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Dino

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EDITTO BULGARO? MAGARI

l'editoriale di Marco Travaglio

16 maggio 2023

Essendone stato una causa scatenante, credo di essere titolato a parlare dell’editto bulgaro pronunciato dal premier B. il 18.4.2002 a Sofia per chiedere ai vertici Rai di cacciare Biagi, Santoro e Luttazzi, rei di avermi ospitato per parlare dei rapporti fra B. e la mafia (“uso criminoso della televisione pubblica”). Siccome i dirigenti Rai li aveva appena nominati lui, B. fu subito esaudito. E siccome possedeva (e possiede) le tre reti Mediaset e si era accordato con la Telecom di Tronchetti Provera per soffocare nella culla la neonata La7, gli epurati non trovarono un’altra tv, malgrado l’enorme seguito. Santoro fu reintegrato dal Tribunale nel 2006. Biagi tornò nel 2007, sei mesi prima di morire. Luttazzi non tornò mai, a parte il Decameron su La7, che glielo chiuse nel 2007 alla quinta puntata. Intanto, siccome le epurazioni funzionavano a meraviglia, la Rai dell’Annunziata chiuse anche Raiot di Sabina Guzzanti dopo la prima puntata. E sparì un’altra dozzina di artisti e giornalisti, fra cui Beha e Massimo Fini. Il comun denominatore delle vittime di quegli editti era di essere persone libere, incontrollabili, senza partiti di riferimento. Nel finto bipolarismo FI-Pd, spegnere le voci che non obbedivano a nessuno faceva comodo a tutti.

Pensavamo che nulla fosse peggio di quella plumbea cappa di conformismo consociativo, poi arrivò Renzi a smentirci: asservì per legge la Rai al governo e si prese tutte e tre le reti e i tg, che fecero sparire Gabanelli, Giannini, Giletti e Porro. Ma la nuova La7 di Cairo bada più allo share che alla politica e si prese i primi tre, mentre il quarto andò a Rete4. Quella di oggi è tutt’altra storia, anche se Salvini rivendica una cacciata di Fazio che non c’è stata. Fazio sa di piacere solo al Pd, di cui condivide per indole la visione conformista e mainstream, e di stare sulle palle alle destre; ha capito che gli avrebbero messo i bastoni fra le ruote; e ha prevenuto l’attacco firmando col Nove. In una qualunque azienda, chi si lascia sfuggire una star di quel calibro verrebbe licenziato con richieste di danni dagli azionisti. Ma la Rai non è un’azienda, è un lupanare (bastava assistere, sabato, al vomitevole “tank show” degli scendiletto di Zelensky). Chi s’è lasciato sfuggire Fazio non è il nuovo ad Sergio, ancora in pectore: è quello vecchio, Fuortes, di area Pd messo lì da Draghi, che ha tenuto nel cassetto il rinnovo del contratto per compiacere i nuovi padroni. Poi li ha ricompiaciuti andandosene anzitempo senza che potessero sloggiarlo. Nessun editto: le epurazioni bisogna meritarsele e di Biagi, Santoro e Luttazzi non se ne vedono. Se anche la Meloni fosse tentata da un editto bulgaro, o ucraino, non farebbe in tempo: verrebbe anticipata ed esaudita prima di aprire bocca.



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AMNESIE SELETTIVE

l'editoriale di Marco Travaglio

17 maggio 2023

L’indignazione per tutto, anche a vanvera, sortisce l’effetto “Al lupo al lupo”: anziché i bersagli dello sdegno, scredita gli indignati affetti da amnesia selettiva. L’intrepido conduttore di talk show s’indigna perché la Meloni non va a confrontarsi con domande vere: ma non lo fece mai neppure Draghi, che preferiva le conferenze stampa con standing ovation modello con Kim Jong-un. I Cavalieri Gedi s’indignano perché Fazio trasloca da Rai3 al Nove con la carovana dei loro autori e ospiti fissi, ma non s’indignano con chi non gli ha rinnovato il contratto: che non è il nuovo dg Sergio, nominato lunedì; ma il predecessore Fuortes, pescato da Draghi nel laghetto del Pd. Neanche lui è stato cacciato. Aveva ancora un anno di mandato, come Zaccaria quando B. vinse nel 2001: solo che Zaccaria, alla richiesta di dimissioni anticipate, rispose picche e restò sino alla fine (l’editto bulgaro di B. è del 2002); Fuortes se n’è andato subito, spianando la strada ai nuovi padroni che ora – si spera – gliene saranno grati. Ma con lui nessuno s’indigna: è un “migliore”. I suoi pellegrinaggi a Palazzo Chigi per prendere ordini prima dai draghiani Garofoli & Funiciello e poi dai meloniani, non destavano scandalo: più comodo strillare contro Pino Insegno. O indignarsi perché il nuovo Ad lo nomina il governo, come se quelli di prima li avesse portati la cicogna: è la legge che affida al governo e non più al Parlamento l’indicazione dell’ad. E chi l’ha fatta? Il Pd di Renzi (ma anche di Franceschini, Orlando e altri fan della Schlein). Che fece ciò che neppure B. aveva osato fare: occupò tutti e tre i tg e le reti. e il “servizio pubblico” passò dalla lottizzazione alla renzizzazione.

S’indignò qualcuno? Sì, noi del Fatto, in beata solitudine. I giornaloni erano tutti renziani e non mossero un dito quando caddero a una a una le teste di Berlinguer (cacciata dal Tg3), Gabanelli, Giannini, Giletti e Porro (cacciati dalla Rai) per lesa renzità. Ora vedremo se Meloni&C. riusciranno a fare altrettanto (peggio è impossibile) o resteranno nella lottizzazione. Ma la propaganda di destra sulla “Rai tutta di sinistra” è ridicola quanto quella del Pd e della stampa al seguito sulla “Rai tutta fascio-sovranista”. Il Pd, grazie a Draghi & Fuortes, controlla due terzi della Rai senz’aver mai vinto un’elezione in vita sua. Solo che i suoi protegé, la sera del 25 settembre, son diventati meloniani. Perciò i cittadini non s’indignano più. Anzi si indignano per l’informazione miserevole che ricevono in cambio del canone. Ultimo esempio: il sabato fascista apparecchiato per Zelensky. Venerdì il presidente ucraino era stato intervistato dal Washington Post con domande vere e si era infuriato con i giornalisti accusandoli di “stare con la Russia”. Credeva di essere in Ucraina. O in Italia.


