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IGNAZIO L’IGNARO
l'editoriale di Marco Travaglio
15 luglio 2023
“L’uso dell’immunità e soprattutto l’abuso del diniego dell’autorizzazione a procedere vengono visti dai cittadini e dall’autorità giudiziaria come una sorta di strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia”. Chissà se Ignazio La Russa è d’accordo con Ignazio La Russa. Già, perché queste parole le sottoscrisse lui, in una nota congiunta con Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri, nel maggio ’93, quando la Camera discuteva l’abolizione dell’autorizzazione a procedere, allora necessaria persino per indagare su un parlamentare. Parole che avrebbe dovuto ripetere quando suo figlio Leonardo Apache fu denunciato per stupro da un’ex compagna di scuola e i magistrati tentarono di acquisire il cellulare del giovane. Ma scoprirono che la carta sim è intestata all’altro figlio del presidente del Senato, Geronimo, titolare dello studio di cui Ignazio è socio. E si posero il problema se poterlo utilizzare o no senza l’ok del Senato. Molti giuristi dubitano che l’immunità telefonica dei parlamentari si estenda a chiunque utilizzi telefoni a loro intestati: altrimenti qualsiasi eletto potrebbe intestarsi carte telefoniche e regalarle a fior di criminali per consentire loro di parlare dei loro delitti lontano da orecchi indiscreti e farla franca. Figurarsi per i telefoni di loro studi o società. Ma il presidente del Senato avrebbe dovuto anticipare la Procura, senza aspettare il sequestro di ieri sera: ripetendo le parole di 31 anni fa, spogliandosi dello scudo e precipitandosi in Procura a consegnare la sim.
Avrebbe fatto un figurone. Sia perché avrebbe cancellato il sospetto di voler nascondere eventuali prove di colpevolezza e di ritenere che la legge sia uguale per tutti tranne che per Leonardo Apache, investito di un’immunità contagiosa per via successoria di padre in figlio. Sia per la ragione opposta: se è vero che, dopo le indagini da lui stesso condotte, è giunto all’ormai celebre sentenza definitiva di assoluzione (“Dopo averlo a lungo interrogato, ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante”), che cosa gli saltava in mente di sottrarre ai pm le prove decisive dell’innocenza del pargolo? Il Fatto glielo domandava da due giorni, ma invano. Ieri, invece di ringraziare per il consiglio che gli avrebbe salvato la faccia, La Russa ha lanciato la solita minaccia di querele, seguita dalla non risposta dell’avvocato del figlio, Adriano Bazzoni: “È un tema che non ho attenzionato e non abbiamo affrontato assieme, aspettiamo rispettosamente l’esito delle indagini ”. Così, mentre aspettavano, i cittadini e l’autorità giudiziaria hanno pensato a un abuso del diniego dell’autorizzazione a procedere come strumento per sottrarsi al corso necessario della giustizia.
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Inserito il - 16/07/2023 : 03:59:33
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FORT APACHE
l'editoriale di Marco Travaglio
16 luglio 2023
Un minuscolo rettangolino di plastica rischia di incenerire il pochissimo che resta di uno dei rarissimi pregi della destra postfascista: quello che i fessi chiamano “giustizialismo” e che invece è (anzi era) solo legalitarismo. Quello che portò il giovane Borsellino a iscriversi al Fronte della Gioventù e a frequentarne le feste fino al 1990. Quello che nel 1992 portò il Msi dalla parte del pool Mani Pulite e contro l’immunità parlamentare (abolita nel ’93 a furor di popolo su pressione soprattutto di Lega e Msi). Quello che, dopo troppi compromessi, tornò in mente a Fini nel 2010, quando ruppe con B. sulla lotta alla mafia e all’impunità. Il rettangolino di plastica è la scheda sim dello smartphone consegnato l’altroieri da Leonardo Apache La Russa ai pm milanesi che ne avevano appena disposto il sequestro nell’indagine per stupro. La sim è intestata alla società che controlla lo studio legale La Russa, guidato dall’altro figlio di Ignazio, Antonino Geronimo, ma di cui il presidente del Senato è azionista. Con un’interpretazione molto generosa dell’articolo 68 della Costituzione, la Procura ha ritenuto che la sim, diversamente dal cellulare, non potesse essere sequestrata senza il permesso del Senato, anche se la usava solo Leonardo. E anche se l’immunità rimasta dopo la riforma del ’93 copre solo i parlamentari e solo per intercettazioni, misure cautelari e processi per opinioni e voti espressi nell’esercizio delle funzioni: non gli oggetti a essi riferibili in uso ad altri. Altrimenti che si fa se un eletto compra un’auto e la presta a qualcuno che investe un passante e lo ammazza o fa una rapina in banca?
In ogni caso, per quieto vivere, i pm hanno restituito la sim a Leonardo Apache. Ma ora, se scopriranno che sullo smartphone manca qualcosa di utile all’indagine che può essere memorizzato solo sulla sim, chiederanno al Senato l’autorizzazione a sequestrarla. E ad acquisire chat su (o con) Ignazio e tabulati telefonici. Quindi è possibile che il Senato, trasformato in Fort Apache e presieduto dal padre dell’indagato, debba presto votare su una o più richieste dei pm che indagano sul figlio. Con lunga scia di imbarazzi per Meloni e FdI, ma anche per Lega e FI. Sarà dura intonare il coretto della persecuzione giudiziaria, trattandosi di verificare la denuncia di una ragazza che sostiene di essere stata stuprata. Non da un parlamentare sacro e inviolabile, ma da un cittadino comune. Che farà a quel punto il partito che fino all’altroieri, per bocca di Meloni, Santanchè e pure La Russa, invocava per gli stupratori 40 anni di galera e la castrazione chimica? Riusciranno i nostri eroi a mettersi nei guai da soli un’altra volta, o già oggi La Russa padre e figlio correranno in Procura per cacciare la sim?
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Inserito il - 17/07/2023 : 04:17:47
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
17 luglio 2023
Il bello della Giustizia/1. “Non commento il Fatto quotidiano per ragioni estetiche” (Carlo Nordio, FdI, ministro della Giustizia, 12.7). Ha parlato Brad Pitt.
Il bello della Giustizia/2. “Nordio grande ministro” (Salvatore Baiardo, condannato come favoreggiatore dei boss Graviano, TikTok, 12.7). Sono soddisfazioni.
