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Dino

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BODY-SCEMI

l'editoriale di Marco Travaglio

30 luglio 2023

Non male questi giornaloni che denunciano le fake news dei complottisti e intanto inventano fake news e complotti talmente ridicoli che, al confronto, è persino plausibile quello dei vaccini per controllare la popolazione mondiale con microchip sottopelle e tatuaggi quantici. Dopo anni passati a braccare hacker, hater e troll russi intenti a ribaltare tutte le elezioni dell’orbe terracqueo, ora l’ordine di scuderia è portarci in guerra contro la Cina facendoci sospettare di tutto ciò che viene di lì: da Tik Tok alle nuvole di drago. Ieri il nostro complottista anticomplottista preferito, Francesco Verderami del Corriere, ha messo ko il nuovo Impero del Male, a cui il solito Giuseppe Conte aveva spalancato le porte d’Italia. Tenetevi forte: “Una nota dei Servizi ha acceso un faro sulla sperimentazione delle ‘telecamere indossabili’ per i poliziotti… Un’operazione pilota fatta con una dozzina di apparecchiature” per “vagliare la funzionalità del sistema prima di assumere una decisione”. Avete capito bene: 12 videocamere “cinesi” (strano, vista la nota pippaggine della Cina nel settore). Tutta colpa del Conte-2 che nel 2020 indisse la gara. Vinta dai cinesi? Macché: da “un consorzio di aziende” guidato da Accenture, multinazionale di consulenza con sede a Dublino e capitali e vertici americani. Ma c’era pure un’altra società. Cinese? Macché: “italiana”, ma con “legami con la Cina”. L’operazione è “priva di rischi” e “tutto si è svolto nella più assoluta correttezza”. Ma tanto basta al Corriere della Nato per farci un’intera pagina dal titolo: “Le bodycam destinate ai poliziotti, un filo con la Cina allarma gli 007. Comprate per un test sotto il governo Conte”. La terribile “informazione è giunta ai rappresentanti del Copasir”: fortuna che lì vigila la premiata ditta Borghi (Iv) & Sensi (Pd), da anni in guerra contro le videocamere di sorveglianza cinesi “installate nelle procure, all’aeroporto di Fiumicino, nel centro di produzione Rai” e addirittura “a Palazzo Chigi”.

Ora si studia “un’apposita legge” per escludere dalle gare le aziende cinesi (viva il libero mercato) e riservarle a quelle “europee o americane” (vuoi mettere la soddisfazione di farti spiare dagli Usa, che già lo fanno da anni anche sui capi di governo e di Stato “alleati”). E bisogna affrettarsi: se i medici russi accorsi in pandemia all’ospedale di Bergamo riuscirono a spiare il Covid orobico, ben più prelibato di quello moscovita per farci il vaccino Sputnik, e persino a perlustrare a distanza le basi Nato di Ghedi (Brescia) e Amendola (Foggia), figurarsi quali segreti potrebbe carpirci Pechino con 12 telecamerine addosso ad altrettanti poliziotti. Senza contare le food-cam nascoste dagli 007 di Xi Jinping travestiti da cuochi negli involtini primavera.

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Dino

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

31 luglio 2023

Fiuto politico. “Il sindaco Pd di Cecina Samuele Lippi, fermato con una dose: ‘Consumare cocaina non è un reato. Resto al mio posto’” (Corriere della Sera, 20.7). Sempre in pista.

Quelli veri. “Ha ragione Marina Berlusconi. I Pm di Firenze pensino ai veri criminali anziché inseguire complotti e fantasmi” (Matteo Renzi, senatore Iv, Riformista, 23.7). Infatti, morto B., inseguono lui.

Se mio nonno avesse le ruote. “Se non ci fosse stato il presunto scandalo Open, la storia politica di Italia Viva sarebbe stata ben diversa” (Renzi, Libero, 28.7). Anzichè al 2 per cento, sarebbe all’1.

Le ultime parole famose. “La Spagna cambia rotta. Vince il centrodestra. I Popolari sfondano. Maggioranza con Vox” (Libero, 24.7). Mancano solo le bandierine di Emilio Fede.

A scoop ritardato. “Santanché. Ora si indaga pure per truffa allo Stato” (Fatto quotidiano, 19.7). “Caso Santanchè, ora i pm ipotizzano anche la truffa allo Stato” (Repubblica, 24.7). “Santanchè, la procura di Milano apre un fascicolo sulla sua Visibilia per truffa contro lo Stato” (Stampa, 25.7). La Ripubblica e la Ristampa.

Rivoluzione. “L’annuncio di Giorgetti sulla Rai. Via il canone dalla bolletta. Si pagherà col telefonino” (Libero, 28.7). Sono soddisfazioni.

Merlate. “Tra gli orrori dei governi Conte 1 e Conte 2 ci sono queste 33 vergognose onorificenze sui petti degli aggressori dell’Ucraina” (Francesco Merlo, Repubblica, 25.7). Peccato che le onorificenze di cui Mattarella ha insignito politici, funzionari e oligarchi putiniani siano iniziate nel 2015 (dopo le sanzioni alla Russia per l’invasione della Crimea) durante il governo Renzi e proseguite sotto Gentiloni (2017-‘20), Conte (2018-‘21) e Draghi (2021-‘22). Alcune, come quelle a Dmitry Peskov (portavoce del Cremlino) e a Igor Sechin (Ad della compagnia petrolifera Rosneft), su iniziativa di Mattarella, altre dei ministri degli Esteri. L’ultima risale al 2 dicembre 2021, meno di tre mesi prima dell’invasione russa, con l’Ordine della Stella d’Italia a Viktor L. Evtukhov, viceministro del Commercio russo, e ad Andrey L. Kostin, presidente della Vneshtorgbank, una delle principali banche russe, nonché membro del consiglio supremo del partito Russia Unita. Ma già nel 2010 Giorgio Napolitano aveva decorato con la stella di Grand’Ufficiale ordine al merito della Repubblica Alexey Miller, Ceo di Gazprom. Sempre prevedendo che otto anni dopo sarebbe arrivato Conte.

