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Dino

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FUNERAL PARTY

l'editoriale di Marco Travaglio

15 giugno 2023

È un peccato che un giornalista intelligente come Enrico Mentana si associ al racconto demenziale degli “ultimi 30 anni” come “un referendum pro e contro Berlusconi” e dell’“antiberlusconismo” come “il grande male della sinistra italiana”, per concludere che è giunta l’ora della “pacificazione”, specie dopo che la presenza di “Mattarella, fratello di una vittima di Cosa Nostra”, alle esequie avrebbe cancellato le “ombre” di mafiosità dal curriculum di B. Intanto Mattarella può fare ciò che gli pare, ma non siamo noi a dover spiegare perché il fratello di una vittima della mafia celebri un finanziatore della mafia (non in base a “ombre”, ma alla sentenza definitiva della Cassazione su Dell’Utri del 9 maggio 2014): è lui. Se Mentana vuole pacificarsi con qualcuno, faccia pure; noi “antiberlusconiani” non dobbiamo pacificarci con nessuno: stiamo bene dove stiamo e siamo sempre stati. Tantopiù che gli esiti devastanti della carriera politica, finanziaria, imprenditoriale e giudiziaria di B. danno ragione a noi, non a lui.

La parola “antiberlusconismo” non avrebbe alcun senso in una vera democrazia, dove se mai un criminale piduista amico della mafia e in conflitto d’interessi riuscisse a governare incontrerebbe l’ostilità di un fronte trasversale che sarebbe chiamato “opposizione”, “libera stampa”, “pensiero critico”, “rispetto delle regole”, “democrazia liberale”, non “antiberlusconismo”. Il nostro guaio non è solo che qui, salvo sparute eccezioni, tutto ciò è avvenuto senza incontrare ostacoli decisivi. Ma anche che il berlusconismo sopravvive a B., come dimostra il Funeral Party da repubblica sudamericana, dove l’arcivescovo celebrante è molto più critico dei “giornalisti” concelebranti a reti unificate (ma anche la possessione berlusconiana della Meloni, che chiama le tasse “pizzo di Stato” e vuole intitolare al de cuius una schiforma della giustizia persino peggiore delle sue). Perciò l’“antiberlusconismo” non è un “male” da archiviare, ma un altissimo valore etico-politico da mantenere ben saldo. E non c’entra nulla con la “sinistra”. Che non è mai stata antiberlusconiana neppure per un giorno, anzi. Nel 1996 D’Alema garantì Mediaset (“un patrimonio per l’Italia”) con una visita a Cologno Monzese, presenti Confalonieri e il Gabibbo. Poi Prodi batté B., andò al governo e l’Ulivo non lo dichiarò ineleggibile, anche se lo era in base alla legge Scelba n. 361/1957; non fece alcuna legge contro il conflitto di interessi e non applicò la sentenza del 1994 della Consulta che imponeva la vendita di una delle tre reti F*******t o il suo trasloco da terrestre a satellite; e ogni volta che tornò al potere perseverò, riuscendo a non cancellare una sola delle 60 leggi ad personam di B..

Nel ’97 promosse B. a padre costituente nella Bicamerale, mentre fioccavano le prime tre condanne in primo grado. Il ministro Maccanico prorogò sine die le frequenze a Rete4, che aveva perso la concessione su terrestre. Il 28.2.2002 il capogruppo Ds Luciano Violante se ne vantò alla Camera: “L’on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994… – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’on. Letta… Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte!”. Era la parafrasi seria dello sketch di Corrado Guzzanti nei panni di Rutelli: “A Berlusco’, ma perché cell’hai co mme? Ma io sto a lavora’ per te! Mannaggia l’ingrato, ahó! So’ cinque anni che te portamo l’acqua co’ le recchie! … Manco t’avemo toccato le televisioni… D’Alema ’a prima cosa che fa è annà a Mediaset a di’ che è ’na grande industria culturale e che te sei ’n grande statista europeo, e pubblica tutti i libri co la Mondadori… Er Paese nun è de destra e manco de sinistra: er Paese è de Berlusconi!… Berlusco’, se vinci ricordate de l’amici! Ricordate de chi t’ha voluto bbene!”.
Prodi tornò al governo nel 2006 e ancora una volta B. non ebbe nulla da temere sulla giustizia e sulle sue tv, presidiate da Paolo Gentiloni, grande amico di Confalonieri, che alla Ue difese addirittura la legge Gasparri contro Europa7. Poi nacque il Pd di Veltroni, che teorizzò la pacificazione con B., gli propose le “grandi riforme insieme” e in campagna elettorale non lo nominò mai per non disturbare (“il principale esponente dello schieramento avverso”). Infatti vinse B., a colpi di anticomunismo fuori tempo massimo. Nel 2011 il Pd era così antiberlusconiano che entrò con B. nel governo Monti e nel 2013 se lo portò nel governo Letta. Renzi completò l’opera del Caimano col patto del Nazareno sulla schiforma costituzionale ed elettorale, abolì l’articolo 18 e provò pure a depenalizzargli la frode fiscale per cui era stato condannato e cacciato dal Senato. Furono i 5Stelle, nel governo Conte-1, a cancellare le prime leggi vergogna con la Spazzacorrotti e la bloccaprescrizione di Bonafede. Perché l’“antiberlusconismo” è sempre rimasto confinato in una ristretta cerchia di giornalisti e intellettuali (spesso di destra liberale, come Montanelli e Sartori), nei movimenti dei Girotondi, del Popolo Viola, di “Se non ora quando” e infine di Grillo. Se la cosiddetta sinistra ne fosse stata contagiata almeno un po’, in questi tre giorni le tv e i giornali ci avrebbero fatti sentire in Europa, non in Sudamerica.

