ferraro, Violante, Scalfaro, Napolitano, Conso, Mancino, Amato e altri si ricordarono (chi bene, chi male) cose taciute per 20 anni: e si capì che la trattativa c’era stata eccome, anche se poi vari giudici si arrampicarono sui vetri per negarne prima la rilevanza penale, poi l’esistenza e l’evidenza.
Perciò l’intervista di Gherardo Colombo del 1998 a Peppe D’Avanzo sulla Bicamerale “figlia dei ricatti” su Tangentopoli rimane il miglior referto della politica dell’“una mano (sporca) lava l’altra”. E il tetto ai mandati parlamentari (2 o 3 cambia poco, purchè poi finiscano), ideato da Grillo e Casaleggio sr., ne è l’unico antidoto. Ma andrebbe estesa a tutti gli incarichi pubblici, non solo a quelli elettivi. Non importa cos’hai fatto e cosa sai: quando vai a casa, ci resti.
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LOLLO PALMIRO.
l'editoriale di Marco Travaglio
05 settembre 2023
Potevamo stupirvi con Giorgetti che, poverino, ha il “mal di pancia” perché “col Superbonus hanno mangiato tutti e noi paghiamo il conto” e non s’è accorto di essere ministro da due anni e mezzo in due governi che hanno cambiato le regole una quindicina di volte ma non hanno mai abolito la misura, anche perché la Lega aveva promesso di estenderla per “mangiarci” ancor di più, quindi non si capisce chi sarebbero quei “noi” che “paghiamo il conto”. Potevamo stupirvi con lo Statista di Rignano che si candida in Europa “col brand Il Centro”: non con un partito (li ha distrutti tutti, almeno i suoi) o una lista, ma col famoso brand che crea un’atmosfera come il Vecchia Romagna etichetta nera, dimenticando che un senatore non può essere eurodeputato e un eurodeputato non può farsi pagare da bin Salman, ma tanto il problema neppure si porrà. Potevamo stupirvi con Amato, che sta perdendo la memoria breve (s’è scordato di avere 85 anni) e sviluppando quella lunga (s’è ricordato di sapere qualcosa di Ustica, ma non ha ancora ben chiaro cosa e soprattutto perché). Invece no. Ci tocca tornare sul nostro adorato Francesco Lollobrigida detto Gino, che respinge sdegnato l’accusa di familismo col decisivo argomento che lo praticano pure gli altri: “Non mi pare si sia detto nulla su coppie come Togliatti e Iotti, o più recentemente Franceschini e la compagna, Fratoianni e la moglie, o Fassino e la sua”. A parte il fatto che quelle coppie non hanno mai cumulato le cariche di ministro e capo-segreteria del partito, nessuno dei suddetti era stato nominato dal premier in qualità di cognato e sorella. Ammesso che Lollo sia il nuovo Togliatti (non a caso “il Migliore”) e Arianna la nuova Iotti, chi sarebbe Giorgia?
Però LolloPalmiro ce la sta mettendo tutta per scrollarsi di dosso la taccia di raccomandato delle sorelle Meloni: sta scivolando verso l’opposizione con una tecnica infallibile di riposizionamento progressivo, impercettibile a occhio umano (la stessa adottata da Giambruno, l’altro franco tiratore di famiglia, che però s’è fatto subito sgamare e ora gira con la museruola): sparare una minchiata quotidiana per rosicchiare alla premier-cognata un pezzettino di consenso al giorno. Se lo lasciano fare, capace che fra qualche anno ce lo troviamo segretario del Pd: in dieci mesi ha fatto più danni alla destra lui che il centrosinistra in vent’anni. Nell’attesa, Giorgia dovrebbe leggersi La Napoli di Bellavista, l’antologia delle migliori foto di Luciano De Crescenzo. La più famosa ritrae un mendicante sdraiato sulle scale di un vicolo che porta ancora i segni della passata agiatezza: Borsalino sul capo, cappotto e scarpe di buon taglio. Il cartello accanto al piattino recita: “Ridotto in questo stato dal cognato”.
