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CARAMELLE DAGLI SCONOSCIUTI

l'editoriale di Marco Travaglio

30 marzo 2023

L’analisi clinica sui guerrafondai è tutta nelle parole che usano, con aria fra lo svagato e l’annoiato, senza neppure accorgersi dell’enormità di ciò che dicono e tacciono. Anche perché è quasi sempre roba d’importazione, made in Washington o in London. Ora, per dire, sono tutti eccitati per la prossima “controffensiva” ucraina che seguirà o anticiperà la prossima “controffensiva” russa: una doppia mattanza. A che pro? Quando ancora ci si capiva qualcosa, era chiaro che la Russia aveva attaccato dal 24 febbraio 2022 occupando quattro regioni ucraine (Donetsk, Lugansk, Zhaporizhzhia e Kherson), pari a un quinto-un sesto del Paese; poi a settembre Kiev aveva contrattaccato, recuperando una modica quantità di territori, per poi subire una lenta e faticosa controffensiva russa prima del gelo. Tutti gli esperti veri, come i generali Milley e Cavo Dragone, ne avevano dedotto che: una riconquista dei quattro oblast (per non dire della Crimea) è mission impossible; la “vittoria” di Kiev è una pia illusione; e l’unica soluzione è il negoziato con compromessi territoriali. In attesa che gli Usa e quel che resta dell’Ue presentino un piano, la Cina avanza il suo. È inevitabilmente vago (dei dettagli si parla in segreto) e colpevolmente unilaterale (Xi l’ha esposto a Putin, non ancora a Zelensky), ma è l’unico sul tavolo. Parte dal cessate il fuoco, che noi ingenui credevamo fosse il primo e più auspicabile obiettivo: tantopiù che tutti assicurano che Putin ha già perso la guerra. E poi il 1° marzo ’22 fu il ministro ucraino Kuleba a chiedere a Pechino di “mediare con Mosca per un cessate il fuoco”.

Invece, prim’ancora di un rifiuto di Mosca (e magari di Kiev) alla tregua, è giunto quello degli Usa. Che l’han respinta perché “adesso avvantaggerebbe i russi” (ma non avevano perso la guerra?). E hanno intimato a Zelensky di non accettare tregue dagli sconosciuti, peggio se cinesi. Per non avvantaggiare Putin, gli ucraini devono restarsene lì sotto le bombe a farsi sterminare almeno un altro annetto e mezzo, fino al novembre 2023, così Biden può farsi la campagna elettorale per la rielezione. Poi, se vince, seguiteranno a farsi macellare. Se invece torna Trump, addio armi e proiettili agli ucraini, ai quali non resterà che la resa, oppure altri massacri senza più difese, visto che nessuno avrà messo in piedi uno straccio di negoziato. E tutto questo, attenzione, dovrebbero farlo per il loro bene. Anziché chiamare un’ambulanza e inviarla alla Casa Bianca, il portavoce-consigliere di Zelensky, Podolyak, ha respinto l’idea del cessate il fuoco evocata da Xi Jinping perché – udite udite – “ogni tentativo di congelare il conflitto lo farebbe protrarre”. È il nuovo Comma 22: per fermare la guerra, bisogna proseguirla. E tutti morirono felici e contenti.

