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Dino

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OH SÌÌÌÌ ANCORAAAA!

l'editoriale di Marco Travaglio

31 maggio 2023

Leggendo le dotte analisi degli esperti sulla sconfitta del Pd stavamo per precipitare nel sonno dei giusti, quando ci ha destati e trafitti un’illuminazione: l’incipit di un tweet di Giorgio Gori, sindaco renziano di Bergamo. Che recita testuale: “Con la vittoria di Giacomo Possamai (a Vicenza, ndr) si completa l’asse che lungo l’A4 vede tutti i capoluoghi, da Milano a Padova, governati dal centrosinistra. E così lungo l’A1 da Milano a Bologna”. Ecco perché il Pd ha perso tutti i capoluoghi tranne Vicenza: perché gli altri non stavano sull’A4 né sull’A1. È tutta una questione autostradale: non sono i programmi e le alleanze a mobilitare gli elettori, ma il profumo dell’asfalto e dei panini Camogli. Resta da spiegare perché Gori tronchi l’A4 a Padova anziché a Trieste (dove c’è un sindaco di destra, Di Piazza, al quarto mandato), e l’A1 a Bologna anziché a Napoli (forse perché in mezzo c’è una decina di capoluoghi di destra). Ma, dettagli a parte, il ragionamento fila. A saperlo prima, si potevano abolire le elezioni in tutti i comuni non attraversati dalle due suddette arterie, e la vittoria era assicurata. Nell’attesa, commuovono altre ficcanti analisi, di cui la più originale è che “si vince al centro con più riformismo”. Infatti ha vinto l’estrema destra di cui non si ricordano riforme a memoria d’uomo.

Molto gettonato anche l’invito alla Schlein a essere “meno radicale” (senza spiegare quale delle sue superc***ole lo fosse) e “puntare su temi più vicini ai bisogni della gente”. Che, detto da un marziano, sarebbe anche un consiglio utile, visto che gli strilli su temi importanti ma minoritari come Ius soli, Ong, fascismo, sovranismo e Lgbtq+ non hanno calamitato gli elettori. Ma l’invito viene da chi ha retto il Pd nei suoi primi 15 anni e dai giornaloni che gli han consigliato come perdere tutte le elezioni (con tassi di successo che rasentano l’infallibilità). L’idea è di ingolosire gli elettori riesumando i cavalli di battaglia acchiappa-voti di Renzi, Gentiloni e Letta: il sempre arrapante Mes, l’appassionante flessibilità sul mercato del lavoro (possibilmente fino ai 90 gradi), l’elettrizzante aumento della produttività, le eccitanti grandi opere (con sblocca-cantieri), l’esaltante diritto alla prescrizione, l’emozionante lotta garantista al giustizialismo, i trascinanti sgravi fiscali alle imprese, le coinvolgenti riforme istituzionali e, dulcis in fundo, l’agognato riarmo al 2% del Pil in nome dell’euroatlantismo e della terza guerra mondiale possibilmente nucleare con la Russia e, se tutto va bene, pure con la Cina. Casomai non bastasse ancora, c’è sempre l’arma segreta che tanta fortuna già portò a Letta, Renzi, Calenda e Di Maio: la stimolante Agenda Draghi, che potrebbe emergere da un momento all’altro dai nuovi scavi di Pompei.



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Dino

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LINGUE RETRATTILI

l'editoriale di Marco Travaglio

01 giugno 2023

Abbiamo sempre tifato per Schlein, da ben prima che diventasse segretaria Pd. Ma un vero amico quando l’altro sbaglia glielo dice: infatti l’avevamo avvisata che, a fingersi morto per sopravvivere, bastava Letta. Ora che ha perso le Comunali, cioè
le elezioni più propizie al Pd, ci sta ancora più simpatica. Anche perché i giornaloni che per tre mesi l’avevano pompata come un incrocio fra Dolores Ibarruri, Indira Gandhi e Golda Meir, ora che ha seguito tutti i loro consigli gridando al fascismo, difendendo il fazismo, sposando il bellicismo e nascondendo il tutto con superc***ole da assemblea studentesca, già la scaricano col classico calcio dell’asino. Il Corriere celebrava “I magnifici 5 della squadra Schlein” e “Le strade nuove di Elly. Con l’Ucraina ma da ‘pacifista’”. Rep strombazzava “Schlein e la community: il manifesto del nuovo Pd”, “Schlein conquista il congresso Cgil”, “Effetto Schlein: 4mila iscritti in un giorno”. Si spellava le mani per la mirabolante “Squadra dei millennial: da Furfaro e Braga a Di Biase” e per Elly che “tesse la rete europea: Sánchez, Costa, Marin e gli altri” (il primo e il terzo poi prematuramente scomparsi). Si sbucciava le ginocchia anche quando sbagliava: “Schlein, Vogue e la loook-strategia”, “Schlein col fazzoletto rosso supera la prova della piazza”, “Schlein indossa il look da comizio”. Concita passava dall’“avercene di Meloni” all’avercene di Elly: “La donna nuova che spinge Giorgia nel secolo scorso”. Cappellini in piena estasi vedeva “Millennials alla riscossa. Sfida coi boomers dem per cambiare il partito” e riusciva a esaltare anche la sua inesistenza: “L’assenza è presenza: le pause di Schlein”.

La Stampa era tutta un’“Offensiva Schlein”, “Schlein a valanga”, “Il Manifesto Schlein”, “La Pax di Elly”, persino la “Primavera Schlein”. Per Domani dello sponsor-portafortuna De Benedetti, “Il cambiamento di Schlein fa paura”, “Schlein si prende l’opposizione”, “Schlein porta in Europa l’altra Italia”. Lì Damilano celebrava sobriamente l’“Effetto Schlein. Il nostro tempo. La nostra parte. Domenica 26 febbraio, una data che segnerà la nostra storia”. Il nuovo bipolarismo Giorgia-Elly spazzava via tutti gli altri. Corriere: “Giorgia ed Elly si parlano”, “Leader (e vite) parallele”. Stampa: “Meloni-Schlein: le due Europe”. Ora le lingue retrattili dei maestri cantori la degradano a pippa lessa. Corriere: “Stavolta la sfida non si è nemmeno giocata”, “Schlein, alibi in stile Belushi per spiegare lo stop”. Rep: “Una leadership che non incide e non comunica alla maggioranza degli italiani, ma solo all’arcipelago delle minoranze”. Stampa: “Serviva un progetto e quel progetto non c’è”, solo “un’illusione artificiosa”. Dai servi encomi ai codardi oltraggi. Fino al prossimo carro del vincitore (si fa per dire).