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LA VIA DELLA SEGA
l'editoriale di Marco Travaglio
06 settembre 2023
La prevalenza del cretino di Fruttero e Lucentini uscì nel 1985, ma il titolo sembra fatto apposta per l’estate che sta finendo. Difficile trovare uno sprazzo d’intelligenza nelle femministe italiane che a Venezia contestano Woody Allen, troppo intelligente per loro, dandogli dello “stupratore” in barba a due sentenze di tribunale che l’hanno scagionato, come quei geni dei produttori americani che lo costringono a vagare per il mondo in cerca di qualcuno che finanzi il suo prossimo capolavoro. E che dire dell’astuta mossa del Rignanese che si candida alle Europee con Il Centro per raccogliere “i delusi di FI e Pd” e non s’è ancora accorto che il più deluso dagli altri non lo sarà mai quanto lo è da lui? Poi c’è Tajani, che sta all’intelligenza come Dell’Utri all’antimafia e vola in Cina per uscire un po’ dalla Via della Seta, pronto a danneggiare le imprese italiane pur di fare un dispetto a Conte e una marchetta a Biden. Intanto Urso, altro ministro famoso per la sagacia, firma un’intesa d’affari con i campioni di diritti umani dell’Arabia Saudita, il cui premier Bin Salman mandò i killer ad assassinare e tagliare a pezzi con la sega circolare il giornalista Khashoggi: dalla Via della Seta alla Via della Sega. Brillantissimo anche l’editoriale su Rep di Folli, così accecato da furore anti-Conte da sposare le balle delle destre su Superbonus (“insostenibile”, “populista”) e salario minimo (“suggestione”) e accreditare il governo di “un profilo rigoroso, quasi da Destra storica”. Ora, per coerenza, dovrà suggerire ai nuovi Quintino Sella una misura davvero di sinistra: la tassa sul macinato.
In tanto buio, un lampo d’intelligenza ce lo regala Benedetta Scuderi, attivista dei Verdi, incautamente invitata a Rete4 da Andrea Giambruno. Questi la interroga sulle assurde accuse di Saviano al governo della fidanzata per l’abbattimento dell’orsa e lei gli ritorce contro la sua celebre sparata sul nesso fra tasso alcolico delle ragazze e lupi stupratori: “Potremmo dire che è responsabilità dell’orsa perché, se non fosse uscita di notte da sola, non avrebbe incontrato il cacciatore, o il lupo…”. La sequenza delle espressioni sul volto del principe consorte nei successivi 12 secondi è una via di mezzo fra il remake di The mask e una gallery di Francis Bacon: mano sinistra che gratta orecchio destro; sopracciglia corrugate e risolino tirato tipo Joker; pollice-indice sotto mento pizzuto per darsi tono; occhi strizzati e indice-medio-anulare su boccuccia a cul di gallina; testolina che fa sì-sì; sguardo disperato verso sinistra in cerca di soccorsi in studio perchè ha finito le facce; cameraman pietoso che lo oscura e stacca sulla foto già mostrata prima. Qualcosa ci dice che non vedremo più la Scuderi chez Giambruno. Ma ne sarà valsa la pena.