Foto dal web

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31/03/2023
Giucas Cassese

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Dopo cinque mesi ci domandavamo cosa aspettasse il governo Meloni a rispondere alle reiterate avance di Sabino Incassese e a retribuirlo per i suoi molesti e mai gratuiti preliminari. In una settimana hanno sistemato l’emerito vegliardo (87 anni) su ben due poltrone. Calderoli l’ha nominato presidente del “Comitato per individuare i livelli essenziali delle prestazioni per l’Autonomia differenziata” e il sottosegretario Barachini l’ha issato alla presidenza del “Comitato che dovrà individuare le agenzie di stampa di rilevanza nazionale”. Roba forte. Il primo Comitato è un’Rsa con 61 combattenti e reduci, fra cui Amato, Violante, Ignazio Visco, Blangiardo, Bassanini, La Loggia, Severino e Finocchiaro. Nel secondo sono solo in sei. E l’Emerito li ha accettati entrambi in base a un’aulica versione del motto Franza o Spagna purché se magna illustrata al Foglio: “Lo Stato non è di questo o di quello, ma è di tutti”. Cioè suo. I governi, per lui, non si dividono in progressisti o conservatori, tecnici o politici: ma fra quelli con Cassese (e la sua tribù di allievi e protégé) e quelli senza. Come nel canottaggio. Prima di giudicarli, lui ci prova con tutti. Nel 2018 esaltò le “qualità personali” di Conte, “meglio di Gentiloni”. Poi quello declinò i suoi consigli sulle nomine. E lui iniziò a strillare alla lottizzazione, come chiama le nomine senza i suoi (quelle coi suoi sono normale spoils system). Conte divenne “pirata”, “usurpatore”, autore di “Dpcm illegali” e l’emergenza Covid roba da “Orbán”. Poi Draghi, luce dei suoi occhi, reimbarcò la tribù cassesiana e i Dpcm e lo stato d’emergenza tornarono sacrosanti.

Appena il Migliore passò la campanella a Giorgia, l’emerito riorientò la lingua verso la premier. Brava sul presidenzialismo, bravissima sull’Autonomia, magnifica per “robusta collocazione internazionale e solido orizzonte ideale: liberale, democratico e antifascista”. Le emerite pre-slinguate meritavano almeno due cadreghe, che ora producono post-leccate: viva la baggianata salviniana del Ponte (“un ulteriore legame in una nazione che si percepisce tanto disunita”), viva Giorgia e il suo comico “globo terracqueo” (“nel processo di universalizzazione del diritto, sono molti i modi per universalizzare norme ‘locali’”). Cosa non si fa per non fare l’umarell ai cantieri e non stare “a casa a dar fastidio alla moglie e ai figli”: tanto – garantisce Giucas Cassese – “se più anziani lavorano, potranno esserci più posti per i giovani”. Infatti per lui due presidenze sono poche: diamogliene una ventina e quello ci crea un milione di posti di lavoro. Poi, se gli resta tempo, gli mettiamo una fascia al braccio e lo mandiamo a dirigere il traffico davanti alle scuole. Così arriviamo alla piena occupazione: la sua.




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HA STATO CONTE
di Marco Travaglio - 1 aprile 2023-F.Q.

Pnrr: Peracottari non raziocinanti ridicoli. In 8 mosse.

1. Il 23.3.2020, in pieno lockdown, Conte e altri otto premier del Sud Europa lanciano un piano di ripresa post-Covid finanziato con Eurobond: no di Merkel, frugali del Nord e fronte di Visegrad. I giornaloni se la ridono: “L’azzeccagarbugli con la pochette andrà a sbattere, prenda il Mes”.

2. Il 21.7, dopo tre giorni e tre notti di battaglia al Consiglio Ue, mentre i giornaloni scrivono che quei soldi non ce li daranno mai o saranno molti meno, il Recovery passa all’unanimità e l’azzeccagarbugli torna a Roma con 209 miliardi: 36 più del piano Ursula. Pure Meloni, Salvini, B. e Renzi si complimentano. Ma FdI si astiene sul Pnrr sia in Ue sia in Italia.

3. Il governo Conte scrive il Pnrr e progetta una cabina di regia a Palazzo Chigi con il premier, Gualtieri (Mef), Patuanelli (Mise), 6 top manager e 300 tecnici per controllare progetti e gare. Renzi e Salvini gridano al golpe, Repubblica evoca i quadrumviri del Duce, Sole 24 Ore, Corriere&C. bombardano all’unisono.

4. Gennaio 2021. In piena seconda ondata Covid, si scrive il Pnrr e partono i vaccini: il momento giusto per rovesciare Conte. Ci pensa Renzi, previe consultazioni con Mancini in autogrill e Verdini a Rebibbia, col plauso di Confindustria e giornaloni al seguito.

