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Dino

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

14 agosto 2023

Pagliaccio minimo. “Il punto è come migliorare la qualità del lavoro, oltre che la quantità. E per questo l’idea del salario minimo legale – che proponiamo tra i 9 e i 10 euro l’ora – è molto importante” (Matteo Renzi, segretario Pd, Quotidiano nazionale, 8.1.2018). “Salario minimo, le opposizioni si accordano per la soglia di 9 euro. Renzi non ci sta: Non firmiamo” (Dire, 30.6.23). “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me” (Groucho Marx).

Paragoni. “Facciamo ‘piazza pulita’ dei pregiudizi sul Reddito di cittadinanza”, “Reddito approvato!!!! Il reddito di cittadinanza è legge” (Gianluigi Paragone, senatore M5S, Facebook, 26.10.2018 e 27.3.2019). “Quel disastro a 5Stelle dei navigator. Il reddito di cittadinanza e le distorsioni del mondo del lavoro” (Gianluigi Paragone, leader Italexit, Libero, 3.8.2023). Senza parole.

Fulmini di guerra. “Reddito, effetto tagli: ritornano gli stagionali. Albergatori e ristoratori: crescono le assunzioni al Sud e nelle grandi città” (Messaggero, 3.8). Il 1° agosto hanno perso il Reddito, il 2 sono stati assunti e il 3 agosto il Messaggero aveva già la notizia in edicola. Quando si dice stare sul pezzo.

Mission impossible. “Tajani celebrato da amici e colleghi per i 70 anni: Non smetterò mai di battermi per le mie idee” (Giornale, 5.8). Non appena ne troverà una.

Conflitto d’interessi. “Brunetta cercava di imporre ai bambini i tappi del ‘socio’ contro il virus”, “Dal ministro Brunetta 40 chiamate sui tappi” (Verità, 3 e 4.8). Ma non sarà body shaming?

Good news. “Il ministro della Pa Paolo Zangrillo: Superiamo il mito del posto fisso” (Libero, 1.8). Bravo: ora dimettiti.

Che bei vedovi. “Meloni attacca le banche ‘ingiuste’. Gli istituti si preparano allo scontro”, “È un governo di vandali. Sarà il Paese a pagarne il conto”, “Le banche preparano la controffensiva” (Domani, 10.8). Il compagno De Benedetti alla testa del corteo delle Gold e delle Platinum Card.

Mai più senza. “I lettiani scendono in campo per salvare Elly dai suoi” (Unità, 5.8). Elly sta già cercando qualcuno che la salvi dai lettiani.

Di tutto di più. “Angelo Mellone, direttore Daytime: Questa Rai è la più pluralista. Normale cambiare i conduttori. Mi piacerebbe un programma che spinga la natalità” (Corriere della Sera, 31.7). Prossimamente su RaiPorn.

Voto di scambio. “Il ministro Ciriani: Reddito di cittadinanza utile solo a prendere voti” (Stampa, 31.7). Invece 13 condoni in nove mesi li fanno perdere.

Agenzia Stica**i/1. “L’estate della premier. Burraco, privacy, famiglia e la piscina a forma di cuore: le vacanze di Giorgia Meloni nella masseria blindata. In Puglia per Giorgia Meloni né uscite pubbliche né visite. L’ipotesi di spostarsi all’estero” (Corriere.it, 13.8). Privacy blindata.

Agenzia Stica**i/2. “Costa Smeralda. Il magnate e petroliere iraniano Hormoz Vasfi ha ritrovato il sorriso… All’Hotel Cala di Volpe, luogo a cui è particolarmente legato, ha inaugurato la stagione estiva. Svestito dalla giacca e dalla cravatta a cui ci ha abituato, immancabile anche nelle numerose serate di gala e raccolta fondi che sostiene e finanzia, si mostra con lo sguardo spensierato, sorridente e una forma fisica smagliante. Ad accompagnarlo, tra sguardi complici, teneri baci e intreccio di mani, la bellissima Zoe Mallucci. Segni particolari: biondissima e dal fisico mozzafiato. Tra i due la sintonia è palpabile, vibrante. La neo coppia, particolarmente discreta e attenta alla loro privacy, non ama apparire insieme sui social, preferiscono vivere il loro neo amore, in maniera intima e riservata. Il tempo per coltivare il loro amore è sempre troppo poco e non deve essere sprecato, dati i numerosi impegni che vedono Hormoz Vasfi impegnato per affari in tutto il mondo e in maniera particolare in Asia centrale. La loro prima apparizione pubblica risale al charity dinner organizzato a Roma, il 22 giugno scorso, in favore di Anlaids… Il mecenate dimostra, ancora una volta, di riuscire a ritagliarsi tempo per sé e per coltivare un nuovo amore che lo fa sorridere e per ricercare spazi per i suoi interessi che spaziano dall’arte alla musica, con un’attenzione spiccata verso le cause benefiche…” (Adnkronos, 2.8). Stavamo giusto in pensiero.

Il titolo della settimana/1. “Commercianti, balneari, pescatori. La destra nelle mani delle lobby” (Repubblica, 10.8). Il giornale degli Agnelli-Elkann-Stellantis-Fca denuncia la temibile lobby dei pescatori: tutto vero.

Il titolo della settimana/2. “La norma sugli extramargini è demenziale: pare il governo Conte”. Parla l’ex ministro Tria” (Foglio, 10.8). Ministro del governo Conte, ça va sans dire.

Il titolo della settimana/3. “Il Reddito è costato 31 miliardi. Ma non dà lavoro” (Messaggero, 4.8). Infatti è fatto apposta per chi non ne ha uno.

Il titolo della settimana/4. “Ombre russe sui concerti. Sul web i biglietti degli eventi finiscono in pochi minuti, il 95% va a hacker di Mosca” (Stampa, 7.8). Mi sa che ha stato Putin. O la Wagner, a scelta.

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AGENDA DRAGULA.