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LUCIA TI CARANZÌA

l'editoriale di Marco Travaglio

02 giugno 2023

L’altra sera, a Dimartedì, Michele Santoro ha avuto il grave torto di rinfrescarci la memoria sui non-epurati Fazio e Annunziata e sulla ridicolaggine dei paragoni con l’editto bulgaro. Siccome dire la verità è peggio che schierarsi per la pace, Santoro è stato malmenato dal servizio d’ordine del Corriere, cioè da Aldo Grasso (“livore, rabbia, violenza verbale”) e Massimo Gramellini (“livore, massimalismo, cuccagna della destra”). Su Fazio non c’è nulla da aggiungere ai ricordi di Santoro e a quelli di Luttazzi sul Fatto. Sull’Annunziata qualcosa c’è. Nel 1996 Prodi vince le elezioni e lei, da un anno conduttrice di Linea3 su Raitre, sale sul palco di piazza Santi Apostoli per festeggiare coi leader dell’Ulivo: tre mesi dopo è direttrice del Tg3 con la benedizione degli amici Prodi e Fini. Nel ’98 se ne va sbattendo la porta: “Il Tg3 è l’unica isola di socialismo reale”. Nel 2001 B. torna al potere e nel ’02 si prende la Rai, facendone cacciare Biagi, Luttazzi e Santoro. Il 7 marzo ’03 i presidenti delle Camere, Casini e Pera, nominano presidente “di garanzia” della Rai Paolo Mieli, scelto in una rosa di nomi avanzata dall’Ulivo: il resto del Cda va alla destra (Alberoni, Petroni, Rumi e Veneziani). Mieli pone alcune condizioni, soprattutto una: riportare in video Biagi e Santoro (Luttazzi è già archiviato). La Casa delle Libertà risponde con una raffica di attacchi e insulti (in prima fila Calderoli e Butti, futuri membri del governo Meloni), conditi da leggiadre allusioni allo stipendio e alle origini ebraiche.

Il 12 marzo Mieli rinuncia. Ufficialmente il centrosinistra si chiama fuori. Ma poi, in segreto, Fassino vede Casini e gli fa il nome dell’Annunziata che, dopo una variopinta carriera dal manifesto a Repubblica al Foglio, è editorialista e “garante” del Riformista di Polito, giornale di area Ds che piace a destra. B. approva, FI e An plaudono. Il 13 marzo, appena Fassino, Casini e Pera la chiamano, Annunziata accetta senza neppure le minime pregiudiziali poste da Mieli (il rientro di almeno due epurati). “Ci ho pensato un attimo – racconterà – forse meno di un attimo. Poi ho risposto: perché no?”. Dura meno di 14 mesi, la “bresitende ti caranzìa”, senza riuscire a garantire alcunché, a parte le epurazioni permanenti (Biagi, Luttazzi e Santoro) e quelle nuove (Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Massimo Fini): una contro quattro quando vota contro, quinta dei cinque quando si associa a decisioni sconcertanti delle destre, come la “sospensione” (così chiama la chiusura definitiva) di RaiOt della Guzzanti e l’ispezione contro il Tg3 che ha osato riprendere e trasmettere la contestazione di Piero Ricca a B. in tribunale. Se Grasso e Gramellini hanno qualcosa da smentire, si facciano avanti. Altrimenti abbiano il buon gusto di tacere.


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GUERRE DA REMOTO

l'editoriale di Marco Travaglio

03 giugno 2023

Ogni giorno si impara qualcosa. Ieri, nella festa della Repubblica Ucraina celebrata a Roma dalle massime autorità italiane, addirittura due cose. La prima ce la insegna il presidente Mattarella: “La Costituzione indica il ripudio della guerra quale strumento di risoluzione delle controversie… un principio attualissimo e profondamente sentito, di cui l’inaccettabile aggressione della Federazione Russa all’Ucraina rappresenta la più brutale ed evidente negazione”. Noi pensavamo che Putin giurasse sulla Costituzione russa e il capo dello Stato e i governanti italiani su quella italiana. Invece scopriamo che la Costituzione italiana deve rispettarla Putin, non le nostre autorità. Che infatti osservano la Costituzione russa, per nulla ostile alla guerra, anzi. Solo così si spiega la guerra scatenata nel 1999 dai governi Nato, incluso quello italiano vicepresieduto da Mattarella, contro la Serbia; e ora la cobelligeranza decisa da due governi nominati da Mattarella in spregio alla Costituzione italiana e in ossequio a quella russa. Mattarella deplora “le crescenti tensioni nei Balcani”, figlie della sua guerra di 24 anni fa, e annuncia che l’Italia “continuerà ad assicurare il proprio sostegno al popolo ucraino” per la “ricerca della pace” senza negoziati (mai nominati, anche perché Zelensky li ha vietati il 4 ottobre per decreto), “nel quadro della sua convinta appartenenza alla Ue e all’Alleanza Atlantica” (delle quali però l’Ucraina purtroppo non fa parte).

La seconda lezione ce la impartisce Adriano Sofri, dall’alto della sua condanna definitiva a 22 anni come mandante dell’omicidio Calabresi, sul Foglio di cui è editorialista fisso (come Fioravanti lo è della nuova Unità). Il gentiluomo ce l’ha con il “comiziaccio di Marco Travaglio”, “piazzista d’infamie, da remoto, beninteso”, che a Ottoemezzo ha osato definire l’Ucraina “Stato terrorista”. In effetti l’intelligence Usa ha accertato che dietro l’autobomba che a Mosca ha ucciso Darya Dugina, figlia 29enne del filosofo Aleksandr, c’era il governo Zelensky. Poi il capo dei Servizi militari ucraini, Kyrylo Budanov, s’è vantato di “uccidere” giornalisti e propagandisti russi inermi “ovunque sulla faccia della terra fino alla completa vittoria”. E dall’ Ucraina partono continui attacchi con droni e razzi contro obiettivi civili a Mosca e in altre città russe. Tutti attentati omicidiari che non c’entrano nulla con la sacrosanta resistenza ucraina contro le truppe russe. Per noi e per ogni manuale di diritto internazionale, questo è terrorismo. Con l’aggravante di essere finanziato e armato da noi. Per Sofri è pura normalità autobiografica da quando mandò due poveracci imbevuti dei suoi deliri rivoluzionari ad assassinare un commissario di polizia disarmato. Da remoto, beninteso.


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SPURTIVO!

l'editoriale di Marco Travaglio

04 giugno 2023

Da anni Sabino Cassese allieta le nostre giornate con una vis comica degna del suo compianto sosia Capannelle, il vecchietto de I soliti ignoti che si vanta di vestire “spurtivo” mentre Peppe er Pantera lo accusa di indossare la “divisa da ladro”. Un tempo austero e silenzioso amministrativista, con l’incedere dell’età s’è trasformato in un garrulo tuttologo da talk e da intervista prêt à porter, nonché in un sederino d’oro candidato a tutte le poltrone su piazza grazie a un posteriore extralarge a fisarmonica (a tre, o quattro, o cinque chiappe) che gli consente di occuparne anche più d’una contemporaneamente. Da quando passò per la Consulta grazie all’amico Ciampi, viene scambiato per costituzionalista, anche se ha sposato tutte le schiforme più incostituzionali mai viste: la Letta-Napolitano 2013, la Renzi-Boschi-Verdini 2016, i referendum anti-giustizia 2022. Nel 2017 aderì alla campagna del Foglio per “sciogliere per eversione il M5S”, primo partito d’Italia. Nel 2020 bombardò come “incostituzionali” le misure anti-Covid di Conte-“Orbán” (purtroppo costituzionalissime per la Consulta), ma non quelle uguali o più rigide di Draghi; i 300 tecnici di Conte per il Pnrr, ma non i 2mila e più di Draghi.