5. Il 2.2 Mattarella chiama Draghi, che completa il Pnrr e lo snatura: via il salario minimo, meno fondi al green e alla sanità, dentro l’idrogeno blu e lo stadio di Firenze (voce “Cultura”). La cabina di regia passa da Chigi al Mef, con migliaia di tecnici, ma ora niente scandalo. Renzi scopre che i 209 miliardi “non li ha portati Conte, ma un algoritmo olandese”. Molinari rivela su Rep che “il governo Draghi è riuscito a ottenere la maggioranza dei fondi del Next Generation Eu” (il Pnrr).

6. Il 22.12 Draghi si candida al Quirinale: “Abbiamo raggiunto i 51 obiettivi del Pnrr e creato le condizioni perché il lavoro sul Pnrr continui, indipendentemente da chi verrà”. Ma viene trombato, accumula altri ritardi sul Pnrr e fa casino con le assunzioni nella Pa.

7. Il 25.10.2022 Meloni va al governo e riporta la cabina di regia sul Pnrr dal Mef a Chigi, come voleva fare il golpista Conte. Si perde altro tempo. L’Ue se ne accorge congela la nuova rata.

8. Bisogna incolpare qualcuno. Stagnaro: “La responsabilità è di Conte e Draghi: hanno scelto di chiedere integralmente i fondi europei”. Borgonovo: “Siamo la nazione che ha chiesto più soldi, non si capisce perché. Ci troviamo una marea di soldi di cui non abbiamo bisogno”. Bernabé: “Si sapeva che non avremmo saputo spenderli, ma Conte chiese lo stesso tanti soldi”. Quindi non solo li ha portati Conte, non Draghi o l’algoritmo olandese. Ma ne ha portati troppi. Si vergogni.

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02/04/2023
Troppi soldi, signora mia

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Tra i nuovi reati che i fautori della depenalizzazione stanno inventando, i rave, l’istigazione all’anoressia e l’omicidio colposo nautico non bastano: urge quello di “ottenimento di troppi soldi dall’Europa”. Tanto il colpevole è uno solo: Conte, reo di avere strappato la vergognosa cifra di 209 miliardi. Dopo Bernabè e Stagnaro, altri noti esperti assicurano che, se i governi Draghi e Meloni hanno ritardato e pasticciato sul Pnrr e rischiano di farci perdere i soldi, è colpa del putribondo predecessore che li aveva ottenuti. Lo spiega bene Bonomi: “Ricordo com’è nato il Pnrr: a Villa Pamphili nel giugno 2020. Ebbi un confronto con Conte perché immaginavamo un Piano che rafforzasse il potenziale di crescita del Paese. Ci siamo invece trovati una serie di interventi a pioggia… Un piano sbagliato in origine”. Ma ricorda male: agli Stati generali di Villa Pamphili non si sapeva neppure se e quanti soldi sarebbero arrivati: il Recovery fu approvato il 21 luglio e la stesura del Pnrr partì ad agosto, peraltro con precisi vincoli europei incompatibili con la fame atavica dei prenditori. Prima che il Conte-2 finisse di scrivere il Pnrr, fu rovesciato da Renzi in joint venture con Confindustria e i suoi giornaloni, che dipingevano il Pnrr come una ciofeca mentre l’Europa lo promuoveva.