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Dino

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IL GOVERNO MELUSCONI

l'editoriale di Marco Travaglio

16 giugno 2023

A funerali avvenuti, il governo Melusconi seppellisce anche la Giustizia e fa sapere che B. è morto, ma il berlusconismo è vivo e lotta insieme a loro. Diversamente dai tanti parenti e dai pochi amici davvero commossi, il ceto politico-giornalistico-prenditoriale che concelebra il triduo di canonizzazione nell’indifferenza della stragrande maggioranza degli italiani versa lacrime fasulle, ciniche e pelose: quelle del chiagni e fotti. Più che al defunto, bada agli affari propri. Santifica l’uomo dei delitti passati per giustificare i propri, presenti e futuri. Se passa l’idea che ci si può iscrivere a una loggia occulta, finanziare la mafia e tenersela in casa, frodare il fisco, falsificare bilanci, pagare premier, ministri, finanzieri, giudici, testimoni, senatori e minorenni, entrare in politica per depenalizzare i propri reati, dimezzare la prescrizione, minacciare toghe, cambiare 60 leggi per non doverle più neppure violare, usare i propri avvocati per scriverle e moltiplicare i legittimi impedimenti, mandare in galera gli amici al proprio posto e riempirli di soldi, beccarsi una condanna definitiva e passare pure per santo, vale tutto per tutti. Infatti il Melusconi coglie la salma al balzo, prima che si freddi troppo, per partorire una schiforma della giustizia che è persin peggio di quelle di B.. Con l’aria di rendergli un “tributo” (mai termine fu più appropriato), passa dalle leggi ad personam a quelle ad personas: sparito lui, gli affaristi da salvare sono un esercito. Via l’abuso d’ufficio, così gli amministratori pubblici possono regalare i miliardi del Pnrr a parenti e amici (degli amici). Via l’appello del pm, ma non dell’imputato: l’unica sentenza giusta è l’assoluzione. Via le intercettazioni dai giornali: così, oltre a farla franca, i ladri di Stato passano per gigli di campo e la stampa può dedicarsi alle rubriche di giardinaggio. Poi un tocco di classe che sarebbe piaciuto a B., anche se neppure lui ci aveva pensato: per arrestare uno bisogna avvisarlo cinque giorni prima convocandolo per interrogarlo. Così i furbi scappano e i processi si fanno solo ai fessi, sempreché non vengano dichiarati infermi di mente per non essere fuggiti.

Il mondo alla rovescia creato da B. a sua immagine e somiglianza diventa democratico e tutti possono approfittarne. Dopo Mieli, pure Buccini si pente pubblicamente per lo scoop del ’94 sull’invito a comparire a B.: un colpaccio che all’estero vale il Pulitzer, ma qui è un peccato mortale. La Schlein, appena uscita dalla beatificazione di B., tuona contro la beatificazione di B.. E il Foglio e Rep se la prendono con l’unico leader assente al Funeral party: Conte, che durante le esequie era al ristorante e per giunta mangiava (baccalà). Violando il precetto di digiuno da Venerdì Santo,il lutto nazionale e pure il Nanadàn.


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QUI CASCA IL NORDIO

l'editoriale di Marco Travaglio

17 giugno 2023

Anzitutto tranquillizziamo i lettori: il Fatto disobbedirà alla schiforma Nordio e continuerà a pubblicare tutte le intercettazioni, le carte e i verbali giudiziari d’interesse pubblico. Anche se sono segreti, o riguardano “terzi” non indagati, o non sono passati al vaglio del giudice. Faremo obiezione di coscienza contro una legge che viola il diritto-dovere d’informazione sancito dalla Costituzione, dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che da vent’anni fa prevalere il diritto di cronaca sulla riservatezza dei potenti. Verremo denunciati e indagati e, se non troveremo un giudice coraggioso che ci prosciolga disapplicando la norma illegittima (come già avvenne con la schiforma berlusconiana sulle rogatorie), ci rivolgeremo alla Corte di Strasburgo, che condanna regolarmente gli Stati quando osano trascinare in tribunale i giornalisti per aver fatto il proprio mestiere e il proprio dovere.

A pag. 4 trovate la lista degli scandali – penalmente rilevanti o meno, ma tutti eticamente rilevantissimi – che l’opinione pubblica ignorerebbe se il bavaglio Nordio (figlio di molti tentativi abortiti di B. e della presunta “sinistra”) fosse già stato in vigore. Perché questa riforma non tutela affatto – come dice il Guardagingilli – “l’onore e la privacy” (male non fare, paura non avere). Ma danneggia tutti i cittadini onesti per tutelare i colpevoli (di reati o comunque di condotte vergognose). Ed è incredibile che a protestare ci siano i magistrati e qualche giornalista, ma non l’avvocatura associata. Perché le prime vittime della schiforma sono proprio i cittadini più deboli: cioè le possibili vittime di abusi di potere (i favoritismi puniti finora con l’abuso d’ufficio e in futuro non più, con tanti saluti al dovere costituzionale di imparzialità della Pa) e di errori giudiziari. Oggi, se un pm deviato o incapace nasconde o ignora intercettazioni che scagionano l’indagato, l’avvocato può scoprirle e divulgarle sui media per salvarlo subito. Da domani, col divieto di pubblicare atti del pm non vagliati dal giudice, la prova dell’innocenza dell’indagato non potrà più uscire se non in tribunale, dopo anni. E qui casca il Nordio dei finti “garantisti”. Si riempiono la bocca di innocenti perseguitati, ma nelle loro menti l’innocenza non è proprio contemplata: a furia di legiferare per gli amici colpevoli, escludono a priori che qualcuno possa non esserlo. Infatti ora agevolano la latitanza degli arrestandi imponendo di avvisarli cinque giorni prima (sono i colpevoli che fuggono, non gli innocenti) e vietano di pubblicare le intercettazioni dando per scontato che contengano prove di colpevolezza, non di innocenza. E, vista la gente che frequentano, c’è da capirli.

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FATEGLI L’ANTIDOPING

l'editoriale di Marco Travaglio

18 giugno 2023

“Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore. Si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni…”. Penso a Battiato e mi appare il cosiddetto ministro della Giustizia, che sgomita per conquistarsi un posto d’onore in Povera patria. Ogni volta che Nordio parla, un gigantesco punto interrogativo si disegna sul suo capino implume: come ha potuto un simile pozzo d’ignoranza giuridica fare il magistrato per 40 anni? Non sa che la Consulta ha già bocciato l’abolizione dell’appello del pm e che l’abuso d’ufficio è imposto dalle convenzioni internazionali. Ripete a pappagallo che è “un reato evanescente” (dopo sei controriforme che l’hanno svuotato in 30 anni) e, invece di renderlo più praticabile tipizzandolo, lo abolisce perché i condannati sono pochi (parola di chi ha inventato il delitto di massa di rave party). Dice che i magistrati non possono criticare le leggi, dopo averne criticate a decine da magistrato: prima quelle sbagliate (la Gargani- Correnti del ’92, il dl Biondi del ’94), poi quelle giuste (Severino, ergastolo ostativo e non, custodia cautelare ecc.). Quindi le uniche leggi incriticabili sono le sue.

