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Dino

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30/04/2023
Levategli il fiasco

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Scampoli di ordinaria “informazione” all’italiana.

Un ghostbuster del Corriere rivela che Gentiloni e Draghi, al posto di Conte, non avrebbero preso tutti e 209 i miliardi di Recovery che Conte aveva strappato all’Ue: ne avrebbero buttati un po’ dalla finestra. Peccato che il commissario Ue indicato da Conte e il premier subentrato a Conte si siano sempre scordati di dirlo. Ma “se Draghi fosse rimasto al governo… oggi Gentiloni sarebbe segretario generale della Nato”. E, se avesse i cingoli, sarebbe pure un carro armato.

Dopo le paginate dedicate all’intervista della Schlein sull’armocromista che l’aiuta a vestirsi, Repubblica difende la Schlein dai cattivoni che dedicano paginate alla sua intervista. Merlo: “Spirito di patata”. Concita De Gregorio: se Conte “toglie la pochette e indossa il dolcevita non succede niente, se è una donna succede l’inferno… Siete patetici”. Peccato che Conte non abbia mai dato interviste sui suoi abiti e Rep&affini abbiano sparato in decine di articoli sulla pochette e il dolcevita. Inclusi la Patetica e il Merlo (maglione da “Fregoli”, “va liquidato con un coro di ‘sc**o sc**o’”).

Scandalo nazionale per il rinnovo del mini-Csm della giustizia tributaria, i cui membri, come quelli del Csm, sono eletti dal Parlamento a maggioranza assoluta. Cioè da destra e opposizioni. Su 12 posti, la destra ne prende 9 e ne lascia uno al Pd, uno al M5S, uno a Calenda. Ma il Pd ne vuole due, poi pretende che siano donne anche quelli degli altri. E si ritira sdegnato sull’Aventino. Conte indica non un’igienista dentale, un’amante, un pregiudicato, un portaborse o il suo legale, ma l’ex ministro della Giustizia Bonafede, avvocato, che ha combattuto l’evasione con la Spazzacorrotti e le manette agli evasori. Corriere: “Asse M5S-centrodestra”. Rep: “Bonafede promosso grazie alla destra”. Stampa: “Bonafede torna col sì della destra. I dem: ‘I 5S cercano solo poltrone’”. Strano che il Pd non sia uscito dall’aula anche quando, coi voti della destra, elesse il suo membro al Csm e votò i sette della destra. Allora, comunque, nessun “asse Pd-destra”.

Sulla Stampa, paginone manicomiale di Enrico Deaglio sull’“inesistente trattativa Stato-mafia”, inventata da Ingroia, Di Matteo (che si inventò anche l’ordine di ucciderlo pronunciato da Riina per avere un “bomb jammer” per “salvarsi la vita” e fare la “carriera” che non ha fatto), Ciancimino jr., Fatto, Santoro e Grillo. Ragion per cui Deaglio “ringrazia la Corte che ha posto fine a questo strazio” e chiede di “indagare” sui pm. Si scorda solo un minuscolo dettaglio: undici anni prima di Ciancimino, a parlare di “trattativa” con Cosa Nostra furono gli ufficiali del Ros che l’avevano condotta: Mori e De Donno. Erano estranei, ma non lo sapevano.




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01/05/2023
Ma mi faccia il piacere

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Core ‘ngrato. “Sa che le dico presidente Fedriga? La prossima volta che lei avrà bisogno di una marchetta o di una difesa d’ufficio dagli attacchi di La Repubblica o de La Stampa, la prego: non alzi il telefono con noi come d’abitudine” (Alessandro Sallusti contro il presidente del Friuli Venezia Giulia, reo di non aver dato pubblicità istituzionale a Libero, 20.4). L’abitudine dei giornalisti di fare marchette ai politici a spese dei contribuenti.

Cappellate. “Il Vate (Marco Travaglio, ndr), ospite da Giletti … nel tentativo di accreditare il ruolo dei pace della Cina, ne ha sparata impunemente un’altra delle sue: ‘Xi andrà a Kiev’” (Stefano Cappellini di Repubblica, Twitter, 29.3). “Zelensky invita Xi Jinping a Kiev: ‘Pronto a parlare con lui’” (Repubblica, 29.3). “Xi chiama Zelensky: ‘Siamo dalla parte della pace’. E Pechino manda un inviato in Ucraina” (Repubblica, 26.4). E niente, glielo fanno apposta.

Ma non mi dire. “Sono molto favorevole ai giovani. Lo ero ai tempi di Renzi, lo sono per Schlein” (Graziano Delrio, senatore Pd, Repubblica, 24.4). “La morte? Sono totalmente contrario” (Woody Allen).

Ubi maior. “Silvio vende il Giornale a Tosinvest” (Libero, 29.4). E noi che credevamo fosse di Paolo.

Senti chi parla/1. “Le mie scelte di abbigliamento dipendono sicuramente dalla situazione in cui mi trovo. A volte sono anticonvenzionale, altre volte più formale. In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista” (Elly Schlein, segretaria Pd, a Vogue Italia, 26.4). “Quando si tratta di donne si parla più di look che di politica” (Schlein, Stampa, 29.4). Infatti ne hai parlato tu.

Senti chi parla/2. “Ci piace portare, diciamo… insieme ai nostri amministratori il Pd verso un futuro che grazie anche alle nuove norme europee sempre di più investa e costruisca dei cicli positivi, diciamo… della circolarità, uscendo dal modello lineare. È questo il tema” (Schlein, 19.4). Meglio parlare di look.

Un po’ per uno. “Gelo su Fini da FdI. Lollobrigida: ‘Non è il suo tempo’” (Repubblica, 24.4). Ora la leader rovinata dal cognato è la Meloni.

Ha stato la Wagner/1. “Così la Wagner si prende l’Africa”, “Raid, affari e piani di golpe: così la Wagner cinge l’Africa dall’Atlantico il Mar Rosso” (Repubblica, 24.4). “Il rischio è un boom di migranti verso l’Europa. Lo zampino Wagner nella destabilizzazione” (Giornale, 24.4). Forti sospetti sulla Wagner anche dietro il divorzio Totti-Ilary.