Trentatrè trentini. “Entro una settimana l’emergenza sarà superata. Ma per raggiungere l’eccellenza, perché Roma sia pulita come merita, come un borgo del Trentino, ci vorranno un paio di anni” (Roberto Gualtieri, sindaco Pd di Roma, 18.7.2022). Ne manca uno, ma ci siamo quasi.
Zac! “La castrazione chimica per pedofili e stupratori è una storica battaglia della destra, dimenticata nel decreto sicurezza del governo. Per questo Fratelli d’Italia l’ha ripresentata con un suo emendamento” (Giorgia Meloni, FdI, 3.11.2018). “Per far approvare la castrazione chimica chiamiamola ‘scelta temporanea di azzeramento della libido’” (Ignazio La Russa, FdI, Secolo d’Italia, 5.4.2019). Pare che, a scanso d’equivoci, Leonardo Apache abbia fatto sparire da casa tutte le forbici.
Idem Santanchè. “Sono certa della buona fede della Idem ma le dimissioni sarebbero auspicabili. Serve atto di responsabilità: politica deve dare l’esempio” (Giorgia Meloni, leader FdI, 20.6.2013). Come passa il tempo.
Agenzia Stica**i. “Mi nutro di fatica fisica e sport e adoro parlare con la gente… Sono figlio di mio padre” (Pier Silvio Berlusconi, lettera a Repubblica, 29.6). Mo’ me lo segno.
L’intenditore. “Concorso esterno in associazione mafiosa. Il reato che non c’è. Anche Falcone aveva molti dubbi” (Piero Sansonetti, Unità, 14.7). Infatti fu il primo ad applicarlo nella sentenza-ordinanza del maxiprocesso-ter a Cosa Nostra il 17 luglio 1987.
Lo storico. “Sul patto tra il Cav. E Cosa Nostra non c’è una prova” (Salvatore Lupo, storico, intervista al Foglio, 14.7). A parte la sentenza definitiva della Cassazione del 9 maggio 2014 che condanna irrevocabilmente Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa: “Tra il 16 e il 29 maggio 1974 veniva concluso l’accordo di reciproco interesse tra Cosa Nostra, rappresentata dai boss mafiosi Stefano Bontate e Mimmo Teresi, e l’imprenditore Silvio Berlusconi”.
Via B. angolo via Betulla. “Sindaco Sala, ci ripensi. Via Berlusconi si può fare” (Renato Farina, Libero, 11.7). Suona bene: via Berlusconi.
Nostradamus. “Il telefonino di La Russa jr. non verrà sequestrato” (Messaggero, 14.7 mattina). “La Russa, la procura di Milano sequestra il cellulare del figlio Leonardo” (Messaggero, 14.7 sera). Senza parole.
Etica etrusca. “Boschi: ‘La doppia morale rende Meloni come Grillo’” (Repubblica, 11.7). C’è chi ce l’ha doppia e chi non ce l’ha proprio.
Chi offre di più? “Le stime parlano di 200 mila soldati russi morti in Ucraina” (Stampa, 20.2). “50.000 morti russi” (Anna Zafesova, Stampa, 11.7). Sembra ieri che erano il quadruplo.
Accontentatelo. “Salario minimo. La soglia di 9 ero l’ora è alta e sbagliata nel metodo” (Luciano Capone, Foglio, 11.7). Idea: pagare Capone 8,9 euro l’ora, se non sono troppi.
Reati inutili. “Strage di Erba: ‘Olindo e Rosa innocenti’, Tarfusser chiede di riaprire il caso” (Repubblica, 15.4). “Cuno Tarfusser: ‘Concorso esterno e abuso d’ufficio? Reati inutili: giusto cambiare” (Giornale, 15.7). Ma pure la strage.
Imputati inutili. “La vera separazione delle carriere che serve non è tra pm e giudici, ma tra giudici bravi e giudici incapaci. Per questo noi del Riformista lottiamo. Lo facciamo anche a costo di sacrifici personali. Ieri ho ricevuto l’ennesima condanna alle spese da parte della solita giudice NoVax e NoWiFi: la dottoressa Zanda, casualmente di Firenze… Condannato da una giudice che non rispetta le leggi. Non è magnifico?” (Matteo Renzi, Riformista, 15.7). È magnifico il fatto che il direttore editoriale di un giornale, casualmente di Firenze, si rivolga al Tribunale di Firenze per chiedere 2 milioni a un giornale (la Verità), un giudice di Firenze gli dia torto in base alla legge e quello piagnucoli perché scambia la soccombenza per una condanna e soprattutto perché l’ha giudicato un giudice di Firenze.
Il titolo della settimana/1. “La storia di Forlani ci ricorda cosa sono le vere persecuzioni giudiziarie” (Sergio Soave, Foglio, 8.7). Nel senso che confessò la maxitangente Enimont e fu condannato fino in Cassazione.
Il titolo della settimana/2. “Pierferdinando Casini: ‘Forlani ha pagato per tutti’” (Giornale, 8.7). Quindi c’entrava pure Casini?
Il titolo della settimana/3. “Tajani, ‘campagna acquisti’ per la futura Forza Italia. Tra le ipotesi anche nomi M5S” (Corriere della sera, 14.7). Sempre per pulire i cessi a Mediaset?
Il titolo della settimana/4. “Ma c’è sempre un fascista che gli scappa il braccio teso…” (Piero Sansonetti, Unità, 13.7). Ma ora l’Unità è un giornale straniero?
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La Marina mercantile
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
18 luglio 2023
– Il Giornale: “Marina dice basta”. Perbacco, roba grossa. St se ziamo parlando di Marina B., primogenita del noto pregiudicato da poco scomparso, che manda un messaggio alla Meloni (e a chi altri?) perché “riformi la giustizia” e la renda “uguale per tutti” (prospettiva peraltro agghiacciante per il Gruppo, che con una giustizia uguale per tutti sarebbe rovinato da 40 anni). La signora naturalmente è libera di dire le scempiaggini che vuole, anche perché, a dispetto delle apparenze, è molto spiritosa. Ci vuole un bel sense of humour per essere a capo del maggior gruppo editoriale d’Europa e insultare i rari giornalisti che scrivono la verità sulle stragi chiamandoli “complici dei pm” (complice, nella lingua italiana, è chi sta coi ladri, tipo i frodatori fiscali; nella lingua arcoriana, chi sta con le guardie). O per definire “delirante” l’”accusa di mafiosità” a uno che si tenne in casa per due anni un mafioso travestito da stalliere (quello che accompagnava a scuola Marina e Pier Silvio perché non facessero brutti incontri) e che la Cassazione ha accertato aver “concluso” nel 1974 un “accordo di reciproco interesse” con “Cosa Nostra, rappresentata dai boss Bontate e Teresi” (altro che “non è emerso nulla di nulla”). O che “i conti F*******t sono passati per anni al setaccio senza risultato” (a parte una mega-frode fiscale da 368 milioni di dollari accertata dalla condanna in Cassazione e tre falsi in bilancio certificati da giudici che hanno dovuto assolvere B. perché si era depenalizzato il reato). O che pm cattivi e “giornalisti complici” vogliono infliggere al caro estinto “la damnatio memoriae”.