Il 2 febbraio 2021 Draghi calò da cielo in terra a miracol mostrare, scrisse la parte mancante, peggiorò quella già scritta e consegnò il Pnrr il 30 aprile. Senza mai dire o sospettare che i soldi erano troppi. Ma Nicola Rossi, economista Pd, spiega sul Foglio che Conte fu “irresponsabile e sconsiderato” a “raccattare ogni risorsa disponibile”: ora bisogna “restituire le risorse del Pnrr” perché non sappiamo che farcene. È lo stesso buontempone che nel 2020, appena ottenuti i 209 miliardi di Pnrr, voleva pure i 36 del Mes. Così ora dovremmo restituirne 245. Anche a Tria (Sole 24 ore) i soldi del Pnrr fanno schifo. E ricorda con raccapriccio il governo del “famoso balcone da cui fu dichiarata la fine della povertà, sempre a debito”: il Conte-1, di cui Tria era ministro dell’Economia. Seguì il “governo di ventura” Conte-2, che senza di lui ottenne i 209 miliardi, ma “fallì clamorosamente” nell’utilizzarli”; e “per salvare l’onore dell’Italia fu chiamato Draghi, che ci mise generosamente la faccia”. La stessa fiaba narra, sempre sul Sole, La Malfa: “Conte licenziò non un piano, ma una lista di progetti”. I due poveretti ignorano che Conte non poteva licenziare né fallire: fu disarcionato mentre scriveva il Pnrr; e la prima rata Ue arrivò il 14 aprile, sotto Draghi. Ma su un punto han tutti ragione: a Bruxelles, nei tre giorni e tre notti di battaglia con Merkel, Rutte, Orbàn &C., Conte non avrebbe dovuto lottare per farsi dare più soldi. Ma per ottenerne di meno.




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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

03 aprile 2023

È un bel Pnrr. “Accattonaggio europeo. Conte chiede l’elemosina. Col cappello in mano” (Libero sulla trattativa europea per il Recovery Fund, 14.7.2020). “Vince l’Olanda”, “Giuseppe si è fatto fregare”, “Conte si fa fregare: invece di avere aiuti dall’Ue otterrà altri prestiti” (Libero dopo l’accordo sul Recovery, 21.7.’20). “Festeggiano Conte perché ci indebita” (Pietro Senaldi, Libero, 22.7.’20). “Occhio alla fregatura. Non illudetevi, alla fine pagheremo noi” (Vittorio Feltri, Libero, 22.7.’20), “Conte lecca Berlusconi e teme l’ira popolare quando emergeranno le bugie sul Recovery Fund” (Renato Farina, Libero, 22.7.’20). “Dem e grillini lavorano per far saltare il Pnrr. Opposizione contro l’Italia… Pur di sgambettare il governo Meloni… sabotano il piano vitale per l’economia” (Libero, 30.3.2023). Così ci salvano dall’accattonaggio, dalle bugie e dalla fregatura.

Meno male. “Il Pnrr non l’ho scritto io” (Giorgia Meloni, FdI, presidente del Consiglio, 31.3). Ci mancherebbe pure questa.

Cognati d’Italia. “Quello che non è un modello di civiltà è non andare a lavorare, stare sul divano e gravare sulle spalle altrui col reddito di cittadinanza” (Francesco Lollobrigida, FdI, ministro dell’Agricoltura, 2.4). Giusto: molto meglio fare il ministro perchè sei il cognato della premier.

Piantedosi in eccesso. “La colpa degli sbarchi è dell’opinione pubblica italiana che li accetta” (Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, 25.3). Era persino più credibile la Wagner.

Colbacchi. “Qualche piccolo Stalin ancora circola nei corridoi di viale Mazzini, c’è ancora qualcuno che gira con il colbacco in testa…” (Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, Che tempo che fa, Rai 3, 26.3). Almeno ce l’hanno, una testa.

Le Forse Ardeatine/1. “Furono trucidati alle Fosse Ardeatine perché italiani”. “Li ho definiti italiani, è onnicomprensivo” (Meloni, 24.3). Secondo me furono trucidati in quanto bipedi.

Le Forse Ardeatine/2. “Ecco chi è morto in via Rasella. Tirolesi cattolici noti per essere molto poco nazisti” (Marco Cimmino, “docente di storia”, Libero, 1.4). Come quella ragazza che era rimasta un poco incinta.