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PRONI DI SPADE

l'editoriale di Marco Travaglio

18 maggio 2023

Tre notizie vere, dunque fuori moda. 1) Il capo dei Servizi ucraini Budanov rivendica l’uccisione di “molti giornalisti propagandisti russi”: cioè la famosa “democrazia ucraina” che qualcuno vorrebbe nell’Ue e nella Nato è per sua stessa ammissione uno Stato terrorista, anche se Onu e Ue si sono scordati di inserirla nella lista. 2) Negli Usa il procuratore speciale Durham ha chiuso l’indagine sul Russiagate di Trump: l’Fbi non aveva prove per indagare su inesistenti rapporti Trump-Putin, inventati dal giro della Clinton, che andava indagata dall’Fbi ma non lo fu. È la stessa Fbi che pressò Facebook perché censurasse le inchieste su Hunter Biden, figlio di Joe (il quale aveva premuto su Poroshenko per silurare il procuratore generale ucraino che indagava sulle imprese in loco dell’esuberante rampollo). 3) Un detective del fisco Usa denuncia che, su ordine del Dipartimento di Giustizia di Biden, “l’intera squadra investigativa” è stata rimossa dall’indagine tributaria sul figlio.

E ora una notizia falsa, dunque rilanciata dai giornaloni. Corriere: “Intercettati i missili ipersonici lanciati da Mosca”. Stampa: “Massiccio raid su Kiev: ‘Abbattuti 6 Kinzhal’”. Messaggero: “I Patriot Usa funzionano: ‘Intercettati i missili russi. I ripetuti lanci su Kiev con testate ipersoniche non superano lo scudo aereo”. Foglio: “I Patriot hanno salvato Kyiv, ecco a cosa servono le armi”. Poi purtroppo arriva la smentita. Di Mosca? No, Washington: sono i Kinzhal ad aver abbattuto i Patriot, la cui postazione “è stata danneggiata: i tecnici cercano di capire se può essere riparata sul posto o il sistema contraereo va ritirato”. Ecco a cosa servono le armi.

Purtroppo, su queste e altre notizie vere, nessuno ha potuto fare domande a Zelensky nel Lecca a Lecca vespiano di sabato: gli intervistatori li aveva scelti l’ambasciata ucraina. Daniela Ranieri ha smontato bugie, contraddizioni e omissioni delle domande e delle risposte. Perciò da tre giorni viene linciata su Twitter dai trombettieri atlantoidi che detestano lei e il Fatto perché disturbiamo le loro balle: tipo la Russia in default, i russi che si bombardano da soli a Zaporizhzhia, cavano i denti d’oro agli ucraini, spendono 21 miliardi per due gasdotti e poi li distruggono per non darci il gas (anziché chiudere il rubinetto), Putin morente e la sua “armata rotta”, decimata e sconfitta ovunque che sta per invadere l’intera Europa. Non potendo confutare una sillaba di quanto ha scritto Daniela, le rimproverano l’unica cosa che non dipende da lei: la condivisione dell’articolo su canali Telegram di propaganda russa. Poi un commentatore li termina con un micidiale missile ipersonico di Massimo Troisi: “Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci”.


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ALL’ULTIMO SBADIGLIO

l'editoriale di Marco Travaglio

19 maggio 2023

Chi si fosse perso l’“ambiziosa agenda” dei “riformisti del Pd” Ceccanti, Morando e Tonini su Rep di ieri in versione ridotta, può delibare quella integrale (per intenditori e collezionisti) sul sito. Ne vale la pena. I tre statisti non le mandano a dire, com’è abitudine della casa. No al “regresso verso un antagonismo identitario incoerente con la natura stessa del Pd come partito a vocazione maggioritaria” (mai vinto un’elezione da quand’è nato, ma fa niente). Altro che Schlein: qui ci vuole “il partito asse di una credibile alternativa di governo al destra-centro” e, ça va sans dire, “la contendibilità di linea politica e leadership è l’indispensabile corollario del fondativo pluralismo interno”. Per marcare l’alternativa alla Meloni, anzi al destra-centro (col trattino), bisogna inseguirla sul presidenzialismo, sennò si “contraddice una delle architravi della piattaforma” e si “trasferisce gratuitamente alla destra un patrimonio di riformismo istituzionale costitutivo dell’identità stessa del Partito”. Siccome poi le diseguaglianze esplodono e il rapporto fra gli stipendi dei dipendenti e quelli dei manager è passato in 25 anni da 1/10 a 1/100, guai a “insistere sulla priorità della redistribuzione rispetto alla crescita” (semmai l’opposto, come del resto fa già la Meloni col destra-centro). Ove mai non bastasse alle masse per tornare all’ovile, esse andranno ingolosite col “cuneo fiscale”, la “produttività del lavoro e dei fattori” (qualunque cosa significhi), “un penetrante sistema di valutazione che favorisca l’introduzione di forti discriminazioni positive a favore di chi si impegna di più e ottiene migliori risultati” (così si capisce anche penetrante dove) e altre “effettive priorità del Paese”. Leccornie succulente tipo il popolarissimo “Mes” (per non “irritare i partner europei”), il “rigoroso posizionamento euroatlantico” che tanto appassiona il popolo, “il nuovo Patto di Stabilità magistralmente impostato da Draghi” (chi non muore si rivede).

Si attende la reazione della Schlein, anche lei nota per dire pane al pane e vino al vino a beneficio della casalinga di Voghera, a base di “nuovi ponti intergenerazionali”, “essere più terragni”, ma nella “inclusività” e nella “prospettiva intersezionale” che poi, detta più terra terra, è la “visione intersezionale che combatte qualsiasi forma di discriminazione, quelle razziste, sessiste, abiliste, omobilesbotransfobiche”, perché in soldoni “io provo a rimanere sempre in contatto con me stessa, ad ascoltarmi, a capire quando sto tirando troppo, a difendere alcuni spazi”. La Meloni cominci pure a tremare. Il Pd schleiniano e quello riformista saranno pure divisi sull’agenda, ma marciano compatti come falange macedone sull’obiettivo finale: ammazzarla di noia.


