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Dino

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15/04/2023
Che bei vedovi

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Per la serie, anzi il cinepanettone “Non c’era una volta il Terzo Polo”, ma anche “Io non ce l’ho con te, ma col tuo vicino che non ti butta di sotto”, apprendiamo da Repubblica che “il gotha dell’imprenditoria” è molto deluso dai suoi ultimi beniamini Calenda e Renzi e dice a una sola voce: “Un’altra promessa tradita”, lacrimando a un solo occhio per i “4 milioni donati invano” ai due caratteristi che ora si tirano i piatti e gli stracci. Il Gotha dei boccaloni che avevano creduto nella farsa terzopolista comprende il meglio “del mondo imprenditoriale e finanziario italiano” (figuratevi il peggio). La lista dei vedovi inconsolabili annovera: Maurizio Bertelli, patron di Prada, che aveva donato 100 mila euro; le famiglie Zegna (60 mila) e Loro Piana (130 mila); Gianfelice Rocca dei gruppi Techint e Humanitas, “uno dei dieci uomini più ricchi del Paese” (100 mila); Alberto Bombassei, gruppo Brembo (100 mila); Davide Serra, leggendario finanziere italo-anglo-caymanense (100 mila), senza dimenticare, con varie pezzature, Antonio D’Amato, Lupo Rattazzi, Banzato, Arvedi, Garavoglia, Merloni, Brachetti Peretti, Cornetto Bourlot e Pietro Salini (quello del Ponte sullo Stretto e tante altre belle cose).

Alcuni avevano già creduto nell’uomo sòla al comando, cioè in B., con i risultati a tutti noti, per poi buttare i loro soldi nei migliori Titanic della nuova politica: Scelta (poi Sciolta) Civica montiana, il Pd renziano, l’Italia Futura montezemoliana e – dulcis in fundo – i due statisti del “polo della serietà” che ora si danno – comprensibilmente – del “pazzo che ha sbagliato il dosaggio delle pillole” e del “mitomane che prova a darci la fregatura”. Tutti casi di “circonvenzione di capaci”, per dirla col loro collega Gianni Agnelli, che coniò la battuta per l’amico Cesare Romiti che s’era fatto convincere a staccare cospicui assegni a Ferdinando Adornato per la catastrofica avventura di Liberal. Ecco: se l’Italia è ridotta così lo dobbiamo anche e soprattutto a loro, a questi lucidi e lungimiranti “uomini del fare” specializzati nel disfare buoni governi (rarissimi, tipo il Prodi-1 e il Conte-2) con la potenza di fuoco di Confindustria e dei suoi giornaloni, per rifilarci patacche epocali che esistono solo nella loro fantasia e nel loro conto in banca: la Rivoluzione Liberale di B., l’Agenda Monti, la Grande Riforma Renzi, l’Agenda Draghi, senza dimenticare l’innamoramento momentaneo per Salvini in funzione anti-5Stelle e ultimamente il Grande Centro del Terzo Pelo. Ora che ne hanno persi due in un colpo solo, attendiamo con ansia che trovino il nuovo spirito guida. Visto il progressivo scadimento degli obiettivi (da B. a Ollio e Ollio), non ci stupiremmo se fosse un totano. O un calamaro.




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16/04/2023
Le innocenti evasioni

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Ci eravamo appena ripresi dalle risate per il cabaret di Wanno Calenda&Mago do Rinascimiento quand’ecco un altro classico dell’avanspettacolo: lo scaricabarile sull’evasione di Artem Uss, oligarca putiniano arrestato a Malpensa su ordine Usa, spedito ai domiciliari in una megavilla con braccialetto elettronico senza Gps (una cavigliera giocattolo trovata nell’uovo di Pasqua) e fuggito su un’auto slovena in ex Jugoslavia e poi a Mosca sotto il naso del governo favorito al premio Cameriere Atlantista dell’Anno. Il tutto all’insaputa dei Servizi, anch’essi di provata fede yankee grazie alla cura Draghi che li disinfestò dalle quinte colonne putiniste-trumpiane-cinesi infiltrate da Conte. Così almeno garantivano i cantori dei Migliori quando Super Mario cacciò il capo del Dis Gennaro Vecchione che, in combutta col suo mandante Giuseppov, aveva trasformato l’Italia in “ventre molle della Nato” e “paradiso delle spie russe”. Il risultato della svolta atlantista si vide subito: l’arresto del capitano di fregata Walter Biot da Pomezia, la spia che venne dall’Agro Romano, catturato a Spinaceto mentre vendeva terribili segreti Nato a due russi in cambio di 5 mila euro in una scatola da scarpe per pagarsi il mutuo e le medicine, poi condannato a 30 anni.

Sgomenti nello scoprire che in Italia ci sono spie russe, i segugi dell’atlantismo de noantri spiegarono la sorprendente circostanza col fatto che fino a poco prima c’era il governo Conte. Iacoboni (Stampa): “Da almeno tre anni, quelli che ci separano dal trionfo dei due partiti populisti e filorussi, l’Italia è diventata terra di pascolo di spie russe… Lo spionaggio russo in Italia si è intensificato nell’anno del governo Lega-5S e ha avuto un punto di svolta ulteriore nei controversi marzo e aprile 2020” (sic) con “la missione degli ‘aiuti russi’ per il Covid”. Già, perché i famigerati 32 medici inviati da Putin all’ospedale di Bergamo erano spie, anche se il Copasir l’ha escluso e nessuno dei nostri Le Carré ha mai spiegato che minchia spiassero a Bergamo (dissero il Covid, che però mieteva vittime anche in Russia; dissero la base Nato di Ghedi, che però è a Brescia; dissero la base Nato di Amendola, che però è in Puglia). “Militari che scorrazzavano in Italia, convocati dal nostro governo con Di Maio a fare da dama di compagnia”, ironizzò l’umorista Mattia Feltri. Rep rincarò: “Il governo populista ha reso il Paese anello debole della Nato”. Paolo Guzzanti in Mitrokhin e Claudia Fusani in Pio Pompa confermarono con sapidi dettagli. Poi il cambio di governo e 007 ci riportò in Occidente. Ora resta da spiegare la fuga di Uss, ma qualcosa s’inventeranno. Tre le ipotesi più accreditate: la Wagner; l’orso Jj4; e Conte alla guida dell’auto slovena.




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17/04/2023
Ma mi faccia il piacere

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Slurp/1. “L’ex braccio destro di Mario Draghi, Antonio Funiciello, rivela nel suo libro ‘Leader per forza’ come il premier riuscì a far passare la sua proposta di assegnare all’Ucraina lo status di ‘candidato membro dell’Ue’ nel viaggio in treno a Kiev con Macron e Scholz. Tacendo per 40 minuti. E lasciando che gli altri due, prima scettici, discutendo con Zelensky arrivassero a credere che era una loro idea” (Sebastiano Messina, Repubblica, 7.4). Con la sola forza del pensiero.

Slurp/2. “Ancora una volta ha sorpreso tutti con un colpo geniale. In bocca al lupo a Matteo Renzi, nuovo direttore de il Riformista, un foglio arancione che leggo da quando è nato” (Luciano Nobili, consigliere regionale Iv del Lazio, Twitter, 5.4). E si vede pure.