Ma qui c’è un equivoco: la pena della Roma antica cancellava ogni traccia di un personaggio, come se non fosse mai esistito. Invece i pm cattivi e i giornalisti complici fanno di tutto per ricordare B. per quello che era: un frodatore, finanziatore della mafia e corruttore seriale. Se non lo fosse stato, la Marina non sarebbe presidente della Mondadori, scippata al legittimo proprietario De Benedetti da una sentenza comprata dagli avvocati di B. con soldi di B., che dovette poi pagare mezzo miliardo di danni. L’unica damnatio memoriae è quella imposta dai giornalisti complici dello scippatore (tipo quelli di Canale5 che linciarono il giudice Mesiano per porto abusivo di calzini turchesi), che consente alla presidentessa della refurtiva di pontificare come se nulla fosse. E di trovare addirittura qualcuno che la stia a sentire: Forza Italia attende con ansia le letterine di Marina e Pier Silvio, che decidono persino chi deve succedere a Papi in Senato, come se avesse comprato e lasciato in eredità pure il seggio parlamentare. La Repubblica del Banana finirà solo quando tal Marina dirà “Basta” e tutti risponderanno in coro: “E chi se ne frega”.
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IL GRANDE MARCELLO
l'editoriale di Marco Travaglio
19 luglio 2023
Marcello Dell’Utri aveva 30 milioni di ragioni (arrotondate per difetto) per cucirsi la bocca con i pm che indagano sulle stragi del 1993-‘94. Vedi mai che gli scappasse qualche parola di troppo. Soprattutto dopo i nuovi ordini diramati da Marina B. al governo (subito eseguiti) e anche a lui, destinatario con Marta Fascina di una bella fetta del testamento di Silvio “per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me”. Infatti ieri a Firenze non s’è fatto neppure vedere. Del resto era stato proprio lui a teorizzare l’aurea regola dell’omertà, piuttosto in voga fra gli amici mafiosi, ma del tutto inedita per un senatore della Repubblica. Era il novembre 2002 e lui, imputato per mafia e dunque scelto da B. come educatore dei futuri candidati forzisti, tenne in un hotel di Macerata un’imperdibile lezione su come farla franca nei processi: “Non parlare mai, avvalersi sempre della facoltà di non rispondere. Non patteggiare mai, salvo che siate colti in flagranza di reato… Seguire i consigli dell’avvocato solo quando la pensa come voi… Far passare più tempo possibile. Nei casi disperati, cioè quasi sempre, non preoccupatevi dell’anomalia principale dei processi: la durata interminabile. Anzi, la regola è proprio far passare il tempo. Che è galantuomo, alla fine rende giustizia. Se accelerate troppo, non otterrete una sentenza che vi soddisfi. Invece, col tempo, possono succedere tante cose: può essere che muore un pm, muore un giudice, muore un testimone, cambia il clima, cambiano le cose”. E dalle sue parti le cause di morte dei giudici e dei testimoni sono molteplici: non tutte naturali, ecco.
Voi capite di cosa ha paura uno così quando un magistrato ancora miracolosamente vivo lo convoca: non del magistrato, ma di se stesso. È talmente mafioso dentro che da quella bocca può uscirgli di tutto. Tipo quando disse a Chiambretti che “La mafia non esiste, è un modo d’essere, di pensare”, scavalcando la massima di Luciano Liggio (“Se esiste l’antimafia, esisterà anche la mafia”). O quando, intervistato due anni fa dal Foglio, incenerì trent’anni di balle su Vittorio Mangano “stalliere” o “fattore” deportato ad Arcore da Palermo per strigliare i cavalli (mai visti) o perché “espetto di cani”: “Mangano e Tanino Cinà vennero a Milano dalla Sicilia. Berlusconi dopo averli squadrati mi fa: ‘Uhm, accidenti che facce’… Eravamo negli anni 70 e la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati… Venne a vivere ad Arcore con la moglie, la suocera e le due figlie. Che giocavano in giardino con i figli di Berlusconi”. Il piccolo Pier Silvio e la più grande Marina, che 40 anni dopo non si dà ancora pace perché alcuni pm e “giornalisti complici” accostano il padre alla mafia: che siano malati?
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I TRAVESTITI
l'editoriale di Marco Travaglio
20 luglio 2023
Non potendoli purtroppo affidare agli infermieri per un bel Tso collettivo (hanno l’immunità pure da quello), non resta che guardarli e farsi quattro risate. Parliamo dei cialtroni che ci sgovernano e che i cretini de sinistra chiamano “sovranisti” o “fascisti”, senz’accorgersi che qualunque aggettivo diverso da “berlusconiani” li nobilita. Giorgia Meloni, che ha il grave torto di averli riciclati e arruolati con maquillage posticci sotto le insegne della presunta “destra”, li aveva pregati di dismettere almeno per un giorno i piedi di porco, i grimaldelli, i passamontagna e le calzamaglie nere e di travestirsi da persone perbene, per poter celebrare l’anniversario di Borsellino senza lanci di pomodori. Era riuscita persino a levare per qualche ora il fiasco a Nordio, che s’era affacciato in Parlamento per dire l’opposto di ciò che ha sempre detto e pensato sul concorso esterno (anche se continua a confonderlo con il concorso di bellezza). Mattarella se l’era bevuta e aveva sbloccato la schiforma della giustizia, dopo che per giorni e giorni i turiferari l’avevano dipinto come “argine” e “baluardo” ritto e tetragono a protezione dell’abuso d’ufficio e degli impegni internazionali dell’Italia. Insomma, tutto sembrava filare liscio, quando alla Camera s’è votato sulla direttiva anti-corruzione del Parlamento e del Consiglio europei, con strumenti in gran parte già in vigore da noi grazie alle leggi Severino e Bonafede: carcere fino a 6 anni, incandidabilità dei corrotti, limiti all’immunità,termini di prescrizione “sufficienti a fare giustizia”, controlli anche sui funzionari europei e naturalmente sanzioni per i reati tipici dei tangentari, incluso l’abuso d’ufficio.