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03/05/2023
Mosca bianca, buco nero

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Torna, a grande richiesta, il “contraddittorio”: quella cosa che viene invocata per tappare la bocca a chi dà noia al potere. Il governo parla a reti unificate, il presidente del Senato zittisce i giornalisti, la premier da due mesi non risponde a una domanda che non si sia fatta lei e fa dirette social raccontando palle, usando Palazzo Chigi come scenografia e i ministri come comparse. Ma se uno scienziato viene invitato al concerto del 1° Maggio, si suppone a parlare visto che non canta, apriti cielo: manca il contraddittorio! Lo scienziato è Carlo Rovelli, fisico di fama mondiale, ultimo bestseller Buchi bianchi, vero pacifista e dunque contrario alle armi in Ucraina. Esattamente come la Cgil che l’ha chiamato. Purtroppo Landini non aveva previsto che, invitato a dire la sua, avrebbe detto la sua: sennò gli avrebbe affiancato uno dei mille guerrafondai che infestano l’Italia. Ma Rovelli avrebbe potuto parlare anche di buchi bianchi: ergo, per garantire il contraddittorio, la Cgil avrebbe dovuto invitare un terrapiattista scettico sui buchi bianchi, e pure neri. Non contento, Rovelli si è permesso di dare una notizia vera: “Il ministro della Difesa era legato a una delle più grandi fabbriche di armi del mondo, Leonardo, e presidente della Federazione dei costruttori di armi”. Poi, applicando la logica, ha domandato: “Il ministero della Difesa serve per difenderci dalla guerra o per aiutare i piazzisti di strumenti di morte?”.

Sentendo leggere in tv il proprio curriculum, il ministro Crosetto – già presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, senior advisor di Leonardo e titolare di società consulenti di aziende fornitrici del ministero della Difesa – se n’è avuto a male: “Rovelli non sa di che parla. Io lavoro per la pace, cerco ogni giorno di fermare la guerra (sic, ndr), non faccio il pacifista ma faccio il ministro. Lui faccia il fisico. Quando cambia settore compie qualche scivolone… Normalmente chi è pacifista poi è per i russi”. E ha invitato Rovelli a pranzo per farsi conoscere. Ma dovrebbe invitarsi da solo. Scoprirebbe che fu un certo Crosetto, il 18.8.2022, a dichiarare a Tpi: “Io ministro della Difesa? Mi sembrerebbe inopportuno, dato il mio lavoro”. Ad auspicare il 27.10.2010 “rapporti con la Russia di collaborazione industriale” con “una joint venture tra Iveco e un’azienda russa” per fabbricare i blindati Lince perché siano “adottati dalle forze russe” (che ora li usano per invadere l’Ucraina). E a tuonare il 9.1.2017 contro Nato e Usa: “Assurdo e gratuito atto ostile della Nato nei confronti della Russia: non si schierano centinaia di carri armati su un confine all’improvviso”. Ecco, il Crosetto-2 dovrebbe invitare a pranzo il Crosetto-1. E fargli pagare il conto.




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LA RIPUBBLICA

l'editoriale di Marco Travaglio

04 maggio 2023

Il 1° marzo 2022, una settimana dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Repubblica inaugurava la luminosa stagione delle liste di proscrizione con due articoli di Concetto Vecchio e Stefano Folli: al “partito russo” in Italia furono iscritti d’ufficio il Fatto, i “No Vax” e “No Green Pass”, i “5Stelle”, “Pino Cabras, analista finanziario contrario al Mes” (roba da ergastolo), “Ugo Mattei” e “il putiniano più illustre”. Berlusconi? No, Salvini. Mancava all’appello un noto quotidiano che dal 2010 al 2016 pubblicava l’inserto mensile Russia Oggi a cura e a pagamento della propaganda di Putin, a cui dedicava amorevoli soffietti. Il Fatto? No, Repubblica. La colonna infame repubblichina si arricchì di altri putiniani immaginari grazie a Riotta. E proseguì il 13 marzo col solito Vecchio: “Da Rovelli a Canfora, i teorici del ‘né-né’. Tra filosofi e storici, c’è un fronte che non si schiera col Paese aggredito. Al pari di altre figure della cultura e dell’accademia – dalla filosofa Di Cesare al sociologo Orsini – sostiene la tesi che è in corso ‘uno scontro tra potenze, non tra Russia e l’Ucraina’. Un punto di vista che molti leggono semplicemente come filo Putin”. Lo stesso giorno Francesco Merlo mise in lista pure “la Cgil e l’Anpi ridotte a campo profughi dell’ideologia… la gloriosa Cgil ridotta a una Stalingrado del ‘come eravamo di sinistra’… la Brigata Wagner, i mercenari scelti che Putin ha inviato a dare la caccia a Zelensky… le solite macchiette sopravvissute del vaffa… Canfora e Rovelli, nostalgici della Brigata Proust, che… si accontentano di Putin”. Il 23 marzo, sulla Stampa, Nathalie Tocci era così ansiosa di parlare da sola da chiedere di tappare la bocca a Rovelli, Canfora e Orsini, senza neppure avere il coraggio di nominarli. Il 24 febbraio 2023 Vecchio, su Repubblica, tornò sul luogo del delitto: “Putiniani d’Italia o ‘né-né’: chi sono i critici di Zelensky, da Berlusconi a Orsini” al putribondo Rovelli.

Ora, clamoroso al Cibali, un quotidiano lancia l’allarme democratico: “La destra all’assalto del dissenso in tv. E adesso rischia pure il Concertone… Nel mirino l’intervento di Rovelli… La destra al potere non nasconde la sua insofferenza… L’intervento antimilitarista di uno scienziato che scrive best-seller, sin dall’inizio critico con gli aiuti militari all’Ucraina… finisce nel Kulturkampf di questi primi mesi meloniani”. Ohibò, quale quotidiano? Repubblica. E chi è il giornalista fremente di sdegno del “giù le mani da Rovelli”? Concetto Vecchio. Quello delle liste di “putiniani”, “partito russo” e “né-né”, sempre con Rovelli dentro. Quindi Rovelli lo può menare solo Repubblica, la destra no. La destra, come già sul Reddito di cittadinanza, sul precariato e sulla Spazzacorrotti, deve soltanto copiare.