L'editoriale di Marco Travaglio

15 agosto 2023

Il successo della campagna e della petizione delle opposizioni (quindi esclusa Iv) sul salario minimo, che costringe la Meloni a tragicomici contorsionismi, dimostra la debolezza di un governo che pareva invincibile. Ma anche la malafede di chi scopre il salario minimo legale e fino all’altroieri lo avversava per un’unica ragione: come quasi tutte le buone idee che dominano il dibattito politico da anni -Rdc, dl Dignità, taglio dei parlamentari e dei vitalizi, Spazzacorrotti, Superbonus, transizione green – era dei 5Stelle, dunque farina del diavolo. Ora che l’hanno scoperta il Pd e Calenda, è pane degli angeli. Un giorno qualcuno calcolerà le occasioni perse dall’Italia per questo folle pregiudizio anti-“grillini”. E quante ne perderà ancora, visto che il governo riesuma la prescrizione modello Cirielli-Orlando che falcidia 100mila processi l’anno e smantella la Bonafede che la blocca dopo la sentenza di primo grado. Nel silenzio del Pd e con la complicità di Renzi e Calenda.

I giornali “progressisti” di Elkann e De Benedetti si spellano le mani perché le opposizioni sposano il ddl Conte sul salario minimo. Ma dimentica che questo sarebbe già legge da due anni, se nel 2021 non fosse stato rovesciato il Conte 2 col loro plauso; o se Draghi non l’avesse espunto dal Pnrr. Era il 26 aprile 2021 e Supermario, prima di consegnarlo all’Ue, ne presentò al Parlamento l’ultima versione. Che differiva da quella di pochi giorni prima in un solo paragrafo: era sparito limpegno di Conte per una “rete universale di protezione dei lavoratori” con il “salario minimo legale” per i “lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva nazionale, a garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e idonea ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa”. Solo sei mesi prima la Commissione Ue aveva sollecitato gli Stati membri a introdurre un salario minimo garantito. Quindi a Draghi non lo chiedeva l’Europa, ma Confindustria, mezzo sindacato e gli altri padroni del vapore. Il ministro del Lavoro Orlando non fece un plissé. Conte, un anno dopo, presentò a Draghi nove misure sociali, fra cui il salario minimo, per sostenere ancora il governo: nessuna risposta dal premier, silenzio dal Pd. Draghi ne parlò solo nel harakiri del 20 luglio in Senato: per non avere la fiducia dei 5S, stracciò le loro bandiere (Rdc e Superbonus) e sul salario minimo escluse sprezzante un “diktat del governo sul contratto di lavoro”. Il Pd gli votò la fiducia da solo, isolò Conte e con la stampa al seguito seguitò a menarla con l’”Agenda Draghi” senza salario minimo legale. Oggi pare che a non volerlo siano solo le destre. Ma è così difficile dire “ci eravamo sbagliati” e “l’Agenda Draghi era l’Agenda Dracula”?

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TRUFFE D'ASSALTO

l'ditoriale di Marco Travaglio

17 agosto 2023

Ora che anche il numero 2 della Nato parla come Orsini, ci aspettavamo un aggiornamento delle liste dei putiniani made in Corriere&Repubblica. Invece i nostri atlantisti preferiti battono la fiacca, dispersi in chissà quale località balneare. E si lasciano sfuggire l’occasione di smascherare l’ultimo pacifinto al soldo del Cremlino che vuole la resa dell’Ucraina e confonde aggressore e aggredito: Stian Jenssen, capo di gabinetto del segretario generale Jens Stoltenberg. Il quale, senza che Johnny Riotta, Sambuca Molinari e il duo Sarzanini-Guerzoni facessero una piega, s’è permesso di dichiarare: “La soluzione potrebbe essere che l’Ucraina ceda suoi territori in cambio dell’adesione alla Nato”. E di spiegare che la controffensiva ucraina è ormai mission impossible: lo stallo dura praticamente intatto da un anno, le regioni occupate di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zhaporizhzhia restano in mano della Russia che “sta lottando enormemente, ma sembra irrealistico che possa conquistare nuovi territori. Piuttosto la questione è cosa l’Ucraina riuscirà a riprendersi”. Anche perchè a settembre torneranno la pioggia e il fango a impantanare tutto. Par di sentire, oltre ai “putiniani” del Fatto, il generale Mark Milley, capo di Stato maggiore Usa, che lo diceva già l’11 novembre. Se gli avessero dato retta allora, l’Ucraina si sarebbe risparmiata otto mesi di bombardamenti, immani distruzioni e decine di migliaia di morti.

Di questo, ora che l’ha capito anche il vertice Nato, dovrebbero discutere i governi europei per far cessare subito l’inutile strage sposando senza indugi le iniziative diplomatiche del Vaticano e della Cina. Nell’interesse non di Putin, ma del popolo ucraino e dell’Europa. E, nell’Ue, i più attivi dovrebbero essere i governi “sovranisti”, a partire dal nostro. Invece tutti tacciono, aspettando non si sa bene cosa, anzi si sa benissimo: altre stragi e devastazioni, finché sua maestà Joe Biden o chi verrà dopo chiuderà i rubinetti degli armamenti e dei miliardi, abbandonando l’Ucraina al suo destino. Possibile che nemmeno l’uscita del braccio destro di Stoltenberg svegli dal letargo i nostri intellettuali e i nostri media, per non parlare del Pd, tutti stancamente accucciati su un atlantismo di maniera che non convince più nessuno e non serve a nulla? Ieri, dopo la svolta della Nato, il sito di Rep tentava di alzare il morale della truppa con un titolo degno di Lercio e Osho: “La previsione di Bellingcat: ‘Tra sei mesi Prigozhin sarà morto o ci sarà un altro golpe in Russia’”. Noi non sappiamo se fra sei mesi Putin e Prigozhin saranno vivi o morti. Ma sappiamo che migliaia di ucraini oggi vivi saranno morti, per giunta invano. E la colpa sarà di chi non avrà fatto nulla per salvarli.

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URSO ALLA POMPA

l'editoriale di Marco Travaglio

18 agosto 2023

Se le nostre vite non dipendessero da loro, dovremmo ringraziare i ministri meloniani per il buonumore che ci regalano, al punto da farci sospettare che esistano proprio per divertirci. Era dai tempi del duo comico Fontana&Gallera che non si rideva tanto. Avevamo appena finito di scompisciarci per il fantozziano summit dei direttori dei musei strappati alle ferie dall’instancabile Sangiuliano nel giorno di Ferragosto e costretti a muovere le bocche a favore di telecamere in sincrono con lui per dimostrare che avevano un sacco di cose da dire e da fare, quando sul Messaggero ci è caduto l’occhio sulla minchiata dell’estate (non diciamo dell’anno perché mancano quattro mesi e mezzo). Riguarda il 17° rialzo dei prezzi dei carburanti in 17 giorni ed è firmata dal sagace ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso: “Il prezzo industriale della benzina depurato delle accise è inferiore rispetto ad altri Paesi Ue come Francia, Spagna e Germania”. Ma tu pensa: senza le accise, la benzina costerebbe meno. Il guaio è che le accise ci sono, e fra le più alte d’Europa: perciò la benzina ci costa più che ai finlandesi, francesi, tedeschi, belgi, svedesi, inglesi, spagnoli e austriaci. E in una settimana ha fruttato allo Stato un extragettito di 2,2 miliardi, più di quello che il governo vuole (forse) prelevare alle banche.