È fatto così: un juke-box del diritto che distribuisce promozioni e bocciature a seconda di chi infila la moneta nell’apposita fessura. E per moneta s’intende il vil denaro (entrò nel board di Atlantia, ne uscì con 700mila euro e iniziò a difendere i Benetton dai cattivoni che volevano cacciarli da Autostrade dopo il crollo del Morandi), ma anche incarichi governativi per lui e/o per lo stuolo di allievi e protégé. Conte, nuovo del mestiere, lo tenne fuori dal poltronificio e mal gliene incolse; Draghi e Meloni ripresero la tradizione destra- centro-sinistra imbarcando Sabino e i suoi cari, e dal juke box uscirono solo note celestiali. La Meloni l’ha adottato come badante giuridico, i suoi ministeri sono pieni di Cassese boys, Calderoli ha eretto Sabino Capannelle alla presidenza della commissione che fisserà i Lep dell’Autonomia. E lui ricambia sposando il presidenzialismo, ma pure il premierato (a piacere), e fa clap- clap (o Lep-Lep) al decreto incostituzionale che esautora la Corte dei Conti sul Pnrr: in due giorni ha rilasciato interviste plaudenti sul “sacrosanto” golpetto a Repubblica, Messaggero, Giornale, Foglio e Tgcom24. Appena apre bocca, viene da domandarsi come abbia fatto Leo Longanesi, senza conoscerlo, a concepire almeno tre dei suoi aforismi. “Non capisce nulla, ma con grande autorità e competenza”. “Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano”. “La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: ‘Ho famiglia’”.


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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

05 giugno 2023

Cinegiornale Luce. “Grande inchiesta: la fantastica famiglia di Giorgia. La mamma scrittrice, il papà avventuriero, la sorella e le sorellastre, i nonni artisti. Tutto quello che non sapete sulle vere origini della donna più potente d’Italia” (copertina di Gente, 3.6). Manca solo il cognato.

Buono a sapersi. “Il bel sorriso di Mattarella al concerto per la Repubblica”, “Mi piace quando Mattarella sorride” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 3.6). Mo’ me lo segno.

Recidiva specifica. “Doppie nozze per Alessandro Sallusti e Patrizia Groppelli: sposati prima da Beppe Sala, poi da Nicola Porro” (ilfattoquotidiano.it, 4.6). Pensa che c**o.

Lekkitalia. “Che tipo di uomo sia Ignazio Visco lo vedi dai dettagli… La lettura vorace di tutti i documenti, le uscite la sera a tarda ora da via Nazionale con la borsa piena di carte da studiare a casa fino alle tre di notte… quella nettezza sui valori da boy scout quale il governatore è stato da piccolo… Perchè l’uomo è così: fedeltà ai valori e agli amici, senso della continuità storica, una mostruosa disposizione al lavoro e, certo, un bel po’ di ostinazione” (Federico Fubini, Corriere della sera, 1.6). Sfido io che, con tutti quegli impegni, non aveva tempo di accorgersi dei crac bancari.

Come s’offre. “Buon lavoro al presidente Erdogan appena rieletto. La Turchia è una grande democrazia, membro della Nato e patner (sic, ndr) dell’Europa. Abbiamo interessi comuni e vanno coltivati con saggezza” (Ettore Rosato, deputato Iv, Twitter, 30.5). Poi passa Renzi alla cassa.

Come s’offrono. “Schlein? Se vuole possiamo aiutarla” (Graziano Delrio, senatore Pd, Corriere della sera, 2.6). “Adesso Schlein si lasci aiutare” (Luigi Zanda, ex senatore Pd, Domani, 3.6). Come se non sbagliasse abbastanza da sola.

Sono io Coccolino. “Colpi non per fare male, ma per ammorbidire” (Daniele Vincini, segretario Sulp, difende i vigili di Milano che hanno pestato a manganellate una donna, Giorno, 25.5). Dev’essere un nuovo ammorbidente.

La parola all’esperto. “Schlein perde tutte le elezioni, anche quelle condominiali” (Matteo Renzi, senatore Iv, Giornale, 2.6). Di questo passo, potrebbe persino battere il suo record mondiale.

Salvi, anzi no. “Paracadute per i trombati. La casta 5S ne salva dieci”, “Gli ex parlamentari 5S furiosi. Conte non li ha più assunti” (Domenico Di Sanzo, Giornale, 14.11.22 e 4.6.23). E pure il principio di non contraddizione ce lo siamo fumato.

Rai Merlo. “Ogni volta che si criticano le nomine in Rai… arriva qualche Pico della Mirandola che, con prodigiosa memoria, racconta tutte le volte che la sinistra fece lo stesso, ‘anzi peggio’. Non sempre è vero e non importa se sia vero” (Francesco Merlo, Repubblica, 30.5). Sennò poi si scopre che la Rai occupata da Renzi regalò a Merlo una consulenza da 240 mila euro l’anno per fare non si sa bene cosa.

Le grandi inchieste. “Ecco look scelti dalle donne della politica italiana per le celebrazioni della 77esima Festa della Repubblica in Quirinale… Il premier sceglie un completo tra il bianco e il beige composto da giacca con fiori simil pizzo, pantaloni alla caviglia e scarpe di paillettes color argento, che sono il vero focus del look. Meloni, accompagnata dal marito in abito nero, sfoggia capelli legati e maxi orecchini… Per Laura Mattarella un vestito in satin tra i toni del celeste e il color Tiffany, gonna a tubino: con la consueta sobrietà che la contraddistingue… Elly Schlein: tailleur pantaloni e camicia colorata, insolita per un appuntamento di gala. Il pantalone a palazzo però è il vero tocco poco usuale… Per Sofia Goggia total white come per Elisabetta Casellati: il tailleur bianco neve è una scelta che hanno fatto in parecchie questa sera… Francesca Verdini: il suo è probabilmente il look più ‘giovane’ della serata. Top con spalle scoperte nero e gonna a fantasia. Capelli sciolti: fresca e poco impostata. Ci voleva… Daniela Santanché sceglie anche lei il tailleur, ma di un colore chiaro: azzurro con giacca doppio petto e bottoni importanti. La chicca? La camicia da Lady Oscar con colletto vittoriano” (Messaggero, 1.6). Non sentite anche voi profumo di Pulitzer?