Ma il meglio lo dà quando giudica le indagini altrui. Tipo l’invito a comparire a B. il 21.11.’94 per tre tangenti alla Gdf: “Un atto illegittimo, gravissimo, doveva essere segreto, non era dovuto né urgente e fu notificato mentre presiedeva un vertice a Napoli, violando tutte le norme sul segreto istruttorio”. Ne avesse azzeccata una: il segreto istruttorio è stato abolito nel 1989, l’atto che convocava B. per l’interrogatorio era dovuto e urgente, era già stato rinviato per le Amministrative, non fu notificato mentre B. era al vertice di Napoli, ma l’indomani a Roma; quando uscì sul Corriere, B. ne era già stato informato al telefono la sera prima dal carabiniere che lo credeva a Roma, quindi non era più segreto, ma pubblicabile. Come l’invito a comparire spedito da Nordio nel ’95 a D’Alema e Occhetto per “tangenti rosse”: solo che l’inchiesta milanese portò a varie condanne, mentre quella di Nordio fallì miseramente, anche perché lui si scordò il fascicolo per 4 anni in un cassetto. Non contento, il pover’uomo dice che “il processo Andreotti è finito nel nulla”. Non sa che Andreotti fu rinviato a giudizio; assolto in primo grado per insufficienza di prove; ritenuto colpevole in appello del “reato commesso” di associazione a delinquere con Cosa Nostra “fino alla primavera 1980”, ma prescritto, sentenza confermata in Cassazione. In futuro, per evitare altre figure barbine, Nordio può regolarsi così: le inchieste dei pool di Milano e Palermo erano impeccabili, le sue erano fatte coi piedi.


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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

19 giugno 2023

Moni e mona. “In molti Paesi occidentali la propaganda russa finanzia la disinformazione attraverso bot, canali Telegram, siti ‘alternativi’. In Italia invece può contare sul volontariato di Moni Ovadia” (Stefano Cappellini, Twitter, 18.6). Poi ci sono gli idioti.

Autopompa. “La felicità esiste, il diritto più sacro è poterla cercare. Amo nuotare e andare a cavallo. Mi ispiro filosoficamente a Pascal. Ma è Churchill il personaggio storico che ammiro di più” (Carlo Nordio, ministro FdI della Giustizia, Messaggero, 15.6). Poi ti guardi allo specchio e vedi sempre e soltanto un Nordio.

Canto a cappella. “Nel Duomo di Milano è raccolta la storia politica dell’ ultimo trentennio. Il volto di ogni leader è come lo stendardo di altrettante battaglie” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 15.6). Tipo la Sindone.

Lingua di Vespa. “Berlusconi non amava molto andare in tv” (Bruno Vespa al Messaggero, 14.6). Ogni volta lo dovevi violentare.

Brigate pirla. “Volete il leader? Ma siate i leader di voi stessi. Fate le brigate di cittadinanza, mettete il passamontagna e di nascosto andate a fare i lavoretti, mettete a posto marciapiedi, aiuole, tombini. Fate il lavoro e scappate. Reagite c***o!” (Beppe Grillo, 17.6). “Grillo ha istigato alla violenza, rievocando lessicalmente organizzazioni eversive che hanno scritto tra le pagine più sanguinose della Repubblica” (Enrico Borghi, senatore Iv, Twitter, 17.6). “L’odio e la violenza evocati nelle parole di Grillo riportano agli anni bui dove il piombo e il sangue hanno sporcato le strade dell’Italia. Chiesa immediatamente scusa” (nota ufficiale di FdI, 17.6). “Parole gravi, sconcertanti e inaccettabili che evocano pagine drammatiche della storia del nostro Paese. Anche Elly Schlein è pronta a indossare il passamontagna per reagire contro il governo di centrodestra sotto il simbolo delle brigate?” (nota ufficiale della Lega, 17.6). “L’evocazione di Grillo è un incitamento alla violenza, che, come diceva Isaac Asimov, è l’ultimo rifugio degli incapaci. E anche degli imbecilli” (Maurizio Lupi, leader Noi Moderati, 17.6). “Sono toni che potrebbero richiamare all’istigazione alla violenza sociale. Alimentare odio è gravissimo, abbracciare chi lo fa lo è altrettanto. Provo dolore per il Pd, partito che ha sempre garantito la tenuta istituzionale, ridotto in questo stato” (Raffaella Paita, coordinatrice Iv, 17.6). “Sono pericolosi populisti” (Carlo Calenda, leader Azione, 17.6).

“Grillo è un cattivo maestro vile che aizza le persone più deboli” (Fabio Rampelli, deputato FdI, 17.6), “Grillo incita alla violenza” (Licia Ronzulli, senatrice FI, 17.6). “Grillo, frasi choc” (Corriere.it, 17.6). “Schlein si consegna a Conte e a Grillo stile Brigate rosse” (Maurizio Belpietro, Verità, 18.6). “Grillo scherza col fuoco. Cattivo maestro” (Giornale, 18.6). “Le brigate giallorosse. Cercano il morto”, “La sinistra torna alle caverne” (Libero, 18.6). “Torna Grillo ed è caos. Bufera sulle sue parole. Le precedenti frasi choc” (Stampa, 18.6), “Grillo invoca il ‘passamontagna’. Pioggia di critiche” (Repubblica, 18.6). “Il guastatore in passamontagna” (Marcello Sorgi, Stampa, 18.6). Ma il passamontagna può rivelarsi utilissimo anche per coprire le facce di c**o.

La spina nel fianco. “E Renzi avvertì la Ronzulli: ‘Ora rompo le scatole a Meloni’” (Stampa, 17.6). Votando la sua schiforma della giustizia.

Interrogazioni programmate. “Cinque giorni di buona giustizia. Il cosiddetto ‘avviso di arresto’ è una gran riforma. Ecco perchè” (Maurizio Crippa, Foglio, 16.6). Perché scappano tutti.

La vera sinistra. “Franco Bassanini: ‘Pd, sveglia! L’abolizione dell’abuso d’ufficio è da sempre una battaglia di sinistra’” (Foglio, 17.6). Se poi aboliscono pure la corruzione e la mafia, diventano di ultrasinistra.

Marasilvio. “A una certa sinistra manca la capacità di capire la dimensione emotiva del Paese. È una cosa demenziale (ricordare i reati di B., ndr), è come se quando muore Maradona tu dici ‘era amico dei Giuliano camorristi e pippava cocaina’, vorrebbe dire non capire un accidente di calcio e del mondo” (Goffredo Buccini del Corriere, L’aria che tira, La7, 15.6). E non sapere che Maradona è stato presidente del Consiglio.

Il titolo della settimana/1. “Italia Viva, i big in rivolta: ‘Renzi non decida da solo’” (Messaggero, 12.6). Sarebbe la prima volta.

Il titolo della settimana/2. “Lia Quartapelle, Pd: ‘Abbiamo governato anni senza idee per il Paese’” (Libero, 12.6). Praticamente erano le sue.

Il titolo della settimana/3. “Passeggiata nei luoghi del Cavaliere. Milano non si ferma” (Salvatore Merlo, Foglio, 14.6). Come per l’altro virus.

Il titolo della settimana/4. “Le sue idee camminano sulle gambe di tutta la coalizione” (Belpietro, Verità, 14.6). Soprattutto la terza gamba.