Quindi, ricapitolando. Giorgia Meloni vince le elezioni dopo dieci anni di campagne (sue e di Salvini) e pittoreschi video alla pompa contro lo scandalo, la vergogna, l’obbrobrio dei governi che non aboliscono le accise; poi va al governo e non le abolisce, anzi abolisce il taglio di 30 centesimi al litro introdotto da Draghi (che, al confronto con questa destra a sociale, era Che Guevara); siccome il prezzo impazzisce, addita fantomatici “speculatori” e sguinzaglia la Guardia di Finanza (che spende un capitale in benzina); poi crede di risolvere il problema imponendo ai benzinai di esporre i cartelli col prezzo medio nazionale, invece lo aggrava perché innesca una corsa al rialzo con effetto domino; Salvini però precisa che, sopra i 2 euro al litro, il governo interverrà, ma ora siamo sopra i 2 euro e il governo resta in ferie. E quel gran genio di Urso spiega che l’ideona dei cartelli è “risultata pienamente efficace nel contrastare la speculazione” (infatti l’ha incoraggiata e legittimata) e non dobbiamo preoccuparci perché, se non ci fossero le accise, la benzina costerebbe meno. Ma va? Il fatto che lui stia al governo perché la sua premier e il suo vicepremier avevano promesso di abolirle è un dettaglio che a lui sfugge. Ma temiamo non sfugga agli elettori automuniti che, se non fossero spiritosi come lui, attenderebbero con ansia di incontrarlo mentre attraversa la strada.

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FATEGLI UN DISEGNINO

l'editoriale di Marco Travaglio

19 agosto 2023

FATEGLI UN DISEGNINO
Ormai alla lista dei putiniani manca solo Biden, ma pare che anche lui si stia convincendo a iscriversi. E noi dobbiamo prepararci a difendere Zelensky&C. dall’affettuosa brutalità con cui gli atlantisti li scaricheranno dall’oggi al domani, come han già fatto con afghani, iracheni, siriani e “primavere arabe”: prima illusi e armati, poi abbandonati al loro destino o al golpista-tagliagole di turno. Dopo il numero 2 della Nato, anche l’intelligence fa sapere che la controffensiva ucraina sta mancando l’“obiettivo principale” di riprendere Melitopol e “tagliare il ponte terrestre fra Russia e Crimea”. Amen. Ma attenzione, il flop non è solo ucraino: è della celebre “Nato allargata” (40 Paesi) che da mesi annuncia l’imminente vittoria contro i russi “isolati”. È la Nato che le sta buscando, tramite l’esercito più armato d’Europa, dalla disastrata “armata rotta” russa. È la conferma che l’ideona di affidare alle armi la soluzione di una crisi regionale trasformandola in conflitto mondiale per procura era una follia e un autogol: ora Putin potrà ritorcere la propaganda occidentale contro la Nato, dipingendosi come il Davide solitario che respinge il Golia a 40 teste.

È il momento di avvisare, oltre alle nostre Sturmtruppen da sofà, Zelensky e la sua cerchia, che continuano a ragionare, parlare e agire come se stessero vincendo loro. Pretendono sempre nuove armi (ora è la volta degli F-16), come se alla riconquista delle cinque regioni occupate e annesse dai russi fosse questione di minuti. E dettano bizzarre condizioni per il negoziato: che, riguardando la guerra fra Russia e Ucraina, dovrà escludere la Russia. Un po’ come se, dopo la guerra del Kippur persa nel 1974 contro Israele, l’egiziano Sadat avesse avvertito gli Usa che a Camp David avrebbe incontrato tutti fuorché l’israeliano Begin. Lo scrive a Rep Andriy Yermak, consigliere di Zelensky: ammette, bontà sua, che “la vittoria e la pace non saranno raggiunte solo sul campo di battaglia”; poi ricomincia a dare ordini, farfugliando di un “modello in 3 fasi per la Formula di Pace in 10 fasi”, ovviamente “giusta”, cioè con “l’isolamento della Russia”, che intanto dovrà fare la cortesia di ritirarsi dalle cinque regioni. Purtroppo, tra una fase e l’altra, si scorda di spiegare perché mai Putin dovrebbe ritirare le truppe che l’invincibile armata non riesce neppure a scalfire. Prima o poi qualcuno, magari da Washington, spiegherà con un disegnino a Zelensky&C. che non sono più in grado di porre condizioni: dovranno prendere quello che arriverà. E sarà molto meno di ciò che avrebbero ottenuto negoziando subito prima o subito dopo l’invasione russa: 500mila vittime fa, quando chi li invitava a negoziare nel loro interesse passava per un fottuto putiniano.

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SOVRANISTI D'ALBANIA

l'editoriale di Marco Travaglio

20 agosto 2023

Non si placano le polemiche sulle vacanze del premier Giuseppe Conte e dei suoi cari che, dopo alcuni giorni in una lussuosa masseria pugliese, hanno proseguito in Albania, ospiti del presidente socialista Edi Rama. Stupore e incredulità per la presenza nella comitiva del cognato del premier, che è anche ministro dell’Agricoltura e del Made in Italy, nella peggiore tradizione familista e nepotista dei 5Stelle; e ancor più quella della fidanzata dell’“avvocato del popolo”, conduttrice di un programma politico su una tv nazionale riservato ai presunti miracoli del governo del fidanzato: l’ennesimo conflitto d’interessi grillino che il centrodestra, in particolare Forza Italia, denuncia con sdegno. Ma le polemiche delle opposizioni sovraniste si appuntano soprattutto sulla scelta dell’Albania, quantomai inopportuna: lo sbarco di Conte&C. a Durazzo coincide col record di oltre 100 mila migranti africani sulle coste italiane; e con la transumanza di decine di migliaia di famiglie italiane che, stritolate dal caro-mutui, dal caro-prezzi e dal caro-benzina nell’indifferenza del governo (che anzi impone accise da paura sui carburanti), preferiscono alle spiagge italiane quelle molto più convenienti del Paese balcanico. A gettare altra benzina sul fuoco c’è poi la decisione del premier di saldare tramite l’ambasciata italiana a Tirana il conto di un ristorante lasciato da pagare da alcuni turisti italiani. Una mossa che il leader di Italia Viva definisce altamente diseducativa, ma tipica dell’assistenzialismo divanista del padre del Reddito di cittadinanza e di altri bonus a pioggia, perché d’ora in poi tutti i morosi e i portoghesi si sentiranno legittimati a non pagare il dovuto e penseranno che sia lecito persino campare a sbafo di capi di Stato o di governo.