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05/05/2023
Contanti saluti

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Fino al 2002 il tetto ai pagamenti in contanti era di 10.329 euro. Poi il governo B.-2 lo alzò a 12.500. Nel 2007 il Prodi-3 lo abbassò a 5mila. Nel 2008 il B.-3 lo rialzò a 12.500, ma nel 2010 lo abbassò a 5mila e nel 2011 a 2.500. Nel 2012 il governo Monti lo ridusse a mille. Nel 2013 B. promise di rialzarlo, ma perse le elezioni. Provvide Renzi nel 2016 a portarlo a 3mila “per aiutare i consumi e dire basta al terrore: nessun favore a evasori e riciclatori, perché quei soldi sono comunque tracciati”. Applausi da Confindustria, Federazione Pubblici Esercizi e Unimpresa. Il Conte-2, nel 2020, lo riabbassò subito a 2mila per portarlo a mille dal 2022, fra gli strepiti di Renzi&C.. Ma poi arrivò Draghi e lo lasciò a 2mila. Il governo Meloni l’ha rialzato a 5mila e ha pure dichiarato guerra al Pos. Il vicepremier Salvini ha spiegato che “chi vuole pagare il caffè con la carta di credito è solo un rompiballe: io cerco di pagare in contanti, perché a me piace andare a prelevare al bancomat”. La premier invece ha dichiarato: “Aumentiamo il tetto al contante perché sfavorisce la nostra economia” e soprattutto “è falso che la possibilità di utilizzare moneta contante favorisce l’evasione fiscale: in primo luogo, come dice bene la Guardia di finanza, uno che vuole evadere evade comunque; ma soprattutto, per paradosso, più è basso il tetto al contante e più si rischia evasione perché siccome i contanti io posso averli in casa per svariati motivi, se non li posso spendere legalmente tenderò a farlo in nero. Quindi più abbassi il tetto al contante, più favorisci l’evasione; più fai salire il tetto al contante, meno favorisci l’evasione… Non c’è alcuna correlazione tra limiti ai contanti ed economia sommersa: l’ha detto Padoan, ex ministro Pd di Renzi”.

L’altroieri la Dda di Reggio Calabria ha arrestato 200 persone e ne ha perquisite 150 fra Italia, Belgio, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Romania, Slovenia e Australia per ’ndrangheta, traffico di droga e armi da guerra, riciclaggio e reati fiscali, sequestrando 23 tonnellate di cocaina e 25 milioni riciclati in decine di locali, alcuni a Roma. Il 22 novembre 2021 due degli arrestati, Francesco Giorgi e Francesco Nirta, vengono intercettati mentre contano i soldi incassati in nero col riciclaggio in un ristorante a Ponte Milvio e in altri cinque in Portogallo prima di spartirseli e maledicono l’obbligo del Pos: “Ci abbiamo perso un milione di euro”. “I due – annota il Gip – si lamentano dei pagamenti effettuati tramite Pos, circostanza che limita notevolmente il margine di manovra per distrarre somme dagli incassi della società”. Noi, fra i politici che favoriscono il cash e i mafiosi che ne maledicono i limiti, preferiamo di gran lunga i secondi: almeno dicono la verità.




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06/05/2023
Troppo Fuortes

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Le scorrerie banditesche della Brigata Meloni per mettere le mani pure su Rai, Inps e Inail con largo anticipo sulla scadenza dei vertici, come se le istituzioni fossero bottini di guerra, rischiano di oscurare l’ultima impresa del noto tanguero Carlo Fuortes, intronato da Draghi&Pd alla carica di ad e dg della Rai. Siccome non voleva andarsene anzitempo senz’avere pronta un’altra poltrona su cui accomodare le nobili terga, il governo gli apparecchia un decreto ad personam, anzi contra personam: quello che riduce a 70 l’età pensionabile dei sovrintendenti degli enti lirici. Anzi di uno solo: quello del San Carlo di Napoli, Stéphane Lissner, che deve fare le valigie per liberare il posto a Fuortes, che a sua volta lascia la cadrega a una coppia comica voluta da Meloni&C.. Già, perché per fare il nulla che faceva lui, ora ce ne vogliono due: il nerissimo meloniano Rossi come Dg e il casinian-renziano Sergio come Ad, pronti a invertirsi i ruoli fra un anno. Lissner, che accettò il San Carlo nel 2019 quando non c’erano limiti di età, ricorrerà contro la norma retroattiva e illegittima. Ma il fatto stupefacente è che Fuortes, nei suoi vari pellegrinaggi a Palazzo Chigi, abbia accettato o addirittura caldeggiato l’ignobile legge che fa fuori l’illustre collega per fregargli il posto.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con lo spoils system e col diritto del governo di amministrare con uomini suoi. E non c’entra nulla neppure con la lottizzazione. Ci tocca rimpiangere persino gli editti bulgari e le epurazioni leopoldine di berlusconiana e renziana memoria, che almeno reagivano a qualche barlume superstite di informazione: qui, a parte un paio di programmi (Report, Cartabianca e Presadiretta), da censurare non è rimasto nulla. Il promoveatur ut amoveatur del tanguero non ha alcuna motivazione politica, se non la fame atavica di questi banditi, ansiosi di sistemare le loro nullità al posto delle attuali, già sdraiate ai loro piedi senza bisogno di cambi della guardia. Se contasse almeno il “merito”, di cui al famoso ministero, Fuortes non verrebbe promosso al San Carlo, ma licenziato per scarso rendimento, visti la deprimente qualità dei programmi Rai, il vomitevole servilismo dei tg più velinari di sempre e il crollo di ascolti a vantaggio di Mediaset (che pure fa orrore). Stiamo parlando del genio che Repubblica salutò come l’uomo della “rivoluzione” e del “nuovo corso”, che aveva “imposto il ‘lei’ a chiunque, dall’ultimo degli uscieri ai top manager. Una rottura di prassi consolidate che la dice lunga sul nuovo corso del servizio pubblico. E sulla mission ricevuta da Draghi”. Il fenomeno che giurava, restando serio: “I partiti non bussano alla mia porta”. Ma solo perché bussava lui da loro.




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PERCHÉ ANDARE IN PIAZZA

l'editoriale di Marco Travaglio

07 Maggio 2023

Se anche fosse vero che 14 mesi fa Putin si illudeva di conquistare l’intera Ucraina e tenersela a dispetto dei due terzi della popolazione anti-russi, oggi è chiaro a tutti che il suo obiettivo è conservare il Donbass e la striscia sul Mar Nero, a presidio della Crimea. Se anche fosse vero che Zelensky pensa ciò che dice, e cioè che la controffensiva di primavera (annunciata a inizio inverno e forse pronta a inizio dell’estate) riconquisterà tutti i territori occupati dai russi, pari a un sesto del Paese, oggi è chiaro a tutti che si tratta di una pia illusione, come ripetono da mesi il Pentagono, il capo di Stato maggiore Usa Milley, quello italiano Cavo Dragone e persino le autorità più avvedute di Kiev. Perché dunque Usa, Nato e Ue non colgono al balzo le proposte di pace della Cina e del Papa per inchiodare Russia e Ucraina al tavolo dei negoziati? Si potrebbe partire dal principio di autodeterminazione dei popoli, lasciando che siano le popolazioni dei territori contesi a scegliere da chi vogliono essere governati, con un referendum garantito da Onu e Osce. Invece, pur sapendo che la controffensiva ucraina e la contro-controffensiva russa porteranno solo altre mattanze senza ribaltare lo status quo, le cancellerie occidentali preferiscono attendere altri mesi, cioè altre decine di migliaia di morti, prima di fare ciò che subito salverebbe tutte quelle vite e un anno fa, avrebbe risparmiato lutti a 200 o 300 mila famiglie russe e ucraine.