La direttiva nasce dallo scandalo delle mazzette pagate da Qatar e Marocco a diversi eurodeputati, quasi tutti italiani e di sinistra. Tant’è che le destre nostrane l’hanno giustamente cavalcato. Ieri però Pd, M5S e Avs hanno votato a favore, mentre a bocciare il documento Ue sono state proprio le destre, con le consuete ruote di scorta calendian-renziane. Il motivo l’ha spiegato il relatore meloniano Antonio Giordano col solito gargarismo “garantista” pieno di vuoto: le norme più dure contro le euromazzette sarebbero – testualmente – “in palese contrasto con i principi di sussidiarietà e proporzionalità”. Come fosse antani. La superc***ola ricorda quelle di B.&Bossi per bocciare nel 2001 il trattato sul mandato d’arresto europeo (“garantismo” contro “Forcolandia”). E serve a celare il terrore che pervade il grosso dei parlamentari quando leggono, accanto al rinfrancante termine “corruzione”, il terribile prefisso “anti”. Un riflesso condizionato tipo dottor Stranamore, che fa scattare non il braccio teso, ma la mano prensile. Dicono Borsellino e pensano al portafogli.
Foto dal web
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STURM UND DRAGHI
l'editoriale di Marco Travaglio
21 luglio 2023
Un anno fa l’Italia tornava a essere una democrazia normale: si dimetteva Draghi, l’ex banchiere chiamato il 2 febbraio 2021 da Mattarella per un governo-ammucchiata “che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Ora sui giornaloni vedovi e orfani fioccano le ricostruzioni di prefiche ancora inconsolabili per la prematura dipartita. Peccato che non ricordino nulla di vero, o fingano. Per Lucia Annunziata (Stampa) Draghi fu vittima di un “licenziamento” da parte dei partiti cattivi. Peccato che sia stato lui, il 21 luglio 2022, a farsi cacciare in Senato, prima attaccando FI e Lega, poi sputando sui 5Stelle e le loro bandiere (Rdc e Superbonus, che s’era impegnato con Grillo a difendere in cambio dell’appoggio M5S), dopo averli provocati per mesi, dalla giustizia alla scissione Di Maio. “Se la maggioranza avesse tenuto – scrive l’Annunziata restando seria – saremmo in tutte le cabine di regia: dal Pnrr all’Ucraina”. Ma soprattutto saremmo una dittatura: per lasciare Draghi al potere avremmo dovuto abolire le elezioni. Infatti, anche se si fosse votato nel marzo ‘23 anziché il 25 settembre ‘22, la destra avrebbe vinto comunque, e pure meglio. Quando arrivò Draghi, FdI era al 12%; quando sloggiò era al 24; e quando si votò era al 26. Altri sei mesi di Draghi e avrebbe superato il 30, senza contare Lega e FI.
Sempre sulla Stampa Alessandro Barbera scrive che fu Mattarella, con Renzi, a preferire Draghi a Conte perché la campagna vaccinale era “al palo”, a causa delle “primule” di Arcuri che “arrancava”. Balla sesquipedale: nel gennaio ‘21 l’Italia era il primo fra i grandi Paesi Ue per vaccinazioni, davanti a Germania, Francia e Spagna. E il Colle ripeteva che “dopo Conte c’è solo il voto”. Le stesse corbellerie sulla “campagna vaccinale elaborata ex novo” da Draghi e dunque “vincente” le ripete Francesco Verderami sul Corriere: purtroppo il piano Figliuolo era identico al piano Arcuri, ma la sua conduzione altalenante ci fece perdere il primato del primo mese. Su Repubblica Stefano Cappellini ancora lacrima per il “delitto quasi perfetto” dei “congiurati populisti” (Conte, B. e Salvini) che han “portato Meloni in spalla a Palazzo Chigi”. Non s’è accorto neanche lui dell’harakiri di Draghi e del raddoppio dei consensi alla Meloni sotto il (e grazie al) suo governo. Però dice che la vittoria delle destre era “scontata”: e non lo era affatto, se Letta non avesse scaricato Conte su ordine Nato. Però c’è di buono che l’archeologo Cappellini ha finalmente rinvenuto il prezioso incunabolo detto “Agenda Draghi”: infatti scrive che “le pagine della sua agenda” sono “sopravvissute ai populisti”. E questo perché siamo sempre a 90 gradi davanti a Biden e a Zelensky. Anzi, a 90 draghi.
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LA GAZZELLA E I CAZZARI
l'editoriale di Marco Travaglio
22 luglio 2023
Con la geniale uscita di Musumeci, che ha definito “assistenzialismo” il salario minimo ignorando il significato sia di assistenzialismo sia di salario minimo, il governo Meloni si avvicina pericolosamente all’en plein della cazzata: che quasi tutti i ministri, a parte forse Bernini e Schillaci, sono riusciti a spararne almeno una in nove mesi. Non avendo a disposizione una Treccani, vorremmo rendere omaggio ai nostri preferiti. Di Nordio, primatista mondiale, vogliamo ricordare quella dei “veri mafiosi” che non parlano al telefono né a tu per tu per paura delle intercettazioni, alla vigilia del malaugurato arresto di Messina Denaro grazie alle intercettazioni. Di Sangiuliano, la promessa di “provare a leggere” i libri dello Strega dopo averli votati in qualità di giurato non-lettore (quantomai opportuna, visto che la lettura della Divina commedia l’ha convinto che Dante abbia “fondato il pensiero di destra”. Di Salvini, a campione, il delicato accostamento fra gli alluvionati d’Emilia Romagna e la sconfitta del Milan. Della Roccella, quello fra la Santanché e Tortora (per il ruolo del pappagallo, c’è l’imbarazzo della scelta). Di Lollobrigida, più delle minchiate sulla “sostituzione etnica”, ci ha affascinato la giustificazione: “Non sono razzista, sono ignorante”, che peraltro è il motto dell’intera compagine governativa.