Slurp/3. “Renzi stavolta non c’entra niente: si è messo da parte con umiltà” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, Corriere della sera, 12.4).

Autopompa. “Romeo editore allarma l’establishment. L’offensiva guidata da Travaglio”, “Travaglio e i ‘giornaloni’ furiosi con Romeo editore”, “Caro Romeo, hai fatto arrabbiare tutti…” (Piero Sansonetti, direttore uscente del Riformista edito da Romeo e direttore entrante dell’Unità edita da Romeo, Riformista, 8 e 13.4). Uahahahahahah.

Il ciclostile. “Il Riformista sarà letto da una parte della maggioranza, il centrodestra riformista, e dall’area Pd che non si riconosce nella Schlein” (Matteo Renzi, senatore Iv, 6.4). Quindi da due persone, ma non da lui.

Mix. “Se Renzi vuol fare questo, auguri. Ma non mischi il Riformista col Terzo Polo” (Carlo Calenda, Stampa, 7.4). Come si dice in Sicilia: il nulla mischiato col niente.

Faccia da perno. “Meloni può essere il perno del dialogo per cercare stabilità in Medio Oriente” (Guido Crosetto, ministro FdI della Difesa, Stampa, 9.4). Ma pure nel resto della galassia.

Succhiatori di lingue. “Il Dalai Lama nelle fauci della setta pornopuritana. Basterebbe rileggere il Vangelo, e riderci su: ‘Sinite parvulos’” (Giuliano Ferrara, Foglio, 12.4). Sì, ma Gesù disse “Lasciate che i bambini vengano a me”, non “che mi succhino la lingua”.

Papi. “C’è il padre a fianco di Fascina: Orazio, l’ex cancelliere che Berlusconi chiama ‘papà’” (Corriere della sera, 11.4). “Ciao papà”. “Ciao Papi”.

Vicepapi. “Parrebbe che Bergoglio sia interessato soprattutto alla povertà, alla natura, alle migrazioni, alla condanna di ogni guerra, alla solidarietà, insomma un Bergoglio da ‘Fuocoammare’. Forse c’è poco assoluto” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 11.4). Un papa che fa il papa, dove andremo finire.

Peli superflui. “Ho questa impressione: che se me ne vado, ai dirigenti del Pd di Schlein faccio un favore” (Andrea Marcucci, ex senatore renziano Pd, Repubblica, 11.4). Io invece ho l’impressione che non se ne accorge nessuno.

Giuristi. “‘Processate Fontana!’. E che importa se era stato prosciolto” (Tiziana Maiolo, Riformista, 4.4). Si chiama ricorso in appello.

Riflessi pronti. “Non mi fido più, è impossibile avere due galli in un pollaio. Calenda è l’uomo dei voltafaccia, Renzi pare noncurante” (Emma Bonino, leader +Europa, Repubblica, 15.4). La notizia è che prima si fidava.

Gualniente. “Tressette-gate in Campidoglio: Gualtieri pizzicato mentre gioca online sul telefonino in Consiglio comunale” (Repubblica, 15.4). E poi dicono che non fa niente.

Il Ballista della Sera. “Draghi aveva dovuto riscrivere a tempo di record il piano preparato in modo abborracciato dal governo del grillino Conte” (Massimo Franco, Corriere della sera, 4.4). Questo nella fantasia dei trombettieri. Nella realtà: il governo del grillino Conte (che ai 5Stelle non era neppure iscritto) fu rovesciato proprio mentre stava scrivendo il Pnrr d’intesa con la task force dell’Ue (von der Leyen dichiarò più volte che non c’erano né problemi né ritardi) e proprio per impedirgli di completarlo. Draghi copiò l’80% già scritto e aggiunse un 20% peggiorativo: le parti ora contestate dall’Ue portano la sua firma.

Il titolo della settimana/1. “Chi paga meglio ha meno problemi nel trovare lavoratori” (Europa Today, 7.4). Ma non mi dire.

Il titolo della settimana/2. “Cospito h ricominciato a mangiare: ‘Ma non dice che lo sciopero è sospeso’” (Corriere della sera, 13.4). Ora è a dieta.

Il titolo della settimana/3. “Immigrata e con precedenti. E’ caccia all’orsa killer ‘Jj4’” (Giornale, 13.4). Pronta la candidatura in Forza Italia.

Il titolo della settimana/4. “L’Azov torna in campo: gli eroi dell’acciaieria addestrano i miliziani” (Messaggero, 11.4). Quanto arrapano questi nazi.

Il titolo della settimana/5. “I gay stanno con il Centrodestra” (Libero, 5.4). E i froci col centrosinistra.

Il titolo della settimana/6. “Renzi: ‘La Leopolda non si tocca’” (Messaggero, 15.4). Spiace per lei. Non sa cosa si perde.




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18/04/2023
Revisioni del tempo

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Primavera, cambio di stagione. L’ultima moda è la revisione dei pochi processi che la macchina trita-acqua chiamata Giustizia è riuscita a chiudere prima della prescrizione. Un procuratore che ha visto troppe Iene assicura che Rosa e Olindo, rei confessi per la strage di Erba, siano innocenti perché – fra l’altro – prima negavano tutto: quindi ai colpevoli, per essere assolti, basta negare. Ed è un vero peccato che Riina e Provenzano siano morti: avendo sempre negato di sapere cos’è la mafia, avrebbero avuto il sacrosanto diritto alla revisione di tutti gli ergastoli. Ma siamo in tempo a liberare Graviano e Messina Denaro e ad assolvere altri pregiudicati che si dicono da sempre innocenti, tipo Fioravanti e Mambro per la strage di Bologna, Sofri e Pietrostefani per l’omicidio Calabresi… Intanto Moggi, radiato dalla giustizia sportiva, condannato in primo e secondo grado e salvato dalla prescrizione in Cassazione per Calciopoli, ricicla a Report le solite intercettazioni altrui (note a tutti da 18 anni) per dimostrare che, siccome frodavano anche gli altri, lui non frodava: peccato che con la Juve siano stati sanzionati anche Milan, Fiorentina, Lazio, Arezzo, Reggina e i loro dirigenti.

Da quando l’informazione naviga sul web e non racconta più i fatti, ma colleziona clic e fan, le sentenze definitive diventano provvisorie. E si sfruttano le frustrazioni di parenti e amici delle vittime per riesumare mediaticamente le salme, in un eterno presente che non ammette verdetti sgraditi. Pantani non poteva essere dopato e non può esser morto di droga: dev’esserci qualcosa sotto. Pasolini non può essere stato ucciso da un ragazzo di vita: dev’esserci qualcuno dietro. Poi ci sono i casi irrisolti, come il sequestro di Emanuela Orlandi. I depistaggi sono stati mostruosi, anche in Vaticano, almeno quanto gli errori della Procura di Roma. E noi tifiamo da sempre per il tenace e irriducibile fratello Pietro, che da 40 anni tiene viva l’attenzione dei media in cerca di verità e giustizia. Ma il peggior modo per ottenerle è sparare a casaccio. Qualcuno gli ha detto che “papa Wojtyla se ne usciva la sera con due amici monsignori polacchi e non andava certo a benedire le case”, ma a rimorchiare ragazzine? Riveli ai giudici vaticani (non in tv) chi è stato, invece di tenerlo per sé, affinché si possa indagare. Se invece è soltanto una voce, avrebbe fatto meglio a tacerla, perché è talmente enorme che può screditare l’intera indagine: ammesso e non concesso che Giovanni Paolo II fosse il nuovo papa Borgia, è improbabile che il personaggio più noto al mondo andasse per minorenni senza che nessuno lo vedesse, lo fotografasse o almeno ne parlasse. Specie a Roma, dove i segreti durano quanto un gatto in tangenziale.