Questo attendismo cinico e criminale ha una sola spiegazione razionale: l’interesse di Biden di allungare la guerra per procura per i suoi sporchi interessi economici sulla pelle dell’Europa ed elettorali sulla pelle degli ucraini. Ma vale per gli Usa, non per l’Ue. Qui il solo a prendere sul serio l’iniziativa cinese è Macron, che avrebbe bisogno di sponde oltre a quella traballante del Sor Tentenna Scholz. Se l’Italia si spostasse su quell’asse mollando quello oltranzista anglo-american-polacco, ribalterebbe gli equilibri fra partito della guerra e partito del negoziato (che potrebbe anche limitarsi a un cessate il fuoco infinito senza trattati, come quello fra le due Coree). Perciò è non solo giusto, ma anche utile pressare il governo perché smetta di inviare armi. Dire che dovrebbe premere anche su Putin perché si ritiri non ha senso: Putin lo votano i russi; i guerrafondai Meloni, Salvini, B., Schlein, Renzi e Calenda li votano gli italiani. E se il “nuovo” Pd, come già Conte e Fratoianni, si schierasse contro le armi e per il negoziato, costringerebbe Lega e FI a smarcarsi vieppiù dal bellicismo meloniano. Oggi, come il 5 novembre in piazza San Giovanni a Roma, abbiamo un’altra occasione di farci sentire partecipando alla Staffetta per la Pace in tutta Italia e firmando i referendum anti-armi. Non sprechiamola.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

08 Maggio 2023

Mafia diffamata. “Solito fango mediatico su mafia e Cavaliere. I legali: ‘Adesso basta’” (Giornale, 5.5). Ma i legali della mafia o del Cavaliere?

L’alibi di ferro. “Il Fatto anticipa la nuova relazione depositata in Procura a Firenze. Altro che segreto istruttorio” (ibidem). Quindi la linea difensiva è: frequentava mafiosi, ma è un segreto.

Interviste a confronto. “Si sta sforzando di avere una reazione pacifista, ministro Crosetto?”, “Quindi solo al mattino, una volta atterrato dal Medio Oriente, ha scoperto di essere il protagonista della polemica?”, “Quando glielo hanno riferito, cosa ha pensato? Ci è rimasto male?”, “Davvero è disposto a invitarlo a cena per ‘conoscersi, chiarirsi’ e spazzare via le scorie della polemica?”, “Rovelli è stato durissimo con lei, anche senza nominarla. L’ha inclusa tra i ‘piazzisti di strumenti di guerra’ che costruiscono armi ‘per ammazzarci l’un l’altro’”, “Un albero buono non può produrre frutti cattivi né un albero cattivo produrre frutti buoni…” (“domande” di Monica Guerzoni al ministro della Difesa Guido Crosetto, Corriere della sera, 3.5). “Professor Rovelli, lei è filorusso?”, “Allora perché dissente da chi critica l’invasione di un Paese da parte di una autocrazia”, “Perché lei dà sempre l’impressione di mettere sullo stesso piano la Russia e le democrazie occidentali?”, “Non si accorge di utilizzare così il principale strumento della propaganda russa?”, “Ammesso che lui lo voglia davvero, perché si dovrebbe trattare con Putin?”, “Glielo dice lei a Putin?”, “Non è che dietro le sue opinioni si nasconde sempre il solito antiamericanismo?” (“domande” di Marco Imarisio al fisico Carlo Rovelli, ibidem). Senza parole.

Scappate. “Fazzolari (FdI): ‘Cari disoccupati, è ora di correre’” (Libero, 5.5). Stiamo venendo a prendervi.

Maestri di vita. “Travaglio è un piccolo, miserabile imitatore di Montanelli” (Claudio Martelli, 6.5). Non tutti possono permettersi il lusso di essere pregiudicati per la maxitangente Enimont e prescritti per quella sul Conto Protezione.

Di Boschi e di riviera. “Giudicatemi per le riforme, non per le forme” (Maria Elena Boschi, 12.3.’14). “Le creme per la pelle del dottor Berruti, compagno di Boschi: ‘Maria Elena le ha provate e mi ha spinto a proseguire’. L’attore, odontoiatra e compagno dell’ex ministra, e la sua linea di prodotti di bellezza: dopo che lei le ha provate, le chiedono tutti se ha fatto il lifting” (Corriere della sera, 4.5.’23). Il tempo passa, in tutti i sensi.

Polli Aia. “Zelensky all’Aia: ‘Nessun attacco, sarà questa Corte a giudicare Putin” (Repubblica, 5.5). Questa corte che l’Ucraina non riconosce, sennò alla sbarra ci finirebbe pure lui.

Anti sarà lei. “L’antipolitica del Raphael che indebolì le istituzioni” (Alessandro Campi, Messaggero, 1.5). Cioè la Politica nella sua forma più pura.

Una bella lotta. “La corsa per Expo 2030, Roma vede il ballottaggio: ‘Sfida aperta con Riad’” (Messaggero, 1.5). Vince chi fa più schifo.

Lo Zoo di Repubblica. “Anche Vespa con l’età è migliorato” (Francesco Merlo, Repubblica, 6.5). Ora è identico a Merlo.

L’autoschiaffo. “Lo schiaffo No Vax e la nemesi di Conte”, “Nel corso della sua ascesa il M5S ha cavalcato ogni forma e idea virulenta di protesta contro il cosiddetto ‘sistema’ (per poi entrare a farne parte). Il grillismo ha fatto il pieno di voti soffiando sul fuoco del peggiore populismo antipolitico, vellicando ogni velleità antagonistica… seminando tantissimo vento. E guarda un po’, a portare tempesta adesso arriva proprio uno che si dichiara ex militante ed elettore del Movimento” (Massimiliano Panarari, Stampa, 6.5). Quindi, siccome il M5S ha fatto vera, intransigente e pacifica opposizione ed è stato votato da milioni di italiani, se Conte viene aggredito per strada, se l’è cercata.