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LA CONGIURA DEI PAZZI

l'editoriale di Marco Travaglio

20 maggio 2023

In principio erano le “armi non letali”. Lo disse Letta buonanima ad Avvenire il 27.2.22: “Per aiutare gli ucraini va rafforzato l’invio di materiale bellico non letale”. E lo scrisse Draghi nella bozza di risoluzione sul primo decreto Armi. Poi il 1º marzo gettò la maschera, una delle tante: “Armi letali” all’Ucraina, ma solo per la “legittima difesa” ucraina, tipo missili terra-aria e anti-carro a breve gittata, mitra e mortai. E solo per “sostenere ogni iniziativa multilaterale e bilaterale utile a una de-escalation militare” e “la disponibilità della Santa Sede a un’opera di mediazione”. Draghi lo ribadì il 28.6.22: “Armi e sanzioni sono fondamentali per costringere la Russia alla pace… per portare la Russia al tavolo dei negoziati. Dobbiamo esser sempre pronti a cogliere gli spazi negoziali”. Concetto ribadito nel quarto decreto Armi del 26 luglio: “…misura di assistenza nell’ambito dello strumento europeo per la pace per sostenere le Forze armate ucraine…”. Il 12.3.22 lo stesso Biden garantiva: “L’idea che invieremo armi offensive e che avremo aerei e carri armati… si chiama terza guerra mondiale”. Benebravobis.

Poi gli Usa, dunque i Paesi Nato e Ue, dopo averlo negato per mesi, iniziarono a inviare lanciarazzi e missili a lunga gittata in grado di colpire la Russia. Poi, sempre dopo aver detto “mai e poi mai”, ecco i sistemi anti-aerei e i droni, usati dagli ucraini per attaccare aeroporti e depositi di carburante e munizioni in territorio russo. Poi, sempre dopo averlo escluso, ecco i carri armati Abrams e Leopard. Lo schema è sempre lo stesso: Zelensky chiede, l’Occidente dice no, poi nel giro di qualche giorno cambia idea. E ogni volta i trombettieri bellicisti sposano sia il no iniziale sia il sì finale, perché tanto “non c’è alcuna escalation” e Putin “non oserà usare l’atomica”. E poi sono “solo armi difensive” (Crosetto), che per giunta “non costano nulla” (Meloni). Ora Zelensky batte cassa per i jet cacciabombardieri: Scholz e Macron fanno i vaghi, Londra e Praga dicono sì e Washington no, ma poche ore dopo Biden fa sapere che non si opporrà – bontà sua – se qualche benefattore europeo vorrà inviare pure quelli. Del resto la Meloni genuflessa all’amico Volodymyr gli ha appena garantito “sostegno a 360 gradi finché necessario”. L’obiettivo l’ha dichiarato in Senato il 26.10: l’“equilibrio tra le forze in campo”. Ergo, siccome la Russia ha molti più uomini dell’Ucraina e 6mila testate nucleari contro zero, non resta che inviare a Kiev truppe e testate atomiche per colmare il doppio gap. Ieri infatti, dopo un anno di false aperture ai negoziati, il G7 s’è chiuso con l’impegno unanime dei Sette Pazzi a sabotare qualunque dialogo, promosso dal Papa o dalla Cina. Resta inteso che al fronte ci vanno loro: Meloni e gli altri pazzi.


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COLPEVOLI DEL FUTURO

l'editoriale di Marco Travaglio

21 maggio 2023

Cinque giorni dopo l’alluvione in Romagna con i suoi morti e i suoi sfollati, siamo scettici sul fatto che le indagini aperte – peraltro doverosamente – dalla magistratura accerteranno responsabilità penali (il nesso causale fra la morte di Tizio o Caio e la norma X o la mancata norma Y è indimostrabile, come nelle stravaganti inchieste sul Covid). Ma abbiamo già tutti gli elementi per sapere che le responsabilità politiche sono tutte del centrosinistra e del centrodestra: non per le piogge, i terremoti, le frane e le altre catastrofi davvero “naturali”, ma per gli effetti mortali e distruttivi moltiplicati dalle loro politiche di cementificazione, a cui le destre hanno aggiunto i condoni edilizi. Lo scaricabarile al grido di “sono stati Bonaccini e Schlein”, “no è stato il governo Meloni” non è assurdo solo perché in una Regione e in una provincia così foderate di cemento neppure una giunta Greta o un governo Thunberg avrebbe evitato i morti e i disastri. Ma anche e soprattutto perché, a parte ogni tanto i 5Stelle, i Verdi e minuscole forze di sinistra, tutti i partiti condividono la stessa folle incultura dello “sviluppo” fine a se stesso per “crescere”, “fare Pil” e “consumare” (tutto, anche il suolo).

Perciò questa alluvione di parole, come se mancasse l’acqua sporca, suona vuota e falsa. Non esiste in Parlamento, e neppure nell’elettorato, una maggioranza in grado di fare l’unica cosa doverosa, cioè un decreto, necessario e urgente quant’altri mai, di un solo articolo: “È proibito consumare anche un millimetro quadrato di nuovo suolo. E tutte le norme comunali, regionali e nazionali che lo consentono sono abrogate”. Decreto seguìto da un altro che blocchi tutte le mega-opere inutili e investa nell’edilizia solo per smantellare costruzioni abbandonate e riqualificare quelle utilizzate anche sul piano ambientale ed energetico (vedi Superbonus). Un bel sogno, almeno finché la gente voterà per i vecchi partiti travestiti da nuovi ma sempre asserviti alle lobby del cemento. Anche un’ambientalista come Elly Schlein, ex vice di Bonaccini con delega al Clima, ha una coda di paglia lunga di qui a là e lancia superc***ole sui fondi del Pnrr da riconvertire contro il dissesto idrogeologico (ma i fondi nel Pnrr ci sono già, e anche in altre voci di spesa nazionali ed europee: è che non sappiamo spenderli). E la destra è ferma al negazionismo sui cambiamenti climatici e alle sparate contro il “partito del no” (come se gli ambientalisti avessero mai governato da qualche parte) e i giovani ecologisti esasperati che protestano a colpi di vernice lavabile (come se la febbre fosse colpa del termometro). No, il governo Meloni, i centristi-affaristi e il Pd non sono i responsabili di questa catastrofe, ma delle prossime.



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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

22 maggio 2023

Le volpi e l’uva. “Bakhmut ormai è caduta ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin” (Repubblica, 21.5). “Bakhmut ai russi, ma non possono spostarsi (e Zelensky dice che sono soltanto macerie)” (Corriere della sera, 21.5). E poi era acerba.

Chiedo per un amico. “Rifarei tutto. Anche la trattativa con Vito Ciancimino” (gen. Mario Mori, ex comandante del Ros, Stampa, 21.5). Ma tipo la trattativa che non è mai esistita?