Lo stagista stragista. “L’analfabetismo – storico, politico, giuridico, civile, morale – di quelli che si indignano per Fioravanti che scrive sull’Unità è abbastanza repellente”, “Sul giornale fondato da Gramsci il carcerato, uno che ha fatto del bene per anni ai detenuti con Nessuno Tocchi Caino ci sta meglio di quel secondino che aveva perfino una rubrica quotidiana – Bananas – in cui voleva mettere tutti al gabbio. Ma nessuno se ne scandalizzò, allora” (Guido Vitiello, Twitter, 31.5). Oh no, si indignano per il noto benefattore Fioravanti e non per chi lo vuole in galera: e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/1. “L’Ucraina deve aspettare, ma la ‘Nato plus’ fa già paura alla Cina” (Foglio, 30.5). Pare che Xi Jinping abbia fatto testamento.

Il titolo della settimana/2. “Cercasi riformisti” (Riformista, 30.5). Cercasi anche qualcuno che spieghi a questi analfabeti che il plurale è cercansi.

Il titolo della settimana/3. “Fascina: ‘Io un passo dietro a Silvio’” (Giornale, 2.6). Saggia precauzione.

Foto dal web

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AL LUPO, AL LUPO!

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06 giugno 2023

Dopo sette mesi, è ufficiale: abbiamo un governo di buoni a nulla capaci di tutto. Ma chi li paragona al fascismo fa loro un favore e un complimento, perché Mussolini era capace di tutto, ma purtroppo riunì attorno a sé il meglio della cultura fascista e nazionalista e diverse eccellenze del mondo liberale e cattolico. Quando le tragedie della storia si ripetono, insegna Marx, lo fanno in forma di farsa. Il che fa ben sperare che, pur animati dalle peggiori intenzioni, i guitti di oggi – anche quelli che parodiano i gerarchi perché vorrebbero essere come loro – non riescano a realizzarle. Ciò non significa che le opposizioni e il poco che resta di stampa libera debbano rilassarsi, anzi. Ma che dovrebbero selezionare i bersagli, evitando di gridare al fascismo o alla svolta autoritaria qualunque cosa faccia il governo. 1) Per evitare l’effetto “al lupo al lupo”: se tutto è fascismo, nulla è fascismo. 2) Per scansare il doppiopesismo, cioè l’ipocrisia di chi rinfaccia agli altri ciò che ha sempre fatto lui. 3) Per convincere parte degli elettori che il 25 settembre hanno votato a destra o non hanno votato a votare per le opposizioni, andrebbero scelte parole che la gente capisca e temi che senta vicini. Se la Rai diventa TeleMeloni (ma da ben prima che Meloni piazzasse i suoi), tutti ricordano TeleDraghi e TeleQualunque premier ci fosse: gli allarmi rossi o neri non attaccano. Se la Meloni vuole eleggere il capo dello Stato o del governo, bisogna opporsi e spiegare perché, ma gridare al fascismo ha poco senso: anche il Pd voleva il premierato, e il presidenzialismo esiste in democrazie più antiche e mature. Idem per l’obbrobrio dell’Autonomia, che però non ha nulla di autoritario: semmai porterebbe all’anarchia, espropriando lo Stato di poteri che è meglio conservi. Quindi bisognerebbe piantarla di invocare Bonaccini commissario in Emilia-Romagna e proporre l’abolizione delle Regioni, o almeno l’esproprio dei poteri sulla sanità e l’ambiente, per uno Stato forte sui temi strategici e un federalismo fondato sui Comuni.

Tralasciamo per carità di patria le ridicole e tafazziane campagne sui terribili segreti di mamma Meloni e sull’inesistente saluto fascista alla parata del 2 giugno. Ma, se in questi sette mesi la sinistra politico-mediatica avesse investito le energie spese nella caccia alle vere o presunte camicie nere per denunciare la guerra ai poveri (5-600mila senza Rdc da luglio), la legalizzazione dello schiavismo, il folle bellicismo atlantista, i disastri su Pnrr e 110%, le schiforme della giustizia penale e contabile, i miliardi buttati nel Ponte e in altri regali ai ricchi e ai ladri, le promesse tradite su bollette e accise, i 14 condoni alle vittime del “pizzo di Stato”, oggi il governo dormirebbe sonni un po’ meno tranquilli.


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PRESUNZIONE D’IMPUNITÀ

l'editoriale di Marco Travaglio

07 giugno 2023

Come ogni delitto “comune” (cioè estraneo al mondo del potere), anche l’omicidio di Giulia Tramontano confessato da Alessandro Impagnatiello sta mandando in cortocircuito l’impalcatura del “garantismo” all’italiana: quell’armamentario di gargarismi e slogan insensati che scatta appena viene beccato un colletto bianco. A nessuno viene in mente di ricordare che il reo confesso è un “presunto innocente”: eppure, per la legge e la Costituzione uguali per tutti, lo è anche lui. Nessuno si sogna di protestare per la pubblicazione di verbali e chat, di invocare il segreto o la privacy dei “terzi” citati nelle carte e negli sms: infatti è materiale depositato e dunque non segreto; ma, se al posto di Impagnatiello ci fosse un Vip, la stampa traboccherebbe di sdegno e il Parlamento di interrogazioni. Dal ministero della Giustizia partirebbero ispezioni e azioni disciplinari contro i magistrati, nonché riforme urgentissime contro le pubblicazioni e le manette “facili”. E figurarsi gli alti lai delle vergini violate se una conduttrice della Rai desse del “mostro” a un tangentaro preso con le mani nel sacco: sparirebbe dal video per sempre. Invece Mara Venier l’ha detto del barista milanese, e morta lì.

Intendiamoci: se uno confessa un delitto così efferato sepolto da una montagna di prove, ciascuno è libero di giudicarlo come crede. Semmai c’è da interrogarsi sul motivo profondo del surplus di accanimento verbale, mediatico, voyeuristico che accompagna queste efferatezze. È lo stesso motivo che porta i media e i politici a inventare sostantivi, aggettivi e fattispecie di reato sempre più pesanti per qualificare la condotta che è già (e da sempre) giudicata e sanzionata come la più grave di tutte: l’omicidio volontario. Oggi, se a morire è una donna, si parla di “femminicidio”, con tanto di norme specifiche, come se la gravità dell’atto dipendesse dal sesso della vittima. E come se i parenti fossero più sollevati o meno afflitti sapendo che l’omicida è un “femminicida”, un “mostro”, una “bestia”, che “deve morire” o “marcire in galera” ecc. La verità che nessuno osa confessare è che si cerca di colmare con paroloni e riforme-spot l’abisso fra le pene previste dal Codice, quelle inflitte nelle sentenze di condanna e quelle scontate in carcere (al netto di attenuanti, indulti, scappatoie, cavilli, benefici penitenziari, liberazioni anticipate, misure alternative, sconti per buona condotta e “giustizia riparativa”). Come ha scritto il pm Sebastiano Ardita, Impagnatiello è l’ennesimo assassino che fra dieci anni uscirà dal carcere a norma di legge per rifarsi una vita. E, se sarà ancora famoso, scriverà sul Foglio o sul Riformista o sull’Unità. Perciò fanno tutti a gara nel condannarlo a parole: perché sanno che presto la farà franca nei fatti.