Polito el Drito. “L’ultimo Moretti e la sua sinistra. Che bello se tra tic e autocitazioni la convincesse a smarcarsi da Putin” (Antonio Polito, Corriere-Sette, 5.5). Ma va’ a ciapà i ratt.

Il titolo della settimana/1. “Schlein-Landini, patto del tortellino per costruire la trincea del lavoro” (Repubblica, 7.5). Manca soltanto l’armocromista per decidere il colore del tortellino.

Il titolo della settimana/2. “Biden: ‘Ho l’età’” (Stampa, 1.5). Per ritirarsi.

Il titolo della settimana/3. “Regione Lazio: Rocca nomina l’ex terrorista De Angelis alla comunicazione” (Repubblica, 3.5). “Le rivoluzioni cominciano in piazza e finiscono a tavola” (Leo Longanesi).

Il titolo della settimana/4. “Roberto Saviano: ‘Chi critica la destra è un nemico. L’Italia sta diventando come la Serbia’” (Stampa, 3.5). O come il Draghistan.

Il titolo della settimana/5. “In Renzi rivedo il mio amico Silvio” (Andrea Ruggieri, ex deputato FI, nipote di Bruno Vespa, direttore del Riformista in tandem con Renzi, Tpi, 5.5). Sono soddisfazioni, per entrambi.

Il titolo della settimana/6. “Il compromesso non porta la pace” (Nathalie Tocci, neo consigliera di amministrazione di Acea, Stampa, 5.5). Giusto: la pace la porta la guerra atomica.


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LEZIONI DI GIORNALISMO

l'editoriale di Marco Travaglio

09 Maggio 2023

Il 4 maggio la vicedirettrice del Corriere Fiorenza Sarzanini ha impartito una lezione agli aspiranti giornalisti della Luiss (presenti) e al Fatto (contumace). Uno studente l’ha interpellata sul suo scoop a quattro mani con Monica Guerzoni del 5.6.’22, “Influencer e opinionisti. Ecco i putiniani d’Italia”, corredato da 9 foto segnaletiche delle quinte colonne di Putin, “materiale raccolto dai Servizi” per un’“indagine avviata dal Copasir” su 10 prof, giornalisti e parlamentari rei di “controinformazione” sulla guerra con “messaggi anti-governativi” e “filo-russi”: i reporter Bianchi e Vezzosi, l’economista Fazolo, lo scrittore Dinucci, il sociologo Orsini, il senatore ex 5S Petrocelli, il dentista Giordanengo, la giornalista russa Dubovikova, la blogger Ruggeri e il freelance Sacchetti (l’unico senza foto). E la sporca decina della Spectre putiniana, avvisano Sarzanini e Guerzoni, “è destinata a ingrossarsi”. Il presidente del Copasir, Urso, e il sottosegretario ai Servizi, Gabrielli, smentiscono. Poi, incalzato dal Fatto nel silenzio generale, Draghi desecreta il report del Dis a cui s’appiglia il Corriere. È una rassegna stampa con soli 3 dei 10 nomi messi alla gogna: Fazolo, Bianchi e Dubovikova. E senza uno straccio di condotte illecite o fake news, a parte le criminose “critiche all’operato del Presidente Draghi” (lesa draghità). Presa col sorcio in bocca, la Sarzanini rinvia l’ora della verità alla settimana dei tre giovedì: i 7 nomi in più sarebbero “emersi in questi mesi durante attività di monitoraggio di false notizie” in altri tre fantomatici report del Dis.

Ora, anziché scusarsi per aver inventato 7 nomi o creduto a qualche pataccaro e seppellirsi sottoterra per qualche anno, la signora Pulitzer addita agli incolpevoli allievi della scuola di giornalismo il vero colpevole della bufala: il Fatto che l’ha smascherata. “Noi – delira – siamo finiti sotto attacco del Fatto, che è un giornale piccolo e ha fatto della propaganda al contrario la sua cifra, perché altrimenti per la politica estera non l’avrebbe letto nessuno… Il Fatto ha preso questa indagine, che era sulla propaganda, per farne motivo di contrapposizione col Corriere. Per un settimana il Fatto diceva ‘Il Corriere, il Corriere, il Corriere…’. Loro hanno sposato quelle posizioni di propaganda, peraltro propagandando notizie spesso non vere, ma solo perché potevano diventare la voce antagonista del Corriere e quindi avere riscontro e incuriosire il lettore”. Poverina: qui l’unica notizia non vera è la sua. Quelle vere, tipo il rapporto Dia sui legami Graviano-B.-Dell’Utri nell’èra delle stragi
o la staffetta della pace di domenica scorsa, le pubblica il Fatto e non il Corriere. Che, a furia di combattere la propaganda di Putin, ha cominciato a somigliargli e a fargli concorrenza sleale.


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LESA LOLLOBRIGIDITÀ

l'editoriale di Marco Travaglio

10 Maggio 2023

Avvertenza per i lettori. Ciò che state per leggere non è il sequel di Fantozzi al Gran Consiglio dei Dieci Assenti: è tutto vero. Il Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio comunica: “Il Primo collegio riunito il giorno 4 maggio 2023 a Roma, presenti Roidi, Renzetti, Callini: in merito alla segnalazione giunta dal Presidente dell’Ordine del Lazio per le proteste legate alla pubblicazione sul Fatto Quotidiano di una vignetta a firma del disegnatore Mario Natangelo”. Punto: la frase finisce così, sospesa nel vuoto. La successiva descrive “il disegno satirico” che “appare riferito alla frase del ministro Lollobrigida” sulla sostituzione etnica “che molto clamore e dibattito ha provocato… Il disegno mostra una donna e un uomo di pelle nera in un letto”. E quindi? “Poiché la pubblicazione potrebbe comportare una violazione dell’articolo 2 del codice deontologico, il Collegio invita il giornalista Natangelo a presentarsi… il giorno 7 giugno”, con “facoltà di produrre memorie, indicare testimonianze e farsi assistere da un legale di fiducia”. Incuriositi dall’art. 2 del Codice deontologico che l’infame vignetta potrebbe aver infranto, siamo andati a leggerlo: s’intitola “Banche-dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti”. Quindi il sinedrio che convoca Nat per leso Codice deontologico non conosce il Codice deontologico (sennò sarebbe impegnatissimo a convocare i direttori di tg e giornali che danno più spazio alle creme del fidanzato della Boschi che alla staffetta per la pace e al rapporto della Dia sui legami fra B., Dell’Utri e Graviano). Oppure cita un articolo a caso pur di offrire alla famiglia allargata dei Lollobrigida lo scalpo del putribondo Natangelo, reo di ben altro crimine: la lesa lollobrigidità.