Bottura non legit. “In una qualunque azienda, chi si lascia sfuggire una star di quel calibro (Fabio Fazio, ndr) verrebbe licenziato con richieste di danni dagli azionisti. Ma la Rai non è un’azienda, è un lupanare” (Marco Travaglio, Fatto quotidiano, 16.5). “Ieri Marco Travaglio ha attaccato Fabio Fazio, reo di avere mercato fuori dalla Rai, di cui è stato spessissimo ospite per presentare i suoi libri. Pecunia non olet. Almeno lei” (Luca Bottura, Stampa, 18.5). Quindi, oltre a non saper scrivere, non sa neppure leggere.

Sapevatelo. “Lo sapevate che Marco Travaglio -dal 2020 al settembre del 2022- è stato presente a Otto e mezzo nel 19,67% delle puntate, cioè praticamente una puntata su cinque?” (Riccardo Puglisi, “economista, docente di scienza delle finanze a @unipv, ghisleriano”, Twitter, 16.5). E lui niente. È un bel dramma. E adesso come si fa?

Nessuna speranza. “A inizio 2024 ci sarà la prima pietra per il Ponte sullo Stretto. E vi assicuro che se tra nove anni, entro il 2032, non sarà ancora pronto, attraverserò lo Stretto a nuoto” (Claudio Durigon, Lega, sottosegretario al Lavoro, Un Giorno da Pecora, Rai Radio1, 19.5). Comunque vada, sarà un disastro.

BalleRai. “Conte ha dato ordine al suo portabandiera nel Cda Rai di astenersi, risultando determinante, sulla nomina del nuovo ad, Roberto Sergio” (Sebastiano Messina, Espresso, 21.5). Purtroppo l’astensione, nel Cda Rai, equivale a voto contrario. Determinante è stato il Sì della presidente Marinella Soldi. Che però è renziana, dunque non si può dire.

Mano nella mano/1. “Se questa donna isola l’Italia. La Meloni al G7 mano nella mano con Biden. Siamo tornati centrali, nonostante le previsioni dei gufi…” (Pietro Senaldi, Libero, 21.5). No, ciccio, siamo semplicemente diventati sudditi.

Mano nella mano/2. “G7, Meloni mostra le foto degli alluvionati (sul suo cellulare, ndr)” (Libero, 20.5). Si vede che gli altri G6 non hanno Internet.

Sciacalli. “Sott’acqua il modello Pd” (Libero, pagina 1, 18.5). “Gli sciacalli del clima sfilano sui morti” (Libero, pagina 6, 18.5). Tipo Libero.

Toga Party. “Abuso d’ufficio, parte la battaglia: i 5S vogliono una sfilata di toghe” (Dubbio, 19.5). Molto meglio la solita sfilata di imputati e pregiudicati.

Er Mejo. “Roberto Saviano: ‘Meloni peggio di Berlusconi’” (Stampa, 21.5). Lui, fra l’altro, era anche un ottimo editore.

La Cina è vicina. “Un comico fa satira sull’esercito cinese: multa, contratto saltato, rieducazione” (Foglio, 19.5). Quindi perseguitano la satira. Meno male che è solo in Cina.

Tutto chiaro. “Centrodestra avanti nelle città” (Corriere della sera, 16.5). “La destra avanza, la sinistra resiste” (Stampa, 16.5). “L’onda di destra si è fermata” (Repubblica, 16.5). “Si ferma l’onda della destra” (Unità, 16.5). “Schlein regge l’urto dell’onda nera. Nelle città l’effetto Meloni non c’è” (Domani, 16.5). Senza parole.

Grasso che lecca. “Ora Bruno Vespa sembra una spanna sopra gli altri” (Aldo Grasso, (Corriere della sera, 20.5). Slurp.

Il titolo della settimana/1. “Emanuele Filiberto: ‘Avvelenati i miei calciatori’” (Corriere della sera, 16.5). Ha stato Putin.

Il titolo della settimana/2. “Un cessate il fuoco ora, in Ucraina, sarebbe un premio per l’aggressore” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 20.5). Ottima idea: facciamo massacrare tutti gli ucraini superstiti per punire Putin come si deve.

Il titolo della settimana/3. “Liberi da Gazprom: il gas russo sostituito da Gnl e Algeri” (Repubblica, 20.5). Finalmente una vera democrazia.

Il titolo della settimana/4. “Bonaccini: ‘Io ho cementificato? Una bufala’” (Corriere della sera, 20.5). Pure una bufala hai cementificato?

Il titolo della settimana/5. “La premier rincontra Biden: ‘nessuna pressione’ americana, allineati sul dossier asiatico” (Corriere della sera, 20.5). Non c’è neppure bisogno di premere.

Il titolo della settimana/6. “Al via il Festival della Giustizia Penale” (Riformista, 20.5). Riformatorio in festa.


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BAKHMUTI

l'editoriale di Marco Travaglio

23 maggio 2023

I nuovi Leonardo. “Da Vinci e il soldato fumatore Bakhmut. Come nell’Atene di Pericle, nella Roma di Plutarco e nella Rivoluzione francese dopo Valmy, l’Ucraina celebra i suoi eroi” (Bernard-Henri Lévy, Instagram, 10.9.2022)

Suicidio. “Il suicidio di massa imposto dalla Wagner per frenare gli ucraini. I russi non sfondano a Bakhmut” (Repubblica, 30.12).

Non se ne vanno. “Bakhmut non la abbandoneremo, è la nostra fortezza” (Volodymyr Zelensky, 4.2.2023).

Se ne vanno. “Ucraini pronti a lasciare Bakhmut. Ritirata strategica nelle campagne” (Lorenzo Cremonesi, Corriere, 13.2).

Sacco e Vanzetti. “L’assalto russo a Bakhmut si arena nel villaggio di Sacco e Vanzetti… Il numero di militari è insufficiente a scardinare le linee di difesa ucraine” (Gianluca Di Feo, Rep, 14.2).

Muro vivente. “Bakhmut resiste all’assalto dei russi, Zelensky: ‘È il nostro muro vivente’” (Messaggero, 16.2).

Muoiono solo russi. “A Bakhmut si lotta strada per strada: ‘I russi hanno perso 200 mila uomini’” (Stampa, 5.3).

Un trionfo. “Podolyak (consigliere di Zelensky, ndr) anticipa le prossime mosse per sconfiggere il nemico: ‘Bakhmut è un successo strategico. Fra due mesi la controffensiva’” (Stampa, 10.3).

Non può cadere. “Bakhmut, adrenalina e fango. ‘Si spara, poi via veloci prima che arrivino i russi. La porta del Donbass non può cadere’” (Cremonesi, Corriere, 11.3).