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ELLY, TI PRESENTO SALVO

l'editoriale di Marco Travaglio

19 aprile 2023

Fortuna che si è riposata un po’, perché al rientro a Roma Elly Schlein ha avuto il suo daffare. Non a rispondere sull’inceneritore di Roma. Ma a cenare nell’attico ai Parioli di Claudio Baglioni con quasi tutto il meglio del cinema, della canzone e della tv. Nulla di scandaloso o di strano. Aveva già detto tutto Ennio Flaiano col suo immortale marziano Kunt: appena un alieno atterra nella Capitale, viene ricevuto, coccolato, riverito, sbaciucchiato, fagocitato, attovagliato, insalottito, interrazzato dalla Roma che conta. Poi inizia ad annoiare, da guest star diventa soprammobile, finisce spernacchiato o peggio ignorato e se ne riparte in astronave nell’indifferenza generale. È accaduto a Bossi, Monti, Renzi, Boschi, Salvini, Di Maio. Vediamo quanto impiegherà Elly. La vera notizia della cena in piedi, svelata dal Foglio e arricchita di dettagli da Dagospia, non è neppure la presenza di Franceschini e gentil consorte. Ma quella di Salvo Nastasi, un collezionista di cadreghe da far impallidire Poltrone e Sofà.

Barese, figlio di un funzionario di Bankitalia e di una giudice della Corte dei Conti, marito di Giulia Minoli (figlia di Giovanni Minoli e Matilde Bernabei), funzionario del ministero dei Beni culturali dal 2000, ne è stato ora segretario generale, ora capo di gabinetto, ora entrambe le cose insieme, con delega allo spettacolo dal vivo che non se n’è ancora riavuto; ma pure nei Cda del Petruzzelli di Bari e della Treccani; commissario al Maggio Musicale Fiorentino, al San Carlo di Napoli, all’Arena di Verona e alla bonifica ambientale di Bagnoli (tutto vero!); presidente dell’Accademia nazionale d’arte drammatica; vicepresidente e poi presidente della Siae, suo ultimo domicilio conosciuto. E tutto questo malgrado Salvo fosse rutelliano ai tempi di Rutelli, berlusconiano e cocco di Gianni Letta e Bisignani ai tempi di B., montiano ai tempi di Monti, renziano ai tempi di Renzi (che se lo portò a Palazzo Chigi come vicesegretario generale), franceschiniano con Franceschini nel Conte-2 e draghiano quando Dario passò a Draghi. Curriculum perfetto per i sugheroni galleggianti in tutti i regimi e vincenti su tutti i tavoli. Un po’ meno per la grande rivoluzione promessa da Elly. Torna in mente una vignetta di Forattini su Andreotti nel 1992, dopo gli omicidi di Lima e Salvo: “Salvo Lima. Ignazio Salvo. Salvo comunque”.

Ps. Oggi inizia a Perugia il Festival del Pensiero Unico, già Festival del Giornalismo che contribuimmo a tenere a battesimo nel 2006 e si era sempre avvalso delle firme del Fatto. Quest’anno non ci hanno invitati con scuse puerili: basta leggere il programma per capire che non c’è spazio per i pacifisti. Presto organizzeremo un’iniziativa per i lettori umbri.

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20/04/2023
Armarsi un po’

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Noi simpatizzanti di Elly Schlein abbiamo ascoltato con religiosa attenzione la sua prima conferenza stampa. Finora non avevamo colto la differenza fra il suo Pd, quello di Letta tracollato alle elezioni e quello che avrebbe messo su Bonaccini. Ma non siamo siamo rimasti delusi. Schlein è favorevole al Pnrr: “Non possiamo mancare l’appuntamento, tifiamo per l’Italia”. Parole sante. È antifascista e giudica il 25 Aprile “una “celebrazione importante e sentita”. Un libro stampato. Invece è contraria al dl Cutro, “peggio dei decreti Salvini”. Perbacco. E la sanità, come la vuole? “Pubblica” (infatti l’Emilia-Romagna da lei viceamministrata fino all’altroieri foraggia i privati). La “guerra ai poveri” del governo contro il Rdc è deplorevole: “uno spezzatino”. Brutta anche “la precarietà”. E l’utero in affitto? “Personalmente sono favorevole, ma non l’abbiamo inserito nella mozione perché c’è una piena disponibilità al confronto con tutti i femminismi e tutte le associazioni che vogliono confrontarsi”. Con quelle che non vogliono, niente confronto.

Elly è anche favorevole, nell’ordine, a: “giustizia sociale, salario minimo, riscatto della dignità del lavoro, battaglie legate all’emergenza climatica”. A proposito: chi attendeva una parola chiara sull’inceneritore di Roma, specie ora che la giunta Pd di Livorno lo chiude perché ciuccia troppa acqua, è stato soddisfatto: “Siccome esistono sensibilità diverse nel partito, mi impegno a promuovere un confronto” (sempre con chi vuole confrontarsi). Sì, ma qual è la sua sensibilità non di passante, ma di segretaria del Pd? “Ereditiamo scelte già fatte e non è sul terreno delle scelte già fatte che si misura come noi proviamo a costruire ciò che c’è nella piattaforma congressuale”. E lei come giudica le scelte già fatte, visto che può disfarle votando gli ordini del giorno di M5S e Avs? “Non li ho visti, ma immagino che voteremo contro”. Non li ha visti, ma immagina. E le armi per l’escalation in Ucraina? Dài che qui arriva una bella svolta rispetto alla linea Letta-Bonaccini: “Abbiamo votato (il decreto Meloni, ndr) confermando il supporto al popolo ucraino. L’ho confermato ieri all’ambasciatore. Nel nostro gruppo c’è chi ha votato diversamente, ma non ho visto cambiamenti”. Neppure noi, ma è solo un’impressione. Invece sul riarmo al 2% del Pil è “molto perplessa”: gliele canta chiare. Poi sfodera tutto il suo empito ambientalista con una difesa appassionata di mamma orsa: “Saranno le autorità preposte a decidere cosa fare. Sono molto attenta a capire il perché della sentenza del Tar”. E qui il nostro cuore sussulta e si surriscalda come non accadeva dall’ultima tribuna politica di Forlani: lo spericolato uno-due fra “autorità preposte” e “Tar” è da pelle d’oca.