È andata peggio al dissidente bielorusso Mikalai Klimovich, condannato a 12 mesi per aver definito “divertente” sui social una vignetta su Lukashenko e morto lunedì nella colonia penale di Viciebsk. Ma almeno in Bielorussia il reato di vignetta è ritenuto normale. In Italia pensavamo fosse depenalizzato, almeno fino alla convocazione di Nat. Noi però lo invidiamo: oltre a divertirsi ogni giorno come un matto, il 7 giugno dinanzi al Gran Consiglio dei Dieci Ignari rischia di rotolarsi per terra. Perché disegnò quella vignetta? Chi sono la donna e l’uomo di pelle nera nel letto? È conscio della gravità della sua condotta? È pronto ad assumersi le sue responsabilità dinanzi al Codice deontologico e alla Nazione tutta? È pentito? Lo rifarebbe? E quante volte, figliuolo? Il clou sarà quando leggerà la sua memoria difensiva e soprattutto esibirà i suoi testimoni: i ragionieri Filini e Calboni e la signorina Silvani dovrebbero bastare.


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L’ARMICROMISTA

l'editoriale di Marco Travaglio

11 Maggio 2023

È stato tutto un equivoco, uno scambio di vocali: nella famosa intervista a Vogue, Elly Schlein rivelava di farsi consigliare da un’“armicromista”, ma l’intervistatore ha capito “armocromista”. Infatti il colore unico della neosegretaria Pd è il verde militare. Lo dimostra non solo il suo voto favorevole al decreto Meloni sulle armi a Kiev (prima di vincere le primarie). Ma soprattutto quello della delegazione pidina al Parlamento europeo sulla proposta del commissario al Mercato Interno Thierry Breton per convertire con “procedura d’urgenza” i fondi europei dei Pnrr, dei programmi sociali e di coesione per fabbricare munizioni per l’Ucraina. La folle idea di togliere al welfare europeo per dare alle armi (Asap: Act in Support of Ammunition Production) è una joint venture fra Breton, che è il Crosetto di Macron (prima di diventare commissario europeo dirigeva vari colossi dell’industria militare), il gruppo Conservatore (presieduto dalla Meloni) e quello Popolare. Ma è stata approvata alla quasi unanimità, anche coi voti dei liberaldemocratici Ledr, dei socialisti Pse (che includono il Pd) e dei Verdi. Contraria solo la sinistra Gue-Ngl. Fra gli italiani, a parte Smeriglio, hanno votato contro solo i 5 Stelle. Risultato finale: 608 presenti, 518 Sì, 59 No e 31 astenuti.

La notizia è uscita solo sul Fatto e sul manifesto e gli europidini, presi col sorcio in bocca, si sono irritati, sproloquiando di “titolo del Fatto falso e fuorviante”, perché “gli eurodeputati Pd sono tutti compattamente contrari all’uso dei fondi del Pnrr per la produzione di armamenti”. Così compatti che, tranne Smeriglio, hanno votato compattamente Sì. Cade così anche l’ultima foglia di fico dell’armacromista Schlein, che nell’ultima piroetta post-primarie aveva detto sì alle armi a Kiev, ma no ad aumenti delle spese militari. Eccola nella conferenza stampa del 19 aprile, l’unica: “Allo scoppio del conflitto, quando sembrava necessario aiutare anche col supporto militare il popolo ucraino, avevo molte più perplessità sul legare il conflitto in Ucraina a un aumento delle spese militari in tutti i Paesi europei. Sono una federalista europea convinta e penso sia meglio avere una difesa comune. Non vuol dire che finché non c’è una condivisione vera delle competenze della difesa possiamo assistere a un aumento delle spese militari in tutti i Paesi europei”. Invece l’altroieri il Pd ha approvato proprio un aumento delle spese militari: subito 500 milioni in più, a cui i singoli Stati potranno aggiungere quanti fondi vorranno, anche distraendoli dai loro Pnrr. Elly Schlein e i suoi cantori ci sbomballano da due mesi con la retorica del “non ci hanno visti arrivare”. Ma, di questo passo, nessuno si accorgerà che sono arrivati.


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LA BANDA DEL BUCO

l'editoriale di Marco Travaglio

12 maggio 2023

Come volevasi dimostrare, la Francia non ha nessuna intenzione di costruire il faraonico, inutile, costoso e inquinante Tav Torino-Lione: il buco di 57 km nelle Alpi e di 15-20 miliardi nelle casse italiane progettato negli anni 80 e superato dai tempi e dai dati. Se n’è accorta persino Repubblica (noi l’avevamo scritto un anno fa): il cronoprogramma del Conseil d’orientation des infrastructures rinvia la tratta francese al 2043, cioè a mai. Fra gli alti lai del cosiddetto ministro Salvini e della retrostante Confindustria, il ministro Clément Beaune prova a smentire. Ma sono almeno undici anni che Parigi non ne vuol sapere: infatti non ha mai finanziato la sua parte. Nel luglio 2012 il Figaro, citando il ministro Jérôme Cahuzac, rivelò che il governo Hollande era pronto a rinunciare, a meno che non pagasse tutto l’Ue, perché “il trasporto merci su quella tratta è sceso in vent’anni da 11 a 4 milioni di tonnellate”. La notizia gettò nel panico la Banda del Buco di destra-centro-sinistra. La stessa che nel 2018 tornò sul piede di guerra quando il ministro Toninelli affidò a un pool di economisti e ingegneri un’analisi costi-benefici. Risultato: il Tav è una boiata pazzesca, con costi di almeno 13 miliardi, perdite per 7-8, benefici per 800 milioni e un risparmio di appena 80 secondi da Milano a Lione. E, per giustificare la nuova ferrovia, le merci circolanti dovrebbero essere 25 volte le attuali.