E come dimenticare Piantedosi, che contraddice sia le piante sia le dosi col decreto Rave e poi se la prende con quei pezzenti dei migranti, detti anche “carichi residuali”, che “mettono in pericolo la vita dei figli” salpando sui barconi pericolanti anziché su comodi yacht e navi da crociera. E Valditara, che urla “evviva l’umiliazione, fattore fondamentale nella crescita” a scuola. E Crosetto, che attribuisce “l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio” alla “strategia di guerra ibrida del battaglione Wagner” (ha stato Putin). E Sgarbi che, essendo sottosegretario alla Cultura, intrattiene lo scelto pubblico del museo Maxxi sul “c***o, organo di conoscenza, cioè di penetrazione, che serve a capire” (cos’ha al posto della testa). E Tajani che, sempre sul salario minimo, parla di “roba da Urss” (infatti c’è in tre quarti d’Europa e soprattutto nel Paese più sovietico del mondo: gli Stati Uniti). E La Russa, che essendo ben più che ministro (è la seconda carica dello Stato), batte tutti al fotofinish definendo i nazisti uccisi dai partigiani in via Rasella “una banda musicale di semi-pensionati”: tipo i Pooh o il Quartetto Cetra. Ogni mattina, come sorge il sole, la Meloni si sveglia e deve scegliere fra due opzioni: correre più veloce delle cazzate dei suoi ministri, o inseguirli con sparate ancor più grosse, tipo “andremo a cercare gli scafisti in tutto il globo terracqueo”. Ha scelto la seconda.
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NON APRITE QUELLA PORTA
l'editoriale di Marco Travaglio
23 luglio 2023
Delle frasi di Patuanelli sul finanziamento pubblico ai partiti abbiamo apprezzato più la precisazione che le parole dal sen fuggite davanti a Verderami del Corriere. E non perché non se ne possa parlare: il capo dei senatori 5S non è sospettabile di essere un arraffone, avendo sempre restituito un quarto del suo stipendio al suo Movimento; e fa giustamente notare che, sui quei finanziamenti alle forze politiche (per quelle che li prevedono) non esistono controlli pubblici, dunque sarebbe più razionale tagliare un quarto dei compensi ai parlamentari, darlo direttamente ai partiti e fissare criteri ferrei di controllo sulla loro gestione. Ma nel Paese delle Meraviglie: non in Italia, dove basta aprire quella porta anche con le migliori intenzioni per vedere infilarvisi i peggiori soggetti con le peggiori intenzioni. Lo dice la storia degli ultimi 30 anni, visto che proprio nel 1993 il popolo italiano abolì con un referendum- plebiscito il finanziamento pubblico ai partiti, che se l’erano dato nel 1974 dopo lo scandalo petroli promettendo di non rubare più, ma seguitando a farlo come e più di prima. Ma, appena uscito dalla porta, il finanziamento pubblico rientrò dalla finestra travestito da “rimborsi elettorali”. Che, calcolati a forfait e senza ricevute, coprivano 4-5 volte le spese per le elezioni. E salivano di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa- monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ‘93). Nel 2009 la Corte dei conti rivelò che in 15 anni i partiti avevano prelevato dalle nostre tasche 2,2 miliardi di euro.
Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle, il governo Letta passò al finanziamento pubblico indiretto e volontario: chi vuol aiutare un partito gli devolve il 2xmille delle tasse. Così i partiti sono obbligati a curare il rapporto con gli elettori per meritarsene il sostegno. Ma, siccome la credibilità dei politici è rimasta (giustamente) sottozero, dal 2xmille incassano tutti insieme solo 16 milioni l’anno (senza contare i contributi dei privati che, a parte le microdonazioni dei cittadini, sono di solito tangenti mascherate, tantopiù che spesso passano per fondazioni per nulla trasparenti che fungono da schermo per partiti e singoli politici). Di qui l’ideona trasversale, da destra a sinistra, di spartirsi anche i soldi dei contribuenti che non donano il 2xmille, o di raddoppiarlo al 4. Così, siccome l’appetito vien mangiando, si tornerebbe rapidamente ai finanziamenti diretti a pioggia, che aumenterebbero vieppiù il discredito della classe politica tutta, perché sparirebbe anche la “diversità” dei 5Stelle. Tutti tornerebbero a pensare che, quando c’è da incassare soldi pubblici, sono tutti uguali. E non sarebbe una diceria qualunquista, ma la pura e semplice verità.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
24 luglio 2023
Poveretto, come s’offre. “In un qualsiasi Paese dove un leader politico viene condannato con sentenza definitiva, la partita è finita: game over” (Matteo Renzi, Porta a Porta, Rai1, 9.9.2013). “Ha ragione Marina: i Pm inseguono i nemici. Difendo chi non può più parlare come Silvio Berlusconi… Ne difendo la memoria… perché così rendo un servizio non solo alla sua storia personale ma ancora prima alle Istituzioni di questo Paese” (Matteo Renzi, lettera al Giornale, 23.7). Ha scritto proprio così: “la memoria”.
Ho vinto qualche cosa? “Abuso d’ufficio, lo stop allarma l’Ue: danneggerà la lotta alla corruzione. Il sindaco di Pesaro Ricci: per noi è una vittoria” (Corriere della sera, 21.7). La vittoria di pirla.
Neolingua/1. “Ingerenza da Bruxelles. Per loro tutto diventa un possibile reato” (Lucio Malan, capogruppo FdI al Senato, Giornale, 21.7). Loro i ladri non li chiamano statisti.
Neolingua/2. “Non voteremo la sfiducia a Santanché. E’ un assist di Conte a Meloni” (Enrico Borghi, capogruppo Azione-Iv al Senato, Foglio, 21.7). Non la sfiduciano per farle un dispetto.
Neolingua/3. “Tajani: ‘Garantisti alla Berlusconi’” (Repubblica, 16.7). Per lui è un complimento.
Neolingua/4. “Nel nome di Silvio, Tajani segretario di FI: ‘Fate vivere i suoi ideali’” (Giornale, 16.7). Il tempo di trovarne uno.
Neolingua/5. “Nasce l’area Bonaccini: ‘Non è una corrente’” (Stampa, 22.7). “Nasce l’area Bonaccini, applausi a Craxi e Renzi” (Repubblica, 22.7). Quindi è un’area edificabile.
Neolingua/5. “Gabriele Cagliari morto in cella perché non volle denunciare Craxi” (Unità, 20.7). No, perchè rubava.