“Paga Contalone”, è l’icastica apertura di Libero, il cui direttore Alessandro Sallusti dedica alla destinazione albanese l’editoriale dal titolo puntuto “Il Conte d’Albania”. Vittorio Feltri rinverdisce i fasti della “Patata bollente” (Virginia Raggi) con un altro sapido calembour dei suoi sul caro-carburanti: “Pompe e pochette”. Anche il Giornale picchia duro, col commento di Augusto Minzolini dal titolo evergreen “Campagna d’Albania: il Conte Max ci svende a Tirana”. Il Riformista si concentra invece sulle contraddizioni fra le vacanze contiane e l’emergenza migranti irrisolta in patria: “Conte da sbarco”. La Verità punta il dito sui sui loschi rapporti d’affari che legherebbero Conte, la sua compagna, Edi Rama e il suo consulente Massimo D’Alema, nel sarcastico editoriale di Daniele Capezzone “La Rama e la fava”.

Ps. Ci informano che il presidente del Consiglio non è Giuseppe Conte, ma Giorgia Meloni, dunque nessuna polemica: è donna e pure sovranista.

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PAGOGIORGIAMAT

l'editoriale di Marco Travaglio

21 agosto 2023

Il sistema PagoGiorgiamat, pratico e immediato, inaugurato dalla premier in Albania non si limiterà al conto di 80 euro non saldato da quattro scrocconi italiani nel ristorante di Berat. Il beau geste della Meloni – che almeno gli 80 euro a scopo propagandistico-elettorale li prende dalle tasche sue e non dalle nostre (diversamente da un noto statista ora decaduto) – si ripeterà per altri conti ben più salati non pagati da connazionali ben più vicini a lei. L’ha lasciato chiaramente intendere lei stessa quando, rientrata in patria, nell’ansia di “non dare visibilità all’evento” (Corriere), ha dichiarato: “Mi sono vergognata: l’Italia che voglio rappresentare non fa parlare di sé all’estero perché non rispetta il lavoro altrui o pensa di essere divertente fregando gli altri”. E con noi sfonda una posta aperta. Soprattutto se, come fa trapelare Palazzo Chigi, il prossimo beau geste sarà quello di risarcire di tasca sua i dipendenti di Visibilia lasciati senza stipendio né contributi da Daniela Santanché, evidentemente refrattaria al “rispetto del lavoro altrui”. Dopodiché la premier provvederà a risarcire i creditori delle società della sua ministra del Turismo, indebitate col fisco per 1,2 milioni e con le banche per 4,5 milioni; ma anche l’Inps che le versò la cassa integrazione Covid per addetti che continuavano a lavorare.

Subito dopo, per distinguersi dalle opposizioni che “preferiscono l’Italia che non paga”, Giorgia Meloni metterà mano al portafogli per rifondere la Regione Piemonte dei 25 mila euro fregati da Augusta Montaruli, vicepresidente FdI della commissione di Vigilanza Rai, che si fece rimborsare con soldi pubblici spese private tipo capi Hermès, borsa Borbonese, cristalli Swarovski, gianduiotti, omaggi floreali natalizi, orecchini, Swatch, lavanderia, sigarette, ristoranti di lusso, piadinerie, gelaterie, fast food, pub e due libri: Mia suocera beve e Sexploration. Giochi proibiti per coppie (titoli che le valsero l’automatica promozione a sottosegretaria all’Università e Ricerca). Poi, per non farsi parlar dietro e dare uno schiaffo morale al vicepremier Matteo Salvini, romperà il salvadanaio e restituirà allo Stato i 49 milioni di finanziamenti pubblici indebiti rubati dalla Lega. Sennò potrebbero sospettarla di vergognarsi più per quattro mangiapane a ufo che si fregano 80 euro, che per un partito alleato che se ne inguatta 625mila volte tanti. Alla fine, se avanzerà qualche spicciolo, userà il PagoGiorgiamat per restituire agli automobilisti i 4 miliardi di extragettito a colpi di accise e di Iva sui carburanti, imposte dal suo governo dopo aver vinto le elezioni promettendo abolirle, o almeno di tagliarle. Non sia mai che qualcuno, in Albania o in Italia, accusi proprio lei di taglieggiare gli italiani con il “pizzo di Stato”.

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STRACCI E VANNACCI.

l'editoriale di Marco Travaglio

22 agosto 2023

Sul trasloco del generale Vannacci si leggono commenti, se possibile, ancor più demenziali del libro che li ha provocati. La destra invoca l’articolo 21 della Costituzione. Da sinistra risponde la Schlein che “la Costituzione non mette tutte le opinioni sullo stesso piano”. E sbagliano tutti. L’ufficiale comandava l’Istituto geografico militare e i suoi capi, il ministro della Difesa Crosetto e lo Stato maggiore, hanno ritenuto alcune frasi del suo libro Il mondo al contrario incompatibili col decoro dell’istituzione. Ma non gli hanno proibito di dire ciò che pensa: gli han tolto l’incarico. Noi pensiamo che abbiano fatto benissimo, altri (Elena Basile a pag. 9) no. L’importante è inquadrare la questione nei giusti termini: la libertà di espressione è sacra, visto che la Carta tutela tutte le idee senz’alcuna gerarchia (con buona pace della Schlein), ma qui c’entra come i cavoli a merenda.