Giornalismo del niente. “Di 26 mozioni di sfiducia individuale nella storia repubblicana, una ha ottenuto esito positivo e 25 non hanno ottenuto niente perché erano il niente… Siccome la minoranza non diventa maggioranza, erano il niente dipinto di niente… Il M5S che da anni inchioda il Parlamento alle mozioni di sfiducia per agghindarsi alla passerella del niente è il Movimento del niente” (Mattia Feltri sulla mozione di sfiducia per Daniela Santanché, Stampa, 27.7). Quindi, siccome l’opposizione non ha la maggioranza, deve starsene cinque anni chiusa in casa zitta e buona, così i giornalisti del niente possono accusarla di non fare niente.

In corsa. “Le brigate ucraine troppo giovani spiegano la lentezza. Riassetto in corsa” (Foglio, 26.7). Le invecchiano al volo.

L’altra sponda. “Rai, prove d’intesa di Meloni con Conte” (Giovanna Vitale, Repubblica, 28.3). “Grazie alla sponda interessata di Conte, al Tg1 è pronto ad approdare il direttore dell’Adnkronos Gian Marco Chiocci (Vitale, Repubblica, 3.5). “Rai, assalto compiuto. La destra fa il pieno anche di vicedirezioni. Il Pd vince il derby col M5S” (Vitale, Repubblica, 26.7). Se lo fa Conte è “sponda interessata”, se lo fa Schlein è “vittoria nel derby”.

Museo del Prado. “Cagliari non era in cella ‘perchè rubava’. Travaglio è un contraffattore vigliacco” (Iuri Maria Prado, Unità, 25.7). Il presidente Eni Gabriele Cagliari, socialista, era in carcere per una mazzetta di 17 miliardi di lire a Dc e Psi sull’affare Eni-Sai. Dopo il suo suicidio, la vedova Bruna Di Lucca restituì 12,1 miliardi, frutto di tangenti e fondi neri accumulati dal marito.

Patto in fuori. “Voglio un patto repubblicano” (Carlo Calenda, Corriere della sera, 29.7). Ah, credevo monarchico.

Il titolo della settimana/1. “Censis, allerta fake news: ‘Gli italiani si informano, ma non le riconoscono’” (Messaggero, 27.7). Magari si informano sul Messaggero.

Il titolo della settimana/2. “Seggio di Berlusconi: il candidato è Galliani. Tajani: ‘Sul suo nome ho trovato il consenso della famiglia Berlusconi’” (Corriere della sera, 27.7). Usucapione o nuda proprietà?

Il titolo della settimana/3. “La riconquista. Zitti zitti, gli ucraini stanno iniziando la controffensiva” (Libero, 28.7). Soprattutto zitti.

Il titolo della settimana/4. “Travaglio toglie il programma a Gomez. Lo scherzetto al suo co-fondatore. Il Fatto attacca continuamente il governo. Così al posto della Berlinguer ci va la De Girolamo” (Libero, 27.7). Questi censori sono così c*gli**i che ogni tanto confessano.

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VISIBILIA VIVA

l'editoriale di Marco Travaglio

01 agosto 2023

Siamo molto preoccupati per Giorgia Meloni. E non per quisquilie come la rivolta dei poveri senza più Reddito, il crollo del Pil, il boom di bollette, inflazione e benzina, le gaffe e le chiome del fidanzato-mezzobusto: a questo e a molto altro c’è rimedio. Ma per l’unico guaio davvero irreparabile e definitivo che sta per investirla, ben più letale dei cambiamenti climatici e a prova di negazionisti: Renzi nella maggioranza. I cimiteri della politica sono lastricati di lapidi degli altri sventurati premier che ebbero in sorte anche solo un fugace contatto con la mortifera e pestilenziale presenza: Letta, a cui bastò il tweet “Enrico stai sereno” per schiantarsi dopo 9 mesi; Conte, del cui secondo governo il nostro fu l’ideatore e poi il killer; Draghi, che mai riuscì a liberarsi dello stigma di essere salito a Palazzo Chigi grazie a lui e infatti perse tutto, il Quirinale e poi il governo; e Salvini, che dal Papeete rovesciò Conte per prenderne il posto con “pieni poteri” quand’era in love col Rignanese e ne fu fregato. Senza dimenticare il Renzi medesimo, che si autosterminò portandosi rogna da solo col geniale referendum e, già che c’era, rase al suolo anche il Pd di cui era anche segretario. Alla lista delle vittime s’è aggiunto ultimamente il povero Calenda, l’ultimo allocco a mettersi in casa l’impiastro.

La Meloni è furba e ha buona memoria, ma può farci poco. Le avance renziane non basta rifiutarle: bisogna non meritarle. E lei le merita tutte, da quando ha rottamato la destra sociale, legalitaria e sovranista per metter su quella asociale che fa la guerra ai poveri, s’inchina a Biden e agli eurofalchi, regala impunità ai ladroni e alla razza cafona di nuovi ricchi e vecchi parvenu: praticamente tutti i cavalli di battaglia del berlusconismo e del renzismo (che si distinguono per numero di voti: tanti per B., nessuno per R.). Infatti i Renzi boys votano tutto il peggio del suo governo, che non ne ha bisogno e non chiede nulla, ma si ritrova Iv in maggioranza a sua insaputa. E i renziani in pancia sono peggio della tenia, che ti s’insinua nell’intestino quando meno te l’aspetti e si mangia tutto. Guai a ignorare i sintomi anche più trascurabili: tipo la cena dello scorso weekend al Twiga, rivelata dal Corriere, fra la Santanchè, l’ex marito Canio, il compagno Dimitri e i renziani Boschi, Bonifazi, Nobili con tutta la panza e Ruggieri, nipote di Vespa e direttore responsabile del Riformista (quello che prende le querele per Renzi), a cui Visibilia fornisce la pubblicità. Il tutto due giorni dopo il voto sulla Santanchè, che Iv ha respinto sostenendo che sfiduciarla era farle un favore. Invece cenare da lei è farle un dispetto. Chi ancora pensa che Renzi punti a FI si aggiorni: punta alla Meloni col progetto Fratelli d’Italia Viva. Lei porta i voti, lui la sfiga.