Neolingua/6. “Giustizia per Gardini 30 anni dopo su Rai1” (Libero, 22.7). Ora le patacche si chiamano giustizia.
Agenzia Stica**i/1. “Mangio yogurt scaduti, mi sono sposato in scarpe da tennis” (Riccardo Illy, Corriere della sera, 16.7). Apperò: mo’ me lo segno.
Agenzia Stica**i/2. “Veronesi: ‘Niente più Bohème? E io torno a bendarmi’” (Messaggero, 18.7). Ma fai un po’ te.
Agenzia Stica**i/3. “La mia vita ora è in fattoria, ho aperto un ristorante rurale. Nessuno degli ex colleghi pd ha prenotato un tavolo” (Monica Cirinnà, ex senatrice Pd, Corriere della sera, 16.7). Prenotano tutti la cuccia del cane.
Agenzia Stica**i/4. “Anche Paolo Berlusconi rassicura FI: ‘La famiglia è presente’” (Giornale, 19.7). Meno male, stavamo in pensiero.
Agenzia Mecojoni. “Pagare le tasse è giusto” (Stampa, prima pagina, 18.7). Ma non mi dire.
Carletto Er Magnete. “Calenda: ‘A noi i voti in fuga dai 5Stelle’” (Stampa, 18.7). Transennate i Parioli.
Prelibatezze. “Il derby Renzi-Calenda si sposta sugli alleati. I due leader corteggiano gli stessi soggetti: Bonino, Lombardo, Cateno De Luca” (Messaggero, 22.7). Buongustai.
Il talent scout. “Tajani: ‘La mafia ci fa schifo, nelle nostre fila (sic, ndr) familiari delle vittime delle cosche’” (Giornale, 18.7). Dell’Utri, Cosentino e D’Alì.
Bisognerebbe. “Bisognerebbe che tutti i sostenitori di Zaki dicessero una parola per Navalny, l’oppositore di Putin già condannato a 9 anni di colonia penale severa, per il quale ieri ne sono stati richiesti altri 20” (Mattia Feltri, Stampa, 21.7). Poi ci sarebbe Assange, il giornalista reo di dare notizie vere sugli Usa: è in carcere da 4 anni e ne rischia 175 appena estradato, ma chissenefrega.
L’expertise. “Contro Delmastro è accanimento giudiziario” (Fabrizio Cicchitto, Dubbio, 14.7). Povero Delmastro, la difesa dalla tessera 2232 della P2 non la merita neanche lui.
Ballusti. “Travaglio? Negli anni 80 lavoravo con Montanelli e Travaglio era il vicecorrispondente dello sport da Torino. Montanelli non sapeva neanche che esisteva (sic, ndr)” (Alessandro Sallusti, Giornale, 23.7). Sallusti andò da Montanelli e gli domandò: “Conosci Travaglio?”. E Montanelli: “Sì, al Giornale l’ho chiamato io. Tu, piuttosto, chi sei?”.
Il titolo della settimana/1. “Sulla giustizia l’Ue sposa Travaglio. Il documento che critica la riforma Nordio sull’abuso d’ufficio si basa sugli articoli del ‘Fatto’” (Libero, 21.7). Ma solo perché gliel’ha ordinato la Via Lattea.
Il titolo della settimana/2. “Gardini, la vela e la Coppa America” (Riformista, 22.7). Per non parlare del trofeo per la maxitangente Enimont, la più grande della storia d’Europa.
Il titolo della settimana/3. “Smog, ex sindaci di Torino verso il processo: ‘Inquinamento ambientale colposo’. Sette imputati, fra cui Chiamparino, Fassino e Appendino” (Stampa, 22.7). La versione giudiziaria del “piove governo ladro”.
Il titolo della settimana/4. “Nastro giallo e nero sulla statua di Montanelli: l’ultimo blitz degli attivisti di Extinction Rebellion” (Stampa, 23.7). Forse ignorano che fu il giornalista più ambientalista d’Italia. Meno vernice e più libri, ragazzi.
Il titolo della settimana/5. “Perché il Parlamento non indaga sulla Procura di Palermo 1992 ‘nido di vipere’?” (Piero Sansonetti, Unità, 20.7). Poi, con comodo, potrebbe passare a indagare sulle guerre sannitiche.
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ALAIN E I GIOVANI D’OGGI
l'editoriale di Marco Travaglio
25 luglio 2023
Non ci sono parole per denunciare il vile agguato subìto da Alain Elkann sul treno Italo Roma-Foggia. È lui stesso a narrarne le drammatiche sequenze in un “breve racconto d’estate” che, visto l’autore (il padre del padrone) e soprattutto la prosa (notevoli le virgole tra soggetti e verbi), Repubblica ha collocato in Cultura sotto lo straziante titolo “Sul treno per Foggia con i giovani ‘lanzichenecchi’”. L’orda barbarica che ha proditoriamente funestato il suo viaggio in prima classe era composta dal vicino, “un ragazzo di 16-17 anni, T-shirt bianca con scritta colorata, pantaloncini corti, zainetto verde e iPhone con cuffia per ascoltare musica”; e, nelle altre file, da “altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo… Alcuni avevano in testa (anziché su un ginocchio o su un gomito, ndr) il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi” e, quel che è peggio, “avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi”. Un dress code premeditato con cura dai manigoldi per molestare l’Elkann, che indossava, “malgrado il caldo, un vestito stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. E portava una curiosa “cartella di cuoio marrone” (il cuoio di solito è viola a pois fucsia) “dalla quale ho estratto il Financial Times, New York Times e Robinson, l’inserto culturale di Repubblica” (La Stampa no: ci scrive da trent’anni, ma non la legge). Ma pure “il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust”, che “stavo finendo di leggere in francese” (anziché nella comoda traduzione in foggiano). Ma le estrazioni non sono finite: “Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica” (non con quella di un altro, o con un più pratico stiletto acuminato per tavolette cerate sumere).
Che faceva intanto l’orda lanzichenecca al cospetto di cotanto intellettuale in lino blu? Si raccoglieva in religioso silenzio sbirciando di straforo il Financial Times o la Recherche? Magari: “Erano totalmente indifferenti alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente” (strano, un tipo così alla mano). E “parlavano ad alta voce”: non dei listini di Borsa o de l’amour de Swann, ma “di calcio” e “ragazze” da “cercare in spiaggia” o “nei night” (ma noi giureremmo che abbian detto “tabarin” e “café chantant”). Dicevano financo “parolacce” e “nessun passeggero diceva nulla”, forse per “paura di quei ragazzi tatuati”, ergo capaci di tutto. Lui, riavutosi dalla scoperta scioccante che “per andare a Foggia bisogna passare per Caserta e Benevento”, anziché da Chamonix, è sceso a Foggia. E “nessuno mi ha salutato”. Ma lui, furbo, “non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”. Tiè: così imparano.