Il titolo della settimana/5. “Giustizia, pronte le misure (e per molti è un tributo)” (Corriere della sera, 14.6). Parlando con pardòn.

Il titolo della settimana/6. “Berlusconi, l’amico che ha avvicinato la Turchia all’Italia” (Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, Messaggero, 17.6). O l’Italia alla Turchia.

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LE GRILLATE ROSSE

l'editoriale di Marco Travaglio

20 giugno 2023

8settembre 2007: V-Day promosso a Bologna da Grillo e Casaleggio a Bologna, 100mila persone in piazza Maggiore più dieci volte tante collegate da 200 piazze, 350mila firme in un giorno per tre leggi popolari (“Parlamento pulito”): incandidabilità dei condannati definitivi; abolizione del Porcellum per tornare a eleggere i parlamentari; limite di due mandati. Sul palco, giornalisti, scrittori, artisti e professori. I tg Rai, Mediaset e La7 non inviano neppure una telecamera (in piazza solo le troupe di SkyTg24 e Annozero). Le agenzie di stampa inventano “attacchi”, “insulti” e “offese a Marco Biagi”, anche se in 10 ore di V-Day nessuno ha mai citato il giuslavorista bolognese ucciso dalle Br nel 2002. Si è solo proiettato un video critico sulla legge 30 di Maroni, che incentiva il precariato e il centrosinistra ben prima di Grillo ha promesso di abolire. Si polemizza su un fatto mai avvenuto per non parlare del successo e dei contenuti del V-Day. Il Tg1 lo liquida con due frasette da studio: 29 secondi netti. Mauro Mazza, direttore del Tg2, legge con volto terreo l’editoriale “Grillo e grilletti” ammonendo col gesto della pistola: “Che accadrebbe se un mattino qualcuno, ascoltati gli insulti di Grillo, premesse il grilletto?”. Ma Grillo non ha mai parlato di armi, diversamente da Bossi che evoca i “mitra” e da B. che minaccia la “guerra civile” contro i giudici “peggio delle Br e della banda della Uno Bianca”: s’è limitato a elencare i 25 parlamentari pregiudicati invitando la folla a “mandarli affanc**o”. La stampa scatena i suoi esperti all’unisono: Grillo è “antipolitico”, “qualunquista”, “populista”, “giustizialista”, “fascista”, “golpista”, “terrorista”. Andrea Romano, futuro deputato Pd, deplora sulla Stampa le inesistenti “accuse a Biagi”. Riotta rimedia al “buco” del suo Tg1 con uno speciale Tv7: “Ora vediamo chi è davvero Grillo, qui non esistono vergini”. È un mega- scoop: il comico, invitato a esibirsi a una Festa dell’Unità nel 1981, pretese financo che gli pagassero il cachet.

25 aprile 2008, V-Day2 a Torino sulla libertà d’informazione. Stavolta gli attacchi partono già il giorno prima. Il Riformista di Polito el Drito già sa che Grillo lancerà “minacce in stile Br ai giornalisti servi” (“Le Grillate Rosse”). Il Giornale sguinzaglia Filippo Facci con l’inchiesta a puntate “La vera vita di Grillo” pregna di scoop sensazionali: Grillo da giovane andava a letto con delle ragazze; alcuni suoi ex amici invidiosi parlano male di lui; la sua villa a Genova consuma energia; Grillo nel 1981 ebbe un tragico incidente stradale; è genovese, dunque “tirchio”; nel suo orto c’è una melanzana di plastica. Oggi, dopo 15 anni è cambiato tutto: il mondo, la politica, Grillo, noi. Ma non i giornaloni e i telegiornaloni: quelli restano la cloaca di sempre.

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ACCHIAPPACITRULLI

l'editoriale di Marco Travaglio

21 giugno 2023

Per una mirabile congiunzione astrale, la giornata di ieri ha consacrato definitivamente l’Italia come il Paese di Sottosopra. Mentre il Parlamento lacrimante completava la beatificazione del suo spirito guida pregiudicato e il Guardasigilli gli dedicava la riforma della Giustizia lodando gli “onesti imprenditori” che non pagano le tasse (definite “pizzo di Stato” dalla premier), il Tribunale di Brescia condannava uno degli italiani e dei magistrati più onesti e corretti mai visti, Davigo; e la Corte d’appello di Milano assolveva l’ex sindaco Pd di Lodi, Uggetti, non perché fosse innocente (l’aveva già escluso la Cassazione), ma perché la sua turbativa d’asta era “tenue” (ha solo truccato una gara pubblica per dare l’appalto a chi pareva a lui). La scena ricorda quella di Pinocchio che, derubato delle quattro monete d’oro dal Gatto e la Volpe nel Paese di Acchiappacitrulli, denuncia il furto al Giudice Gorilla; ma questi lo condanna alla prigione per essersi fatto fregare; poi arriva un’amnistia per i colpevoli condannati e Pinocchio, essendo innocente, rischia di restare in galera: così, per uscire, deve dichiararsi malandrino.

La pompa funebre per B. in Parlamento è, in realtà, un’autopompa: i vedovi e gli orfani inconsolabili giustificano in realtà se stessi, per avergli retto il sacco per anni, votandogli 60 leggi ad personam, dimenticando che si era comprato parlamentari un tanto al chilo, imm**dandosi con la mozione su Ruby (marocchina) nipote di Mubarak (egiziano). Chi santifica il delinquente se ne infischia di lui e legittima i propri misfatti passati, presenti e futuri. Tanto sa che anche la magistratura, salvo rarissime eccezioni, ha sostituito il Codice penale con la legge del più forte. Uggetti è l’idolo di tutti i sindaci di destra e sinistra che usano i Comuni come B. lo Stato: per farsi gli affari loro. Quindi va assolto anche se ha commesso il reato. Davigo invece, con l’esempio e le parole, non ha mai smesso di ricordare a chi ricopre cariche pubbliche il dovere costituzionale di esercitarle “con disciplina e onore”. Quindi va condannato come disturbatore della quiete pubblica per aver rivelato un segreto a soggetti che sono tenuti al segreto (membri del Csm e presidente dell’Antimafia) e possono maneggiare segreti perché poi li devono conservare. Infatti nessuno dei destinatari delle rivelazioni di Davigo, fra cui il capo dello Stato, il vicepresidente del Csm e i più alti magistrati d’Italia, si accorse che Davigo stava commettendo un reato: altrimenti avrebbero dovuto denunciarlo. E dove sono i processi per omessa denuncia? La realtà supera persino la fantasia di Collodi: nell’Italia di oggi, diversamente dal Paese di Acchiappacitrulli, non si condanna Pinocchio, ma il Grillo Parlante.