Lo sbarco di Ferrara. “Salvare Bakhmut… inviare dal cielo gli angeli sterminatori. Bisogna che un’apocalisse sacrosanta di fuoco costringa le ributtanti milizie dello stupro e dell’eccidio a fare retromarcia” (Giuliano Ferrara, Foglio, 15.3).

Frenata. “‘Bakhmut, frenata russa’. Zelensky arriva al fronte” (Messaggero, 23.3). “I russi perdono slancio” (Libero, 23.3).

Controffensiva/1. “La controffensiva ucraina può arrivare a Belgorod (Russia, ndr). Kiev ammassa 80 militari vicino a Bakhmut” (Giornale, 24.3).

Senza appeal. “Bakhmut perde appeal” (manifesto, 31.3).

Strategica. “Bakhmut, il centro strategico del Donetsk” (Corriere, 4.4).

Non è tempo. “Bakhmut: lotta all’ultimo uomo. Non è ancora tempo per una ritirata strategica” (Cremonesi, che aveva annunciato la ritirata strategica il 13.2, Corriere, 9.4).

Controffensiva/2. “Arrivati i Patriot in Ucraina. Controffensiva dal 9 maggio” (Giornale, 20.4).

Controffensiva/3. “Prove di controffensiva” (Stampa, 24.4).

Controffensiva/4. “Controffensiva pronta” (Foglio, 29.4).

Controffensiva/5. “La controffensiva fa paura e i soldati russi scappano” (Messaggero, 1.5).

Ecatombe. “Ecatombe russa: 20mila morti in 5 mesi a Bakhmut e a Est” (Stampa, 3.5).

La resa. “La resa di Prigozhin” (Stampa, 6.5).

Città decisiva. “Gianluca Di Feo: il conflitto di Bakhmut sarà decisivo per la controffensiva ucraina, ma non solo… ‘La battaglia riguarda anche i giochi di potere tra Prigozhin, leader della Wagner, e Kadyrov, leader dei ceceni. Il futuro del Cremlino passa da queste città e da questi leader” (Rep, 8.5).

Lo sbarco di Mieli. “La crepa russa a Bakhmut, parzialmente in mano ucraina, danneggia in modo irrimediabile la parata di Putin” (Paolo Mieli, Corriere, 8.5).

Controffensiva/6. “Kiev ha iniziato la fase uno della controffensiva” (Di Feo, Rep, 11.5).

Contrattacco. “Bakhmut, il contrattacco. L’esercito di Kiev avanza: liberati 2 km. Zelensky: ‘Riprenderemo tutto’” (Stampa, 11.5). “Kiev, contrattacco a Bakhmut. E Prigozhin ammette: rischiamo” (Corriere, 11.5). “Bakhmut, avanzata di Azov” (Messaggero, 11.5).

Avanzata. “Kiev avanza nel fumo di Bakhmut. I soldati ucraini parlano di ‘controffensiva difensiva’” (Corriere, 14.5).

La riprendiamo. “Il comandante Aibolit guida l’assalto ucraino alla città: ‘L’ordine di contrattaccare è arrivato il 6 maggio. Ora riprendiamo Bakhmut’” (Rep, 15.5).

Ripresi. “A Bakhmut ripresi 20 kmq” (Giornale, 17.5). “I russi perdono terreno a Bakhmut” (Domani, 17.5).

Progressi. “Bakhmut, altri progressi gialloblu” (Giornale, 18.5).

Riavanzata. “Gli ucraini avanzano a Bakhmut” (Corriere, 19.5). “Gli ucraini avanzano a Bakhmut” (manifesto, 19.5).

Perde. “Bakhmut, l’Armata rossa perde altre posizioni. L’arma segreta è del 1986. Guadagnati 2 km grazie a un obice datato” (Giornale, 19.5).

La fine. “Bakhmut è soltanto nei nostri cuori” (Zelensky si arrende all’evidenza: Bakhmut conquistata dai russi, 21.5).

Ma è inutile. “Bakhmut, la città ormai è caduta, ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin” (Daniele Raineri, Repubblica, 21.5). “Bakhmut ai russi, ma non possono spostarsi (e Zelensky dice che sono soltanto macerie)” (Corriere, 21.5).

Anzi dannosa. “La conquista delle macerie”, “Bakhmut è una trappola? Perché per i russi la conquista della città può essere uno svantaggio” (Corriere, 22.5). “Bakhmut, gli ucraini circondano i russi per la controffensiva” (Raineri, Rep, 22.5). Ah ecco: li hanno lasciati vincere per metterli in trappola. E poi l’uva era acerba.


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L’ALBUM DI FAMIGLIA

l'editoriale di Marco Travaglio

24 maggio 2023

Ieri, per la prima volta da quando è nato, il Fatto non ha scritto nulla sull’anniversario della strage di Capaci. Tacere almeno il 23 maggio ci è sembrato il miglior modo di onorare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, mentre tutti vomitano fiumi di parole che, appena escono dalle loro bocche, si svuotano, si seccano e si vaporizzano nell’aria. Basti pensare che proprio ieri, dopo otto mesi di vuoto, la maggioranza di destra s’è decisa a varare la commissione Antimafia, che una volta anticipava e pungolava la magistratura sui rapporti mafia-istituzioni e da tempo ne cancella persino le sentenze definitive. La presidente è la meloniana Chiara Colosimo, che con un’associazione pro detenuti ha incrociato spesso Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna con altri neofascisti: Fioravanti, Mambro e Bellini. Noi non pensiamo che sia un’amica degli stragisti mafiosi e fascisti che va all’Antimafia per coprirli: è troppo giovane per esserlo. Ma vicino a lei c’è chi quella storia la conosce bene e ha interesse a oscurarla. La sentenza di Bologna su Bellini (e sui defunti mandanti e depistatori Gelli, D’Amato e Tedeschi) conferma il filo nero che collega 25 anni di strategia della tensione, da piazza Fontana del 1969 al 1992-’94.