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COALIZIONE A RIPETERE
l'editoriale di Marco Travaglio
26 luglio 2023
La parabola dei lanzichenecchi che osano disturbare il fine intellettuale sul treno parlando di calcio e figa, narrata da Alain Elkann col sopracciglio e il mignolo alzati da dietro il Financial Times e la Recherche, ha riscosso persino più recensioni delle altre sue dimenticabili opere. Ma lascia inevaso un interrogativo: possibile che la direzione di Repubblica voglia così male al padre del padrone da non cestinare quel pezzo per il suo bene? L’unica risposta è che la direzione sia uguale a lui e non si sia posta proprio il problema dell’harakiri a cui lo (e si) esponeva. Le ultime annate trasudano un odio e un disprezzo per tutto ciò che è popolare (bollato di “populismo”) da far impallidire la Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare. Da quando il popolo vota all’opposto dei loro sogni, i salotti e le terrazze a mezzo stampa lo insultano per non sforzarsi di capirlo. E a farne le spese è l’unico soggetto che ancora li sta a sentire: il Pd che, a furia di seguirne i consigli, dimezza i voti a ogni elezione. Nel 2011, dopo tre anni e mezzo di B., ha le elezioni in tasca. Ma, su ordine di Napolitano e Rep, si ammucchia con FI nel governo Monti per tener lontani i 5Stelle. Che alle elezioni del 2013 balzano al 25,5%. Basta che Pd e M5S eleggano Rodotà al Colle per governare insieme. Ma Rep e i poteri retrostanti hanno un’idea migliore: Napolitano rieletto e altra ammucchiata Pd-FI-Centro col governo Letta (e poi con Renzi e Gentiloni) per tagliare fuori i lanzichenecchi “grillini”. Che infatti nel 2018 esplodono al 33%.
Di Maio ci prova col Pd. Che però, su ordine di Renzi e Rep, lo getta astutamente fra le braccia di Salvini. Nasce il governo Conte-1. Nel 2019 il Cazzaro Verde lo butta giù per votare subito e governare con “pieni poteri”. Rep è con lui: “Voto subito (ma c’è chi dice no)”, titola scavalcando la Padania. Per fortuna resta sola e, al posto del Salvini-1, nasce il Conte-2, il miglior governo degli ultimi vent’anni. Infatti Rep lo bombarda finché cade. I sondaggi danno ai giallorosa ottime chance nel voto anticipato, invece su ordine di Mattarella e Rep nasce l’ammucchiata Draghi. Che rade al suolo l’asse M5S-Pd e resuscita le destre: Lega e FI tornano al governo e FdI raddoppia i voti in 18 mesi di opposizione solitaria. La sola speranza è un’alleanza Pd-5Stelle, ma Rep la scomunica, Letta obbedisce in nome dell’Agenda Draghi e la Meloni stravince. Ora in Spagna i socialisti guadagnano un milione di voti e fermano la destra difendendo le loro riforme sociali (molto simili all’Agenda Conte) e rifiutando l’ammucchiata col Pp. E cosa consiglia Rep a Sánchez? Di “coalizzarsi col Pp”: una coalizione a ripetere, tipo quelle delle buonanime di Letta e Renzi. Fortuna che in Spagna nessuno legge Rep, sennò i lanzichenecchi di Vox avrebbero già vinto.
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PERFETTI CONOSCIUTI
l'editoriale di Marco Travaglio
27 luglio 2023
La famosa controffensiva ucraina di primavera, annunciata in autunno-inverno e partita in estate, si sta rivelando un disastro. E aggiungiamo “purtroppo”, perché significa altri morti, feriti, profughi e distruzioni. Ma la notizia – confermata financo da Kiev e dalla stampa atlantista – può stupire solo chi confonde l’informazione con la propaganda. Non noi del Fatto, che abbiamo la fortuna di ospitare analisti indipendenti e informati e fin dall’inizio abbiamo scritto come sarebbe finita: malissimo. Infatti ora il rischio è che il flop ucraino inneschi una controffensiva russa, come da avvisaglie a Kharkiv, Kupyansk e Odessa. Diversamente da chi ha passato 17 mesi a infilarci in liste di putiniani e un mese fa ci iscriveva fra gli sconfitti del golpe-operetta di Prigozhin (che poi ha deluso il fan club), noi non combattiamo guerre a mezzo stampa e non chiediamo a Tizio o Caio di scusarsi per ciò che ha scritto. Ma gli “esperti” che dal 24 febbraio 2022 non ne azzeccano una puntando il dito su chi le azzecca tutte dovrebbero almeno dare una controllatina alle loro fonti, per limitare le balle e il ridicolo. Magari domani le loro previsioni si avvereranno tutte insieme. Ma al momento Putin non è caduto, l’economia russa non è in default, le sue fabbriche producono più di prima (più missili degli Usa), le sanzioni danneggiano più i sanzionatori che il sanzionato, l’isolamento di Mosca non esiste (ora, oltre a Pechino, c’è pure Riad), il Fmi raddoppia la stima sul suo Pil mentre quello europeo ristagna, gli auto-bombardamenti russi ai gasdotti, alla centrale di Zaporizhzhia e al ponte di Crimea erano bufale, l’armata russa continua a ricevere truppe, armi e munizioni fresche, le sue difese dentate e minate nelle quattro regioni occupate reggono e fanno il tiro al bersaglio sui costosissimi Leopard 2 tedeschi e sui Bradley americani, mentre i soldati ucraini stremati, impreparati e senza ricambi vengono mandati al macello in trincea da comandanti senza strategia. Come ripete da mesi il generale Milley, capo di tutte le forze Usa.