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GLI AMBIDESTRI

l'editoriale di Marco Travaglio

02 agosto 2023

Peggio del governo Meloni che fa cassa sui poveri ci sono solo il Pd e le sue proiezioni editorial-giornalistiche, che difendono il Reddito di cittadinanza e il salario minimo solo perché il governo Meloni non li vuole. Ma fino all’altroieri li attaccavano solo perché erano bandiere “grilline”. Nel 2018-’19 il Conte-1 varò il Rdc coi voti favorevoli di M5S e Lega e quelli contrari di FI, di FdI e pure del Pd, che lo osteggiava con gli stessi argomenti oggi usati da Meloni&C. senza neppure pagare i diritti Siae. Zingaretti tuonava contro “la pagliacciata del Reddito di cittadinanza che nessuno sa cos’è”. Boccia lo definiva “una grande sciocchezza che aumenterà solo il lavoro nero. Il tema vero è come creare lavoro”. E la Camusso: “No al Reddito di cittadinanza! Quelle risorse vengano usate per trovare lavoro”. Oggi i destro**i hanno buon gioco a rinfacciare al Pd di aver detto prima di loro le stesse cose. E la risposta non può essere che allora comandava Renzi e ora c’è la Schlein: perché Renzi la guerra ai poveri la faceva allora come oggi; e soprattutto perché Zinga, Boccia e Camusso ora stanno con la Schlein.

Basterebbero tre paroline: “Ci siamo sbagliati”. Che andrebbero stampate a caratteri di scatola su Repubblica, che all’epoca dipingeva il Conte-1 – il governo che più ha dato ai bisognosi in trent’anni – come una robaccia di estrema destra. Rep titolava: “Un terzo degli italiani guadagna quanto il Rdc”, che dunque andava abbassato per non far concorrenza reale ai salari da fame. E l’Espresso di Damilano: “Per gli elettori del Pd il Rdc è peggio del condono fiscale”. Ancora il 20 luglio 2022, quando Draghi attaccò i 5Stelle sul Rdc in Senato, il Pd gli votò la fiducia da solo e Rep lo santificò. Facevano così su tutto. La blocca-prescrizione Rep la chiedeva da un quarto di secolo, ma siccome la fece Bonafede diventò un obbrobrio che “calpesta i fondamenti di uno Stato di diritto”, “giustizialismo”, “barbarie”, “Inquisizione” (Cappellini, noto giureconsulto). Il Recovery quando lo lanciò Conte era una ciofeca: “È isolato in Europa”, “Non lo otterrà mai”, “Meglio i 36 miliardi del Mes”. Poi ne arrivarono 209 e tutti fischiettavano. Ora accusano Conte di non aver battuto i pugni sul tavolo per ottenere meno soldi. Il salario minimo, siccome lo proponeva il M5S e non piaceva ai sindacati, era odiato dal Pd e da Rep: grandi peana al Pnrr di Draghi che l’aveva levato dal Pnrr di Conte. Ora tifano salario minimo e rintuzzano ogni giorno gli argomenti contrari del governo, che però sono gli stessi che usavano loro. La Meloni non deve inventarsi nulla: le basta copiare gli avversari. Che, come diceva Lenin dei capitalisti, le hanno venduto la corda a cui impiccarli. Anzi, gliel’hanno regalata.

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I TERZOPOLLISTI

l'editoriale di Marco Travaglio

03 agosto 2023

Ricordate il Terzo Polo? Un anno fa, quando Calenda baciò Letta e poi lo mollò sull’altare per mettersi con l’altro caratterista nella nuova coppia Ollio e Ollio (Stanlio se l’erano mangiato metà per uno), i giornaloni erano tutti per il Grande Centro, misteriosa entità devota a un esoterico e introvabile incunabolo, l’Agenda Draghi, che nei sondaggi era sesta, ma tutti la davano terza su ordine dei padroni. Intervistone quotidiane al capocomico Carlo e alla spalla Matteo, che vaneggiavano di 15 o 20%, promettevano il “ritorno di Draghi”, annunciavano che “grazie a noi Meloni non governerà mai” o “cadrà in sei mesi”. Memorabile la paginata di Rep sulle avventure di Calenda, “l’uomo mercato corteggiato da tutti”, i suoi tatuaggi e la sua infanzia di ragazzo padre a 16 anni: così giovane e già così zinnuto, infatti “allattavo mia figlia Tay”. Il balio bagnato. Purtroppo gli elettori disobbedirono e il Terzo Polo restò sesto, ma ormai tutti lo chiamavano così. E insisteranno anche ora che diventerà settimo od ottavo, appena il duo si scinderà come l’atomo: calendiani a Capalbio, renziani al Twiga.

Ormai perfino Rep decreta che “il Terzo Polo non esiste”, con la stessa aria perentoria con cui finora ci sbomballava i santissimi per pomparlo. E il Foglio, che di Calenda e Renzi era l’house organ pubblicando 3-4 pagine al giorno di loro discorsi integrali, fischietta spiritoso: “Renzi e Calenda: il richiamo alla serietà è la cosa più comica della politica”. Dopo i giornali che prendevano sul serio i due comici, s’intende. Sono gli stessi che, da quando la Schlein ha vinto le primarie del Pd e il Pd le ha perse, ne profetizzano la fine imminente per le uscite di tali Fioroni, Borghi e D’Amato, noti frequentatori di se stessi. Non hanno capito che le scissioni, come quelle calendiana e renziana, sono un toccasana. Il guaio, per il Pd, è averne subìte troppo poche. Se fosse uscito pure Guerini, oggi il Pd non avrebbe l’imbarazzo di un dirigente che invoca una guerra in Niger (come se fosse roba nostra) e fa sembrare sensato persino Crosetto. Se fosse uscito pure Fassino, il Pd non dovrebbe vergognarsi di un sette volte deputato che vota pro vitalizi esibendo l’indennità parlamentare da 4.718 euro al mese e nascondendo diarie e benefit che portano il totale a 13mila (o a 17-18mila per chi presiede commissioni). Fortune come la scissione Di Maio, che si portò via 65 poltronari, càpitano solo a Gastone Conte. Ma, quando ciò accadde, i giornaloni decretarono la morte di Conte e dei 5S, non di Di Maio. Sono gli stessi del default russo, della caduta o morte di Putin per uno dei tanti cancfri, della trionfale controffensiva ucraina, della fine di Trump. E non si fermano mai: quando una cazzata gli esplode in mano, ne stanno già fabbricando un’altra.