Chi ha avuto ha avuto. “La Francia si terrà Pietrostefani e gli altri. 40 anni di accanimento” (Adriano Sofri, Foglio, 29.3). Tutte quelle vittime accanite che si sono suicidate per incastrarli.

Marianna Antemarcia. “Madia: ‘Elly ha vinto e sceglie lei, la minoranza faccia la sua parte ma resti fuori dalla segreteria’” (Repubblica, 28.3). E lei – a parte le parentesi veltroniana, napoletaniana, dalemiana, bersaniana, lettiana, renziana, gentiloniana, martiniana, zingarettiana, rilettiana, bonacciniana – è una schleiniana della prima ora.

Slurp. “Meloni più ascoltata di Biden. Alle prossime Europee l’asse del potere si sposterà su Giorgia” (Italo bo*****o, Libero, 27.3). Ma pure l’asse terrestre.

Dimmi quando quando quando. “Walter Veltroni: Quando avevamo ideali” (Stampa, 29.3). Ecco, appunto: quando?

Vi piacerebbe. “Ora il rischio di un conclave senza conclave. Un Papa comunque infragilito… crisi respiratoria abbinata a una sofferenza cardiaca” (Massimo Franco, Corriere della sera, 31.3). “Il Pontefice a Pasqua non celebra” (Messaggero, 31.3). “Il Papa salta la Pasqua. Per la messa di domenica pronto il cardinal Sandri” (Libero, 31.3). “Bergogliani e conservatori si preparano al Conclave. Manovre in vista della successione in Vaticano” (Libero, 1.4). “Francesco dimesso dal Gemelli: celebrerà le funzioni di Pasqua” (dai giornali del 2.4). Pazienza, ragazzi, sarà per un’altra volta.

Concordanze. “Reporter arrestato dai russi. Gli Usa ai suoi: via da Mosca” (Giornale, 31.3). I suoi del reporter o di Mosca?

Il titolo della settimana/1. “Un Figliuolo per il Pnrr. Serve un commissario con pieni poteri. Subito” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 30.3). Quante volte, Figliuolo?

Il titolo della settimana/2. “L’insofferenza di Draghi per lo scaricabarile di Meloni e quella telefonata riparatrice. Il consigliere Giavazzi inviato in tv da Lucia Annunziata per replicare alle accuse dei ministri” (Repubblica, 30.3). Faccia come come fosse casa sua.

Il titolo della settimana/3. “Gli amici della Schlein bucano le gomme ai Suv” (Libero, 28.3). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/4. “Con Trump incriminato, torna alla ribalta il paragone loffio tra lui e Berlusconi. Una suggestione per palati grossi, ridicola per intenditori. No, Trump non è come Berlusconi” (Giuliano Ferrara, Foglio, 1.4). Berlusconi ne ha pagate un pullmann intero.

Il titolo della settimana/5. “Il piano anti invasione” (Giornale, 31.3). E pro evasione.

Il titolo della settimana/6. “Kiev cambia la toponomastica ‘imperialista’: ‘Tolstoj e Gagarin sono simboli del Cremlino’. La battaglia per il Conservatorio Caikovskij” (Stampa, 27.3). Ma infatti. Guerra e Pace e Lo Schiaccianoci li scrisse il primo uomo a volare nello spazio: Zelensky.


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04/04/2023
I Marin pescatori