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21/04/2023
Je suis Lolló

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Combattenti di terra, di mare, dell’aria; fondi neri della rivoluzione e dei condoni; fratelli e sorelle d’Italia, cognati dell’Impero di Melonia e del Regno di Lollobrigidia; ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori del Fatto Quotidiano. Scendiamo in campo contro la vignetta plutocratica e reazionaria di Natangelo! La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace senza satira all’Italia, all’Europa, al mondo”. Seguono i dispacci del Signor Presidente del Consiglio, delle Loro Eccellenze il Presidente del Senato, il Ministro della Cultura e la Pregiudicata Montaruli, degli oppositori di Sua Maestà Calenda, Renzi, Boschi, Serracchiani, Malpezzi, Morani, Fornaro, il patriottico sdegno dei fucilieri del Minculpop.

Anche stavolta Natangelo è riuscito a provocare reazioni ancor più comiche (ma rivelatrici) della sua vignetta. La satira pretende intelligenza sia da chi la fa sia da chi ne fruisce. E chi non capisce una battuta – o finge, dimenticando tartufescamente le nipoti di Mubarak, le cene eleganti, le patate bollenti e le tirate contro la “dittatura del politicamente corretto” – ne moltiplica l’effetto. Il trust di cervelli che sgoverna l’Italia o finge di opporsi si straccia le vesti per una presunta “vignetta sessista contro Arianna Meloni”, sorella della premier e moglie del ministro Lollobrigida. Ma il bersaglio era il marito, il Cognato d’Italia, preso in castagna – come solo il linguaggio satirico può fare – su ben quattro circostanze: essere ministro per motivi famigliari; essersi infilato, come la prima gallina che canta, nelle maldicenze sul vero padre del figlio di una sorella d’Italia (quando avvertì i giornalisti: “Vediamo chi sarà il primo a farne il nome”); essere l’autore della sparata sul figliare contro la “sostituzione etnica”; appartenere a una (in)cultura ossessionata dall’uomo nero che ci ruba il lavoro, la roba e le donne (tutt’uno con la roba). Se il maschio nel letto fosse stato bianco anziché nero, lo sdegno si sarebbe almeno dimezzato. Ma “la satira è un punto di vista con un po’ di memoria per liberare le persone dai pregiudizi imposti dai marketing politici, culturali, economici e religiosi” (Luttazzi). E svela il punto di vista sia dell’autore sia del lettore. Infatti la figura positiva della vignetta, la moglie, viene scambiata per vittima da chi pensa che il gallo italico sia un playboy da invidiare e la donna che gli rende pan per focaccia (con un “negro”, poi) sia una p*****a. Una volta si diceva: “Se non lo capisci, ti faccio un disegno”. Ma questi non capiscono neppure i disegni: d’ora in poi solo vignette con la didascalia.




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22/04/2024
Tengo famiglia

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Quante cose ha svelato Natangelo in 6×5,5 cm di vignetta: lo stato comatoso del governo, della maggioranza, della cosiddetta opposizione di centro e presunta sinistra, ma soprattutto della fu informazione.

Giorgia Meloni scambia la sorella per il bersaglio della vignetta e per una piccola fiammiferaia senza rilievo pubblico, mentre da mesi l’Arianna troneggia sui media in quanto prima consigliera della premier e moglie del ministro-cognato Lollobrigida. Denuncia il “silenzio assordante” assordata dalla canea che si leva tutt’intorno contro il vignettista e il Fatto. Dimentica i suoi tweet per la libertà di satira: “Ezio Greggio… smonta la deriva politicamente corretta che vorrebbe mettere il bavaglio sulla comicità. Viva la libertà di satira” (29.5.2021). “I fanatici del politicamente corretto come al solito non gradiscono la comicità libera e partono all’attacco di Checco Zalone, con esponenti politici che chiedono le scuse o che venga ‘corretto il tiro’ della sua satira. Che tristezza. Viva Zalone e la comicità libera e pungente (23.2.2022). E proclama, pancia indentro e petto infuori, che “se qualcuno pensa di fermarci così, sbaglia di grosso”, come se qualcuno avesse mai pensato di fermare chicchessia con una vignetta. Come può uno scoglio arginare il Lollo.

Calderoli, il lord Brummel di Bergamo Bassa, mi dà un consiglio: “Prima di pubblicare una vignetta, guardala e chiediti perché dovrebbe essere pubblicata. Se la condividi, poi ne diventi responsabile. Io forse non capisco le battute, come dice lui, ma lui sicuramente non capisce la volgarità né il suo limite”. In effetti il ministro che diede dell’“orango” a Cécile Kyenge ed esibì al Tg1 una t-shirt con stampata una vignetta contro Maometto scatenando una rivolta islamica al consolato italiano di Bengasi con 11 morti e 25 feriti e dovendosi poi dimettere, ero io. Ma giuro che non lo faccio più.

Renzi, parlandone da vivo, commenta nel suo italiano malfermo (è madrelingua saudita): “Non è solo una vignetta ma un clima per cui se fai politica puoi essere mostrificato anche nella tua sfera privata, per cui la cultura del sospetto è il filo conduttore di presunti opinionisti televisivi, per cui si scambia la satira con l’odio”. Per cui se fai ammazzare e dissecare con la sega circolare un giornalista dissidente sei un principe del Rinascimento e un impareggiabile finanziatore, se invece fai una vignetta è “odio”.

Per cui la Boschi dice al Giornale: “Non mi rassegno allo stile Travaglio”, da sempre “misogino”. Ma questa è satira, come la frase di Osho: “La satira dev’essere libera, senza paletti, ma in questo caso si è esagerato”. Ergo i paletti esistono. Li decide lui, previo consulto con la famiglia Meloni.

Peggio dei politici sono solo i giornalisti. Il presidente dell’Ordine Carlo Bertoli deplora la “pessima giornata per l’informazione” per “una vignetta del Fatto in cui il diritto di satira cede il posto a un contenuto sessista e disgustoso”. Il presidente dell’Ordine dei Censori non avrebbe detto meglio.

Sulla Stampa, il satirista per mancanza di prove Luca Bottura sostiene Natangelo come la corda sostiene l’impiccato: la vignetta è “disgustosa”, “può legittimamente apparire greve, irricevibile, sessista, ecc.”, però è “permessa”. Com’è umano, lui.

Sansonetti, sul Riformatorio, dà “piena solidarietà alla signora Arianna Meloni” contro la vignetta che “pare fascista”, nello “stile di Farinacci”, che però non faceva vignette. Un caso umano.

Sul Corriere, Monica Guerzoni è sconvolta: la vignetta “entra nella casa e nella vita privata di Lollobrigida e di sua moglie” perché Natangelo ci ha messo “tanto di nome”: e figurarsi se non ce l’avesse messo, visto che questi non capiscono le battute neppure se ce lo metti. Segue la lezione di “deontologia professionale” e la richiesta di “scuse” da una che pubblicò la falsa lista dei “putiniani d’Italia” con tanto di nomi e foto segnaletiche, inventandosene 6 su 11 e senza rettificare né scusarsi.

Sul Messaggero, il caltagirino Mario Ajello è tutto accaldato: “Non è satira, è barbarie, brutalità ideologica”. Povero papà Nello, quanti libri di storia del giornalismo e della satira scritti invano.