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L'UOMO BOOMERANG

l'editoriale di Marco Travaglio

04 agosto 2023

Guai a sospettare che Fassino abbia sventolato il misero cedolino da 4.718 euro mensili (che poi sono il triplo), mentre il Pd tenta di sembrare credibile in difesa del reddito e del salario minimo, per fare un dispetto alla Schlein e un favore al suo leader Bonaccini. Si teme anzi che abbia pianto miseria e votato pro vitalizi pensando di giovare alla Causa. Sette legislature e una sindacatura parlano per lui: l’autogol gli viene naturale come al mitico Comunardo Niccolai, la gaffe sfolla-elettori gli sgorga dal cuore, la profezia menagramo è un moto spontaneo a fin di bene. Tutto si può imputare all’Uomo Boomerang, incrocio tra Fantozzi e Tafazzi, fuorché la malafede. Nel 2000, ministro della Giustizia, per combattere meglio B., fa la legge contro i pentiti che B. non era riuscito a fare e promette pure di “depenalizzare i reati finanziari”. Nel 2001 teorizza la mancata legge sul conflitto d’interessi con l’esigenza di evitare che B. “facesse la vittima”: così B. vince altre due elezioni facendo la vittima grazie alla mancata legge sul conflitto d’interessi. Nel 2005, leader Ds, difende i furbetti che scalano banche e giornali contro la “puzza sotto il naso” di chi obietta. E, sempre per sintonizzarsi col popolo, va dalla De Filippi a C’è posta per te e piange con la vecchia tata. Siccome il centrosinistra rischia di vincere le elezioni del 2006, si fa beccare al telefono con Consorte sulla scalata Unipol a Bnl (poi ovviamente fallita): “Allora, siamo padroni della banca?”. Per scaldare vieppiù i cuori dei compagni, si dice “pronto ad allearmi con Marchionne: lui sì che è un vero socialdemocratico”. E completa l’opera issando Craxi nel “Pantheon del Pd con Pertini e Nenni”.

Le sue profezie sono meglio delle Centurie di Nostradamus. “L’Ulivo darà una mano a Ségolène Royal”: 13 giorni dopo la Royal perde rovinosamente con Sarkozy. “Se Grillo vuol far politica, fondi un partito e vediamo quanti voti prende”: Grillo, che non ci aveva pensato, ringrazia e fonda i 5Stelle, che prenderanno parecchi voti. “Se Padellaro e Travaglio vogliono scrivere ciò che gli pare sull’Unità, fondino un giornale e vediamo chi lo legge”: nasce il Fatto e l’Unità muore (o rinasce con Sansonetti, che è lo stesso). “Se la Appendino vuol fare il sindaco, si candidi al mio posto e vediamo chi la vota”: subito eletta al suo posto. “Il referendum (di Renzi, ndr) non può fallire”: fallisce. “Non prevedo l’invasione dell’Ucraina, per Putin sarebbe un azzardo”: 48 ore dopo Putin invade l’Ucraina. Ora urge una robusta museruola, anche perché un anno fa Fassino riuscì a dichiarare: “Putin sul nucleare bluffa”. E, per la prima volta, non successe nulla. Non vorremmo che gli venisse l’idea di ripeterlo per non rovinarsi lo score.

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I SEGRETI DI PULCINELLA

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05 agosto 2023

Quando un politico è in difficoltà, denuncia un complotto-bufala. Nel 1996 B. svelò di aver trovato un cimicione a palazzo Grazioli, accusò di spionaggio le “Procure eversive”, il Parlamento e i media gli andarono dietro, poi si scoprì che era un ferrovecchio inservibile messo lì dai bonificatori chiamati da lui. Nel 2009 ci riprovò con lo “scandalo enorme di un signore che ha spiato 350mila persone”: il vicequestore Gioacchino Genchi, consulente in processi di mafia, omicidi e corruzioni, allora impegnato nell’inchiesta Why Not di De Magistris. Genchi non ha mai intercettato una mosca: incrociava intercettazioni e tabulati disposti e acquisiti dai giudici. Il caso riempì Camere e giornaloni di alti lai, Genchi e De Magistris furono rimossi e poi assolti. Ora ci risiamo. Crosetto denuncia “dossieraggi” perché Domani pubblicò notizie vere sui suoi compensi da consulente di Leonardo e vuol conoscerne la fonte. I pm indagano e scoprono che un maresciallo della Finanza in servizio alla Dna ha compiuto accessi non autorizzati a dati fiscali segnalati per operazioni bancarie sospette di riciclaggio. Ora se costui, già trasferito, ha commesso reati, sarà condannato. Ma non si capisce di quali “attacchi alla democrazia” di “pezzi deviati dello Stato” per “fermare il governo Meloni” o “fabbrica dei ricatti” (Rep) si vada cianciando. Oltre a Crosetto, fra gli attenzionati figurano Conte, Casalino, Renzi e non politici come Totti: ce n’era per tutti, non solo per il governo Meloni. Eppoi è ancora da accertare l’uso fatto dal sottufficiale delle notizie (vere, peraltro): se uscivano sui giornali, i ricatti erano impossibili; se restavano segrete, potevano essere usate per estorcere qualcosa a qualcuno, ma va dimostrato che sia avvenuto. Quello di Crosetto, poi, era un segreto di Pulcinella: il suo conflitto d’interessi di capo dei costruttori d’armi che diventa ministro della Difesa era noto a tutti, anche a lui, che proprio per quel motivo l’estate scorsa negava di ambire a quel ministero.