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Un saluto commosso a Sanna Marin: le sia lieve la terra. Sembra ieri che era l’astro nascente della Gauche Caviar-Tuittér, così ggiovane, glamour, smart, cool, riformista, atlantista e bellicista. Ora è già trapassata: anche in Finlandia gli elettori hanno scelto la destra “sovranista”, ancor più filo-Nato e guerrafondaia di lei. Il suo guaio è che aveva più fan a Washington, Bruxelles, Kiev e Roma che a Helsinki. E purtroppo in Finlandia votano i finlandesi. Spiace per i nostri giornaloni che da una dozzina d’anni annunciano il “tramonto del sovranismo”, o “del populismo”, o di entrambi. Spiace soprattutto per Repubblica, che aveva eletto Santa Sanna a spirito guida del Pd dopo il mesto tramonto di altri fenomeni costruiti in laboratorio, anzi in redazione: Renzi, Gentiloni, Sala, Pisapia, Bonino, Letta, Calenda e altri trascinatori di folle. Esauriti i portenti nazionali, i talent scout del quotidiano-portafortuna si erano rivolti all’estero. E, dopo epiche catastrofi come Blair, Obama e Macron, erano planati sulla Marin. L’altroieri era ormai terza in tutti i sondaggi, ma Rep la dava “ancora in corsa per la premiership”. E quando Sanna ha ammesso la sconfitta, Rep si è consolata così: “Ecco perché Sanna Marin non ha perso la Finlandia, ma ha perso il governo”. Ah ecco.

Ora si cercano le cause del disastro. Noi le lasciamo agli esperti e ci concentriamo sulle concause: gli stagionati morosi italioti di Sanna. Tipo Testa di Chicco (“Mi sono innamorato di Marin”) e Polito el Drito (“Mettiti in coda”). Ma soprattutto il prof. Recalcàzzola, che su Rep insalivava come un Renzi o una Boschi qualunque “la coraggiosa premier finlandese” (manco fosse Anna Frank), “la lezione politica della sua gioia di vivere”, citando San Tomaso, Dante e l’immancabile Lacan per bollare l’“odio invidioso” e l’“ideologia patriarcale e maschilista” di chi osava criticarla per i festini alcolici: tutti putiniani allergici alla “giovane bella e intelligente” che “ha portato il suo Paese verso la Nato e rivendicato l’autonomia del suo popolo di fronte alla prepotenza bellica russa”, ma “sa anche godere della vita” e “rialzare il grigiore stantio della piccola politica alla dignità della festa”. Ora, dopo le premature dipartite di tutti gli astri nascenti del circoletto tuittarolo, siamo molto preoccupati per Elly Schlein. Già deve sopravvivere ai baci della morte di Rep, Recalcàzzola e De Benedetti in stereo. Se dovessero giungerle pure quelli di Testa di Chicco e Polito el Drito, sarebbe spacciata.

Ps. A proposito: ma sull’Ingegnere che dà della “demente” a Giorgia Meloni (una donna!), il circoletto degli indignados non ha nulla da dire? O si occupa solo di vignette e caricature? O ha anticipato la gita di Pasquetta?




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LE LEZIONI REGIONALI

l'editoriale di Marco Travaglio

05 Aprile 2023

Come a ogni elezione regionale, anche stavolta gli aruspici ricavano dal voto in Friuli-Venezia Giulia dotti presagi sui leader nazionali, le alleanze politiche e il governo dell’Italia. Invece era un referendum pro o contro Fedriga. E due votanti su tre l’hanno promosso, premiando la sua lista e quella del suo partito, la Lega (votate anche da molti che alle Politiche avevano scelto FdI, perché a Salvini preferiscono la Meloni, ma alla Meloni preferiscono Fedriga). Gli anti-Fedriga hanno votato il principale avversario: il civico ambientalista Moretuzzo, sostenuto da Pd e M5S. Gli anti-tutto si sono astenuti (il 55% degli elettori) o han votato la no-vax anti-sistema Tripoli. Non c’è alcuno spazio – né “praterie” né sgabuzzini – per il fantomatico “centro”, detto comicamente “terzo polo”, che esiste solo sui tg e i giornaloni. Chi se la prende con la Schlein per il mancato “effetto Elly” delira: il Pd in FVG è ancora l’ex presidente Serracchiani, che cinque anni fa neppure si ripresentò. Vanno malissimo pure i 5Stelle, ma non certo per colpa dell’alleanza col Pd: correndo da soli avrebbero magari rosicchiato qualcosa alla Tripoli e all’astensione, ma non avrebbero certo rimediato alla storica inconsistenza nel Lombardo-Veneto. Né alla tradizionale debolezza nelle elezioni locali: il voto di opinione, libero e non controllato, li premia alle Politiche, ma in Comuni e Regioni evapora perché lì le clientele e gli scambi penalizzano chi non ha mai governato o non ricorre a certe pratiche.