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ZONA (E MATITA) ROSSA

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08 giugno 2023

La Procura di Bergamo voleva processare l’ex premier Conte e l’ex ministro Speranza per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo per aver causato un eccesso di mortalità di 4.148 persone nella Bergamasca e averne ammazzate 57 in Val Seriana omettendo precauzioni anti-Covid (Speranza) e la zona rossa ad Alzano e Nembro (Conte e Speranza). Ieri, com’era prevedibile, il Tribunale dei ministri di Brescia li ha archiviati perché “la notizia di reato è totalmente infondata” con un’ordinanza che tutti dovrebbero leggere. Soprattutto gli sciacalli che, nell’apposita commissione parlamentare, meditano di usare la tragedia planetaria del Covid per piccole vendette politiche. Ma è un bene che si sia giunti a un verdetto giudiziario. Per non lasciare spazio a sospetti e zone d’ombra. E per far capire ai magistrati poco professionali (se ne vedono sempre di più) che il senno di poi è proibito agli storici, figurarsi ai pm.

L’indagine, con la consulenza di Crisanti, pretendeva di accertare quanti morti si sarebbero evitati cinturando Alzano e Nembro tra il 26 febbraio e il 2 marzo 2020. I giudici, diversamente dai pm, hanno ricostruito che in quella settimana “è pacifico che Regione Lombardia non avesse comunicato al Cts la gravità della situazione epidemiologica” e né Fontana&Gallera né il Cts chiesero mai la zona rossa. Solo alle ore 18 del 2 marzo il Cts avvisò il premier dell’allarme in Val Seriana e suggerì restrizioni. Conte “lungi dal respingere l’idea” della zona rossa “chiese maggiori informazioni” perché “non era neppure astrattamente immaginabile che dovesse istituire la zona rossa seduta stante”: doveva prima “valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall’istituzione della zona rossa”, tantopiù che ormai la pandemia dilagava ovunque e “la possibilità di contrarre il virus da persone infette non è mai stata esclusa neppure all’interno delle zone rosse”. Oltre agli errori di diritto della Procura (il reato di epidemia colposa per omissione non esiste, e neppure il nesso causale fra scelte politiche e morti), sconcertano quelli materiali: i giudici hanno scoperto che, fra i 57 morti ammazzati da Conte e Speranza elencati dai pm, c’è una donna viva, che testimoniò l’8 maggio 2020 e ora è parte offesa; un’altra era già morta il 22 febbraio, prima del periodo della mancata zona rossa, ergo non può essere morta due volte; altri 14 avevano contratto il virus prima del 26 febbraio; due si erano contagiati fuori dalla Val Seriana; sei non si sa neppure se avessero il Covid. E per tutti e 56 “è rimasta ignota la catena del contagio”. Quindi l’ordinanza non attesta soltanto che Conte e Speranza non hanno commesso alcun reato. Ma insegna anche ai pm come non si fanno le indagini.


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CHIAGNI E FOTI

l'editoriale di Marco Travaglio

09 giugno 2023

La combriccola di “giornalisti” che parla di processi che non conosce ha emesso un’altra sentenza irrevocabile: siccome Claudio Foti, condannato in primo grado a 4 anni, è stato assolto in appello per la vecchia insufficienza di prove (art. 530 comma 2 Cpp) da un solo episodio del caso Bibbiano, sono innocenti pure gli altri 17 imputati tuttora a processo a Reggio Emilia per un centinaio di capi di imputazione, con 155 testi e migliaia di intercettazioni, già avallati da un gup, da 3 giudici del Riesame e da 5 di Cassazione; anzi, a Bibbiano non è successo niente. Mentana “chiede scusa” a Foti a nome “di tutto il sistema dei mass media” (e parlare per sé?). La Stampa dice che “il paese esce dall’incubo” (che non sono i bambini strappati alle famiglie con false accuse, ma il processo a chi le fabbricò). Per il Messaggero “crolla il castello di carta”. Merlo su Rep straparla di “sciacallaggio” dei “grillini” e dei “soliti giornalisti” (quindi lui non c’entra). E, tanto per cambiare, dà ragione a Renzi che sul Riformatorio chiede a Meloni, Salvini e Di Maio di scusarsi per una delle poche cose giuste che han detto:cioè che rubare bambini ai genitori con la connivenza delle giunte targate Pd, che in Val d’Elsa affidarono senza gara a Foti&C. le terapie minorili per oltre 200mila euro, fu uno scandalo.

Questo bel quadretto illumina anche la credibilità dei “garantisti” all’italiana, che beatificano lo psicologo per ora assolto assolto (c’è ancora la Cassazione). E fingono di non sapere che nulla è più “giustizialista” del metodo da lui teorizzato e praticato in varie parti d’Italia e proseguito a Bibbiano dai suoi seguaci, fra cui la moglie imputata a Reggio. Le perizie della sua onlus “Hansel e Gretel” hanno accusato decine di genitori, nonni, zii, maestri di aver violentato, abusato, menato, persino coinvolto in riti satanici un’infinità di bimbi che per questo furono sottratti alle famiglie e affidati ad altre; dopodiché s’è scoperto che non avevano fatto nulla, sono stati assolti e i bambini son tornati in famiglia e a scuola, se intanto genitori e maestri non s’erano suicidati o ammalati. Bel garantismo. Ricordate le maestre, la bidella e lo scrittore di Rignano Flaminio, sp*****ati come pedofili e poi assolti? C’erano pure le perizie di Foti. Il sequel fu nella Bassa Modenese, dove però l’inchiesta giornalistica Veleno di Pablo Trincia ruppe il muro di omertà. I fatti di Bibbiano – in attesa di sapere dalla sentenza principale se furono reati o solo vergogne penalmente irrilevanti – dicono che tutti i bambini dati in affido in base alle perizie dei fotiani sono tornati alle famiglie naturali e tutti i genitori processati per violenze e abusi sono stati assolti. Siccome ora dovremmo tutti chiedere scusa a Foti, con quei bambini e con quei genitori chi si scusa?

F

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MANDURIAN JOURNALISM

l'editoriale di Marco Travaglio

10 giugno 2023

Casomai non bastassero gli ingorghi aerei e stradali a Manduria caput mundi per i voli di Stato e le auto blu che aviotrasportano e scarrozzano la premier e mezzo governo nella masseria di Vespa, i giornaloni si danno un gran daffare per portare il livello dell’informazione italiana da zero a sottozero.