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IDIOCY INTERNATIONAL
l'editoriale di Marco Travaglio
07 settembre 2023
Nella classifica della minchiata del giorno, si contendono il primato il presidente romeno e il governo italiano. Klaus Iohannis, capo dello Stato di Bucarest, compie una piroetta che, al confronto, Giuliano Amato è un dilettante. Da giorni il governo Zelensky, sempre ansioso di trascinare la Nato in una guerra mondiale contro la Russia, soffia sul fuoco di un incidente di confine invocando l’articolo 5 del Trattato Atlantico, che prevede l’intervento militare Nato a difesa di uno Stato membro attaccato da non-membri, per via di alcuni frammenti di un drone, forse russo, precipitati in Romania. L’altroieri Iohannis smentisce tutto: “Non è esistito né un drone né alcun pezzo di questo dispositivo che sia giunto sul territorio della Romania”. Ieri conferma tutto: “Se i pezzi di drone fossero russi, sarebbe una grave e inaccettabile violazione della sovranità e integrità territoriale di uno Stato Nato”. Ma l’articolo 5 impegnerebbe la Nato anche se i frammenti fossero di Kiev, che almeno ufficialmente non è nella Nato. E speriamo che non lo siano, sennò dovremmo armarci contro l’Ucraina che già armiamo. Cosa che peraltro avremmo già dovuto fare 10 mesi fa, quando un missile ucraino cadde in Polonia uccidendo due innocenti, mentre Zelensky e le sue cheerleader italiote lo spacciavano per russo.
La minchiata n. 2 è un’ideona del governo Meloni per sbaragliare la criminalità giovanile: un decreto che vieta ai 14-17enni condannati anche in primo o in secondo grado di usare “piattaforme o servizi informatici e telematici nonché… di possedere telefoni cellulari”. Il primo effetto sarà che i baby condannati il cellulare, anziché comprarlo, lo ruberanno. Il secondo sarà che, se rispetteranno il divieto, sarà impossibile intercettarli. Il terzo sarà la bocciatura del decreto, visto che la Consulta ha già stroncato norme simili. Ma resterà a imperitura memoria il messaggio pedagogico della destra “legalitaria”: in Italia il buon esempio non devono darlo gli adulti ai giovani, ma i giovani agli adulti. E i ragazzi di strada devono tenere standard di legalità superiori a quelli dei politici che glieli impongono. Infatti i divieti pensati per i minorenni nessuno li ha mai pensati per i maggiorenni. Altrimenti un buon terzo della classe dirigente sarebbe da un pezzo isolata dal mondo, anche se i divieti valessero solo per gli over 18 condannati definitivi. Salvini come farebbe a parlare col suocero Verdini, che sta ai domiciliari (o almeno dovrebbe): con i segnali di fumo? E la Montaruli come comunicherebbe con i fratelli d’Italia e gli altri commissari della Vigilanza: con i piccioni viaggiatori? Vien quasi da rimpiangere B., che avrebbe subito bloccato la pagliacciata: per senso non dello Stato, ma del ridicolo.
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AH, ANCHE GENERALE
l'editoriale di Marco Travaglio
08 settembre 2023
Ci vorrebbe la signorina Silvani, musa di Fantozzi, per commentare le quotidiane esternazioni del generale Vannacci, che spaziano su tutti i temi dello scibile, anche perché i giornalisti (si fa per dire) lo interpellano su qualunque evento dell’orbe terracqueo con l’aria devota di chi consulta un oracolo, trasformandolo in un incrocio fra la Pizia di Delfi, Nostradamus, Draghi e Brian di Nazareth. Nel suo famoso libro (ah, anche scrittore!), il Vannacci ci aveva già illuminati sui tratti della pura razza italica (ah, anche etnologo!), l’anormalità dei gay (ah, anche sessuologo!), la devianza dei vegani (ah, anche dietologo!), il sangue di Enea, Romolo, Cesare, Dante, Fibonacci, Leonardo, Michelangelo, Galileo, Mazzini, Garibaldi e altri nelle sue vene (ah, anche storico ed ematologo!), la separazione fra bagni maschili e femminili onde evitare “batacchi” nei secondi (ah, anche igienista e cessologo!), il diritto di scannare chiunque si avvicini a casa tua (ah, anche criminologo!), nonché contro gli asili nido (ah, anche neonatologo!), la “lingua asessuata” (ah, anche linguista!), gli occhi a mandorla e il riso alla cantonese (ah, anche sinologo!), la dittatura dei social (ah, anche massmediologo!) e dei vaccini (ah, anche epidemiologo e virologo!), l’ideologia ambientalista (ah, anche climatologo!), i poveri col Rdc (ah, anche economista!), Bella Ciao e Achille Lauro (ah, anche musicologo!), la raccolta differenziata (ah, anche ecologo!) e il salvataggio dell’uccello fratino (ah, anche ornitologo!).