Tutto ciò non esime Pd e M5S da un esame di coscienza sulla sconfitta. L’unica lezione che arriva dal FVG è che la gente se ne frega dei discorsi a freddo sulle alleanze, ma è molto interessata ai candidati e alle identità forti. Con Fedriga, la destra aveva entrambe le cose. Il Pd e il M5S, sui territori, hanno handicap opposti: il primo ha troppa classe dirigente, quasi sempre detestata; il secondo non ce l’ha più, o non ancora. Schlein deve smantellarla e rinnovarla dalle fondamenta. Conte (con i nuovi referenti regionali) deve inventarla da zero. Solo battendo a tappeto i territori e coinvolgendo i cittadini in iniziative di opposizione (per esempio i referendum contro il decreto Armi del governo Meloni, almeno per il M5S e per SI-Verdi che non l’hanno votato), si possono trovare nella società le forze nuove e fresche da candidare quando i Fedriga tramonteranno. Ma Conte e Schlein devono farlo separatamente, per marcare le rispettive identità, ora che l’opposizione non li obbliga ad allearsi. Il tempo, anche se i sondaggi sembrano scoraggianti, gioca a loro favore: il governo Meloni è talmente catastrofico che presto i voti per chi si oppone non saranno un problema. Il problema sarà farsi trovare pronti per intercettarli.


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06/04/2023
Il Riformatorio

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Rimasto senza elettori, Renzi cerca lettori. E riesce là dove il suo babbo aveva fallito per colpa di Woodcock: farsi pagare da Alfredo Romeo. Però lecitamente, come neodirettore editoriale del Riformista, mentre Romeo progettava di dare sottobanco “30 mila al mese a T.” (iniziale di Renzi sr.) e 2.500 a “R.C.” (acronimo dell’emissario Carlo Russo) in cambio di possibili aiutini nella Consip dei manager nominati da Renzi figlio. E lo mise per iscritto nei celebri pizzini letti (e intercettati) al consulente Italo bo*****o, poi trovati dal Noe nei cassonetti della Romeo Gestioni, che ora è pure la sede del Riformista e della “nuova” Unità modello Samsonite. Romeo, bo*****o, Renzi sr. e Russo sono a giudizio per traffico d’influenze. Ma quel processo, anche grazie alla Procura di Roma, porta buono agli imputati: Romeo è editore del Riformista e dell’Unità; bo*****o dirige il Secolo d’Italia che canta le lodi di Meloni; il figlio di Renzi sr. è direttore editoriale del Riformista che le lodi di Renzi jr. le tesseva già prima, figurarsi ora: manca solo il povero Russo, che merita almeno la vicedirezione.

Si attende con ansia la prima ospitata del neo “collega” in tv: “Direttore Renzi, che ne pensa del senatore Renzi?”. O viceversa. Il massimo sarà quando il direttore Renzi intervisterà il senatore Renzi. O quando il direttore Renzi diffamerà qualcuno, sarà querelato e invocherà l’insindacabilità del senatore Renzi. O quando farà casino fra una querela e l’altra delle sue e si querelerà da solo. Lui peraltro è convinto di essere direttore responsabile e dice che, oltre a farne, ora potrebbe anche ricevere querele per articoli altrui. Ma è una balla: non è neppure iscritto all’Ordine dei giornalisti (lo è perfino Gasparri, ma lui no), infatti è direttore editoriale, non responsabile. Da quando lasciò la politica nel 2016 facendosi eleggere in Senato nel 2018 e nel ’22, ha le idee confuse. Parlamentare della Repubblica Italiana, prende soldi dalla Monarchia Saudita: cosa impensabile in tutto l’Occidente e persino a Montecitorio, ma non a Palazzo Madama. Entra nel Cda di Delimobil, società italo-russa di car sharing partecipata da una banca di Stato moscovita, ne esce con 40 mila euro il giorno dopo l’invasione dell’Ucraina e dà dei putiniani agli altri. Ora va a dirigere un giornale, come se non ne dirigesse già de facto quattro o cinque e non ne avesse già affondato uno (l’Unità). Si potrebbe pensare che lo faccia per sp*****are la politica e il giornalismo italiani, se non fossero entrambi già sp*****ati per conto loro, almeno quanto lui. Più probabile che voglia stupire con effetti speciali: tipo spostare la redazione all’autogrill di Fiano con Mancini caporedattore; o affidare la rubrica “Libera stampa e motoseghe” a Bin Salman.