Il Corriere, con Maria Teresa Meli vedova Renzi, sposa lo sgomento dei “riformisti pd” che vogliono “salvare il partito” dalla “bufera Ciani”. E, con Fabrizio Roncone, lacrima per “lo stupore, il rimpianto, la pena”, le “cicatrici molto profonde” e i “timori laceranti” delle vittime di Elly la Sanguinaria, che le costringe a “riunioni carbonare e allarmati whatsapp” con la sua ultima efferatezza: la “clamorosa e irrituale nomina di Paolo Ciani a presidente del gruppo” alla Camera, di cui fa parte da indipendente perché l’ha fatto eleggere Letta. In realtà Ciani è solo uno dei quattro vicepresidenti, ma fa niente. Ciò che agghiaccia è la sua biografia, la quintessenza dell’estremismo, da far impallidire al Qaeda, Isis, Hezbollah e Sendero Luminoso: “53 anni, moglie e due figli, modi di rara gentilezza e aria mite” per nascondere meglio “l’esperienza nella leggendaria Comunità di Sant’Egidio”, quindi pure cattolico. Il noto terrorista ha subito “dato sfoggio a tutto il suo pacifismo, spiegando di essere contrario ad aiutare militarmente l’Ucraina”. E non l’hanno ancora arrestato.

Repubblica torna sull’evergreen di TeleMeloni, denunciandone “l’invasione dei tg” Rai “come mai era accaduto prima”. Giovanna Vitale confronta i dati dell’Osservatorio di Pavia sulle presenze in voce nei tg Rai del governo Meloni con quelle dei due precedenti nel primo mese pieno: il Conte-2 ebbe il 30%, il Draghi il 44%, il Meloni il 45%. Quindi Draghi e Meloni sono pari e occupano i tg un terzo più di Conte. Un bel problema, per chi racconta che in otto mesi siamo precipitati dalla Rai più pluralista di sempre alla più governativa di sempre. Ma niente paura: se San Mario venne leccato tanto quanto la Ducia, fu per “cause contingenti e irripetibili”. E quali? “Draghi al suo debutto interviene molto di più (rispetto a Conte, ndr), ma solo per via dello scoppio della guerra in Ucraina. Si insedia il 13 febbraio: 11 giorni dopo inizia il conflitto ucraino e a marzo Draghi raggiunge un picco di esposizione”. Ecco: è tutta colpa di Putin. Peccato che Draghi si insedi il 13.2.2021 e Putin invada l’Ucraina il 24.2.2022. Quindi la Rai regalò a Draghi lo spazio poi riservato alla Meloni prevedendo che un anno dopo sarebbe scoppiata la guerra? O Rep ha saputo che l’invasione russa è avvenuta nel 2021 e ce lo dice solo ora? Già che c’è, potrebbe retrodatare l’inizio del conflitto al 2014: così almeno, per sbaglio, direbbe la verità.


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VINI ALLA BAVA

l'editoriale di Marco Travaglio

11 giugno 2023

Il Pd vuol portare al Cda Rai l’ennesimo caso Vespa – l’“artista” in pensione che profumatamente paghiamo dalla notte dei tempi per scorticarsi le ginocchia davanti ai politici su Rai1 – per l’automarchettificio messo su nella leccheria di Manduria, dove si produce un rarissimo vino a base di saliva. Ma sbaglia bersaglio: il “codice etico” Rai non va invocato solo per la batteria di sponsor accorsi alla kermesse vespiana (Poste, Fs, Bmw, Confagricoltura, Ance, Aiscat, Philip Morris, Novartis, Banca Ifis ecc.), ma anche perché in un’ora di “intervista” alla Meloni il nostro eroe è riuscito a non farle una sola domanda degna di questo nome. Non mancavano solo le famose seconde domande, ma pure le prime. Ecco i pigolii del semiconduttore nei Cinque minuti su Rai1. “In questi giorni dovrebbero sbloccarsi 21 miliardi della terza rata: riusciremo ad averli?”. “Cuneo fiscale e aumento dei salari: pensa l’anno prossimo di avere più soldi?”. “L’aumento del Pil non è un fuoco di paglia”. “Arriveranno soldi dal Fmi alla Tunisia per evitare un’ondata storica di migranti?”.

Ed ecco il seguito del Forum in Masseria. “Una riflessione da madre sull’omicidio della povera Giulia e del bambino che portava in grembo”. “Il problema della personalità giuridica del nascituro”. “Ha incontrato il cancelliere Scholz e, se ho capito bene, avete fatto dei passi in avanti sui migranti”. “Lei vuol fare l’hub”. “Schlein sostiene che è allergica ai controlli e sta impostando uno Stato autoritario”. “Gli avversari le rimproverano la vicinanza a Vox, Polonia e Ungheria”. “Premierato e autonomia: a Sud han paura di essere regioni di serie B. Succede, non succede…”. “Insomma, devono rassegnarsi alla sua presenza”. “L’opposizione dice che la delega fiscale penalizza i dipendenti rispetto agli autonomi”. “Posso chiederle quando pensa di sottoscrivere il Mes?”. “Noi resteremo al fianco di Zelensky fino alla fine della storia?”. Le risposte alternano rari sprazzi di buon senso a colossali spropositi senza la minima obiezione. Neppure quando Meloni, che sta per gettare in strada 600mila famiglie senza più Rdc, denuncia “l’aumento dei poveri e dei ricchi ricchissimi”; o accusa altri di fare ciò che fa lei: “Cambiano idea a seconda che stiano al governo o all’opposizione”; o magnifica il boom economico e Vespa si scorda il fresco -7,2% dell’industria. Finale da urlo: “Dopo sette mesi, com’è l’Italia vista da Palazzo Chigi?”. Se si fosse intervistata da sola, la Meloni sarebbe stata molto più impertinente, non foss’altro che per non scivolare sulla bava. Ma le interviste senza domande non scandalizzano più nessuno. Qualcuno s’è indignato perché la premier a Tunisi ha fatto una conferenza stampa senza giornalisti. Ma nessuno ha notato la differenza.


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MA MI FACCIA – IL PIACERE

di Marco Travaglio

12 giugno 2023

Il piccolo fiammiferaio. “Aspetto da un anno una chiamata per la task force del Recovery fund. Ma chi non è schierato a sinistra…” (Riccardo Puglisi, “economista, docente di scienza delle finanze a @unipv, ghisleriano”, Giornale, 1.5.2022). “Travaglio conquista La7, Otto e Mezzo: tutte le presenze in tv con Scanzi e Padellaro. Travaglio onnipresente” (Riccardo Puglisi, Riformista, 9.6). Lui sempre lì in attesa accanto al telefono. Ma niente, nemmeno un invito a RaiGulp.

A sua insaputa. “Scienza e occupazione. Giorgia sfida l’Olanda per costruire in Italia il telescopio di Einstein” (Libero, 7.6). E senza dirgli niente.

Chirurgia anagrafica. “Italo bo*****o e la chirurga estetica Ricci si sposano. Da sei anni, bo*****o è fidanzato con la dottoressa Giuseppina Ricci, 44 anni. Questa è la prima volta che raccontano il loro amore… Italo: ‘Ogni tre settimane lei mi ritocca il viso’… Giuseppina: ‘Il primo voto, nel ‘93, l’ho dato a Gianfranco Fini sindaco di Roma” (Candida Morvillo, Corriere della sera, 7.6). Quindi votò a 14 anni o ha ritoccato anche la data di nascita?