Le libertà non hanno limiti, salvo quelli fissati dalla Costituzione e dalla legge. Io sono libero di bere alcol e di guidare l’auto, ma non consecutivamente né simultaneamente: la legge lo vieta a tutela dell’incolumità pubblica. Se un giudice pensa peste e corna del suo imputato, non deve dirlo: se lo dice, deve astenersi in nome dell’imparzialità del processo. Se un avvocato pensa che il cliente sia colpevole, non deve dirlo: se lo dice, risponde di infedele patrocinio. Abbiamo difeso il diritto di Marcello De Angelis a farneticare sulla strage di Bologna senza perdere il posto di portavoce della giunta laziale perché non è un pubblico ufficiale. Ma Vannacci è un militare che ha giurato sulla bandiera “di essere fedele alla Repubblica… di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri del mio Stato”. E la Costituzione “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (art. 2) e afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3). Vannacci ritiene invece che i gay “non sono normali”, “la normalità è l’eterosessualità” e “la Natura a tutti gli esseri sani ‘normali’ concede di riprodursi”; e, “piaccia o no, non nasciamo uguali, quindi chi arriva in Italia dovrebbe ringraziare immensamente per la compassione”. Inclusa Paola Egonu: “è italiana di cittadinanza, ma i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità”. Liberissimo il generale di pensare questo mix di nefandezze e idiozie: se però lo rende pubblico, tradisce il giuramento sulla Costituzione. Infatti ripete orgoglioso di avere scritto il libro “contro le minoranze”. Ma la Repubblica democratica che ha giurato di difendere in armi è nata proprio per tutelare le minoranze. Le maggioranze si tutelano da sole.

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PROSCIUTTO O DOLLARI?

l'editoriale di Marco Travaglio

23 agosto 2023

Proviamo per un attimo a dimenticare l’aspetto tragico della guerra russo-ucraina con i suoi 500mila fra morti e feriti. E a concentrarci sulla farsa che contraddistingue ogni tragedia mondiale appena varca la frontiera italiana. Domanda: ma cosa annebbiava la vista degli “esperti” dei grandi giornali e tv, compresi quelli sul campo, quando vedevano epici trionfi ucraini e umilianti disfatte russe, effetti balsamici delle armi della “Nato allargata” contro i fuciletti a tappo dell’“armata rotta” senza munizioni né uomini, imminenti default di Mosca col contorno di golpe contro Putin (sempreché ci arrivasse vivo, affetto com’era da tutte le patologie note in letteratura medica), maledetto dal suo popolo e isolato dal mondo? Lenti deformanti? Prosciutto? Dollari? Sterline? Ci dicano.

No, perché noi del Fatto, oltre ai reportage dei nostri inviati e collaboratori cacciati dall’Ucraina perché non allineati alle veline del regime “democratico”, avevamo la fortuna di leggere le analisi di Barbara Spinelli, Fabio Mini, Alessandro Orsini, Elena Basile. I quali, da Parigi, dalla Versilia e da Roma, riuscivano a vedere distintamente ciò che i grandi strateghi di Nato, Usa, Ue e grandi media nostrani, muniti di satelliti, droni, intelligence, algoritmi, report, analisti, centri studi, think tank, non riuscivano proprio a rilevare. Escludendo un caso di cecità collettiva anzi planetaria, l’unica risposta plausibile è che i fabbricanti di fake news per la propaganda di guerra (scontata per tenere alto il morale delle truppe al fronte e il consenso delle opinioni pubbliche nelle retrovie) se ne facessero guidare, illudendo gli ucraini e pure se stessi sulla grande vittoria alle porte. Così, mentre Putin diffondeva le sue balle ma si guardava bene dal crederci, tant’è che continuava a correggere il tiro, cambiando generali, tattiche e strategie in base all’andamento delle operazioni, i nostri eroi si bevevano le panzane che raccontavano e scacciavano come grilli parlanti i pochi veri esperti, tipo il generale Milley, che suggerivano di negoziare prima della grande sconfitta. Era già accaduto con l’Afghanistan e l’Iraq: l’intera stampa Usa si era adagiata sulle fake news di Bush jr.. Ma, quando quelle furono smentite, direttori di giornali e tv chiesero scusa al popolo americano e molti si dimisero o furono licenziati. Infatti sull’Ucraina l’informazione Usa ha sempre fatto il controcanto alla Casa Bianca e al sottostante Zelensky. In Italia, oggi come allora, i signorini grandi firme hanno fatto da trombette alle veline di Washington, Londra e Kiev. E oggi che i fatti si incaricano di sbugiardarli, scrivono pezzi che sembrano usciti dalle penne di Spinelli, Mini, Orsini e Basile, ma sempre fischiettando, come se i bugiardi non fossero loro.

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PARLIAMO DELL'ELEFANTE

l'editoriale di Marco Travaglio

24 agosto 2023

Se fosse padrona di giornali e tv come la Buonanima, la Meloni ordinerebbe loro di descriverla esattamente come la rappresentano senza bisogno di ordini. E detterebbe loro la stessa agenda che spontaneamente sciorinano ogni giorno. È in difficoltà sul salario minimo, che spopola anche fra i suoi elettori grazie a una delle poche mosse azzeccate dall’opposizione unita? Parliamo del generale Vannacci e del suo libercolo di scemenze, con l’effetto collaterale di fargli vendere un sacco di copie e di lanciare la sua campagna elettorale prossima ventura. Lascia soli (o col generale Figliuolo, che è pure peggio) i terremotati della Romagna e fa incazzare i sindaci, anche di centrodestra, per gli sbarchi incontrollati di migranti che aveva promesso di fermare col blocco navale e l’inseguimento degli scafisti in tutto l’orbe terracqueo? Parliamo delle sparate sulla strage di Bologna del portavoce del Lazio De Angelis, di cui ora si scopre pure una canzone antisemita del lontano 1978. S’infila nel vicolo cieco delle accise sulla benzina che aveva giurato di abolire o di tagliare, mentre l’unica cosa che ha tagliato è il taglietto di Draghi? Parliamo di Salvini che ricicla la vecchia superc***ola della castrazione chimica per gli stupratori (salvo i figli dei membri, parlando con pardon, della maggioranza). Fa uno spottone all’Albania che si prende i nostri turisti in fuga dal caro-prezzi, caro-benzina, caro-mutui, caro-tutto? Parliamo del sovranismo della destra al potere, senza specificare che è a sovranità limitata, appaltato ora a Tirana, ora a Washington, ora a Bruxelles. Non riesce a spiegare perché preleva un grammo di extraprofitti delle banche, ma risparmia industrie di armamenti, case farmaceutiche e assicurazioni? Parliamo delle povere banche affamate dalla destra populista. Si ritrova in brache di tela sulla guerra in Ucraina dopo avere sposato il più ottuso atlantismo, mentre l’annunciata vittoria dell’amico Zelensky si allontana e le auto-sanzioni distruggono l’economia italiana ed europea? Applausi e incoraggiamenti a perseverare nell’errore anche contro la Cina, rovinando i nostri commerci con l’uscita dalla Via della Seta. Abiura alla destra legalitaria e anti-casta con le uscite alcoliche di Nordio, la nostalgia di Salvini per le Province e quella di FI per il finanziamento pubblico? Parliamo di un suo vecchio libro scritto con Meluzzi sulla popolarissima mafia nigeriana.