Su La7, Mentana fa il Mentana: “Dovremmo anche parlare di quello che ha monopolizzato di più, nei corridoi dei palazzi della politica, l’attenzione di maggioranza e opposizione: una vignetta pubblicata dal Fatto sulla vicenda Lollobrigida e la sostituzione etnica, con implicazioni che riguardano la vita privata di persone non politiche. Non vogliamo mostrarla… per non scendere al livello molto basso sia della vignetta sia dei commenti e proteste che poco hanno a che fare con la politica nel senso più alto. Scusate se sembra uno slalom rispetto al problema: è una brutta vignetta, è giusto non farla vedere”. Siccome non vale la pena di parlarne, ne parla. E siccome non gli piace, non la mostra così nessuno capisce se è bella o brutta. Però sono brutte anche le reazioni. Brutti i censori e brutto il censurato. Come chi assiste a un linciaggio e rimane neutrale perché il linciato porta una brutta cravatta.

Marco Damilano, il vispo ex direttore dell’Espresso che sbatté in copertina la foto ritoccata della Raggi per imbruttirla e invecchiarla, ora è su Rai3 e solidarizza con la povera Arianna vittima di una “logica tribale”. Qualunque cosa significhi, una leccatina ai nuovi padroni della Rai può sempre servire. Il sederino è salvo, la dignità uno non se la può dare.




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23/04/2023
2 assessori 2 misure

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Monica Lucarelli, assessore a Roma, è indagata per corruzione (favori al clan Tredicine in cambio di doni) e turbativa d’asta (mercato dei fiori). Ma dice che i regali erano vini poco pregiati e il sindaco Gualtieri (Pd) se la tiene. Tanto la notizia non la conosce quasi nessuno: i giornaloni la confinano nelle cronache locali. E sarebbe tutto giusto così se sette anni fa un caso simile, ma molto meno grave, non avesse intasato per mesi le prime pagine: quello di Paola Muraro, fra i massimi esperti europei di rifiuti, consulente Ama dal 2004 (sotto Veltroni, Alemanno e Marino), nominata all’Ambiente da Raggi (M5S) il 7.7. 2016. Da quel preciso istante Muraro diventa una criminale matricolata sia per i media sia per la Procura, che apre un’inchiesta sui suoi 12 anni di consulenze, fino ad allora insospettate. Si scopre addirittura che per lavorare si faceva pagare: “Conflitto d’interessi”, strillano Messaggero, Repubblica e Corriere, come se la Muraro non avesse abbandonato tutte le consulenze, a Roma e altrove, rimettendoci un sacco di soldi.

Ai primi di agosto, giornaloni e social targati Pd iniziano a dire che è indagata: i pm “rivalutano” tre vecchie telefonate con Salvatore Buzzi, intercettate nell’inchiesta Mondo di Mezzo e ritenute irrilevanti. I pm precisano che con Mafia Capitale non c’entra nulla, ma per tutta l’estate i giornaloni le dedicano più pagine che al duello Trump-Clinton per la Casa Bianca. Messaggero: “4 inchieste sui rifiuti: si accelera su Muraro”. Corriere, più modesto: “3 filoni d’indagine e la sensazione che la sua posizione potrebbe cambiare” (giornalismo sensitivo, medianico). Rep: “L’asse Muraro-Panzironi (ex ad di Ama, ndr)… Uno stillicidio di episodi non penalmente rilevanti”, su cui dunque indagano i pm. Tipo quando “Muraro e Panzironi parlano dell’impianto di trattamento rifiuti”. Una consulente sui rifiuti consultata sui rifiuti: roba da ergastolo. Siccome Rep è contro il sessismo, le affibbia pure una liaison con un dirigente. Renzi, noto garantista, dice che “la Raggi ha consegnato i rifiuti a Mafia Capitale”. Il 5.9 la Muraro annuncia di esser indagata per infrazione al testo Unico Ambientale (multa fino a 250 euro) sui quantitativi di rifiuti smaltiti a Rocca Cencia e di aver informato Raggi, Taverna e, via mail, Di Maio. Il quale dice di non aver letto la mail. Tg e giornali bombardano per giorni: “Di Maio sapeva, mente, si dimetta”, “Raggi sapeva, mente, si dimetta”. Il 13.12 la Muraro riceve l’avviso di garanzia e si dimette. Come per incanto i suoi reati spariscono, l’indagine (una, non quattro) viene archiviata e i giornaloni iniziano a intervistarla sugli errori della Raggi in tema di rifiuti. Poi arriva Gualtieri e non si dimette più nessuno. Tranne i giornalisti.




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24/04/2023
Ma mi faccia il piacere

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Santa Palomba caput mundi. “Nella sua prima conferenza stampa, Schlein è apparsa involuta sul punto cruciale, che oggi non è l’Ucraina, ma appunto l’inceneritore capitolino” (Stefano Folli, Repubblica, 20.4). Giusto: inviamo le armi all’Acea.

Il solito bulimico. “Tanti soldi, anzi troppi. La matassa dei fondi che ora resta da sbrogliare”, “I finanziamenti chiesti da Conte già eccessivi per il governo Draghi”. “Conte non ha tenuto conto della storica incapacità del sistema nazionale di utilizzare appieno i finanziamenti Ue. Ecco il baco: la bulimia del premier grillino” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 22.4). Nel luglio 2020, quando strappò all’Ue 209 miliardi di Pnrr per il suo Paese, Conte doveva prevedere che l’avrebbero rovesciato per farli spendere a Draghi e poi a Meloni e che questi non ci sarebbero neppure riusciti. Si vergogni.

Lo zanzarologo. “L’ho detto nella “variante parenzo” di Radio24 news di oggi e in più occasioni: le ‘vignette’ del Fatto non fanno ridere! Farebbero bene ad abbandonare il tentativo di fare satira e dovrebbero dedicarsi solo alle manette. Solidarietà alla Famiglia Francesco Lollobrigida” (David Parenzo, Twitter, 21.4). Minchia, l’ha detto nella “variante parenzo” e in più occasioni: e adesso come facciamo?

Nulletta. “Cnel è un’etichetta sotto cui non c’è nulla di importante” (Renato Brunetta, deputato FI, 23.9.2016). Infatti adesso lì sotto c’è il neopresidente Renato Brunetta.

47 muto che parla. “L’assenza è presenza. Le pause di Schlein e i nodi irrisolti che spiazzano il Pd” (Stefano Cappellini, Repubblica, 17.4). “E ho detto tutto” (Peppino de Filippo, Totò Peppino e la malafemmina, 1956).

Ignazio, la Carta! “L’antifascismo non è nella Costituzione” (Ignazio La Russa, presidente FdI del Senato, Repubblica, 21.4). È arrivato a pagina 3 e non ha capito le prime due.

Dipende. “Ancora discutiamo su cosa fare di una belva che ha ucciso un uomo?” (rag. Claudio Cerasa, Foglio,22.4). Invece gli uomini che fanno uccidere altri uomini scrivono sul Foglio.

Entrate. “Stoltenberg: ‘Il futuro dell’Ucraina è entrare nella Nato’” (manifesto, 21.4). Nell’attesa, la Nato è entrata in Ucraina.

Solo. “Contrordine: Palamara non è corrotto. L’ex capo dell’Anm patteggia: resta solo il traffico d’influenze. Tornerà pm?” (Dubbio, 19.4). Così potrà processare gli altri per traffico d’influenze.