Leggere l’avvertenza. “Non troverete in queste pagine nessun articolo riguardante l’avviso di garanzia a Massimo D’Alema” (Matteo Renzi, Riformista, 7.6). Il primo giornale della storia che si vanta di non dare le notizie.

Disastri che scrivono. “Roma non si rassegna al disastro” (Sabrina Alfonsi, assessora Pd al Ciclo dei rifiuti di Roma, e Roberto Gualtieri, sindaco Pd di Roma, Stampa, 5.6). Ah ecco, non si sono arresi: sono solo incapaci.

Semantici miopi. “Michela Murgia e io non abbiamo fatto altro che il nostro lavoro: dare un’interpretazione semantica ben precisa di ciò che è accaduto il 2 giugno scorso: la celebrazione della X Mas” (Roberto Saviano, 7.6). Che però purtroppo non è mai avvenuta. Cose che caàpitano quando la semantica si scorda gli occhiali.

Lord Brummell. “I nuovi dem con la tendenza a ‘rottamare’… C’è molto del (vecchio) Renzi nel modo in cui Elly Schlein tenta di governare il suo (nuovo) Pd. Con una importante differenza, però: lo stile” (Luca Ricolfi, Messaggero, 9.6). Beh, certo, vuoi mettere lo stile di Renzi.

Doppio lavoro. “Fu Alberto, 15 anni fa, a presentarmi Berlusconi: io volevo fare l’attore, sono diventato ministro’” (Paolo Zangrillo, ministro Fi della Pa, Corriere-Sette, 9.6). Così adesso fa entrambe le cose.



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COCCODRILLO DI CAIMANO

l'editoriale di Marco Travaglio

13 giugno 2023

Non entrerò mai in politica. Scendo in campo. Il Paese che amo. Un nuovo miracolo italiano. L’Italia come il Milan. Basta ladri di Stato. L’amico Craxi. L’amico Gelli. L’amico Dell’Utri. L’amico Mangano. L’amico Previti. L’amico Squillante. L’amico Metta. Il lodo Mondadori. La rivoluzione liberale. L’uomo del fare. La villa fregata all’orfana. Da giovane ero anch’io donnino di casa. Mamma Rosa. Il mausoleo di Arcore. Il Polo delle Libertà. Voglio Di Pietro ministro degli Interni. Il decreto Biondi. Giuro sulla testa dei miei figli. Mai pagato tangenti. Milano negli anni 70 era un calvario, dovevi far passare la pratica da un ufficio all’altro con l’assegno in bocca. Vendo le mie tv. Lasciatemi lavorare. Sono l’unto del Signore. Mai detto che sono l’Unto del Signore. Cribbio. Mi consenta. Il ribaltone. Dini e Scalfaro comunisti. Prodi utile idiota dei comunisti. D’Alema comunista. L’amico Massimo. La Bicamerale. La Costituzione comunista. Le toghe rosse. La Casa delle Libertà. Chi vota a sinistra è coglione. Le mie tv hanno una linea editoriale autonoma all’85%. I miei giornalisti sono tutti di sinistra. Fede è un eroe. Putin è un amico fraterno, un dono del Signore, ha sentimenti delicati, un vero democratico. L’amico George W.. Ai consìder sdesd ov Iunade Steiz nos onli a fleg ov e cantri…

Gheddafi è un leader di libertà. Le tangenti alla Guardia di Finanza, nel sentire della gente, non sono considerate reato. Dell’Utri è persona di così profonda moralità e religiosità da non poter essere connivente, non ha attaccamento al denaro, molte volte gli dico: non fare come Giorgio Washington che curava gli interessi dello Stato e mandava in malora la famiglia. Non farò condoni. Concordato e scudo fiscale. Condono fiscale ed edilizio. All Iberian mai sentita. Mills mai conosciuto. Signor Schulz, la suggerirò per il ruolo di kapò. Siete turisti della democrazia. Romolo e Remolo. L’Islam civiltà inferiore. Tutta colpa dell’euro. Le corna. il cucù alla Merkel. La mafia, poche centinaia di persone. Gli ellepì con Apicella. L’elisir di Scapagnini. Rasmussen è meglio di Cacciari, gli presenterò mia moglie. Mangano è un eroe, non ha parlato: si comportava bene,faceva la comunione nella cappella di Arcore. Il Contratto con gli italiani. Un milione di posti di lavoro. Meno tasse per tutti. Le grandi opere. Il Ponte sullo Stretto. Sono stato frainteso. Biagi, Santoro e come si chiama l’altro… Luttazzi hanno fatto un uso criminoso della televisione pagata coi soldi di tutti. Montanelli e Biagi erano invidiosi di me. La Piovra rovina l’Italia all’estero. Il falso in bilancio. La Cirami. Il lodo Maccanico. Il lodo Schifani. La Cirielli. Tutti sono uguali di fronte alla legge, ma io sono un po’ più uguale degli altri.

Ciampi comunista. La legge Gasparri. Il salva-Rete4. L’Economist comunista. Signora, che ne direbbe di una ciulatina? Bertolaso uomo della Provvidenza. Mussolini non ha mai ucciso nessuno, anzi mandava la gente in vacanza al confino. Sarò felicissimo di conoscere il papà dei fratelli Cervi, a cui va tutta la mia ammirazione. Caro Blair, sono laburista anch’io. La giustizia a orologeria. I giudici sono matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana. Telekom Serbia è tutta una tangente. La Mitrokhin. I brogli di Prodi. I comunisti cinesi bollivano i bambini per farne concime. Farò sparire la spazzatura da Napoli in tre giorni. Ho 109 processi con mille giudici. Sono sempre stato assolto. Chi scrive di mafia lo strangolerei con le mie mani. Il Popolo della Libertà. La bandana e il trapianto pilifero. Obama è bello e abbronzato. Il miracolo dell’Aquila. Evadere è un diritto naturale nel cuore degli uomini. Le mani nelle tasche degli italiani. La magistratura è un cancro da estirpare, peggio delle Br, come la banda della Uno bianca. Ai giudici noi insidiamo le mogli, siamo tombeur de femmes.
Agostino, la Antonella: sta diventando pericolosa, s’è messa a dire cose pazzesche in giro. Il lodo Alfano. La prescrizione breve. Il processo breve. Il legittimo impedimento. La Consulta comunista. Il Partito dell’Amore e la sinistra dell’odio. Mai frequentato minorenni. Il padre di Noemi Letizia era l’autista di Craxi. La signora Lario mente. Patrizia, tu devi toccarti. La statuetta ad altezza Duomo. Dottor Fede, cioè volevo dire Vespa. Gli amici Gianpi, Lavitola, De Gregorio e Lele. Nicole Minetti è un’igienista dentale. Ruby è la nipote di Mubarak. Il Bunga bunga. Ho una fidanzatina. Solo cene eleganti. Siamo tutti intercettati. Pagavo Ruby perché non si prostituisse. Pagavo le ragazze perché i pm le hanno rovinate. Santità, siamo i difensori della civiltà cristiana e della famiglia tradizionale. Ho otto zie suore di Maria Consolatrice. Il Family Day. Ragazze, mi toccate il c**o? La c**ona inchiavabile. La mia condanna è un golpe. L’uveite. La pompetta. Mister Obamaaaaa! La sapete quella della mela? E quella degli ebrei e i campi di sterminio? Sono il miglior premier degli ultimi 150 anni. Non mi dimetterò mai. Mi dimetto. I grillini li mandiamo a pulire i cessi di Mediaset. Le finte nozze. Il mio Covid aveva la carica virale più alta del mondo. La signora Meloni è supponente, prepotente, arrogante, offensiva, ridicola. Putin voleva solo sostituire il signor Zelensky con persone perbene. Bisogna convincere Zagrebelsky a trattare. Vi mando un pullman di troie. Ho fatto finire la guerra fredda e ottenuto in Europa i miliardi del Pnrr. Ricordo le mie riforme del 208. Tik Tok Taaaaak. Vi tulipano tutti. Me ne vado da questo Paese di m**da.