Funziona così: le rare volte che ne azzecca una, la si critica. Tutte le volte che pesta una cacca, si parla d’altro: possibilmente non di fatti che incidono sulla vita dei cittadini, ma di parole e sparate che non fregano niente a nessuno. Se domattina i grandi giornali e le tv sparissero, lei dopodomani li rifarebbe tali e quali.

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IL MINISTRO GINO

l'editoriale di Marco Travaglio

25 agosto 2023

Attanagliato dal sospetto che gli preferissimo Nordio e Sangiuliano, il ministro Lollobrigida ce l’ha messa tutta per entrare nelle nostre grazie. E, dobbiamo riconoscerglielo, ci è riuscito. Le sue uscite su “sostituzione etnica” ed “etnia italiana”, che ne avevano fatto l’idolo del Ku Klux Klan e l’antesignano del generale Vannacci, non erano male. E neppure l’alibi di ferro sfoderato per discolparsene: “Sono ignorante, non razzista”, che poi è il motto dell’intero governo. Ma c’era sempre un che di fuori tema o di fuor d’opera, nelle sue esternazioni, essendo lui il ministro dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare. Mancava una bella scempiaggine attinente alle deleghe spiritosamente assegnategli dalla premier-cognata. E ieri è arrivata nel luogo più consono: il Meeting di Rimini, dove l’uditorio applaudirebbe anche il gobbo del Quarticciolo, il Canaro della Magliana e la saponificatrice di Correggio. Lì, fra le standing ovation, Francesco Lollobrigida detto Gino ha testualmente espettorato: “L’ho detto spesso agli amici degli Stati Uniti, e lo condividono anche loro (lui infatti è solito rivolgersi direttamente alle nazioni, non si sa in quale lingua, e quelle gli rispondono, ndr): sono un grande popolo, ci hanno liberati, ci hanno difesi e lo fanno ancora; ma su una cosa non ci possono insegnare niente, a mangiare”. Già, perché in Italia “c’è una grande educazione alimentare, anche interclassista: infatti da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi perché cercando dal produttore l’acquisto a basso costo comprano qualità”.

Basta andare nei negozi di prodotti naturali, biologici, chilometro zero per trovare file di mendicanti da far invidia alla Caritas e a Sant’Egidio. I ricchi invece sono tutti a sfondarsi nei McDonald’s, dai kebabbari e nei baracci più malfamati. Ecco perché il governo ha deciso di moltiplicare i poveri levando il reddito di cittadinanza, negando il salario minimo e lasciando impazzire i prezzi al carrello e alla pompa su pressione della potente lobby dei nullatenenti. Non per far la guerra ai poveri, ma per migliorare la qualità della loro alimentazione e consentire anche agli ex benestanti, finalmente piombati nella miseria, di assaporare le delizie della migliore cucina italiana. Ora, per dire, è allo studio un nuovo sms dell’Inps con le istruzioni per la tessera annonaria Dedicata a Te: “Se sei fortunato avrai 382,5 euro l’anno, ma potrai spenderli solo al banco del contadino e al negozio bio”. Novità anche in quello che leverà il Rdc ai pochi che ancora lo prendono: “Ora che sei diventato o tornato povero, sappi che lo facciamo per migliorare la tua dieta. A proposito: hai mai provato il digiuno intermittente? Mangi la prima settimana e salti le altre tre. È una figata, i ricchi se la sognano”.

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UNA CATENA D'AFFETTO

l'editoriale di MarcoTravaglio

26 agosto 2023

La promozione di Arianna Meloni, sorella di Giorgia e moglie del di lei cognato Francesco Lollobrigida, a capo della segreteria FdI ha ingiustamente oscurato quella di Giovanbattista Fazzolari a responsabile Comunicazione del governo, dopo la prematura dipartita di Mario Tafazzi Sechi, protagonista dell’epica conferenza stampa di Cutro e di altre immani sciagure, dunque prossimo direttore di Libero. Fazzolari, detto “Spugna” per le doti di incassatore, è stato definito dalla premier “la persona più intelligente che abbia conosciuto” (figurarsi le altre). E cumula il nuovo incarico a quello di sottosegretario all’Attuazione del Programma, che comprensibilmente gli lascia molto tempo libero. Essendo un ex dirigente della Regione Lazio laureato in Economia, non sa nulla di comunicazione, ma questo è un vantaggio rispetto a Sechi che se ne intendeva. Il guaio è un altro: in un governo di spara-cazzate seriali, il portavoce dovrebbe correggerle, scoraggiarle o limitarle al minimo: lui invece ne è un generatore automatico in proprio: l’equivoco sulle lezioni di pistola a scuola; le dichiarazioni di guerra alla Francia e all’Ue; e il bombardamento su Bankitalia, che osava criticare le norme anti-Pos e pro cash, e che lui definì “partecipata da banche private” e quindi innamorata “della moneta elettronica privata del circuito bancario” (è il suo modo di definire i bancomat e le carte di credito, notoriamente ignoti nel resto del mondo). Gli andò dietro solo l’on. Filini, che non è il ragioniere di Fantozzi, ma nientemeno che il responsabile del Centro studi di FdI, ora promosso capo-dipartimento Programma.

Ecco: se Fazzolari sarà il comunicatore, chi rettificherà le sue fazzolate? Urge un comunicatore sul comunicatore. E, siccome la Meloni diffida di tutti gli altri i suoi (e fa benissimo) e si fida solo della cerchietta famigliare (e fa malissimo), si teme che la scelta del vice-comunicatore non possa che ricadere su un parente stretto. Già, ma quale? La famiglia, pur allargata, è già tutta piazzata e, come disse il Sassaroli al Melandri in Amici miei, “è tutta una catena di affetti che né io né lei possiamo spezzare”: Meloni a Palazzo Chigi, il compagno Giambruno a Rete4, la sorella Arianna a FdI, il cognato Lollo all’Agricoltura, la segretaria di Lollo nella Fondazione An con Arianna, la madre dell’ex portavoce di Giorgia, Nicola Procaccini (Maria Burani) alla Consulta del dialogo interreligioso, l’ex cognato Marcello De Angelis (fratello dell’ex fidanzato di Giorgia) portavoce della giunta laziale, il cognato di De Angelis (Edoardo Di Rocco) nello staff di De Angelis, la migliore amica di Giorgia (Milka Di Nunzio) al ministero dello Sport. Non manca più nessuno, solo non si vedono i due liocorni.