In Parlamento e in Antimafia l’uomo che più conosce quella storia, per averle dedicato molti anni da pm, è Roberto Scarpinato. Se i fratelli d’Italia fossero davvero, come dicono, devoti a Falcone e Borsellino, dovrebbero ascoltarlo. Perché dietro le stragi cosiddette “mafiose”, accanto ai boss danzavano i revenant dell’eversione nera, oltre agli emissari del berlusconismo arrembante. Chiunque voglia riempire i buchi neri della ricostruzione giudiziaria e storica deve passare di lì. Ecco perché chi ha avuto rapporti anche neutri con Ciavardini, qualunque cosa faccia (svelare o insabbiare), si vedrà rinfacciare quel legame. E sarà un danno non solo per lui, ma per il Parlamento e la ricerca della verità. Il sospetto però è che si voglia usare l’Antimafia non per completare le verità giudiziarie, ma addirittura per riscrivere politicamente in senso negazionista quel po’ di storia accertato faticosamente dai giudici. Infatti le destre hanno infilato in Antimafia due imputati e un’indagata, e Azione-Iv un altro imputato. Sono gli stessi partiti che hanno esultato per le assoluzioni in Cassazione sulla trattativa Stato-mafia raccontando che non è mai esistita, mentre l’artefice, il generale Mori, si sgola a ripetere che la fece eccome e la rifarebbe di nuovo. Con questi presupposti, tanto vale chiudere subito i battenti appena aperti dell’Antimafia. E, negazionismo per negazionismo, raccontare che Falcone, la moglie e la scorta si sono suicidati.

Fo

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AVEVAMO FRAINTESO

l'editoriale di Marco Travaglio

25 maggio 2023

Quando, esattamente 15 mesi fa, la Russia attaccò l’Ucraina, qualche certezza l’avevamo tutti.

Pensavamo che Kiev non c’entrasse nulla con la Nato, fuorché nella propaganda di Putin; poi la Nato intervenne cobelligerando e armando Kiev fino ai denti.

Pensavamo che il governo ucraino non c’entrasse nulla coi nazisti, fuorché nella propaganda di Putin. Poi Zelensky si portò un nazi del battaglione Azov (inquadrato nelle forze armate di Kiev) nel collegamento col Parlamento greco. E altre centinaia ne vedemmo uscire dall’acciaieria di Mariupol con i loro simpatici simboli nazisti e le loro svastiche tatuate.

Pensavamo che le nostre armi servissero per la resistenza dell’Ucraina contro gli attacchi della Russia; ora scopriamo che l’Ucraina le usa per attaccare la Russia con milizie di estrema destra che i giornaloni chiamano “partigiani russi”, ma senza spiegare perché partono dall’Ucraina e quando mai i nostri governi han dichiarato guerra alla Russia.

Pensavamo che, fra Ucraina e Russia, lo Stato terrorista fosse la Russia, come da black list della Nato e dunque dell’Ue. Poi gli ucraini hanno assassinato a Mosca Darya Dugina, figlia del filosofo Aleksandr. Poi il capo dei Servizi militari ucraini Budanov s’è vantato di “uccidere” i propagandisti russi “ovunque sulla faccia della terra fino alla vittoria”. Confermando che l’Ucraina è uno Stato terrorista che fa attentati con le nostre armi. Cosa peraltro già nota dal 2014, quando le sue forze armate assassinarono il giornalista italiano Andrea Rocchelli e il collega russo Andrej Mironov in Donbass, coperte dai depistaggi dei regimi Poroshenko-Zelensky.

Pensavamo che l’obiettivo fosse un cessate il fuoco e un negoziato per risparmiare altri morti e distruzioni; oggi basta dire “cessate il fuoco” per essere putiniani.

Pensavamo che Bakhmut fosse la Maginot degli ucraini, tant’è che in sei mesi ci han bruciato decine di migliaia di uomini e un’infinità di proiettili e armi; ora che l’esercito più potente d’Europa, armato dai 40 Stati della temibile “Nato allargata”, l’ha persa, nessuno ne parla più, come se fosse un paesucolo qualunque.

Avevamo capito che la controffensiva ucraina di primavera per riconquistare gli oblast di Lugansk, Donetsk, Kherson, Zhaporizhzhia e ovviamente la Crimea e poi trattare la resa di Putin sarebbe scattata in primavera; e ci auguriamo che arrivi in fretta, perché fra 26 giorni ci toccherà attendere la controffensiva d’estate.

Avevamo capito che la Russia sarebbe andata in default nella primavera 2022; ora leggiamo che il default lo rischiano gli Stati Uniti nella primavera 2023.

Avevamo capito che la prima vittima delle guerre è la verità. Ma forse stavolta si esagera.



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NON UNA LACRIMA

l'editoriale di Marco Travaglio

26 maggio 2023

Vorremmo anche noi appassionarci, come tanti neopartigiani da terrazza, per la Rai “sovranista”, “fascista” e altre parole senza senso (almeno applicate alla Rai). Ma purtroppo conserviamo un briciolo di memoria, dignità e sense of humour. Ce la mettiamo tutta per piangere anche noi a dirotto sul battaglione di lottizzati che sostituisce il precedente. Ma niente: non ci escono proprio le lacrime. Le abbiamo consumate per le vere tragedie, tipo i 300-400mila morti ucraini e russi nella guerra che anche l’Italia ha contribuito a falciare e ora si prodiga a moltiplicare a suon di armi e proiettili. Di tragico la Rai non ha nulla: è solo farsa da avanspettacolo e non fa neppure ridere (salvo quando l’irpino Pionati, già mezzobusto demitiano e poi politico neodemocristiano, riciccia in quota Lega). E sempre lo sarà finché non cambierà la legge Gasparri riveduta e corrotta dalla legge Renzi, che consegnò al Parlamento e poi al governo un bene comune così prezioso che la politica non dovrebbe neppure sfiorarlo: il servizio pubblico radiotelevisivo. Ogni protesta, ammutinamento, stracciamento di vesti a destra (quando lottizza la sinistra) e a sinistra (quando lottizza la destra) è ipocrisia pura: una fiera del tartufo e un’esca per gonzi.

Se oggi il governo Meloni “si prende la Rai”, non è perché è arrivato il fascismo: è perché lo dice la legge scritta a quattro mani dal berlusconismo e dal renzismo. Anzi, questa destra riesce persino a sembrare meno peggio del renzismo: Renzi si prese le tre reti e i tre tg, da cui furono cacciati Berlinguer (dal Tg3), Gabanelli, Giannini, Giletti e Porro (dalla Rai); Meloni dà 5 posti a FdI, 7 alla Lega, 3 a FI, 3 al M5S, ben 9 al Pd. E fa meno peggio anche di Draghi, che riuscì nel capolavoro di regalare tre quarti della Rai al Pd che non ha mai vinto un’elezione da quand’è nato, di escludere dal Cda l’unico partito di opposizione (FdI) e da tutte le reti e i tg il partito di maggioranza relativa che aveva vinto le elezioni: i 5Stelle. Renzi renzizzò, Draghi draghizzò, Meloni non melonizza. E Fazio e Annunziata sono usciti con le loro gambette, senza che nessuno li cacciasse. La lottizzazione non è il pluralismo: ne è una triste parodia, perché premia gli uomini di partito anziché gli uomini liberi (i più bravi, perché stanno in piedi da soli senza bisogno di tessere). Ma, per dire come siamo ridotti, è la cosa che più si avvicina al pluralismo con la legge vigente. Il Pd sale sull’Aventino contro la “lottizzazione selvaggia”? Benvenuto fra noi: ma prima dovrebbe risparmiarci il chiagni e fotti e rinunciare al Tg3 e alle altre sue otto poltronissime selvaggiamente lottizzate (o le sue le ha portate la cicogna?). Poi chiedere scusa e battersi per cambiare la sua legge, anziché votare contro chi la applica.