Ma alcuni rami della scienza restavano colpevolmente fuori dal suo raggio d’azione. Così l’Adnkronos gli ha chiesto di Paola Egonu che lascia la Nazionale di volley e lui non s’è sottratto: “Se ha deciso così avrà le sue ragioni. La meritocrazia è il giusto criterio” (ah, anche commissario tecnico!). Folgorati da tanta originalità, l’han subito invitato a Fuori dal coro per auscultarlo sui migranti e neppure lì ha deluso le attese: “Chi ha voluto evitare l’immigrazione l’ha evitata” e ha citato il Giappone e l’Australia, che sono isole e non affacciano sull’Africa, ma fa niente (ah, anche sociologo delle migrazioni!). Ora sarebbe terribile se la solita censura lo silenziasse, orbandoci di una competenza così enciclopedica. Vogliamo Vannacci in giuria allo Strega e al Campiello (dopo averli vinti, ovvio), a Miss Italia, a Sanremo, a X-Factor e pure a Castrocaro. Vannacci che svela i segreti di Ustica (senza offesa per Amato), di Bologna e del delitto dell’Olgiata. E soprattutto Vannacci che invita la signorina Silvani a una romantica colazione da “Gigi il Troione” declamando La canzona di Bacco di Lorenzo il Magnifico, mentre lei sputa nel mascara e commenta trasognata: “Ah, anche poeta!”.
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CAMPIONATI JUNIORS
l'editoriale di Marco Travaglio
09 settembre 2023
Si è scritto tanto sull’ironia della Storia. Ma quella della cronaca, allora? L’altroieri il governo annuncia l’ennesimo giro di vite da grida manzoniana: manette più facili, pene più alte, divieti assortiti fra cui quello credibilissimo di usare il telefono, multe, Daspo, ammonimenti, revoche di patrie potestà e altre trovate “securitarie” (quelle che spacciano per sicurezza nei fatti la rassicurazione a chiacchiere). Il tutto riservato ai minorenni: baby pusher, baby bulli, baby gang, baby delinquenti, baby doll, soprattutto se non condannati in via definitiva. Per i maggiorenni, purché ricchi e/o potenti e/o famosi, meglio se pregiudicati e detenuti, la pena massima resta il Parlamento. O, per i più sfortunati che non possono più entrarci perché condannati a più di 2 anni, la libertà di girare e fare i loro porci comodi. Proprio mentre il governo partoriva la “stretta” per gli juniores, due bei seniores provvedevano a rammentarci come funziona la giustizia all’italiana. Uno è Denis Verdini, suocero del vicepremier Salvini, ex senatore berlusconiano e poi, per coerenza, filorenziano. Condannato in Cassazione a 6 anni e mezzo e in appello a 5 e mezzo per due bancarotte fraudolente, dovrebbe essere in galera. Ma nel 2021, dopo appena 91 giorni, il giudice di sorveglianza lo scarcerò d’urgenza da Rebibbia perché era un “soggetto particolarmente vulnerabile al contagio da Covid” e occorreva “tutelare in via provvisoria la sua salute”. Lo stesso contagio lo rischiavano gli altri 1.200 ospiti del carcere, ma non si chiamavano Denis né Verdini, dunque restarono dentro. Da allora, il nostro eroe è ai domiciliari a Firenze, ma il Tribunale di sorveglianza gli concede di andare a Roma 3 volte a settimana per visite dentistiche (a Firenze, si sa, non esistono dentisti). E lui, già che c’è, nel tragitto incontra il sottosegretario Freni (leghista come suo genero), manager Anas e l’ex deputato e imprenditore pregiudicato Bonsignore. Cioè viola le pur generose prescrizioni per infilarsi – sostengono i pm – in nuovi traffici. Uno si aspetta che lo rimettano in carcere, come gli evasi normali. Invece lo indagano, ma rimane a casa sua.