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NON APRITE QUELLE PORTE

l'editoriale di Marco Travaglio

27 agosto 2023

Mentre la libera stampa insegue l’ultima minchiata del penultimo ministro e del generale Catenacci o come diavolo si chiama, un trust di 26 cervelli messo insieme da Nordio a sua immagine e somiglianza partorisce la bozza di decreto attuativo della legge delega sull’ordinamento giudiziario escogitata da quell’altro genio della Cartabia. Con due ideone. La prima – nata dalla fertile mente dell’ex forzista e ora calendiano Costa – è una nuova voce nel “fascicolo per la valutazione del magistrato”: quella sul “complesso dell’attività svolta, compresa quella di natura cautelare”, la “tempestività nell’adozione dei provvedimenti” e le “gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi”. Il Csm dovrà tenerne conto per valutare promozioni, sanzioni e radiazioni (automatiche con due bocciature consecutive). La seconda genialata è quella che gli italiani hanno bocciato appena un anno fa bocciando i referendum contro la giustizia: far giudicare i magistrati nei Consigli giudiziari (le sezioni locali del Csm) anche dagli avvocati. A Palermo, per dire, il legale di Messina Denaro potrebbe dire la sua sul pm e il gip che hanno scovato e arrestato il suo cliente.

Il combinato disposto delle due ideone sarà una magistratura ancor più intimorita, pavida, conformista e riverente al potere di quanto già non sia dopo le cure da cavallo degli ultimi 25 anni. Se la carriera dei magistrati dipende dal giudizio degli avvocati e ancor di più dalle conferme dei loro provvedimenti nei successivi gradi di giudizio, le conseguenze possono essere solo due, entrambe nefaste. Molti giudici saranno portati a confermare le decisioni dei colleghi sottostanti, anche se non le condividono, per salvare loro la carriera (l’“appiattimento” sempre deplorato dai “garantisti”). E molti pm, gip e gup saranno indotti a chiudere gli occhi sui delitti dei potenti e ad archiviare i processi più complessi (quelli indiziari, senza pistole fumanti o confessioni), nel timore o nella certezza che i colleghi di tribunale, appello e Cassazione vedano il bicchiere mezzo vuoto o cerchino il pelo nell’uovo per allontanare l’amaro calice. Quando Falcone e Borsellino istruirono il maxiprocesso a Cosa Nostra, Corrado Carnevale divenne presidente della I sezione della Cassazione, monopolista dei processi di mafia. E iniziò a cassare condanne e arresti di mafiosi (500 in tutto) guadagnandosi la fama di “ammazzasentenze”. Ma Falcone e Borsellino continuarono ad arrestare e a processare mafiosi fino all’estremo sacrificio, perché nessuno poteva cacciarli per gli annullamenti dei loro provvedimenti. Con i “riformatori” di oggi, Cosa Nostra avrebbe risparmiato un bel po’ di guai. E di tritolo.

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IL GIORNO DELLA MAROMOTTA

l'editoriale di Marco Travaglio

28 agosto 2023

L’invasione russa dell’Ucraina ha appena compiuto 18 mesi. Un anno e mezzo di guerra (in aggiunta a quella degli otto anni nel Donbass), 500mila fra morti e feriti, una decina di milioni di profughi ucraini in Europa e in Russia, mezzo Paese distrutto che richiederà almeno mille miliardi per la ricostruzione, l’Ue in recessione per le autosanzioni. Dal 24 febbraio 2022 molte cose sono cambiate nel mondo alla velocità della luce. Caduti Johnson, Truss, Marin, Rutte, Sànchez e Draghi, non Putin. L’Italia è passata dalle larghe intese alla destra della Meloni che vi si opponeva solitaria. Ma a Palazzo Chigi è cambiato solo l’inquilino, mentre il mantra resta lo stesso di 550 giorni fa: “C’è un aggressore e un aggredito, con Putin non si tratta, l’unica soluzione è la sua caduta, o la sconfitta della Russia, o il suo ritiro e intanto avanti con invii di armi sempre più micidiali e costose a Zelensky fino alla vittoria”. Mantra che porta malissimo a chi lo ripete e nulla fa pensare che possa diventare realtà.

Le controffensive ucraine sono state l’una modestissima e l’altra fallimentare. La Russia (almeno per ora) controlla la Crimea annessa nel 2014 e le quattro regioni invase nel ‘22. Le sanzioni non l’hanno isolata né mandata in default (anzi, rischiano di mandarci i sanzionatori). Putin appare (almeno finora) più saldo che mai, avendo superato anche la crisi interna più grave dell’ultimo quarto di secolo (il tentato putsch Wagner-Prigozhin). La Germania dissanguata rinvia sine die l’impegno Nato della spesa militare al 2% del Pil, come Conte impose di fare a Draghi 15 mesi fa. La Francia non vede l’ora di sfilarsi. E persino gli atlantisti più oltranzisti vacillano. La Polonia è furente con Kiev per il dumping sul grano. Usa e Uk concordano sul flop dell’offensiva ucraina. Biden (o chi per lui), persa la speranza di vendersi alle elezioni del ‘44 una vittoria militare, inizia a virare sull’unico successo possibile: quello diplomatico, anche per non farsi rubare il tempo e la scena dalla Cina. Il n. 2 della Nato ipotizza apertamente che Kiev ceda territori. E il mondo, che 18 mesi fa pareva tornato bipolare come nella guerra fredda, si scopre ancor più multipolare, con la nuova superpotenza Brics che unisce amici vecchi come Cina, Russia, Brasile, India, Sudafrica e nuovi come la strana coppia Iran-Arabia (che fino all’altroieri si sparavano in Yemen), minacciando l’impero del dollaro con una moneta concorrente. Persino nel Pd, con la Schlein, si muove qualcosa. Ma, nel governo italiano, niente. Come nel giorno della marmotta, è sempre il 24 febbraio 2022. Meloni&C., fermi sull’attenti davanti a Biden, non osano neppure domandargli se per caso, nel frattempo, gli ordini non siano cambiati.