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IL GUARDAGINGILLI

l'editoriale di Marco Travaglio

22 giugno 2023

Forse Giorgia Meloni non ha capito l’errore commesso mettendosi in casa un berlusconiano naturale come Carlo Nordio. O forse se ne sta accorgendo, ma non può licenziarlo per non perdere la faccia anche lei. Lui invece non ne ha più una da quando, da pm a Venezia, andava a cena con Previti, imputato e poi condannato perché comprava giudici e sentenze. E da quando si scordò nel cassetto per quattro anni il fascicolo sulle inesistenti tangenti rosse a D’Alema e Occhetto, anziché trasmetterlo a Roma per competenza. Così, quando Bruno Vespa lo scoprì, le accuse erano tutte prescritte (oltreché infondate) e i due politici indagati per un’eternità fecero causa allo Stato, che dovette risarcirli per colpa sua con 9mila euro a testa. Ma le sue imprese giudiziarie, già notevoli, sono state ampiamente scavalcate da quelle ministeriali. Imperiture le sue dichiarazioni sui “veri mafiosi” che non parlano al telefono, anzi non parlano tout court, per paura delle intercettazioni e del trojan: ragion per cui le intercettazioni e il trojan, oltre a essere “una barbarie”, sono pure “inutili” e vanno aboliti. Così i mafiosi ritroveranno la favella, ma i magistrati e i poliziotti non potranno più intercettarli. Sfiga volle che due giorni dopo venisse catturato Messina Denaro grazie alle intercettazioni e ai trojan. Quindi, delle due l’una: o Messina Denaro non era un “vero mafioso”, o Nordio aveva detto una fesseria. A naso, la seconda.

Anziché scavarsi un buco e seppellirvisi, il garrulo Guardagingilli ha ripreso a parlare (diversamente dai veri mafiosi, eccetto Messina Denaro). E anche a fare danni ben più seri con la controriforma dell’abuso d’ufficio e l’elogio dell’evasione fiscale. Poi, raccolta l’unanimità di dissensi da magistrati ed esperti (missione finora pressoché impossibile), ha detto che le toghe non devono criticare le leggi: le sue, visto che lui ha sempre criticato le leggi, di solito le migliori (ergastolo, 41 bis, Severino, Spazzacorrotti). L’altro giorno ha svelato un presunto colloquio col procuratore antimafia Melillo, in cui i due avrebbero concordato di abolire “le intercettazioni inutili” e devolvere i risparmi a fantomatici “cittadini normali” (non agli anormali, ai subnormali e ai paranormali, ecco). Ieri purtroppo Melillo ha smentito di aver mai condiviso simili idiozie: “Personalmente non conosco intercettazioni inutili, perché le dispone un giudice con provvedimento motivato per reati gravi”. Ora qualcuno potrebbe pensare che Nordio voglia cancellare le intercettazioni pro domo sua, visto l’alto numero di ex ministri costretti alle dimissioni dalle loro parole intercettate. Ma sarebbe un’infame calunnia. Per capire che Nordio se ne deve andare, non occorre intercettarlo: basta lasciarlo parlare.



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INUTILE SARÀ LEI

l'editoriale di Marco Travaglio

23 giugno 2023

Di questo passo, il cosiddetto ministro della Giustizia Carlo Nordio diventerà una maschera della commedia dell’arte veneziana, insidiando il primato di Pantalone, Colombina e Rosaura. Dopo vent’anni in toga a recitare la parte del Di Pietro che non ce l’ha fatta, ora che è ministro si candida al ruolo del B. che non ce la fa. Dedica al nano estinto la schiforma della giustizia, che prevede l’avviso agli arrestandi con cinque giorni d’anticipo: una boiata che persino B. non s’era mai sognato neppure di pensare, perché un pizzico di senso del ridicolo lo conservava. Poi, intervistato dal Corriere, visto che non lo sopporta più neanche la Meloni, dà una slinguatina al fu Caimano per garantirsi almeno l’appoggio di FI. E dice, restando serio, che B. ricevette “un invito a comparire notificato a mezzo stampa durante una conferenza internazionale”, riuscendo a non dire una sola parola vera: l’atto gli fu notificato a conferenza finita e quando uscì sul Corriere lui sapeva già tutto dalla sera prima, quando l’ufficiale che l’attendeva a Roma gliel’aveva letto al telefono. Il Guardagingilli aggiunge che B. “ha perso tempo e opportunità con leggi ad personam, tra l’altro inutili”. Perso tempo? Inutili? Senza le leggi ad personam il suo impero tv sarebbe andato in rovina e lui sarebbe finito in galera per poco meno o poco più di un ergastolo.

Il dl Salva-Rete 4 e la legge Gasparri evitarono lo spegnimento o il trasloco su satellite di una rete Mediaset, sancito dalla Consulta bocciando la Mammì e poi la Maccanico. La schiforma del falso in bilancio (2002) cancellò i suoi reati in quattro processi per i conti truccati delle sue aziende, infatti fu assolto da colpevole perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. La ex Cirielli (2005), dimezzando i termini di prescrizione, gli mandò in fumo altri processi per lui disperati: corruzione del testimone Mills (prescrizione in primo grado), corruzione del senatore De Gregorio (condanna in primo grado e prescrizione in appello) e intercettazione segreta Fassino-Consorte su Bnl, mai trascritta né depositata, ma girata al suo Giornale e sbattuta in prima pagina in piena campagna elettorale (condanna in primo grado e prescrizione in appello). A proposito del celebre “garantismo” dei berluscones, del loro culto sacrale del segreto e della riservatezza contro la “gogna mediatico-giudiziaria”. Per non parlare degli auto-condoni fiscali che trasformarono in pochi spiccioli di multa le frodi miliardarie del Caimano e della sua banda. E degli auto- condoni edilizi che sanarono i mega-abusi a Villa Certosa nel paradiso della Costa Smeralda, protetta da vincolo ambientale totale. Infatti già ci pare di sentire una vocina da Lassù o da Laggiù: “Nordio, mi consenta: inutili un c***o!”.