L’altro è Salvatore Buzzi, già ergastolano per omicidio, poi graziato, ricondannato a 12 anni e 10 mesi definitivi per le corruzioni di “Mondo di mezzo”. Secondo calcoli e ricalcoli, dovrebbe star dentro fino al 2028. Invece è uscito dopo un solo anno: la Cassazione ha scoperto che, essendo alcolista, aveva iniziato la riabilitazione proprio sette giorni prima del verdetto definitivo; ergo il suo arresto fu illegittimo, perché non gli diede il tempo di chiedere di andare in comunità. Resta da capire cosa debba fare di più un povero delinquente Vip per finire in galera e restarci. A parte tornare bambino.
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MIMMO
l'editoriale di MarcoTravaglio.
10 settembre 2023
A luglio eravamo a Ravello, Mimmo De Masi, Cinzia Monteverdi e io, per presentare il mio libro. A Ravello sono vietate le auto. Cinzia e io arrancavamo come zombi sotto la canicola del mezzogiorno. Lui trotterellava e saltellava come un capriolo. Nulla era più lontano di lui dalla morte, che invece se l’è portato via in pochi giorni. E non bastano tutte le parole del vocabolario per descrivere chi era, cosa ha rappresentato per il nostro giornale con i suoi articoli e il progetto Scuola, e quanto ci mancherà. Era il nostro amico geniale. Il nostro nonno acquisito, arrivato troppo tardi e andato via troppo presto. Più giovane di tutti noi messi insieme: dovevate vederlo alle riunioni sulla Scuola del Fatto, l’ultima impresa in cui si gettò a capofitto con l’entusiasmo e l’energia di un ragazzino, occupandosi persino dell’erba del prato davanti alla sede prefabbricata nel giardino della nostra redazione.
Di solito gli intellettuali di sinistra sono noiosi, verbosi, seriosi, faziosi, retorici, supponenti, tromboni: lui era tutto l’opposto. Brillante, sintetico, asciutto, spiritoso, ironico e dunque autoironico, mai settario e talmente colto da permettersi il lusso di dissimularlo. Il libro che ci lascia con i testi degli incontri al cinema romano Farnese su Destra e Sinistra ne sono un piccolo esempio: quando alzava il telefono per chiamare intellettuali e professori di idee antitetiche alle sue, quelli correvano perché li aveva convocati “Mimì”, ed era una garanzia di rispetto e imparzialità. Il che, quando prendeva la parola, non gli impediva di inquadrare i problemi con soave nettezza e poi di recidere i nodi col bisturi del suo sulfureo sense of humour. Era atipico anche come scienziato: i sociologi sono famosi per sforzarsi di non farsi mai capire e di riuscirci perfettamente. Lui invece riusciva a sminuzzare i problemi più complicati e i concetti più complessi con una semplicità e un candore di linguaggio che disarmavano.
I giornaloni e l’establishment tutto lo detestavano o perché osava denunciare la morte della Sinistra in nome del turboliberismo “riformista” e “blairiano”, dell’afrore dei banchieri e dei tecnici alla Monti e alla Draghi, e dare invece credito ai 5Stelle che avevano riempito quel vuoto. Persino la Meloni, in anni passati, gli aveva chiesto una mano per addentrarsi nei temi dell’economia e della sociologia in qualche serata privata.