Era sotto i governi B. che si facevano dossieraggi per screditare oppositori, pm e giornalisti non allineati: l’archivio fuorilegge del Sismi di Pollari&Pompa; gli spioni della Security Telecom; le commissioni Telekom Serbia e Mitrokhin con falsi testimoni. Quindi la destra che punta il dito dovrebbe guardarsi allo specchio. Su un punto però Crosetto ha ragione: “Come funziona il circuito dei dossier nel rapporto con chi poi li pubblica?”. Ma il quadro horror che dipinge si realizzerà con la legge bavaglio di Nordio: magistrati, cancellieri, agenti, avvocati, cronisti avranno intercettazioni che non si potranno più pubblicare, alimentando veleni e ricatti. Lo disse la Corte Suprema Usa nel 1913: in democrazia “il miglior disinfettante è la luce del sole”.

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IL CASO WATERCLOSET

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06 agosto 2023

“Anch’io!”, “Io pure!”, “Ma io di più!”. Un esercito di finti martiri si accalca sui giornali per strappare qualche minuto di celebrità e centimetro quadro di carta stampata accanto ai titoloni sulla formidabile “centrale di dossieraggio”, anzi “fabbrica” o “mercato dei ricatti” che dalla Dna voleva distruggere Crosetto, ma anche il governo Meloni, ma pure l’intera politica italiana e probabilmente l’establishment mondiale. La notizia si riproduce per partenogenesi, senza uno straccio di fatto che giustifichi il clamore, visto che al momento risulta solo un maresciallo già trasferito e indagato per aver passato notizie (vere, e questo è il problema) a un giornale che le ha pubblicate (impedendo qualsiasi ricatto). Se ci siano reati, nessuno lo sa. Il sottufficiale nega di aver dato notizie e assicura di aver consultato banche dati fiscali perché era il suo lavoro di indagine anti-riciclaggio. E tutti i nomi girati in questi giorni non risultano dall’inchiesta: il Corriere, dedicando alla vicenda due-tre pagine al giorno, precisa in mezza riga che “finora i riscontri sono negativi”. Eppure orde di postulanti sgomitano per infilarsi nel presunto scandalo. E – grazie a un’informazione ridotta a telefono senza fili, dove aggiungi qua e là e alla fine non capisci più da dove sei partito – ci riescono.

Rep tira in ballo il Sifar e Op di Pecorelli (che non c’entrano una mazza). Crosetto e Giuliano Ferrara evocano la P2 (che era una loggia massonica coperta col loro amico B., ma non c’entra una fava). Mastella ci infila il processo di 15 anni fa da cui è stato assolto (come capita a molti, anche a noi, quotidianamente). Libero e Giornale se la prendono con Roberti e Cafiero de Raho (una volta stavano alla Dna) e pure con Bonafede (che non c’entra una ceppa). La Colosimo assicura che “non cederemo” (ma non dice a chi o a cosa). Rosato giura che “Renzi è vittima” (ma non si sa di che). Zurlo denuncia i “manipolatori della democrazia” (plurale, anche se il maresciallo è uno). Il Riformatorio parla di “Killeropoli” con un pizzico d’invidia, visto che lo staff renziano progettava una “character assassination” per “distruggere la reputazione e l’immagine di Grillo, Di Maio, Di Battista, Fico, Taverna, Lombardi, Raggi, Appendino, Casaleggio, Travaglio e Scanzi”. Ballusti già sa che sono “bombe a orologeria per conto terzi” (ma non indica né le bombe né i terzi), dall’alto del suo pedigree di spacciatore di falsi rapporti di polizia sull’omosessualità di Dino Boffo. Non poteva mancare il ghostbuster renziano Borghi, che lancia un’ideona: “Si abolisca la spazzacorrotti” (che non c’entra una minchia). Nessuno ha ancora tirato in ballo gli hacker russi o la Wagner, ma siamo solo al terzo giorno. Quindi bruciamo tutti sul tempo: ha stato Putin.

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I RIVOLTA-SENTENZE

l'editoriale Marco Travaglio

07 Agosto 2023

Marcello De Angelis, ex militante del movimento neofascista Terza Posizione, condannato per associazione sovversiva, ex parlamentare An e PdL, ora capo-comunicazione della giunta regionale del Lazio, ha scritto: “So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini”. E sai che novità: cos’altro ci si può aspettare dal cognato di Ciavardini, condannato per quella strage? Le opposizioni chiedono le sue dimissioni e una parola chiara dal presidente della Regione Francesco Rocca e da Giorgia Meloni. La premier tace, dopo che nel 43° anniversario della strage del 1980 era riuscita a non dire ciò che la Cassazione a sezioni unite ha definitivamente accertato e persino La Russa ha dovuto ammettere: quello fu un eccidio fascista. Rocca invece parla, anzi balbetta: il suo portavoce si è espresso “a titolo personale, mosso da una storia familiare che l’ha segnato profondamente” (la morte in carcere del fratello in circostanze mai chiarite). Ma dimentica di aggiungere che a sterminare 85 persone e a ferirne 200 alla stazione di Bologna furono i fascisti. È suo dovere farlo, altrimenti deve dimettersi lui: se condivide De Angelis, vuol dire che il suo portavoce non porta solo la propria, di voce, ma anche quella del presidente della Regione Lazio. E chi rappresenta una istituzione fa per conto del Popolo Italiano, lo stesso nel cui nome la Corte d’assise, la Corte d’assise d’appello e la Cassazione hanno irrevocabilmente condannato i tre terroristi dei Nar.

Le sentenze non sono dogmi di Stato e ciascun privato cittadino può condividerle o contestarle (possibilmente con argomenti). Perciò chiedere le dimissioni di De Angelis è un atto illiberale: in democrazia tutti hanno diritto di esprimere le proprie idee, anche le più aberranti. Ma chi rappresenta le istituzioni ha un onere in più: non deve usarle per riscrivere sentenze, cioè per interferire in un altro potere dello Stato. Perciò il governo nazionale e regionale dovrebbero isolare De Angelis con dichiarazioni inequivocabili, pur senza torcergli un capello o levargli il lavoro. Anche perché, se bastasse contestare una sentenza sacrosanta per andare a casa, si sarebbero dovute chiedere le dimissioni di fior di parlamentari che da anni sposano la linea revisionista-negazionista sui neri a Bologna: non solo di destra, ma anche radicali e di centrosinistra. Per non parlare di chi tuttoggi predica l’innocenza di Sofri, Bompressi, Pietrostefani (e persino del reo confesso Marino) sul delitto Calabresi, malgrado ben due sentenze della Cassazione. O di chi vota commissioni parlamentari su Bologna o sulla gestione del Covid per ribaltare i verdetti dei giudici: quelli sì dovrebbero vergognarsi e sparire.