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IL SEGRETO DI PULCINELLA

l'editoriale di Marco Travaglio

24 giugno 2023

La condanna di Davigo per aver violato il presunto segreto sui verbali di Amara che aveva avuto dal pm Storari (assolto dalla stessa accusa), potrebbe trasformare il suo processo in un vaudeville. Due membri del Csm di cui faceva parte, e ai quali rivelò i presunti segreti, cioè Cascini e Marra, sono indagati a Roma per omessa denuncia. Cioè per aver ricevuto i presunti segreti da Davigo e non averlo denunciato in veste di pubblici ufficiali. Ma Davigo il presunto segreto lo svelò a nove persone del Csm (non a due) e al presidente dell’Antimafia Morra: in tutto dieci. La più alta in grado era il vicepresidente Ermini, che gli chiese le carte, le ottenne e salì al Colle a rivelare il presunto segreto a Mattarella e al suo consigliere giuridico. Ma nemmeno quelli denunciarono Davigo. Così i 10 a parte del segreto violato divennero 12. L’unico che non può essere indagato per omessa denuncia è Mattarella, perché è insindacabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni, salvo che per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

Ma resta da capire perché, dei 12 meno uno, gli indagati per omessa denuncia siano solo due. E perché Ermini, che ha dichiarato di aver distrutto i verbali chiesti e ottenuti da Davigo ritenendoli (dopo, non prima) “irricevibili”, non risponda di omessa denuncia e pure di favoreggiamento: il reato di chi fa sparire il corpo del reato. Poi c’è il Pg Salvi, titolare dell’azione disciplinare: neanche lui si accorse che, quando Davigo lo avvisò dei ritardi della Procura di Milano denunciati da Storari, stava commettendo reato e infrazione disciplinare. Infatti, anziché denunciarlo per violazione del segreto e aprirgli un procedimento nello stesso Csm, corse a telefonare al procuratore Greco perché iscrivesse il fascicolo Amara che giaceva da oltre cinque mesi senza formalizzazioni. Gli unici magistrati a essersi accorti che Davigo (ma non Storari, definitivamente assolto) aveva violato un segreto sono i pm e giudici di Brescia. Ora, può darsi che esista un motivo a noi ignoto per cui gli indagati per omessa denuncia sono solo 2 su 11. O può darsi che siano o stiano per essere tutti e 11. Ma, sia come sia, gli undici sbadati che non denunciarono Davigo furono sentiti nel 2011- ’12 a Brescia come testimoni, cioè senza l’avvocato e con l’obbligo di rispondere e di dire la verità. Eppure la loro omessa denuncia risale al maggio del ‘20: dunque avrebbero dovuto essere sentiti come indagati, con l’avvocato e la facoltà di non rispondere o mentire. Nel processo Ruby, Berlusconi è stato assolto perché le Olgettine che lo accusavano erano state sentite come testi anziché come indagate e le loro testimonianze erano nulle. La giustizia è uguale per tutti, o solo per la Buonanima?


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RIDATECI IL PUZZONE

l'editoriale di Marco Travaglio

25 giugno 2023

Nessuno può sapere come finirà la marcia-retromarcia su Mosca di Prigozhin e della sua banda mercenaria. Perché nessuno è nella sua testa e in quella dei suoi eventuali mandanti, interni o esterni, né in quella di Putin e degli altri boss russi. Ma gli epiloghi delle prove di guerra civile possono essere soltanto quattro. 1) Putin spazza via la rivolta della brigata Wagner e resta al potere più forte di prima. 2) Putin viene spazzato via dalla saldatura fra il tradimento dei soldati di ventura e quello di parte forze armate regolari e sostituito da qualcun altro, probabilmente peggiore di lui: uno di quelli che lo contestano non per la guerra in Ucraina, ma per essersi limitato a un’“operazione speciale” troppo prudente ed esitante. 3) Putin tratta con Prigozhin e si arriva a un compromesso, che rafforza il secondo e indebolisce il primo, sacrificando il ministro della Difesa Shoigu e riconoscendo in qualche modo il ruolo della Wagner nelle forze regolari. 4) Si apre una lunga e caotica guerra civile senza sbocchi, con pezzi di Russia controllati dai militari lealisti e altri dai mercenari e da reparti ammutinati; intanto la controffensiva ucraina, finora disastrosa, riprende fiato e piede approfittando del caos sul fronte avverso, magari riconquistando la Crimea che non solo Putin, ma tutti i russi e gran parte dei crimeani considerano Russia.

Malgrado il tifo che gli “atlantisti” più stupidi (quelli di casa nostra) fanno in queste ore per Prigozhin, non più cuoco-macellaio ma benemerito alfiere della verità che “smaschera le menzogne di Putin”, nessuno dei quattro scenari conviene all’Occidente, tantomeno all’Europa: né un Putin rafforzato, né un Putin indebolito e ostaggio dei falchi o addirittura rimpiazzato da qualcuno più estremista e feroce di lui (c’è l’imbarazzo della scelta); né una Russia destabilizzata dalla seconda guerra alle porte dell’Europa oltre a quella ucraina. Anche perché ciascuno scenario (tranne forse il primo) avvicinerebbe il rischio che qualcuno ricorra al nucleare, pescando per disperazione fra le 6mila o 9mila testate atomiche disseminate in Russia (e forse in Bielorussia). Chi, ingenuamente o dolosamente, pensava che i problemi a Est si sarebbero risolti con un bel golpe a Mosca – da Biden, subito smentito da chi a Washington ancora ragiona, ai fanatici inglesi, polacchi e baltici – ora trema all’idea che la Russia si spappoli come i Balcani, l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia. Con la differenza che la Russia è infinitamente più vasta e pericolosa di tutti quei Paesi destabilizzati dalle guerre folli e suicide della Nato. Nulla è peggio della permanenza di Putin al potere, tranne la prospettiva di vederlo cadere e poi di doverlo rimpiangere.


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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

26 giugno 2023

Il Pitonesso. “Principe Dimitri Kunz D’Asburgo Lorena Piast Bielitz Bielice Belluno Spalia Rasponi Spinelli Romano” (firma del sedicente nobiluomo Dimitri Kunz, nato a San Marino nel 1969, attuale compagno di Daniela Santanché). E ha dimenticato Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

Forza Wagner. “Il Prigozhin politico smonta le bufale sulla guerra” (Foglio, 24.6). “Prigozhin smonta le bugie di Putin” (Stampa, 24.6). “Il Golem Progozhin (sic, ndr) si è rivoltato contro il suo creatore, nel momento in cui ha capito che stava per essere ‘normalizzato’ dai capi delle forze armate… E sfida addirittura il Cremlino, prima con la denuncia dei falsi pretesti della guerra, compresi i massacri di civili da parte delle truppe di Kiev nel Donbass (tanto care ai finti pacifisti de noantri), poi col racconto delle ritirate precipitose dell’esercito regolare russo sulla linea del fronte” (Enrico Mentana, Twitter, 24.6). Poi ci sono i finti giornalisti de noantri che scambiano improvvisamente Prigozhin per la bocca della verità.

Salario massimo. “Il salario minimo? In Italia non serve, lo dice l’Ue” (Roberto Formigoni, Libero, 25.6). Soprattutto per chi incassa quello massimo da 6 milioni in mazzette.

Rutto nazionale/1. “Silvio Berlusconi è stato uno statista” (Matteo Renzi, senatore Iv, 20 giugno). Il metro di giudizio di Renzi è Renzi.