La Banda s’inventò il movimento “spontaneo” delle Madamine per nascondere i loschi interessi di partiti, imprese e clan; promosse a Torino una marcetta di 20 mila umarell, spacciata per un’oceanica rivolta del Partito del Pil contro il Partito del No; e affidò la controanalisi nientemeno che a Salvini. Rep: “Tav, controanalisi di Salvini: Costa meno finirla che fermarla”. Stampa: “Contro-dossier di Salvini: la sospensione della Tav ci costerebbe 24 miliardi”. Purtroppo il Cazzaro Verde promosso a Matteo Pitagorico non produsse uno straccio di cifra che smontasse quelle dei veri esperti. Il 7 agosto 2019 i 5Stelle proposero di disdettare il trattato italo-francese sul Tav, ma la Banda del Buco (Lega, FdI, FI, Pd votò contro. L’indomani Salvini aprì la crisi dal Papeete e rovesciò il Conte-1. Così lo Stato continuò a buttare soldi in un’opera inutile e dannosa che – come il Ponte sullo Stretto – tutti sanno che non si farà mai, ma viene tenuta in vita artificialmente per foraggiare clientele e mangiatoie. Poi, un giorno, la Francia dirà ufficialmente che Lione non è interessata al Tav Torino-Lione. E, per non chiedere scusa ai No Tav e a Toninelli, la Banda del Buco progetterà un nuovo Tav che parte da Torino e, giunto alla frontiera francese, fa inversione a U e torna indietro: il Tav Torino-Torino.


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IL ROSICONISTA

l'editoriale di Marco Travaglio

13 maggio 2023

Non tutti sanno che c’è un giornale, più che altro un ciclostile, con un editore imputato, Alfredo Romeo, e un direttore editoriale imputato, Matteo Renzi: il Riformista. Però va detto che la linea editoriale non risente minimamente dello status dell’editore e del direttore editoriale: infatti si dedica precipuamente a bombardare i magistrati che processano l’editore e il direttore editoriale, ma anche, ad abundantiam, quelli che non processano l’editore e il direttore editoriale (o non ancora: hai visto mai). L’editore è coimputato del padre del direttore editoriale, perché aveva scritto su un pizzino la cifra che intendeva devolvergli mensilmente in cambio di aiutini per gli appalti Consip: “30mila per T.”. Purtroppo fu beccato prima del bonifico, ma ora potrà pagare legalmente il figlio direttore editoriale, a sua volta imputato per i finanziamenti illeciti alla fondazione Open. Costui però, allergico com’è ai conflitti d’interessi, sta bene attento a non confondere la sua veste di direttore editoriale da quella di imputato: ieri, per dire, ha scritto un editoriale (“Open to Meraviglia”) per avvisare gli eventuali lettori che “anche oggi mi presenterò in tribunale, a Firenze, nell’ambito del ‘processo Open’”, frutto di “un’inchiesta nata da un pregiudizio ideologico” e da “scandalosi sequestri show”. Ma solo per precisare che “il Riformista non seguirà questa udienza preliminare”, nata peraltro da “una indagine assurda”. Infatti “questo giornale non è il luogo della mia difesa. Mi difendo da solo”: sul giornale che non è il luogo della sua difesa.

“Il Riformista parlerà invece degli altri errori giudiziari, quelli che riguardano cittadini comuni”, tipo lui che, “citando lo straordinario discorso di Enzo Tortora, so di essere innocente e spero che lo siano anche i magistrati che mi indagano ingiustamente”. Ma, sia chiaro, “questo giornale non può servire per regolare i miei conti”. Dunque nessuno, sul Riformista, si azzardi a parlare di lui, a parte lui, che si limita a precisare di aver “denunciato i magistrati che ritenevo responsabili”. Silenzio stampa assoluto anche sui suoi libri: sì, è vero, il suo libro “Il Mostro è stato un best seller”, ma non sta certo a lui dirlo, tantomeno sul suo giornale. Quindi, ricapitolando: a parte l’editoriale dell’imputato, “questo giornale non si occupa del processo Open perché parla di tutto il resto”. Un esempio a caso di tutto il resto: “le vergognose indagini fiorentine” sul caso Open, che “sarà ricordato come uno dei tanti flop”, anzi “più grave degli altri” perché l’imputato è il direttore editoriale. Però ora basta parlare di Open. Sennò qualcuno penserà che il Riformista si occupi di Open, che il direttore editoriale sia imputato e che non l’abbia presa proprio benissimo.


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SERVITÙ VOLONTARIA

l'editoriale di Marco Travaglio

14 maggio 2023

Va letta e riletta, la lettera di Ricardo Franco Levi, “Commissario Fiera del Libro di Francoforte del 2024”, che comunica al “professore carissimo” Carlo Rovelli di aver annullato la sua lezione alla Buchmesse dell’anno prossimo per i delitti di pacifismo e leso Crosetto. “Con grande pena, ma senza infingimenti”. Per non trasformare “un’occasione di festa e giusto orgoglio nazionale in motivo di imbarazzo per chi rappresenterà l’Italia… al massimo livello istituzionale”. Il dolente scrivente avverte tutto “il peso di questa lettera, che mai avrei voluto scrivere” (sic) e spera “che possa contribuire a non farmi perdere la sua amicizia”. Gran finale: “Con l’augurio di poter presto leggere un suo nuovo libro… le invio il migliore dei saluti”. Manca solo l’epigrafe che Longanesi voleva stampare sul Tricolore: “Tengo famiglia”.

La lettera è un reperto d’epoca, anzi d’epoche, perché avrebbe potuto scriverla qualunque prototipo d’intellettuale italiano in uno qualsiasi degli ultimi sei o sette secoli. È un capolavoro di servitù volontaria, dunque non richiesta, che spiega perché qui l’unica cultura degna di nota è quella autoritaria, qualunque sia l’autorità: l’intellighenzia non si concepisce come contropotere, ma come protesi e lingua del potere. Ha sempre bisogno di un padrone da servire. Se il padrone ordina, obbedisce. Se l’ordine non arriva, lo previene. Se il padrone cade, se ne cerca un altro. E non cambia mai idea, non avendone di proprie: cambia soltanto padrone. Il tapino Ricardo (con una c sola) – già giornalista per insufficienza di prove di Sole 24 ore, Corriere, Giorno, Messaggero e Stampa, fondatore-affondatore dell’Indipendente “liberal” (senza e), sottosegretario di Prodi, portavoce di Veltroni e ora presidente degli editori – è persino sincero, nella sua viscida cortigianeria censoria. Per lui, come per ogni maggiordomo, un intellettuale che critica il potere non è normalità democratica: è un’anomalia da stroncare prima che faccia precedente. Più del censore, che ora si rende due volte ridicolo con la retromarcia per ordine del governo, fanno pena i censori del censore (tipo Crosetto, che aveva invitato Rovelli a occuparsi di buchi bianchi e non del buco nero dei suoi conflitti d’interessi armati). Sono come Levi: per 15 mesi hanno stilato liste di fantomatici putiniani, silenziato e insultato i pacifisti, tentato di chiudere i programmi che li ospitano, ostracizzato artisti e autori russi (memorabile, ieri, il teatrino di Vespa e altri camerieri ai piedi di Zelensky). Ora la censura “liberal” e “progressista” si salda con quella della destra, che ne raccoglie i frutti senza neppure muovere un dito. Come disse Mussolini negli ultimi giorni di Salò: “Come si fa a non diventare padrone in un Paese di servi?”.