Abracadabra. “Stiamo sparendo. I dati li confermano” (Filippo Facci, Libero, 20.4). Vista la firma, non è poi una gran tragedia.

Il Premier Orologiaio. “’Parlando di leadership – dice Funiciello – Draghi spiazzava. Un giorno, senza guardarmi, mi fece notare che gli orologi di Palazzo Chigi erano rotti. Poi sono stati riparati. La sua era una capacità di guardare qualcosa da uno sguardo inedito. L’ha fatto sempre’… ‘A Palazzo Chigi – aggiunge Veltroni – gli orologi non funzionano per via della difficoltà di decidere e di un sistema in crisi’” (presentazione dell’ultimo libro di Antonio Funiciello, già capo di gabinetto di Gentiloni e Draghi, Messaggero, 18.4). Quando c’era Lui, gli orologi arrivavano in orario.

I Giornalisti Antennisti. “Duecento antenne sospette sui tetti delle ambasciate russe in Europa: così Mosca sorveglia tutti i paesi europei con lo spionaggio elettronico” (Jacopo Iacoboni, Twitter, 18.4). “Centinaia di antenne sui tetti delle ambasciate. Così gli 007 di Mosca spiano le capitali europee” (Corriere della sera, 21.4). “Così le antenne di Putin spiano Europa e Nato dai tetti delle ambasciate” (Messaggero, 21.4). E non hanno ancora aperto il dossier spazzacamini.

In galera! “Augusta Montaruli (FdI): ‘Basta scarcerazioni facili’” (Libero, 22.4). In effetti, con una condanna definitiva a 18 mesi per peculato, lei è a piede libero.

Il terzo Grasso. “Calenda non ha fiuto politico, è litigioso, un twittarolo compulsivo, mentre Renzi ha strategia e visione, ma è troppo impaziente” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 16.4). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/1. “Reddito di gravidanza. Niente tasse a chi fa figli” (Giornale, 20.4). Poi dicono che la destra è allergica alla satira.

Il titolo della settimana/2. “Cospito ha interrotto lo sciopero della fame” (manifesto, 20.4). Mo’ me lo segno.

I titoli della settimana/3. “Schlein, radicale ma prudente” (Daniela Preziosi, Domani, 20.4). “Movimentismo e responsabilità: Elly costruisce il nuovo Pd” (Francesca Schianchi, Stampa, 20.4). Cannibale, ma vegana.

Il titolo della settimana/4. “Lollobrigida non si scusa: ‘Sono ignorante, non razzista’” (Stampa, 20.4). Sono soddisfazioni.

Il titolo della settimana/5. “Messaggio a Pechino: le navi militari italiane in rotta per il Pacifico. La richiesta venuta dagli Usa per dissuadere la Cina dalle velleità di invadere Taiwan” (Repubblica, 22.4). Pare che Xi Jinping abbia fatto testamento.

Il titolo della settimana/6. “Giusto ricordare i fratelli Mattei, ma la destra non dimentichi i fratelli Cervi” (Luigi Manconi, Stampa, 18.4). Ma pure le sorelle Bandiera.




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25/04/2023
Il caso Di Mario

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Il Partito Preso non riesce proprio a trattare il caso Di Maio per quello che è, avendo trascorso gli ultimi 14 anni a scomunicare i 5Stelle senza comprenderli, accecato dal pregiudizio universale. Chiunque ha visto all’opera Di Maio sa che è fin troppo sveglio, con una gran capacità di imparare e migliorare. È stato un buon leader M5S, un buon vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo nel Conte-1, un buon ministro degli Esteri nel Conte-2 e nel Draghi. Buono non vuol dire condivisibile: il suo atlantismo acritico, identico a quello di Draghi, Mattarella, Letta&C., non ci piace. Ma sulla professionalità niente da dire: altro che “bibitaro”, come lo chiamavano i classisti e i razzisti incapaci di riconoscere i meriti dei 5Stelle e convinti che la politica sia un’esclusiva per figli di papà e rampolli di una dozzina di dynasty.

Ora, qualunque cosa dovrà fare nel Golfo, Di Maio la farà con abilità. Ma nelle cancellerie e diplomazie europee ci sono centinaia di figure che potevano farlo. Perché hanno scelto proprio lui, dopo lo 0,6% dei voti al suo partitucolo? Perché il sistema mafioso chiamato “politica” doveva premiare la sua fedeltà canina ai padroni italiani ed esteri. Guai se chi si immola per l’establishment finisse sul lastrico: nessun altro sarebbe disposto all’estremo sacrificio. Un anno fa Di Maio fu incaricato di far fuori Conte, unico ostacolo superstite alla normalizzazione draghiana del sistema, già ottenuta con la Lega giorgettiana, FI brunettian-gelminiana, il Pd lettiano, i centrini renzian-calendiani, la finta opposizione meloniana: tanti partiti con nomi diversi e programmi uguali. Prima provò a scalzare Conte da leader del M5S impallinando – con Giorgetti, Guerini, Renzi e Letta – la Belloni sulla via del Colle (lì doveva salire Draghi o restare Mattarella: tertium non datur). Ma, malgrado gli amorevoli consigli di Draghi a Grillo, Conte restò leader. E costrinse il governo a rinviare al 2028 l’aumento della spesa militare al 2% del Pil, promesso alla Nato entro il ’24. Allora Di Maio, con l’avallo dei suoi spiriti guida al Quirinale, a Palazzo Chigi e al Nazareno, scatenò la scissione di 66 parlamentari dai 5Stelle. Si illudeva di rafforzare Draghi e se stesso e di indebolire Conte. Accadde l’opposto. Draghi optò per l’harakiri e incolpò il M5S, convinto – nella sua hybris – che gli elettori avrebbero punito Conte e premiato Di Maio, candidato dal Pd insieme ai suoi fedelissimi. Accadde l’opposto. Punito dal basso, Di Maio viene ora premiato dall’alto: si scrive Borrell, ma si legge Draghi, Quirinale, Nato e vecchio Pd. Ma adesso chi dovrebbe allarmarsi è il nuovo Pd: ove mai Elly Schlein si ricordi chi è e cambi musica, un Di Maio pidino da far esplodere e poi risarcire si trova sempre.




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26/04/2023
La tragedia e la farsa

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Che belle le piazze piene di cittadini, sinceramente grati ai partigiani che donarono la vita per liberarci dal nazifascismo. Ma che noia la retorica ipocrita, stantia e vuota nel Palazzo e sui media, dove ciascuno usa il 25 Aprile per i suoi interessi di bottega. La palma d’oro va al camerata La Russa che, nel giorno dell’antifascismo, ricorda un martire dell’anticomunismo, come se il nazifascismo non l’avesse sconfitto anche l’Urss con 28 milioni di morti; e ai maestrini della penna rossa che danno dei fascisti ai Fratelli d’Italia e pretendono che si dichiarino antifascisti per potersi indignare se non lo fanno o non lo fanno abbastanza (e non è mai abbastanza). Delle due l’una: o credono davvero che Meloni &C. siano le reincarnazioni di Mussolini&C., e allora sono ipocriti, perché sanno benissimo che antifascisti non si diranno mai, a meno di mentire; oppure non lo credono, e allora non si capisce perché pretendano l’abiura, cioè sono due volte ipocriti. Diceva Marx che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Il fascismo fu una cosa terribilmente seria, il che lo rende incompatibile con la destra attuale, che al massimo ne è la parodia. Lo pensavamo quando al Duce veniva paragonato B. (che pure aveva instaurato un regime mediatico-plutocratico) e poi Salvini (più che il nuovo Mussolini, il nuovo Ridolini). E continuiamo a pensarlo anche oggi.