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SOTTO LE SPARATE, NIENTE

l'editoriale di Marco Travaglio

08 agosto 2023

Si pensava che, coronato il sogno del potere dopo lunga e penosa opposizione, i post(?)fascisti si accontentassero limitando al minimo le esternazioni “identitarie”. Che erano comprensibili quando erano ghettizzati dall’“arco costituzionale”, ma ora che sono al governo possono rivelarsi controproducenti. Eppure parlano e straparlano più ora di prima. L’uscita di De Angelis sulla strage di Bologna, la sparata tragicomica di La Russa sui nazifascisti di via Rasella (“una banda musicale di semipensionati”), l’incontinenza di Sangiuliano&C. in ansia da “egemonia culturale”, la querela della sorella d’Italia alla vignetta di Nat, la tabula rasa di qualsiasi voce dissonante in Rai. Il perché di questo tafazzismo, che fa impallidire persino un primatista mondiale come Fassino e crea guai e imbarazzi alla lunga marcia di accreditamento di Giorgia Meloni presso l’establishment italiano e internazionale, ha una spiegazione tutta politica: ed è proprio l’inchino permanente della premier alle élite nazionali, europee e americane.

La destra antiatlantista e multilaterale, appena al governo, è divenuta turboatlantista e unilaterale. La destra sociale s’è trasformata in asociale e antisociale. La destra legalitaria che tifava Borsellino, Di Pietro e Gratteri s’è rivelata impunitaria e berlusconiana (quando la Meloni avvisò B. di non essere ricattabile diceva il vero: poi però nominò alla Giustizia il berlusclone Nordio senza bisogno di ricatti). La destra che strillava alle cancellerie e ai falchi europei “la pacchia è finita”, intendeva “per gli italiani”, visto che ha sposato e persino scavalcato l’austerità selettiva anti-poveri e pro-ricchi. La destra sovranista ha venduto, anzi regalato la nostra sovranità a Bruxelles e a Washington, meritandosi le lodi di Monti e degli altri alfieri dell’establishment. Non è il consueto bagno di realtà imposto agli anti-sistema dall’ingresso nel sistema. È un’inversione a U che rinnega non solo le promesse elettorali, ma la natura stessa della destra. E costringe i suoi uomini a rassicurare la base come possono. Non potendolo fare con atti di governo, visto che le decisioni importanti le hanno appaltate all’estero, lo fanno a parole, piantando bandierine con un’escalation di sparate che a noi sembra scomposta e suicida, ma ai melones serve a tener buoni i militanti: tranquilli, nessun tradimento, tutto procede secondo i piani nella massima coerenza. Purtroppo per loro, gli elettori fanno la spesa e i conti a fine mese (quelli che hanno qualcosa da contare), vedono i migranti quintuplicati, vivono nel mondo reale. E sempre più si accorgeranno che, sotto le sparate, niente. Chissà che prima o poi lo capisca anche la sinistra e la smetta di fare opposizione sulle parole anziché sui fatti.

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ORA D'ARIA.

l'editoriale di Marco Travaglio

09 agosto 2023

La legge Severino, che estendeva ai parlamentariAARIA condannati in via definitiva le regole di decadenza e incandidabilità già previste dal Testo unico degli enti locali del 1990 per gli amministratori locali e regionali, fu approvata da tutti i partiti nel dicembre del 2012. Erano gli ultimi respiri del governo Monti, l’ammucchiata inventata da Napolitano dopo la débacle del terzo tragico Berlusconi per impedire agli italiani di votare in massa per i 5Stelle, nati nel 2009 e favoriti dai sondggi. Il calcolo di Re Giorgio rivelò tutta la sua miopia quando, scaduta la legislatura, si dovette votare per forza nel febbraio del 2013: infatti il M5S balzò da zero al 25.5%, alla pari del Pd. Ma due mesi prima la Casta ancora s’illudeva che bastasse scimmiottare gli odiati “grillini” per farli sparire. Così, siccome Grillo, dal VDay del 2007, mieteva consensi con la campagna Parlamento Pulito e i vaffa ai 21 deputati e senatori pregiudicati, i partiti finsero di convertirsi alla legalità stabilendo, con la Severino, che almeno i condannati definitivi a pene superiori a 2 anni restassero fuori dalle Camere, come già avveniva da 22 anni in Comuni, Province e Regioni. Votò Sì persino FI, senza sapere che il primo a farne le spese sarebbe stato B., condannato a 4 anni per frode fiscale ed espulso dal Senato nel 2013.

Dieci anni dopo, la Casta non s’è ancora riavuta dallo choc e, dopo avere smantellato o sventato quasi tutte le riforme targate 5Stelle (Rdc, Dl Dignità, Superbonus, Pnrr, taglio dei vitalizi, cashback e pezzi di Spazzacorrotti), si accinge a dare il colpo di grazia alla Severino. Anzi alla legge del ‘90 che questi somari confondono con quella del ‘12. Da anni il Pd chiede di abolire la decadenza di sindaci, presidenti di Regione e assessori arrestati o condannati in primo o secondo grado, lasciandola solo per i definitivi (come per i parlamentari). Ora il governo Meloni accontenta i dem, ma li mette pure in imbarazzo. Delle due l’una: o appoggiano per coerenza una controriforma della destra; o cambiano idea e difendono una norma che finora avversavano (come per l’abuso d’ufficio, che fino a ieri volevano abolire, e il Rdc, contro cui votarono nel 2018). Se la porcata passerà, resterà da risolvere un problemuccio applicativo, non per gli amministratori condannati in via provvisoria e a piede libero, ma per quelli arrestati in custodia cautelare: destino rarissimo per i parlamentari, quasi sempre salvati dalle Camere che negano l’autorizzazione alla cattura, ma piuttosto frequente per gli inquilini di Comuni e Regioni, sprovvisti di immunità. Se un sindaco o un presidente finisce in galera e non decade più dalla carica, la giunta dove la riunisce: nel parlatorio o nel cortile del penitenziario durante l’ora d’aria?