Rutto nazionale/2. “Le meningi diventano le viscere del cuore, perché creare – come diceva Nietzsche – è l’unica liberazione dal dolore. Credo che proprio Nietzsche mi aiuti a definirlo: lui era l’uomo che parlava al sole, descritto nel libro ‘Così parlò Zarathustra’, il sole in tasca, come ha detto la collega Licia Ronzulli. Zarathustra amava tutti gli animali, non riconosceva valore agli idoli e alla proliferazione delle loro immagini, e lottava dunque per la libertà dell’uomo semplice. Con la sua vita contesa fra storia e leggenda, si dice che nasca ridendo e a ogni compleanno riderà, il tempo è per lui una danza di costellazioni amiche. Un ex giocatore del Milan l’ha chiamato ‘immenso Presidente’. Io l’ho chiamato ‘infinito Presidente’… Io e lui insieme ai bei tempi, quando potevamo, eravamo come la nitro e la glicerina, un’esplosione di lucida follia” (Michaela Biancofiore, senatrice Civici d’Italia, 20.6).

Rutto nazionale/3.
“Salvini vuole intitolare l’aeroporto di Linate a Berlusconi” (Huffington Post, 17.6). È quello che all’occorrenza avrebbe usato per darsi alla latitanza.

Di nano in figlio. “Tajani: ‘Sul seggio di Berlusconi deciderà la famiglia. Un suo caro è più che ben accetto’” (Giornale, 20.6). Il famoso Parlamento ereditario.

Garantisti e furfanti. “Minenna, Lanzalone e Marra. I tre ‘competenti’ e ‘onesti’ lanciati dal M5s. Si chiude un cerchio. Un giorno si farà la storia di che cosa è stato il grillismo. Diceva Montanelli: conosco molti furfanti non moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante” (Salvatore Merlo, Twitter, 24.6). Tre furfanti e nemmeno una condanna.

Garantisti de noantri. “Nelle indagini su David Rossi Genova salva i Pm di Siena” (Riformista, 24.6). No, li proscioglie: si dice proscioglie.

Bischeri. “Il nuovo Renzi globale e intimo: ‘Sono pacificato, all’estero non pensano che sono un bischero’” (Sette-Corriere della sera, 19.6). Lo conoscono meno.

The Genius. “Sacrosanto abrogare l’abuso d’ufficio. Parla Bertinotti: ‘La sinistra non lasci alla destra le battaglie sulla giustizia’” (Foglio, 19.6). Giusto: la sinistra continui a sposare le porcate della destra.

Sala d’aspetto.“L’abuso d’ufficio? Il Pd avrebbe dovuto ascoltare di più i sindaci” (Giuseppe Sala, sindaco di Milano, Stampa, 20.6). Soprattutto quelli che non facevano le gare d’appalto per Expo e falsificavano le carte.

Vergogna sarà lei. “Uggetti innocente e la vergogna del Fatto” (Foglio, 21.6). No, è stato assolto per aver truccato la gara d’appalto, ma il reato era “tenue”. Vergognatevi voi.

Folli sempre Folli. “Il Mes, opportunità per l’opposizione” (Stefano Folli, Repubblica, 22.6). Una leccornia da leccarsi i baffi.

Il titolo della settimana/1. “Orlando (Pd): Il ministro Nordio eviti commenti sagaci e non ostacoli gli ascolti’” (Repubblica, 22.6). Ammazza che grinta, gliele ha cantate chiare.

Il titolo della settimana/2. “Proroga per Stoltenberg. Per il successore alla Nato spunta Sànchez” (Claudio Tito, Repubblica, 22.6). Ma se prorogano Stoltenberg, che bisogno c’è di un successore?

Il titolo della settimana/3. “La Procura di Firenze e la piccola Kata” (Matteo Renzi, editoriale sul Riformista, 20.6). Ma soprattutto il piccolo Matteo.

Il titolo della settimana/4. “Russell Crowe: ‘Mi piacerebbe interpretare Berlusconi’” (Giornale, 20.6). Siccome è alto 1 metro e 82, farà come Bice Valori nel Giornalino di Giamburrasca e Dario Fo nell’Anomalo bicefalo: camminerà sulle ginocchia.

Il titolo della settimana/5. “Il progetto di Salvini. È giapponese il modello per il Ponte sullo Stretto” (Libero, 20.6). Quello di Fukushima.


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IL CHEERLEADER

l'editoriale di Marco Travaglio

27 giugno 2023

Il pover’ometto che è passato in nove anni dal 40,8 al 2% ha partorito, con comprensibili sforzi, un pensierino: “Chiederemo in Vigilanza di sapere se chi va in tv a difendere Putin (i personaggi alla Orsini/Travaglio) sono mai stati pagati da Carta Bianca e dalle altre trasmissioni del servizio pubblico. Se l’invasore deve essere difeso dagli invasati, va bene, ma non con i nostri soldi”. A parte il fatto che, nella lingua italiana (non sappiamo in quella saudita), a un soggetto singolare – “chi va in tv” – non dovrebbe seguire un verbo al plurale – “sono mai stati pagati” – e che nelle democrazie è buon uso retribuire chi lavora (non sappiamo in Arabia Saudita), né io né Orsini abbiamo mai difeso Putin. Se però il tapino volesse dedicarsi a un cheerleader di Putin, gli suggeriamo un certo M.R.. Sotto il suo governo, la dipendenza italiana dal gas della Russia (sotto sanzioni dal 2014 per aver invaso la Crimea) aumentò a dismisura. E così le esportazioni d’armi a Mosca: fu lui ad autorizzare la vendita di 94 blindati Lince Iveco per 25 milioni in barba all’embargo. Il 5 marzo 2015 incontrò Putin a Mosca: “La cooperazione Russia-Italia prosegue attivamente nonostante il contesto difficile” (era il suo modo di non nominare l’invasione della Crimea). E disse alla Tass che l’Ucraina doveva concedere l’autonomia al Donbass come l’Italia all’Alto Adige. Il giorno prima aveva visto a Kiev il presidente ucraino Poroshenko, che gli aveva chiesto di affrontare con Putin il caso di una pilota detenuta a Mosca, ma invano. Il quotidiano russo Vedomosti scrisse che la sua visita aveva rotto “l’isolamento internazionale di Putin”.

Il 10.6.2015 il nostro eroe ricevette Putin all’Expo di Milano: “Grazie di essere qui, la accolgo con grande gioia… Lavoreremo insieme per ripartire dalla tradizionale amicizia Italia-Russia” per “un futuro ricco di energia per il pianeta e per la vita”. Il 17.11.’15, alla domanda “Possiamo fidarci di Putin?”, rispose: “Faccio una risposta da twitter: sì. Nessuno nella comunità internazionale può pensare di costruire l’identità europea contro il vicino di casa più grande considerandolo nemico… Sarebbe assurdo alzare una cortina di ferro tra Europa e Russia”. Il 17.6.’16 rivide Putin al Forum Economico di San Pietroburgo e chiese alla Ue di ridiscutere le sanzioni: “Russia ed Europa condividono gli stessi valori”. Gran finale: “Avete notato? Oggi il presidente Putin è stato più europeista di me! Spasiba!”. Putin ricambiò: “Complimenti, lei è un grande oratore. L’Italia può andare fiera di un premier così”. E gli diede un passaggio sulla sua auto blindata. Ora noi non sappiamo se il cheerleader di Putin percepisse la giusta mercede per i suoi servizietti. Ma temiamo che, eccezionalmente, lavorasse gratis.