Non che manchino i fascisti o gli aspiranti tali (La Russa non querela chi gli dà del fascista, ma chi non gliene dà). Né le pulsioni autoritarie, peraltro preesistenti: pensiamo al “populismo delle élite” di Draghi fra obblighi vaccinali, discriminazioni sul lavoro e a scuola, insofferenza per i partiti votati dal popolo che disturbavano il “migliore”, autocandidatura al Quirinale per “guidare il convoglio di lì” (Giorgetti dixit), fino all’addio in Senato: “Sono qui oggi in quest’Aula solo perché l’hanno chiesto gli italiani”. Anche negli attacchi alla Costituzione i Fratelli d’Italia arrivano ultimi, dopo B., la Lega e il Pd. Ma oggi, per fortuna, manca il fascismo come ideologia e progetto di società, e manca una maggioranza d’italiani disposta a sottomettersi. Perciò la riesumazione manierista della guerra civile di 80 anni fa suona vuota, finta. Come quando il B. del “Mussolini più grande statista del secolo” che “mandava gli oppositori in vacanza nelle isole”, dopo aver disertato tutti i 25 Aprile della sua vita, si travestì da partigiano a Onna nel 2009 perchè gli era comodo. Una sceneggiata come quelle, opposte ma speculari, del compagno Violante. O della Meloni e dei gemelli atlantisti del Pd e del Centro, che si rivendono i partigiani ai mercanti d’armi per l’escalation in Ucraina e la terza guerra mondiale. Cioè per completare l’opera dei nazifascisti.




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27/04/2023
Un Figliuolo è per sempre

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Pancia indentro e penna infuori, è tornato il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo, già Supercommissario dell’invincibile armata draghiana che spezzò le reni al Covid. Sembra ieri che tentava di vendere l’autoagiografia scritta a quattro mani con Severgnini, o forse a sei con Cutugno: Un italiano. Fu l’ultima impresa sul suolo patrio, dopo l’intrepida campagna vaccinale condotta infilandosi come un cuc**o nel nido di Arcuri, con uniforme piastrellata, piglio ginnico e frasi perentorie da colonnello Buttiglione: “Sono abituato a vincere”, “Svoltiamo”, “Acceleriamo”, “Cambiamo passo”, “Chiudiamo la partita”, “Fuoco a tutte le polveri”, “Non siamo ancora a régime, “Diamo la spallata”, “Stringiamci a coorte” (incurante dell’infausta rima), “Fiato alle trombe” (posseduto da Mike), “Mi affido a Santa Rita”, anzi “alla Madonna del Grappa” (o a una grappa della Madonna). Poi, con la guerra in Ucraina, fu spedito sul fronte ungherese: dal Covid al Covi (Comando Operativo di Vertice Interforze), a fare bau a Putin a debita distanza. Il Foglio l’ha appena candidato a commissario per il Pnrr, che ha giusto bisogno di alpini. Nell’attesa, l’altra sera era a Ciampino a ricevere i 150 italiani fuggiti ai golpisti sudanesi addestrati da noi prima che passassero alla Wagner. L’evacuazione l’ha coordinata lo staff di Tajani. Ma chi ha servito Draghi non può finire nell’ombra, vedi Di Maio. Infatti il merito va tutto a Figliuolo. Libero celebra “la trionfale campagna vaccinale da lui presa in mano e rivoltata come un calzino”. Veni, vidi, pedalini. “Un militare che mezzo mondo ci invidia” (l’altro mezzo lo conosce), “da sempre restio ai riflettori” (fotografi e cameraman devono intrufolarsi nei sottoscala, per riprenderlo), “non ha smesso un secondo di lavorare per il suo Paese” e ora ha finalmente avuto ciò che meritava: “È stato citato nei ringraziamenti di Giorgia Meloni”. Sono soddisfazioni.

Il Pindaro del Corriere esalta la “penna bianca (d’oca) sul lato sinistro del cappello” e sulla proverbiale allergia ai riflettori: schivo com’è, tenta di sfuggire ai giornalisti con agile balzo, ma è sopraffatto dalla stanchezza: “Si siede sfinito su una poltrona poggiando sul tavolo il cappello d’alpino”. Con un fil di voce, siccome “è religiosissimo”, “cita papa Francesco”, poi i cronisti gli strappano col forcipe i dettagli dell’eroica “missione ‘via dal Sudan’”: “Non nego che ci sono stati momenti di apprensione… tensione… i sudanesi si erano innervositi… sudavo freddo, ma senza darlo a vedere”. Avrebbe voluto riposare, ma niente, c’era il 25 Aprile: “È andato con la moglie Enza all’Altare della Patria. Poi, forse, ha anche potuto dormire un po’, dopo tante notti in bianco”. Dall’agenzia Stefani è tutto, linea allo studio.




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28/04/2023
Tomo tomo Chicchio chicchio

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Ai mille misteri dell’universo se ne aggiungono due: perché mai Elly Schlein paghi qualcuno per consigliarla di vestirsi così; e con quale microscopio i Fioroni, Marcucci e Borghi appena fuggiti dal “nuovo” Pd vi abbiano intravisto tracce di “massimalismo”. La nuova Anna Kuliscioff s’è finora concessa in tre interviste: non a Terza Internazionale o Lotta comunista, ma a Stasera c’è Cattelan, Che tempo che fa e Vogue Italia. Il che, oltre agli operai delle catene di montaggio, ha elettrizzato le più note testate indie: Rep e Corriere. Rep esalta le “scelte non casuali per la casual chic Elly”, “le pose in trench… lo stesso indossato tra i partigiani come punto di congiunzione tra i due mondi”, ma soprattutto “la novità estetica e (quindi) politica: ‘In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista, Enrica Chicchio’. Una personal shopper che le ha consigliato tonalità e l’addio all’eskimo”. Quindi non indossa la prima cosa che capita: c’è tutto uno studio, dietro. E l’armocromista-personal shopper, tomo tomo Chicchio Chicchio, si fa pure pagare: “140 euro l’ora più Iva per il lavoro sui colori; sullo shopping saliamo a 300; per il guardaroba dipende. Con Elly ho un forfait”. Il Corriere nota il “tono estremamente informale”. Tipo “evitare il rischio burnout”, l’“outing” come “forma di violenza” (la fidanzata fotografata da un paparazzo), lo slogan “Love is love” (“Life is life” e “Sanremo è Sanremo” erano già presi). Il segreto è “entrare in connessione con le persone che vogliamo rappresentare con un linguaggio inclusivo che si rivolga a tutti e a tutte”. Una nettezza già mostrata sull’inceneritore: “Non è sul terreno delle scelte già fatte che si misura quello che noi proviamo a costruire a partire dalla piattaforma congressuale che vuole fortemente mettere al centro i temi della diciamo emergenza climatica, di come ci liberiamo dalla dipendenza delle fonti fossili, di come investire maggiormente sull’ economia circolare e sull’efficientamento energetico sulle rinnovabili per una strategia complessiva, una visione complessiva”.