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I PEGGIORISTI

l'editoriale di Marco Travaglio

10 agosto 2023

La clamorosa retromarcia di Meloni e Salvini sugli extraprofitti bancari, prima intoccabili e poi toccati (ma poco poco), è un successo delle opposizioni: dei 5Stelle e della sinistra che posero per primi il problema e del Pd modello Schlein che li segue. Ma anche del Fatto, che dai tempi di Draghi chiede di finanziare le politiche sociali con robuste liposuzioni del grasso in eccesso accumulato da chi ha lucrato su Covid, guerra e tassi: banche, assicurazioni, colossi farmaceutici, energetici e militari. A questo servono l’opposizione e la stampa libera: a rendere migliori, o meno peggiori, i governi. Lanciano proposte e le fanno crescere nell’opinione pubblica, fino a costringerli a sposarle o comunque a farvi i conti per non perdere voti. Dopo le banche, vedremo se il miracolo si ripeterà su altri comparti e sul salario minimo, deriso dalla Meloni finché ha visto i sondaggi. E figurarsi quanti danni ci risparmieremmo se tutta l’opposizione si opponesse e tutta la stampa fosse libera. Invece si continua a chiamare opposizione il duo Iv-Azione (già “Terzo Polo” per mancanza di voti) che del governo vota ogni porcata, mentre sulle rare cose giuste alza barricate (il Riformatorio renziano attacca la Meloni perché “non ce l’ha fatta ad adeguare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici”: cioè ad avvelenarci con più elettrosmog).

È la stessa missione svolta da quasi tutti i media. Su Rep, noto giornale di sinistra, il nostro idolo Stefano Folli scrive che prelevare 4 miliardi dalle banche per aiutare la gente a pagare mutui e bollette è una “scelta populista, spregiudicata, destabilizzante, demagogica”, tipica della -parlando con pardon-“destra sociale” e di “una certa sinistra” alla “Fratoianni”, ma soprattutto “dei 5S di Conte, i populisti per eccellenza”, come del resto tutte le misure che non vanno in c**o ai poveri. L’unica colpa del governo è non essere abbastanza feroce con la plebe. E par di vederlo, Folli, mentre ammassa mobili sull’uscio per evitare che gli entrino in casa “la destra sociale e la sinistra populista” che “si danno idealmente la mano” e gli rubino l’argenteria con una “patrimoniale”, o un’altra “misura assistenziale” tipo Rdc o, peggio ancora, con la mancata “ratifica del Mes”. Intanto, sul Corriere, Ciccio Giavazzi fu Mario minaccia il governo a banca armata: “per gli istituti di credito sarà meno conveniente investire in titoli di Stato”.
E, sul Foglio, il rag. Cerasa lacrima copiosamente perché “Meloni fa Conte, le banche piangono” per l’“extratracollo” causato dal “governo Fratoianni”.
E intervista Renzi contro la Meloni “grillina” che “corteggia Conte”. È la quadratura del cerchio della stampa serva e della finta opposizione che si battono per peggiorare vieppiù il governo. E, per quanto ardua appaia l’impresa, ce la possono fare.

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IL SUO NOME È NESSUNO

l'editoriale di Marco Travaglio

11 agosto 2023

Il segreto di questo cabaret che chiamiamo governo è non avere una faccia: così, avendola persa da un pezzo, o non avendone mai avuta una, non possono riperderla ogni giorno. Noi rammentiamo loro quel che dicevano prima di fare l’opposto e quelli rispondono: “Embè?”. La tassa sugli extraprofitti bancari, proposta da Conte mesi fa, l’avevano respinta otto volte come una rapina a mano armata. Ora la fanno loro, sia pure poco e male. Embè? E gli house organ che, quando la invocavano 5S e sinistre la dipingevano come una roba sovietica e un esproprio proletario, applaudono entusiasti il “Governo Robin Hood” che “fa piangere le banche” (Giornale) e “sbanca la sinistra” (Libero). Se avessero una faccia, arrossirebbero. Non avendola, si divertono, pronti a rigridare al comunismo se la Meloni, a furia di ridurla, si rimangiasse la tassa.

Carlo Nordio, oltre alla faccia, si sta cancellando anche il resto del corpo. Lui che attacca i magistrati da 30 anni, dice alla Stampa: “Mai attaccato i magistrati”. E aggiunge: “Io non sono garantista e nemmeno giustizialista”. In pratica, non esiste: il suo nome è Nessuno. Cosa che, fra l’altro, avvocati e colleghi sospettavano già quand’era pm a Venezia e lo cercavano in ufficio dopo le 14. E così, con due battute fra un cocktail e una gita a Cortina, si risparmia il fastidio di spiegare il decreto che aumenta le pene per l’incendio doloso: magari giusto, se non l’avesse firmato il noto fustigatore dei “panpenalisti” e “giustizialisti” che “pensano di garantire la sicurezza aggravando le pene, creando nuovi reati e chiedendo più carcere”. Quello che da ministro s’è inventato nuovi mirabolanti reati: rave party, omicidio nautico, lesioni personali nautiche, morte o lesioni conseguenti a traffico di migranti, violenze a personale scolastico e imbrattamento di monumenti. Tutte condotte già punite dal Codice penale. Come l’ideona renziana dell’omicidio stradale. E diversamente da robette come l’abuso d’ufficio e il traffico d’influenze, che infatti Nordio depenalizza e depotenzia in barba alle convenzioni internazionali. Non solo. Se c’era una cosa che gli stava sul gozzo erano le intercettazioni: “troppe”, “inutili”, “costose”, “incostituzionali”, “porcheria”, “barbarie”, tantopià che “i veri mafiosi non parlano”. E ora che ti fa il fu Carletto? Un decreto per moltiplicarle oltre i limiti fissati da una sentenza (sbagliata e pericolosa) della Cassazione: non solo per i reati associativi, ma anche per quelli con metodo mafioso; non solo se “indispensabili”, ma anche se “necessarie”; non solo per indizi “gravi”, ma anche “sufficienti”. L’avesse fatto Bonafede, Nordio l’avrebbe azzannato alla giugulare. Ma l’ha fatto il buco col ministro intorno, quindi non protesta nessuno. Tantomeno Nessuno.