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QUANTE VOLTE, FIGLIUOLO?

l'editoriale di Marco Travaglio

28 giugno 2023

Senza offesa per lui e per i ventisette nastrini che gli piastrellano il lato sinistro dell’uniforme, zavorrandolo a terra contro le folate di vento, il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo ci ricorda per versatilità un personaggio del film di Carlo Verdone Troppo forte: l’avvocato Gian Giacomo Pignacorelli in Selci, interpretato da Alberto Sordi, che di punto in bianco dimentica l’arte forense e diventa un ballerino-coreografo, passando dalla toga alla tutina aderente, dalle arringhe ai passi di danza sull’aria di Oci Ciornie e abbandonando gli attoniti clienti, a cominciare da Verdone-Oscar Pettinari che neppure riconosce: “Calmati, giovane, fammi riflettere un momentino… ma chi sei: il fruttarolo?”. Le due anziane sorelle fanno coraggio al giovanotto ricordando “quando faceva il dentista e cavò tre denti al fruttivendolo che gli fece causa perché erano tutti sani”. Alle pareti, le foto delle sue precedenti incarnazioni accanto a papa Giovanni e a Togliatti. Analogamente, nel breve volgere di due anni, Penna Bianca è passato da comandante della logistica dell’Esercito a commissario straordinario contro il Covid ad autore di un’autoagiografia scritta a quattro mani con Severgnini (o forse a sei con Toto Cutugno: Un italiano) a stratega del Comando Operativo di Vertice Interforze (dal Covid al Covi) sul fronte ungherese a candidato del Foglio come commissario al Pnrr all’ultimo incarico agguantato giusto ieri: commissario sempre più straordinario all’alluvione e alla ricostruzione in Emilia-Romagna.

A parte i rischi di personalità multipla e di crisi di identità, il vero pericolo è che il nostro eroe multiuso svolga ciascun incarico con la stessa enciclopedica approssimazione con cui espletava gli altri. O, peggio, che confonda una missione con l’altra: tipo prosciugare la melma con le siringhe e le mascherine avanzate dalla campagna di Covid, o bandire gli appalti a cannonate, o scambiare le ruspe e le betoniere con i tank e le rampe da missili, o spendere senza controlli e rendicontare con un paio d’anni di ritardo, condendo il tutto con le sue frasi secche e perentorie da colonnello Buttiglione che si portano su tutto: “Sono abituato a vincere”, “Svoltiamo”, “Acceleriamo”, “Cambiamo passo”, “Chiudiamo la partita”, “Fuoco a tutte le polveri”, “Diamo la spallata”, “Stringiamci a coorte” (incurante dell’infausta rima), “Fiato alle trombe” (libera citazione da Mike Bongiorno), “Non siamo ancora a régime (“E – chiosò Maurizio Crozza – stiamo andando a pùttane”). Sempre sperando che avesse torto Aldous Huxley, quando diceva: “Ci sono tre tipi di intelligenza: l’intelligenza umana, l’intelligenza animale e l’intelligenza militare”.


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Dino

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ESAMI DI RIPARAZIONE

l'editoriale di Marco Travaglio

29 giugno 2023

Chiuse le scuole dell’obbligo, aprono quelle facoltative. Almeno per noi del Fatto, che riceviamo ogni giorno autorevoli lezioni su come fare il giornale. Cioè possibilmente come gli altri: senza notizie né domande per non disturbare il manovratore. E niente vignette o battute, sennò il prof di turno non le capisce e bisogna spiegargliele con un disegnino (o con un’altra vignetta). Se poi andiamo in tv, è meglio se non esageriamo e soprattutto lavoriamo gratis, sennò Bin Rignan e il suo harem se ne hanno a male. Sabato alcuni malati di mente che si fanno chiamare “atlantisti”, mentre la Russia rischiava il colpo di Stato, la guerra civile, il bagno di sangue e il mondo tratteneva il fiato all’idea che 6-7mila testate nucleari cadessero nelle mani fatate di Prigozhin, si bagnavano tutti per la marcia trionfale del noto messaggero di pace e di verità. Ma soltanto perché la vittoria del gentiluomo, improvvisamente promosso da “macellaio” a “chef” stellato, avrebbe “sbugiardato” i “sostenitori dell’invincibilità di Putin”: cioè i “pacifinti” e i “putiniani” del Fatto. I quali naturalmente non hanno mai sostenuto l’invincibilità di Putin e comunque non sono stati sbugiardati da nulla e da nessuno, visto che (almeno mentre scriviamo, domani vedremo) Prigozhin è scappato e Putin è ancora lì.

Ieri al corpo insegnante s’è aggiunto un cattedratico di chiara fama: Paolo Mieli, figura mitologica che unisce il giornalista e lo storico, ma sempre per insufficienza di prove. Indovinate di che parlava su La7? Del Fatto. Speravamo che avesse finalmente le prove di ciò che disse tempo fa su La7 in nostra presenza: “Quando è arrivato Draghi, ha trovato che Conte e Arcuri avevano acquistato mascherine per 763 settimane, cioè per 14 anni e mezzo, da qui al 2035!… Sarebbe legittimo qualche dubbio, ove mai fosse vero che Draghi e Figliuolo han trovato nei loro magazzini 14 anni e mezzo di mascherine? Un giorno faremo i conti”. Ma purtroppo quel giorno non arriva mai: neppure ieri Mieli ha voluto svelare dove siano stoccate tutte quelle mascherine, che dovrebbero occupare l’intero Molise. Il giornalista e storico ce l’aveva col Fatto perché si permette di scoprire notizie sulla ministra Santanchè (da lui morbidamente intervistata in una rassegna diuretica a Capri) e financo di pubblicarle in prima pagina: “Leggo i giornali stranieri. E siamo l’unico Paese al mondo in cui c’è un giornale, il Fatto, che invece di aprire con la Russia, apre con Santanchè. È bizzarro”. Ma tu guarda: un giornale italiano, dopo aver aperto sul fallito golpe in Russia finché c’erano fatti degni di nota, si permette di dare notizie che tutti gli altri riprendono su una ministra del governo italiano. Notizie che, fra l’altro, sono pure vere. Dove andremo a finire.


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