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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

15 maggio 2023

Bombe salvavita. “Le armi italiane salvano vite” (Repubblica, prima pagina, 14.5). Sparano aspirine e supposte.

Compro una consonante. “Zelensky a Roma, città blindata con droni e cecchini” (Giornale, 13.5). Poi Vespa ha portato i lecchini.

Gossip. “Il caso Rovelli, una delle piccole polemiche di giornata” (Concita de Gregorio, In onda, La7, 13.5). ‘Na cosetta

The Guerzoni’s List. “Alla fine Zelensky si convince che i ‘putiniani travestiti da pacifisti’ sono una minoranza e abbraccia gli italiani ‘a uno a uno’” (Monica Guerzoni, Corriere della sera, 14.5). Hai pronta la nuova lista dei servizi segreti sui “putiniani d’Italia”?

Levissimo/1. “Sono stato frainteso, temevo che la partecipazione di Rovelli (alla Fiera del Libro di Francoforte, ndr) non fosse letta nella prospettiva giusta… ho voluto difendere Rovelli da possibili fraintendimenti… il mio timore è che non fosse accolto nel modo giusto, nel rispetto della sua statura intellettuale” (Ricardo Franco Levi, commissario alla Fiera di Francoforte, Repubblica, 14.5). Che tenero, l’ha fatto per lui.

Levissimo/2. “Nessuno voleva impedire al professor Rovelli di parlare e dire le sue cose. Tutt’altro” (Levi, ibidem). Perciò gli ha revocato l’invito a parlare: per fargli dire le sue cose fra sé e sé.

Levissimo/3. “Mi auguro che il professor Rovelli accetti l’invito che gli ho rivolto ad essere presente” (Levi, ibidem). E non quello ad essere assente.

Gratitudine. “Penso sia giusto ringraziare Alessandro Profumo per il lavoro svolto alla guida di Leonardo negli ultimi 6 anni. Lui ha portato in dote alla società il suo standing internazionale, la sua serietà calvinista, il suo carisma e le sue rare capacità manageriali” (Guido Crosetto, FdI, ministro della Difesa ed ex senior advisor di Leonardo, Twitter, 9.5). E tutte quelle belle consulenze.

Lardo ai giovani. “La Rai ha 4mila dipendenti di troppo. Servirebbero 300 giovani bravi” (Giovanni Minoli, Libero, 8.5). Tipo lui.

Longanelli. “Montanelli sosteneva che gli italiani sognano sempre di fare la rivoluzione d’accordo con i carabinieri” (Massimo Gramellini, Corriere della sera, 10.5). Era Longanesi, ma fa niente.

Democrazie immaginarie. “Kyiv (Kiev, ndr) ha un vantaggio decisivo: i suoi sensori democratici all’erta” (Vittorio Emanuele Parsi, Foglio, 10.5). Almeno da quando Zelensky ha messo fuorilegge gli undici partiti di opposizione.

Extraprofitti immaginari. “Antonio Patuelli (Abi): ‘Gli extraprofitti delle banche non esistono” (Stampa, 12.5). Quindi quel gonfiore in tasca è perché sei contento di vedermi?

Commozione. “21 minuti di videomessaggio per la convention della sua Forza Italia: il nuovo miracolo di Berlusconi oscura Carlo III d’Inghilterra e ‘commuove’ critici e avversari tranne gli irriducibili del Fatto” (Francesco Damato, Dubbio, 9.5). Al contrario: abbiamo riso alle lacrime.

Ma anche. “Fassino: ‘Schlein non si fidi di chi vuole il Pd solo all’opposizione’” (Foglio, 125). Meglio un po’ con la destra e un po’ contro, come sempre.

Alternanza. “Giustizia, nessuna riforma possibile finché il ministero è pieno di magistrati…” (Giandomenico Caiazza, presidente Unione Camere Penali, Dubbio, 13.5). Giusto, riempiamo pure quello di pregiudicati e imputati.

Suffragio semi-universale. “Basterebbe istituire un esame per accedere ai vertici delle Istituzioni, una prova facilissima e al tempo stesso difficilissima di cultura generale e di educazione civica… dove gran parte dei leghisti, dei 5 stelle e dei fratelli d’Italia verrebbero dirozzati e spulciati o inesorabilmente bocciati” (Francesco Merlo, Repubblica, 14.5). Un esame con una sola domanda: farai o no come Renzi e la sua Rai personale che regalò un contrattino da 240 mila euro annui a Francesco Merlo per fantomatiche prestazioni di “consulente della Direzione editoriale per l’informazione”?

La Repubblica Enigmistica. “Lorem ipsum dolor sit Consectetur adipiscing elit Mauris id semper mi Praesent ullamcorper Lorem ipsum” (sommario all’articolo “Vasco Bondi: ‘Io torno alle origini ma niente resta uguale’, Repubblica-Roma, pagina 11, 14.5). Dev’essere un testo di Recalcati.

Il titolo della settimana/1. “Biden va votato (senza entusiasmo). Solo così si evita il trionfo del maligno” (Domani, 8.5). Mo’ me lo segno.

Il titolo della settimana/2. “Formigoni: ‘Non penso alle Europee, ma combatto l’astensionismo” (Libero, 10.5). Più rubi, più gente va a votare.

Il titolo della settimana/3. “Cara Meloni, è finita la pacchia! Ora la sinistra ha di nuovo il giornale di Gramsci” (Piero Sansonetti, Unità, 9.5). Che infatti appare più preoccupato della Meloni.

Il titolo della settimana/4. “Tutta la politica al capezzale delle culle vuote” (Riformista, 12.5). Senza parole, però si vede la mano del nuovo direttore editoriale.

Il titolo della settimana/5. “La perestroika di Berlusconi” (L’Identità, 9.5). Anzi, un pullman di perestroike.


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