E lui non si era sottratto, perché restava comunque un professore nel vero senso della parola, e sentiva il dovere di insegnare a tutti un poco del molto che sapeva. Uno dei tanti cretini di successo che scrivono in prima pagina l’aveva definito “il teorico del fanca**ismo” perché aveva capito fra i primi gli spazi di “ozio creativo” e le voragini occupazionali in arrivo nel mondo del lavoro della società post-industriale (oggetto primario dei suoi studi) con l’intelligenza artificiale, il digitale e l’automazione. I suoi consigli a Grillo e Casaleggio e poi a Di Maio e a Conte hanno aiutato il movimento a diventare adulto e a riempire di contenuti i vuoti dovuti all’ingenuità e all’inesperienza (i milioni di poveri che per tre anni si sono sentiti protagonisti grazie al Reddito di cittadinanza lo devono anche a lui, così come i lavoratori che beneficiano del lavoro agile e in futuro, magari, otterranno anche un salario minimo e una riduzione dell’orario di lavoro). Il che non gli fruttò alcun incarico o sinecura, nel Paese dei raccomandati, e non gli impedì di criticare i 5Stelle quando sbagliavano, come fece per esempio con Grillo e Di Maio per la loro sbornia draghiana e con Conte per la sua renitenza a integrarsi con le altre opposizioni. Poi c’era il Mimmo privato, il Mimmo delle cene in trattoria con l’adorata moglie Susi, il Mimmo che zompetta curioso nei corridoi del Fatto, il Mimmo dal calore umano trascinante, il Mimmo delle battute, dei sorrisi e delle risate tutte napoletane (anche se era nato in Molise). Il Mimmo che squaderna le sue mille vite e i suoi mille aneddoti sui suoi amici che solo a nominarli vengono i brividi: da Adriano Olivetti a Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente brasiliano che lo chiamava per chiedergli consigli (Mimmo in Brasile è conosciutissimo e popolarissimo), dall’erede del patròn di Rede Globo Roberto Marinho (che se lo portava in barca nelle isole greche in vacanza a volte pure con Zuckerberg) a Lina Wertmüller e Pier Paolo Pasolini (che una sera, a cena con lui al ristorante, toccò il sedere a un cameriere e Mimmo raccontava che quella fu l’unica volta in cui gli toccò fare a botte e prenderle). Ascoltando quell’omino piccolo piccolo, con quella vocetta di falsetto e ruggine tipica di molti napoletani, mi stupivo sempre delle mille cose che era riuscito e continuava a fare. Ma i vini migliori stanno nelle botti piccole. Lui non lo sapeva, perché non credeva: ma per noi del Fatto era un regalo del Cielo. E, come tutte le cose belle, è durato troppo poco.
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TUTTI A CASA
l'editoriale di Marco Travaglio
11 settembre 2023
L’incontro più sorprendente alla festa del Fatto è stato quello col ministro Crosetto. Non perché è venuto: non è tipo che fugge dal confronto. Ma per ciò che ha deciso di dirci, ben oltre ciò che gli avevamo chiesto. Non solo ha difeso il Papa dalle deliranti accuse di putinismo lanciate da Kiev (“non è filorusso, può mediare e aiutare il percorso di pace”), ma ha anche rivelato impegnativi dettagli di diplomazia segreta: “I ministri fanno cose anche senza dirle. La missione di pace di Zuppi chi pensate che l’abbia aiutato a realizzarla, dando supporto per viaggio e sicurezza e premendo su Zelensky perché lo incontrasse? Il guerrafondaio ministro italiano”. E questo perché “siamo arrivati a un momento in cui la guerra non sembra avere soluzioni se non a lunghissimo tempo. Alla politica spetta aprire varchi per cercare la pace”, prima che la campagna elettorale Usa “già da marzo” cancelli l’Ucraina dall’agenda. Una bella svolta rispetto al mantra meloniano “armiamoli fino alla vittoria”.