Chissà quando Borghi e gli altri buontemponi che si fanno chiamare “cattolici” e “riformisti” l’hanno vista mangiare preti o incendiare chiese; e dove han colto nel Pd la “mutazione genetica massimalista, figlia della cancel culture”. Qui l’unica cancellazione è quella dell’eskimo a favore – Chicchio dixit – del “trench di taglio sartoriale”. Ma a ben vedere il massimalismo affiora in questo passaggio: “Io provo a rimanere sempre in contatto con me stessa, ad ascoltarmi, a capire quando sto tirando troppo, a difendere alcuni spazi”. Esplicita citazione della tipa di Moretti in Ecce Bombo: “Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…”. Poi dice che uno si butta a destra.




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29/04/2023
L’hanno detto loro

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Sta’ a vedere che, a doversi scusare per la trattativa Stato-mafia, non sono gli uomini dello Stato che l’hanno fatta e poi confessata, ma i magistrati che l’hanno scoperta e processata e i pochi giornalisti che l’hanno raccontata. Tutti fingono di non sapere, di non conoscere i fatti accaduti e documentati dal 1992 a oggi, che nessuna sentenza potrà mai smentire. E confondono dolosamente il piano penale da quello fattuale, morale e istituzionale. Ma al massimo possono dire, come la Corte d’appello di Palermo e la Cassazione, che trattare coi mafiosi e aiutarli a intimidire tre governi a suon di stragi per disarmare lo Stato contro Cosa Nostra non è un reato. Non che è un’invenzione. Anche perché la trattativa è stata ammessa e raccontata nei minimi dettagli non solo dai mafiosi (i pentiti Giovanni Brusca&C., e gli irriducibili, da Riina a Graviano, intercettati in carcere). Ma anche dai carabinieri del Ros. Dopo che Brusca la svelò nel 1996-’97, il generale Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno furono sentiti dalla Corte d’assise di Firenze sulle stragi del 1993-’94. E confermarono tutto, chiamandola proprio “trattativa”.

Ecco Mori il 27.1.’98: “Incontro per la prima volta Vito Ciancimino… a Roma, nel pomeriggio del 5 agosto 1992 (subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, all’insaputa della Procura di Palermo e del comandante dell’Arma, ndr). L’Italia era quasi in ginocchio perché erano morti due fra i migliori magistrati… non riuscivamo a fare nulla dal punto di vista investigativo e cominciai a parlare con lui: ‘Signor Ciancimino, cos’è questa storia, questo muro contro muro? Da una parte c’è Cosa Nostra dall’altra parte c’è lo Stato. Ma non si può parlare con questa gente?’. La buttai lì, convinto che lui dicesse: ‘Cosa vuole da me, colonnello?’. Invece disse: ‘Si può, io sono in condizioni di farlo’… Ciancimino mi chiedeva se rappresentavo solo me stesso o anche altri. Certo, io non gli potevo dire: ‘Be’, signor Ciancimino, lei si penta, collabori che vedrà che l’aiutiamo’. Gli dissi: ‘Lei non si preoccupi, lei vada avanti’. Lui capì e restammo d’accordo che volevamo sviluppare questa trattativa… Il 18 ottobre, quarto incontro. Mi disse: ‘Guardi, quelli (Riina&C., ndr) accettano la trattativa’…”. Anche De Donno, che aveva condotto da solo i primi incontri con Ciancimino subito dopo Capaci, parlò di “trattativa”: “Gli proponemmo di farsi tramite, per nostro conto, di una presa di contatto con gli esponenti di Cosa Nostra, al fine di trovare un punto di incontro, un punto di dialogo finalizzato alla immediata cessazione di questa attività di contrasto netto e stragista nei confronti dello Stato, e Ciancimino accettò”.

E ancora: “Facemmo capire a Ciancimino che non era una nostra iniziativa personale… Successivamente ci disse che… la persona che faceva da mediatore tra lui e Riina (il medico Antonino Cinà, ndr), voleva una… prova della nostra capacità di intervento: la sistemazione delle vicende giuridiche pendenti del Ciancimino, con conseguente concessione di passaporto… Al quarto incontro, si fece portatore di un messaggio di accettazione della nostra richiesta di trattativa, di dialogo, di discorso dei vertici siciliani. Ci disse: ‘Sono d’accordo, va bene, accettano, vogliono sapere che cosa volete’”. Riina, che voleva “fare la guerra per fare la pace”, era raggiante: le stragi pagavano.
Ecco: questi erano i rappresentanti dello Stato: si stupivano del “muro contro muro” fra mafia e Stato dopo decenni di festosa convivenza. Infatti si precipitarono a ripristinare le larghe intese, andando a trattare con un mafioso corleonese condannato e detenuto ai domiciliari come Ciancimino per ristabilire lo status quo. E l’han detto loro. Perciò sono stati processati insieme ai mafiosi: perché trasmisero il messaggio al governo Amato. Il 22-23 giugno De Donno informò Liliana Ferraro (subentrata a Falcone agli Affari penali del ministero della Giustizia) che Ciancimino aveva accettato di mediare con Riina in cambio di “garanzie politiche”. La Ferraro chiese a De Donno di informare Borsellino, poi riferì al ministro Martelli, che la pregò di informare Borsellino. Che meno di un mese dopo saltò in aria in via D’Amelio. Poi Riina fu arrestato dal Ros, che non ne perquisì il covo. E quando furono individuati Santapaola (nel ’93) e Provenzano (nel ’95), trovò il modo di non catturarli. Cosa Nostra riprese le stragi a Firenze, Milano e Roma, alzando il tiro per alzare la posta della trattativa. E Conso revocò il 41 bis a 334 mafiosi. Poi arrivò Berlusconi e il tritolo non servì più: bastava e avanzava la politica.

I giudici di primo grado hanno ritenuto che la trattativa ci fu ed era reato (“minaccia a corpo dello Stato”). Per quelli d’appello ci fu, ma era reato solo per i mafiosi: i Ros presero “un’iniziativa quantomai improvvida oltre che in totale spregio dei doveri del loro ufficio”, con una “ibrida alleanza con la fazione mafiosa di Provenzano” per “indicibili” motivi di “interesse nazionale”: trattarono, veicolarono la minaccia mafiosa allo Stato, ma senza dolo, cioè a fin di bene (il fatto c’è, ma “non costituisce reato”): infatti, anziché degradati sul campo, furono tutti promossi. Per la Cassazione, i Ros non veicolarono neppure la minaccia, dunque i politici favorirono la mafia per pura telepatia (“non aver commesso il fatto”): ci provarono solo i mafiosi senza riuscirci (“tentata minaccia”, prescritta). E noi dovremmo scusarci con i Ros perché abbiamo creduto alle loro parole e pretendiamo il “muro contro muro” fra Stato e mafia? Ma si scusino loro. E si vergognino.




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