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AGENTE ZEROZEROTETTE

l'editoriale di Marco Travaglio

29 agosto 2023

Si sperava che la morte presunta di Prigozhin placasse per qualche giorno i complottisti dell’anticomplottismo altrui. Invece niente: più complotti di prima. Repubblica, che li alleva come avannotti, apre la prima pagina con tre foto segnaletiche di una bionda signora russa, Natalia Burlinova Wanted by the Fbi, e un titolo inequivocabile: “L’agente russa ricercata negli Usa reclutava in Italia”. Roba grossa, che fa il paio con lo scoop di un anno esatto fa: “Una spia russa nella Nato in Italia”, “Il dossier: un terzo dei diplomatici del Cremlino in Italia sono 007”, “L’offensiva dello Zar”, “Feluche e marinai: l’assalto all’Italia degli agenti di Putin” (Rep, 26.8.’22). Si era scoperto che da dieci anni i russi avevano nientemeno che una spia in Italia: una certa Adela. Che, incredibile ma vero, “telefonava a Mosca”. L’indomani nuovi agghiaccianti particolari: “Spie russe, la rete di Adela”, “Di Maio: ombre sulle elezioni, il nemico è già qui, la Lega sta con loro”. Il 28 altri ancora: “Soldatov (esperto di intelligence russa): ‘Olga cercava i segreti degli ufficiali. Per spiare la Nato il Gru ha budget illimitato’”. Sì, Olga: perché – scoop sullo scoop – Adela si chiamava Olga (o viceversa). Poi, purtroppo, non se ne seppe più nulla.

Ora c’è Natalia, che già nel cognome evoca la beffa: Burlinova. Che fa nella vita? Insegna a Mosca, ha fondato una Ong che, per occultare le sue mire top secret, dichiara nel suo sito di voler “promuovere gli interessi nazionali russi”, “organizza ‘Meeting Russia’”, “pubblica una rivista con lo stesso nome” e “dice di finanziarsi con i sussidi del Presidential Fund del Cremlino”. Insomma, un genio del camuffamento che, per soprammercato, “partecipa a conferenze di alto livello sulla politica estera” in Occidente e “ospita a Mosca studiosi o giovani leader italiani” (quali, non è dato sapere). L’Fbi ha scoperto che “lavora con il Fsb, uno dei famigerati successori del Kgb, per reclutare complici occidentali disposti a diffondere la propaganda del Cremlino” e – udite udite – “magari a spiare”. Apperò. Così è stata sventata la “nuova operazione di vasta scala organizzata dalla Russia per interferire con le nostre democrazie, Italia inclusa”. Già, anche l’Italia: “Nel 2007 Burlinova aveva ospitato la giornalista Maria Michela D’Alessandro, presentata come studentessa, all’università di San Pietroburgo, nel 2019 Karolina Muti, ricercatrice dello Iai e nel 2021 Eleonora Tafuro dell’Ispi” e “nel 2019 ha organizzato un seminario a Milano con l’Ispi”. Tutte notizie che, per nascondersi meglio, ha comunicato lei stessa nel sito della sua Ong: una volpe. È così che, senza farsene accorgere, è riuscita a “infiltrare alcuni dei più autorevoli centri di ricerca sulla politica estera”. Perbacco.

Il fatto che Iai e Ispi, presieduti da Nathalie Tocci e da Giampiero Massolo, siano più antirussi e atlantisti della Cia e dell’MI6 non deve ingannare: fanno finta per non destare sospetti. Il fatto poi che le conferenze non si tenessero nelle catacombe, ma in apposite sale aperte al pubblico, ha una facile spiegazione, almeno per Rep: “Spesso gli individui presi di mira non sono consapevoli di esserlo”. Spìano, ma a loro insaputa. E poi si spera che nessuno vorrà negare la diabolica persuasione occulta di massa delle tre reclute di Natalia: chi non conosce Maria Michela D’Alessandro, Karolina Muti ed Eleonora Tafuro? Noi, per dire, non scriviamo una riga senza consultarle. È così che “si forma il consenso filorusso che abbiamo visto all’opera in Italia dall’invasione dell’Ucraina in poi”. È vero che l’invasione è del 2022, mentre gli Erasmus di Natalia vanno dal 2017 al 2021, ma non sarà certo una banale discrepanza di date a rovinare la spy story. Tantopiù che, mentre la Mata Hari batteva la fiacca proprio quando serviva di più, l’aveva sostituita Olga detta Adela o Adela detta Olga.
E ora chi sarà la nuova testa di ponte di Putin in Italia? Ma il generale Roberto Vannacci, naturalmente. È sempre Rep a rivelarlo in un’intervista a una fonte quantomai autorevole: Fabrizio Cicchitto, ex Psi, FI, Ncd, Ap, ma soprattutto P2 (tessera 2232). Ricorda di essere stato “fra i primi a comprendere la pericolosità di Putin” (infatti era il braccio destro di B.). Poi spiega che grazie a Draghi e Meloni l’Italia, prima colonia russo-cinese, “è diventata punta di diamante dell’atlantismo” già caro a Gelli. Infatti “non credo che non ci sia stata un’influenza” russa già nella “caduta di Draghi voluta da 5Stelle, Lega e FI, forze che peraltro non l’hanno voluto alla presidenza della Repubblica” (e non li hanno ancora arrestati). Quindi ha stato Putin: “Meloni diventa filo-Usa” e lui vuole “spaccare la maggioranza” e “piazzare elementi contrari all’ortodossia atlantica (sic, ndr) al prossimo Europarlamento”. Ergo “Vannacci rappresenta il tentativo di un’operazione” (qualunque cosa voglia dire), “al di là della scrittura del libro” (il fatto che non sia proprio in italiano farebbe pensare a una frettolosa traduzione dal cirillico). Già, perché “Vannacci faceva delle operazioni speciali” (anche lui): “non è uno sprovveduto, per questo ci vedo una mano, un disegno”. Del resto “Putin è stato il primo leader mondiale a capire la capacità di condizionamento e di destabilizzazione delle liberaldemocrazie con un uso spregiudicato di Internet”. Non a caso Google, Facebook, Amazon, WhatsApp, Instagram e Twitter sono nati tutti nei migliori garage di Mosca e di San Pietroburgo. Con la buonanima di Prigozhin ai fornelli.

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