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LOGICA E ARMOCROMIA

l'editoriale di Marco Travaglio

27 maggio 2023

Riceviamo dal Comitato per la Tutela della Logica e volentieri pubblichiamo.

I giornaloni dedicano ritratti encomiastici a Henry Kissinger per i suoi 100 anni. Corriere: “Il cervello di Kissinger: come fa, a 100 anni, a essere così lucido (e qualche dritta per fare lo stesso)”. Riotta su Rep: “Il secolo lungo di Kissinger… lo statista”. Messaggero: “Kissinger, la lezione della realpolitik anche per la crisi ucraina”. Siccome Kissinger ripete da 15 mesi che la guerra non è solo colpa di Putin ma anche della Nato, va negoziato un compromesso fra Mosca e Kiev e il conflitto con la Cina è una follia, cioè l’opposto dei giornaloni che lo celebrano mentre danno del “putiniano” e del “pacifinto” a chi la pensa come lui, la domanda è semplice: se lui è lucido, loro sono rinc*gli**iti?

La Annunziata lascia la Rai perché “non condivido nulla di questo governo”. Calcolando che ha lavorato per la Rai, come conduttrice, direttrice del Tg3 e persino presidente, quasi ininterrottamente dal 1995 all’altroieri, ciò significa che condivideva tutto dei governi Dini, Prodi 1, D’Alema 1 e 2, Amato 2, Berlusconi 2, Prodi 2, Berlusconi 3, Monti, Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2 e Draghi? E, nel caso, come faceva?

Leggiamo ovunque che la presidente Rai Marinella Soldi, renziana (sì, il Sesto Pelo ha la presidenza Rai), ha votato contro le “nomine maschiliste e sovraniste” della destra. Poi scopriamo da Dagospia che ha bocciato solo i direttori di Tg1 e Tg2, mentre ha approvato gli altri 25, quasi tutti maschi e lottizzati fra tutti i partiti, soprattutto il Pd (9 contro 7 alla Lega, 5 a FdI, 3 a FI e M5S). Quindi tutti quei maschi diventano femmine, o sono solo fluidi?

Apprendiamo del voto contrario e degli alti lai del Pd contro la Rai “monocolore di destra, senza donne né pluralismo” e domandiamo: ma le 9 direzioni (su 27) vinte dal Pd di che colore sono?

Scopriamo che il Pd è furibondo perché i 5Stelle si sono astenuti in Cda, dove l’astensione equivale al voto contrario, e li accusano di averla barattata con tre succulente direzioni: Rai Parlamento, Cinema e Serie tv, RaiCom (per un soffio hanno perso RaiGulp). Domani rivela addirittura che “Schlein boccia Orfeo e Ammirati”, cioè i suoi direttori di Tg3 e Raifiction, ma anche le altre sue 7 pedine imposte al Pd contro la sua volontà dalla perfida destra per metterlo in cattiva luce. Quindi immaginiamo che ora i dem cederanno le 9 poltrone che tanto schifano a qualcun altro, magari il Tg3 al M5S, che è il terzo partito d’Italia ma non ha tg. Altrimenti qualcuno potrebbe sospettare che i dem abbiano partecipato allegramente all’orrenda spartizione “monocolore di destra, senza donne né pluralismo”: non sarebbe da loro e bisognerebbe affidarli a un bravo armocromista.



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MARTELLATE

l'editoriale di Marco Travaglio

28 maggio 2023

Da qualche tempo Claudio Martelli, ex vicesegretario Psi, ex ministro della Giustizia, pregiudicato per la maxitangente Enimont e prescritto per la maxitangente del Conto Protezione, mi onora delle sue attenzioni per la grave colpa di aver sempre raccontato la trattativa Stato-mafia. Dopo avermi definito “piccolo miserabile”, dichiara al Riformatorio: “L’ipotesi della trattativa Stato-mafia ha consentito a persone come Travaglio di costruire una fortuna sul niente. Hanno creato un format su una speculazione suggestiva che non ha né capo né coda. Se si intende il fatto che qualche ufficiale dei Carabinieri ha trattato con qualche emissario della controparte (sic, ndr), certo. Lo ha spiegato Mori, sono accorgimenti (sic, ndr) che gli investigatori usano con i confidenti, facendo balenare qualche vantaggio e ottenendo in cambio informazioni”. Martelli va per gli 80 e un po’ di arteriosclerosi ci sta. In alternativa c’è solo un caso di omonimia con il Martelli che l’8.10.2009 rivelò ad Annozero ciò che per 17 anni si era scordato di raccontare ai giudici: nel giugno 1992, subito dopo la morte di Falcone (dirigente al ministero con Martelli), il capitano De Donno informò Liliana Ferraro (subentrata a Falcone) che il Ros aveva agganciato Massimo Ciancimino per trattare col padre Vito e voleva una “copertura politica”. La Ferraro riferì a Martelli, che si “infuriò” per l’incredibile fuor d’opera del Ros alle spalle di pm, Dia e vertici dell’Arma; le disse di avvertire Borsellino; e avvisò il collega Mancino e il comandante Tavormina. Quindi “Borsellino sapeva della trattativa”.

La sua rivelazione a scoppio ritardato fu la svolta decisiva per l’indagine sulla trattativa, aperta dai pm di Palermo dopo le dichiarazioni di Ciancimino jr., che per la prima volta venivano confermate da due esponenti istituzionali che ritrovavano miracolosamente la memoria (dopo Martelli e Ferraro, arrivarono Violante e altri). Sentito dai giudici, Martelli dettagliò: “Mi lamentai col nuovo ministro dell’Interno Mancino del comportamento del Ros con Vito Ciancimino: ‘Che stanno facendo questi? Perché pigliano iniziative autonome? Per occuparsi di mafia abbiamo appena creato la Dia, che c’entra il Ros?’”. Mancino negò il colloquio e, grazie a Martelli, fu processato per falsa testimonianza e assolto. Per anni quel Martelli mi tampinò per farsi intervistare nel suo nuovo mestiere di supertestimone e massimo esperto di trattativa Stato-mafia. Ora l’omonimo ha scoperto che la trattativa l’ho inventata io: è “una speculazione suggestiva senza capo né coda”, un astuto “accorgimento” dell’eroico Mori per “trattare” con la mafia che aveva appena assassinato il suo grande amico Giovanni. Anzi, pardon, con la “controparte”.