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LA LEGGENDA DEL SANTO CORRUTTORE

l'editoriale di Marco Travaglio

14 giugno 2023

Agli innumerevoli delitti commessi da vivo, B. ne ha aggiunto un ultimo da morto. Il più imperdonabile: averci lasciato questa corte di vedove (non le due vere e quella finta: tutte le altre), prefiche, leccac**i, parac**i, piduisti, terzisti, parassiti, prosseneti, camerieri, servi sciocchi e soprattutto furbi che da due giorni lacrimano per finta (solo lui riusciva a piangere davvero a comando) a reti unificate, devastando quel po’ di informazione e di dignità nazionale che gli erano sopravvissute.

Il giorno di lutto nazionale e i sette di lutto parlamentare, più che a B., sono un omaggio a Fantozzi e ai funerali della madre del megadirettore naturale conte Lamberti, immaturamente scomparsa all’età di 126 anni. Ora mancano solo la Coppa Cobram di ciclismo da Arcore a Pinerolo e la statua del de cuius all’ingresso del fu Parlamento, con inchino forzato e craniata incorporata per i cari inferiori.

Le cascate di saliva che tracimano da ogni canale tv e da ogni giornale regalano perle inimmaginabili persino nei suoi anni d’oro. L’ex conduttore Mediaset intervista su La7 il suo editore ex Mediaset su quanto era buono e democratico l’editore precedente che stipendiava entrambi prima che lo mollassero perché era troppo buono e democratico. L’ex direttore del Corriere Paolo Mieli si pente in diretta dell’unico scoop della sua vita, sull’invito a comparire del ’94 a B. per le mazzette alla Guardia di Finanza, accusa i pm di non averlo torchiato a dovere per estorcergli le sue fonti che lui avrebbe senz’altro spiattellato in barba alla deontologia professionale, e comunque si scusa pubblicamente per aver pubblicato una notizia vera. Renzi, un Berlusconi che non ce l’ha fatta, saltella da una rete all’altra per leccare la bara a distanza, sperando di ereditare qualche briciola dal desco del caro estinto, peraltro invano (a parte i processi). Il rag. Cerasa, un Sallusti che non ce l’ha fatta, dipinge sul Foglio col pennino intinto nella bava il leader più estremista e populista mai visto in Europa come “argine all’estremismo e al populismo” e, siccome era c**o e camicia con Putin, pure come “seduttore atlantista”. Attori, registi e soubrette “de sinistra” spendono capitali in necrologi piangenti per l’amico Silvio, sperando che pure gli eredi si ricordino degli amici. Francesco Gaetano Caltagirone svela finalmente chi fa i titoli e gli editoriali del suo Messaggero, firmandone finalmente uno al posto dei soliti nom de plume: “Un uomo che ha lasciato un’orma profonda”. Più che altro, un’impronta digitale. E un vuoto incolmabile nelle casse dell’Erario.

Il Corriere fa rivoltare nelle tombe Montanelli, Biagi e Sartori col titolo cubital-vedovile “L’Italia senza Berlusconi”, presidiato da una schiera di lingue erette sul presentat’arm e seguito dalla doverosa intervista all’editore Cairo, che parla alla sua tv ma anche al suo giornale, casomai qualcuno pensasse che il berlusconismo è morto con B.. La Moratti assicura che la sua Rai del ’94 era liberissima perché B. l’aveva nominata presidente, ma poi non fece mai pressioni (non ce n’era bisogno), così lei poté nominare direttori i berlusconiani Rossella, Mimun e Vigorelli a sua insaputa. Le Camere Penali smentiscono persino Coppi (“B. perseguitato dai pm? Mai pensato”) e piangono comprensibilmente il cliente più illustre e munifico della categoria, “oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica”, visto che ha subìto “decine e decine di indagini e processi, con accuse fino alla collusione mafiosa e al ruolo di mandante di stragi, conclusesi con una sola condanna per elusione fiscale”. A parte il fatto che non fu per elusione né per evasione, ma per una frode fiscale pluriaggravata da 368 milioni di dollari, di cui 360 prescritti (come altri nove processi per gravissimi reati accertati, ma rimasti impuniti perché l’imputato aveva dimezzato i termini di decorrenza, senza dimenticare i fedelissimi finiti in galera al posto suo e i soldi alla mafia consacrati dalla sentenza Dell’Utri), le Camere Penose potrebbero vergare una nota identica per Al Capone: perseguitato con accuse di mafia, ma condannato “solo per elusione fiscale”.

Un solo beneficato, Vittorio Feltri, ha il coraggio di dire la verità: “Non posso parlarne male perché mi ha fatto ricco”. Tutti gli altri ammantano le pompe funebri di “rivoluzione liberale” che “ha cambiato l’Italia”, anche se si scordano le 60 leggi ad personam e non riescono a citare uno straccio di sua riforma che abbia migliorato la vita di qualcuno che non fosse lui. Infatti vanno forte le corna a Caceres, il cucù alla Merkel, lo sguardo lubrico alla Obama e la spolverata alla sedia, come se uno statista si misurasse dal numero di guittate. Ma il ridicolo eccesso santificatorio non si deve solo al fatto che B. s’è comprato mezza Italia che conta e l’altra mezza avrebbe pagato per vendersi. Chi ha retto il sacco a un bandito per decenni ora deve dimostrare che era cosa buona e giusta. E chi vorrebbe delinquere anche lui in santa pace, avendo perso il grande alibi, cerca almeno un lasciapassare e un santo patrono. Oscar Wilde diceva che “certi uomini migliorano il mondo soltanto lasciandolo”. Ma, ora che ha raggiunto il paradiso (fiscale), possiamo dire senza tema di smentita che il padrone morto era molto meglio dei servi vivi.


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