Non che il governo abbia deciso di smettere di armarli, anzi continuerà. Ma ha capito che la vittoria, cioè la sconfitta della Russia con la riconquista delle cinque regioni occupate appartiene al mondo dei sogni (o degli incubi, visto che moltiplicherebbe per mille il rischio nucleare). Perciò Crosetto ha deciso di dire proprio ora una delle cose che si fanno ma non si dicono. Poi ci sono quelle che non si dicono, ma si sanno. Sabato, sempre alla nostra festa, il generale Mini – che dalla Toscana vede ciò che accade in Ucraina meglio di tanti che stanno in Ucraina – aveva citato gli ultimi terrificanti dati comunicati dal colonnello americano Douglas Macgregor, molto addentro al Pentagono: in 18 mesi e mezzo le forze ucraine hanno perso 400mila uomini fra morti e feriti contro i 125mila di quelle russe, e solo negli ultimi due mesi (quelli della famosa controffensiva), l’esercito ucraino ha avuto 40-50 morti e 40-50mila feriti (di cui almeno 30mila amputati, che non potranno più tornare al fronte). Più che le armi e le munizioni, stanno finendo gli uomini. Infatti Macgregor sostiene che non solo gli ucraini non possono vincere neppure se dotati di aerei e missili a lunga gittata, ma non potrebbe riuscirci neanche l’intero Occidente se inviasse truppe sul campo. Del resto Stoltenberg è ottimista perchè ora la controffensiva avanza al ritmo di “100 metri al giorno”: dunque, per recuperare territori occupati vasti quasi quanto metà dell’Italia, dovrebbe durare qualche secolo. Questi sono i dati e i fatti (e le fonti sono Usa e Nato, non la Russia): nessuno può più fingere di non conoscerli. Chiunque invierà anche solo un fucile a tappo per prolungare la carneficina ne sarà complice. Non colposo, ma volontario.
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L'HA ROVINATA 'A GUERA
l'editoriale di Marco Travaglio
13 settembre 2023
Quando un politico sistema parenti e amici nei posti pubblici, i casi sono tre. O cambia faccia, o va a nascondersi ed evita di parlarne, o dice la cosa più stupida del mondo: che il parente è un genio e, se non fosse parente, avrebbe fatto un carrierone, invece purtroppo il cognome che porta gli ha tarpato le ali del successo e bisogna risarcirlo. Ci è cascata anche la Meloni, che è tutto fuorché stupida, ma fra sorella, fidanzato, cognato, cognato del cognato, cognato del cognato del cognato ha fatto il pieno fino a esaurire l’albero genealogico, tant’è che ora pesca da quelli altrui (il cugino di Fazzolari all’Iss). Testuale: “Si sono attaccati agli organigrammi con racconti surreali di un partito chiuso e familistico e gettato fango gratuito sui familiari. Si è parlato di Arianna, militante da quando aveva 17 anni, sempre penalizzata dall’essere mia sorella”. Che la sorella e il futuro marito Lollobrigida militino fin da giovanissimi, non è una colpa, anzi. Càpita che i nuovi partiti sorgano su cerchie familiari e amicali: quando c’è da faticare per pochi voti e posti, alla porta bussano in pochi. Nulla di strano se chi ha costruito il partito dal nulla viene poi eletto e premiato. Ma c’è un limite a tutto e sta alla leader fissarlo, con senso della misura e dell’opportunità politica.
Se il fidanzato è giornalista, deve spiegargli – se non lo capisce da solo – che non può occuparsi di politica finché lei è premier, perché qualunque cosa dica si ritorcerà contro di lui e contro di lei. Se la sorella e il cognato sono consigliera e deputato, deve spiegare loro – se non lo capiscono da soli – che il potere della premier è così smisurato da rendere inopportuno cumularlo con incarichi di gran peso anche per loro. Invece la Meloni fa l’opposto, poi ci racconta che le critiche e le vignette sono “fango” e chissà dove sarebbe Arianna se di cognome non facesse Meloni. Frase non nuova per un politico familista, ma molto sciocca e controproducente. Sciocca perché ricorda la mitomania di quei tipi da bar che ti raccontano quando stavano per diventare centravanti della Juve se non li avesse bloccati il menisco (ora manca solo di sentire che Arianna, se non c’aveva ‘a malattia, se non c’era ‘a guera e nasceva nel Kansas City, a quest’ora stava a Broadway). Controproducente perché in Italia l’ascensore sociale è il santo in paradiso. Un ragazzo scippato del Reddito che cerca lavoro sulla piattaforma del governo, magari in Campania dove per le 37 mila famiglie senza Rdc le offerte sono 340, o peggio in Sicilia (38 mila e 150), scopre che Arianna vorrebbe tanto non chiamarsi Meloni e s’incazza di brutto. Se poi sente parlare Lollobrigida – doppiamente svantaggiato, in quanto marito di Arianna – e scopre che è deputato e pure ministro, mette mano alla fondina.