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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

29 maggio 2023

Aldo sgradimento. “Ci si chiede perchè fare fuori Fazio e non, ad esempio, Berlinguer o Report” (Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere, Foglio, 22.5). Nei regimi c’è sempre bisogno di un kapò.

Piove sul bagnato. “Berlusconi segue l’alluvione” (Giornale, 22.5). Le disgrazie non vengono mai sole.

I fratelli Caponi che siamo noi. “Di Fatto, utili idioti di Putin. Il giornale di Travaglio e la disinformatija” (Luciano Capone, Foglio, 24.5). Tu invece sei pure inutile.

Paura eh? “Abbiamo ucciso e uccideremo i propagandisti russi anche nei media, ovunque sulla faccia della terra, fino alla vittoria finale” (Kyryll Budanov, capo dei Servizi militari ucraini, 23.5). “Amnesty Italia si scusa sull’Ucraina per le accuse ingiustificate all’esercito di Kiev” (Foglio, 27.5). Che s’ha da fare per campare.

Ascolta, si fa Pera. “Sull’etica differenze insanabili con il Pd” (Marcello Pera, senatore ex FI e ora FdI, Verità, 27.5). Lui non ne ha una.

Luftballe. “La sinistra ha deciso di spolpare un asset strategico nazionale per trasformare Alitalia in una low cost, magari da svendere domani ai tedeschi di Lufthansa” (Giorgia Meloni, 14.10.’21). “Mi auguro che Draghi smentisca l’ipotesi di un’accelerazione del processo di vendita di Ita a Lufthansa. Dal 25 settembre in poi tutto potrà cambiare e al rilancio della nostra compagnia aerea di bandiera penserà chi governerà” (Meloni, 3.8.‘22). “Ita, oggi la firma: Lufthansa al 90% dal 2026. Accordo tra Mef e Lufthansa” (Sole 24 ore, 24.5.‘23). Seguirà l’abolizione delle accise.

En plein. “Nel 1960 o poco prima (era il 1963, ndr) ci fu l’alluvione del Vajont (no, ci fu una frana, ndr), poco lontano dall’Emilia-Romagna (no, al confine fra Veneto e Friuli, ndr) e morirono quasi 1000 persone (no, 2.018, ndr)” (Alessandro Sallusti, Otto e mezzo, La7, 19.5). Dev’essere la nuova egemonia culturale della destra.

Letto a due piazze. “Alle 22.45 squilla il mio telefonino. Solo che io sono già a letto a leggere e non me ne accorgo. Vedo la chiamata un’ora dopo. E scopro con stupore che mi sta cercando nientepopodimeno che Sigfrido” (Matteo Renzi e Aldo Torchiaro, Riformista, 24.5). Resta da capire chi fosse, fra i due firmatari dell’articolo, l’uomo che era già a letto a leggere e ha ricevuto la chiamata nientepopodimeno che di Sigfrido Ranucci. Era Torchiaro? Era Renzi? O nientepopodimeno dormono insieme?


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EHI, C’È NESSUNO?

l'editoriale di Marco Travaglio

30 maggio 2023

Non c’è bisogno dell’armocromista per intonare i colori vincenti nei ballottaggi: il nero di FdI, il verde della Lega e l’azzurro di quel che resta di FI. Chi vaneggiava di un pareggio o di uno stop all’onda destroide delle Politiche o assume sostanze psicotrope o confonde i desideri con la realtà. FdI ha smesso di crescere. Ma s’è assestato poco sotto il 30%, 4 punti sopra le Politiche, con Lega e FI stabili. Chi dovrebbe interrogarsi con angoscia, a parte il fu Sesto Polo, sono Pd e M5S, sconfitti anche alle Comunali e senza neppure l’alibi delle mancate alleanze: anche là dov’erano divisi al primo turno si sono uniti al secondo. Ma l’effetto ballottaggio non è scattato, salvo Vicenza. O non è bastato. Nei migliori dei casi, Pd e M5S han perso per 2 punti (gliene sarebbe bastato uno in più), nei peggiori per 8-10 (ne sarebbero bastati 4-5). Questo vuol dire che la partita non è disperata: nell’Italia divisa in due basta poco per ribaltare l’equilibrio. Purché si capisca dov’è il problema e si inizi a risolverlo.

Le Comunali dimostrano che la soluzione non è partire da alleanze stabili o unioni più strette, ma lasciar liberi Schlein e Conte di marcare le proprie identità per recuperare astenuti e delusi (da loro e dalle destre). Tantopiù che il prossimo appuntamento elettorale, le Europee del 2024 col proporzionale, impone corse solitarie, non coalizioni. Ma i due leader devono domandarsi come mai, con tutte le porcate e i flop collezionati dal governo nei primi 8 mesi, i loro partiti siano inchiodati ai numeri del 25 settembre. Le risposte sono diverse, anzi opposte, per Pd e M5S. Conte ha dato al M5S un’identità forte – pacifismo, diritti sociali, ambientalismo e legalitarismo radicali – e gode di un robusto consenso personale per il buon ricordo lasciato da premier, ma non ha classe dirigente sui territori ed è troppo lento nel costruirla. Schlein di classe dirigente ne ha fin troppa, ma non è la sua (gli iscritti volevano Bonaccini); ha un gran consenso solo sui media, che la pompano da tre mesi, ma non fra i cittadini, che non hanno ancora capito cosa dice né cosa vuole, persa com’è nell’eterna mediazione fra le correnti e costretta a superc***ole incomprensibili, astruse, elitarie, lontanissime dalla vita della gente. In cima ai pensieri degli italiani ci sono welfare e guerra. Sulla guerra il Pd ha la stessa posizione della Meloni; quanto al welfare, i suoi pigolii su precariato, salario minimo, Rdc, extraprofitti, Pnrr e Superbonus non si sentono, coperti dagli strilli su questioni di cui non frega niente a nessuno: dalle pippe sull’Agenda Draghi il Pd è passato all’Aventino sul caso Cospito-Donzelli- Delmastro e alle barricate per gli auto-martiri Fazio e Annunziata. Dal “non ci hanno visti arrivare” al “perché, è arrivato qualcuno?”.


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