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INTERESSE DI CONFLITTO

l'editoriale di Marco Travaglio

12 agosto 2023

Per misurare lo stato della politica e dell’informazione, che in Italia si peggiorano a vicenda, basta leggere le cronache su quel che resta di Forza Italia dopo la dipartita di B.. La primogenita Marina lancia moniti al governo, come se facesse capoluogo, e i giornali si preoccupano dei rapporti fra la premier Meloni, leader del partito più votato dai cittadini, e la presidente F*******t e Mondadori, consigliera di Mediaset, mai eletta neppure amministratore di condominio. Il secondogenito Pier Silvio, del quale pure si ignorano le idee ma non le cariche – ad e vicepresidente esecutivo Mediaset, presidente Rti – viene dato dai sondaggisti come il leader ideale di FI in quanto più popolare di Tajani (bella forza) perché, levando il Pier, si chiama come il padre che “tira” anche da morto, anzi ci sono buone speranze che qualche elettore rinc*gli**ito continui a votarlo credendolo vivo. Del resto, si osserva, la famiglia B. continua a essere di fatto la proprietaria di FI, che finanzia garantendone i debiti con mega-fidejussioni. Tant’è che, alle suppletive per il seggio senatoriale di Monza liberato da B., il centrodestra candida Adriano Galliani, già socio di B., ultimamente nominato presidente delle società immobiliari F*******t, presidente di Mediaset Premium, consigliere d’amministrazione di F*******t, ad e vicepresidente vicario del Monza. Il tutto – garantisce Tajani – previa intesa con la famiglia B.: come se uno spicchio di Senato fosse stato privatizzato e facesse parte dell’eredità, per usucapione.

Nel discutere di questo bel quadretto, nessuno fa notare che non sarebbe neppure immaginabile in un’altra democrazia occidentale, perché lo vieterebbe anche la più scadente delle leggi contro i conflitti d’interesse. Ecco perché la cara salma è stata santificata sia da amici e alleati, sia da quasi tutti i sedicenti oppositori: perché il suo monumentale conflitto d’interessi, una volta sdoganato, legittima tutti quelli degli altri. Che, per quanto si sforzino, non riusciranno mai a eguagliarlo. Anziché chiudere la voragine aperta da B. nella rete della legalità e della decenza, si preferisce lasciarla spalancata, a beneficio di chiunque voglia intrufolarvisi dopo di lui: compari e presunti avversari. Il conflitto d’interesse fa comodo a tutti. Libero e Giornale scoprono quello altrui perché Stampa, Repubblica e Domani attaccano il presidente del Lazio, Francesco Rocca, per le marchette al gruppo Angelucci nella sanità privata, molto cara anche a Elkann (editore di Stampubblica) e De Benedetti (editore di Domani). Ma si scordano di segnalare il proprio, visto che Libero e Giornale appartengono agli Angelucci. Di lassù o di laggiù, B. si farà delle grasse risate: vinceva da vivo, vince pure da morto.

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COGNATI D'ITALIA

l'editoriale di Marco Travaglio

13 agosto 2023

Che il camerata Marcello De Angelis tenesse famiglia, si era intuito dalla rapida successione fra il virile “sono pronto a pagare come Giordano Bruno” (per aver assolto i Nar sulla strage di Bologna) e le flaccide “scuse” che tramutavano quell’“assoluta certezza” in un’“unica certezza: il dubbio” per tenersi la poltrona in Regione. Ora scopriamo che ha pure assunto il cognato Edoardo Di Rocco, fratello della compagna, ingegnere esperto in vendite di servizi finanziari, per seguire imprecisate “questioni istituzionali”. Del resto, a segnalare De Angelisa a Rocca, sarebbe stato un altro cognato: il ministro Lollobrigida e la moglie Arianna Meloni, sorella di Giorgia. Giorgia peraltro rischiò di avere De Angelis come cognato, quand’era fidanzata col fratello Renato. I due De Angelis hanno anche una sorella, Germana, che ha sposato Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna e difeso dal cognato Marcello. In pratica l’ex quasi cognato della Meloni, amico del vero cognato della Meloni, ha difeso il cognato stragista prima di assumere il cognato ingegnere. Bizzarro che il partito della dinastia cognatesca si chiami Fratelli d’Italia.

Diceva Flaiano: “Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati”. E Sciascia: “Tre c sono pericolose: cugini, cognati e compari”. Infatti non c’è scandalo senza cognati. Quello di Craxi, Pillitteri, era sindaco di Milano e prendeva tangenti, come da tradizione famigliare. Quello di Fini, Giancarlo Tulliani, gli rovinò la carriera con la casetta di Montecarlo. Quello di Fontana, Andrea Dini, vinse l’appalto per fornire camici anti-Covid alla Regione guidata dal marito della sorella, ovviamente a sua insaputa. Quello di Renzi, Andrea Conticini, è imputato coi due fratelli per una brutta storia di milioni destinati ai bambini africani e distratti all’Unicef. Quello di Galliani, magazziniere al Milan, fu arrestato per aver rubato magliette e poi assolto. Quello di Lotito, Marco Mezzaroma, è il nuovo presidente di Sport e Salute con cui il presidente della Lazio è indebitato. L’inchiesta sulla Protezione civile di Bertolaso svelò che suo cognato Francesco Piermarini faceva incetta di appalti; immortalò l’imprenditore Gagliardi e il cognato De Vito Piscicelli a ridere sul terremoto dell’Aquila; beccò il dg Rai Mauro Masi mentre chiedeva al provveditore Angelo Balducci un lavoro per Antony Smit, fratello della sua compagna e sommozzatore ad Anacapri, prontamente sistemato al Salaria Sport Village; e intercettò l’imprenditore Anemone mentre parlava con Balducci dei cognati di Bertolaso (Piermarini) e di Rutelli (Paolo Palombelli) e domandava: “Oddio, quanti ce ne sono di cognati?”. Dilettante. Poi dice che uno abolisce l’abuso d’ufficio.

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