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GRATTERI E LA FU SINISTRA
l'editoriale di Marco Travaglio
14 settembre 2023
Casomai ce ne fosse bisogno, ieri la cosiddetta “sinistra” italiana ha dato la prova più plateale del suo disastro mentale e culturale prim’ancora che politico. Al Csm nessun suo esponente – laico e togato – ha votato per il nuovo procuratore di Napoli Nicola Gratteri. Né i consiglieri eletti dai magistrati nelle correnti progressiste Area e Magistratura democratica, né quello eletto dal Parlamento in quota Pd. Gratteri ha battuto gli altri candidati grazie ai 19 voti (su 30) dei laici di destra (FdI, Lega, FI e Iv) e del M5S, del Pg della Cassazione, dei togati di Magistratura Indipendente, di uno di Unicost e di un indipendente. Il laico Pd Romboli e la sinistra giudiziaria (Area e Md) hanno votato Rosa Volpe, ottima procuratrice reggente a Napoli da oltre un anno, ma molto meno titolata di Gratteri e senza speranze di successo. Nemmeno dopo gli inverecondi attacchi dell’avvocatura calabrese e del presidente delle Camere penali Caiazza a Gratteri, destinatario financo di scioperi ad personam, né l’escalation criminale a Caivano e dintorni, i “progressisti” si son decisi a convergere su di lui in un voto unitario di alto valore simbolico. Così hanno regalato alle destre (e ai 5Stelle) tutto il merito di aver finalmente promosso uno degli ultimi fuoriclasse della magistratura al vertice di un ufficio di prima grandezza, dopo la scandalosa bocciatura alla Procura nazionale antimafia e le rinunce “spintanee” a Roma e Milano. E hanno contribuito ad accreditare la leggenda di un Gratteri “di destra”, “giustizialista”, “manettaro”, “populista”, “complottista”, “negazionista”, “accanito”, “persecutore di innocenti”, “star”, “toga show”, addirittura “fasciogrillino” (copyright Sansonetti-Maiolo), ovviamente “professionista dell’antimafia” e altre scemenze diffuse dai professionisti della mafia e del malaffare, che in Calabria (e non solo) formano un bel partitone trasversale di destra-centro-sinistra.
Anni di campagne scatenate contro di lui da Foglio, Riformista, Unità, Domani, Dubbio, Libero e Giornale sono la miglior prova dell’imparzialità di Gratteri almeno quanto le sue indagini, che mai hanno badato al colore degli indagati, e le sue implacabili critiche alle schiforme della giustizia: da quelle degli intoccabili Draghi&Cartabia a quelle del cosiddetto ministro della Giustizia Nordio. È probabile che le destre che l’hanno votato se ne pentiranno presto, non appena Gratteri si insedierà a Napoli, farà lavorare i suoi pm a pieno ritmo come ha fatto a Catanzaro e riprenderà a dire la sua sulle intercettazioni, i delitti contro la Pa, la separazione delle carriere, i bavagli ai pm e ai cronisti. Ma intanto fanno un figurone grazie al tradimento di una sinistra acefala che scambia la legalità per giustizialismo e gli uomini liberi per fascisti.
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