Stiamo parlando dell’esercito più armato e più finanziato d’Europa: l’invincibile armata dell’Ucraina+“Nato allargata” (40 Paesi contro uno) che finora non ha neppure scalfito la tragicomica “armata rotta” di Putin. Infatti, non riuscendo a riconquistare che piccoli fazzoletti di terra, Zelensky si sfoga con attentati in Russia e in Crimea di nessun peso militare, solo per convincere un Occidente svenato, scettico e diviso a non mollarlo. Se le nostre Sturmtruppen cambiassero registro, o almeno occhiali, potrebbero persino scoprire che chi rischia l’umiliazione non è Putin, ma Zelensky. E il negoziato non conviene alla Russia, ma all’Ucraina, finché ne resta qualcosa.
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DI RAI IN PEGGIO
l'editoriale di Marco Travaglio
28 luglio 2023
L’unica mossa intelligente della nuova Rai è stata accantonare l’idea, partorita da non si sa quale mente malata, di affidare a Peter Gomez il martedì di Rai3 liberato da Bianca Berlinguer. Far condurre un programma giornalistico a un altro giornalista avrebbe creato un pericoloso precedente per la prossima stagione: quello di dare notizie vere, che per questo governo (e non solo questo) sono peggio dell’aglio per i vampiri. Pensate allo scandalo Santanchè: anziché chiamare i soliti camerieri a farsi una domanda e darsi una risposta, un Gomez avrebbe raccontato i fatti e sfidato gli ospiti a confrontarvisi. Pussa via: molto meglio chiudere anche l’ultimo talk giornalistico Rai (Vespa, com’è noto, è un “artista”) e rivolgersi a una strana figura dalla professione incerta ma dall’affidabilità certissima: Nunzia De Girolamo, ex ministra forzista e alfaniana divenuta una Barbara D’Urso che non ce l’ha fatta, però gradita a destra, ai renziani (tramite l’agente Presta) e pure al Pd (tramite il marito Boccia: ricordate le balle dei giornaloni sull’“asse Meloni-Conte in Rai”? Ecco). Perfetta per non dare fastidio (né notizie) a nessuno.
Ed eccoci alle mosse stupide. La prima è il fantasmagorico “Report di destra” di cui parliamo a pag. 14. La seconda è stata cancellare il programma di Filippo Facci all’ora della pennica su richiesta di quei geni di Pd & Rep per una battutaccia su Libero. A noi Facci è simpatico quanto un ascesso al dente del giudizio, ma non vediamo che diritto abbiano i capi Rai di sindacare gli articoli di giornale. E non vedevamo l’ora che partisse I Facci vostri, ovviamente per non guardarlo mai. La par condicio della censura ha prodotto quella a Saviano, che il suo programma l’ha già addirittura registrato, quindi la Rai lo paga e non lo manda in onda. Il tutto perché Saviano, come tutti sanno da anni, ha insultato Meloni (“bastarda”) e Salvini (“ministro della malavita”). E ne risponde in tribunale, com’è giusto che sia. Ma la Rai non è il Ministero della Verità: non può sentenziare con rito abbreviato al posto dei giudici. E, anche se Saviano fosse condannato, il suo programma dovrebbe giudicarlo il pubblico, non i magistrati o i telemanutengoli del governo. A proposito: tutto ciò non accadrebbe se l’ad Rai Carlo Fuortes avesse portato a termine il suo mandato, che scadeva fra un anno, anziché incassare la buonuscita offerta dal governo Meloni sotto forma di decreto ammazza-Lissner per liberargli il posto al teatro San Carlo di Napoli. Che lui finse di rifiutare e ora si affretta ad accettare. Se Fuortes fosse un uomo di destra, tutte le palle di “TeleMeloni” finirebbero in buca: invece purtroppo viene dal circoletto del Pd e fu messo lì dal mitico Draghi. Se abbiamo i Peggiori, è tutto merito dei Migliori.
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I VALORI DELLA FAMIGLIA
l'editoriale di Marco Travaglio
29 luglio 2023
È un’infame calunnia che il governo trascuri le famiglie, come potrebbero pensare le 169mila destinatarie dell’sms dell’Inps con il lieto annuncio dell’abolizione del Reddito di cittadinanza, cioè del loro ritorno in miseria, ma con l’indubbia soddisfazione dell’“eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali”. L’intera azione dell’esecutivo è improntata alla difesa della famiglia tradizionale: uomo, donna e figli naturali, ma sopratutto cognati. Il “cognato d’Italia”, a riprova del fatto che la categoria fondata da Galeazzo Ciano è andata progressivamente degradandosi, è Francesco Lollobrigida detto Gino, marito della sorella della premier, dunque ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare. Il vice-cognato d’Italia è il neopresidente di Sport e Salute, Marco Mezzaroma, amico dei Melones-Lollobrigidas, ex presidente della Salernitana, ma soprattutto marito di Cristina Lotito, sorella di Claudio, presidente della Lazio e senatore di FI. Lotito, con la Lazio, vantava fino a poco tempo fa un debito di 1,4 milioni con Sport e Salute: che, se non è stato ancora pagato, potrà essere serenamente discusso tutto in famiglia, fra le mura domestiche.
Il ramo mariti/mogli o compagni/compagne, impazza soprattutto in tv. La prossima stagione televisiva sarà impreziosita, per la prima volta nella storia d’Occidente, da un talk show politico su Rete4 condotto dal compagno della premier, il leggendario Andrea Giambruno; da un talk show politico su Rai3 condotto da Nunzia De Girolamo, moglie del capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia; e, sempre su Rai3, da un’ancora misteriosa versione “di destra” di Report (che non è né di destra né di sinistra, avendo fatto incazzare tutti, ma fa niente), affidata a Salvo Sottile, detto Batman, legato alla sottosegretaria leghista alla Cultura Lucia Borgonzoni. Che è un po’ come se in America la Cbs e la Cnn affidassero l’informazione politica alla moglie di Biden e alla compagna del braccio destro di Trump. Poi c’è il mitico compagno di Daniela Santanchè, Dimitri Kunz di Asburgo-Lorena all’insaputa degli Asburgo-Lorena, che rileva le quote del Twiga dalla ministra del Turismo perché non si dica che è in conflitto d’interessi e compra-vende in un’ora una villa in Versilia facendo un milione di plusvalenza in società con la moglie di Ignazio La Russa, presidente del Senato, perché non si dica che è una pippa. E non parliamo di figli, sennò tocca occuparsi di Leonardo Apache La Russa e le colpe dei figli non devono ricadere sui padri (semmai l’inverso, come dimostra il tragico caso di Alain Elkann sul giornale dell’incolpevole John). Alla mala parata, resta sempre l’“eventuale presa in carico da parte dei servizi sociali”.
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