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07/04/2023
Il ministro Coccodè

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Quando la deputata FdI Rachele Silvestri ha scritto al Corriere per spegnere un gossip sul bebè che avrebbe avuto da un ministro sposato del suo partito, abbiamo pensato a un tragico autogol: ora quel gossip, prima noto a poche centinaia di persone, lo conoscono tutti. Abbiamo anche pensato che non fosse una grande idea, per il ministro-cognato Francesco Lollobrigida, presentarsi ai cronisti a compiangere la Silvestri e a sfidarli con aria minatoria a fare il nome di Mister X. Anche perché pure lui il 15 marzo aveva inscenato il pianto greco sul Corriere: “Di me si dice di tutto… finisco pure nel gossip, è tutto assolutamente falso”. Purtroppo l’intervistatore non domandò quale fosse quel gossip falso. Se di solito la gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo, figurarsi quella che canta due volte in 20 giorni. Era da quando B. svelò davanti a un attonito premier danese Rasmussen il gossip su Veronica e Cacciari che qualcuno non tentava di spegnere una vocina amplificandola a un milione di decibel. Ma avevano ragione Rachele e Lollo e torto noi, che ci ostiniamo a ragionare come se esistesse l’informazione. I tg ignorano la notizia e i giornali la depistano, evitando di unire i puntini o unendo quelli sbagliati, in nome della “solidarietà” femminile contro il sessismo, che qui non c’entra nulla. E stabilendo che si tratta certamente di “calunnia” e “storia non vera”.

C’è persino chi la frulla con un altro pianto greco: quello della compagna di Elly Schlein, vittima del vile attentato di Diva e Donna che ha osato fotografarla, come se la relazione affettiva della leader del secondo partito, da lei stessa svelata in interviste e comizi (“Sono Elly, sono una donna, amo un’altra donna, non sono una madre, ma non per questo sono meno donna”), potesse restare segreta. Tutto per non notare la cupa atmosfera di ricatti almeno potenziali che avvolge il pasticciaccio e lo rende tutta politica, da quando la deputata l’ha reso pubblico. Se dici che gira voce che il tuo bebè sia figlio di un big di FdI, tu e lui dovete dire chi è. Se dici che “la notizia è uscita su qualche organo d’informazione”, devi dire quale (ma non è mai uscita). Se dici che sei stata “costretta” al test del Dna, devi dire da chi. E prima o poi qualcuno ti chiederà di mostrarlo, quel test, perché i malevoli sospetteranno che non dica ciò che tu gli attribuisci. Se spiattelli tutto al Corriere, tirando in ballo un pezzo grosso del tuo partito, devi raccontare se ne hai parlato con lui o con altri. Se dici che la “calunnia per attaccare figure del mio partito” è nata da “cacicchi in cerca di gloria” e da “un uomo, probabilmente un politico”, devi dire chi sono e denunciarli per diffamazione. Perché con quella lettera non hai chiuso il caso: hai aperto il vaso di Pandora.




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08/04/2023
Dov’è la vittoria

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Questo non è il coccodrillo di B., come quelli che tutti i giornali tengono pronti in vista di ciò che prima o poi accadrà (non solo a lui: a tutti noi umani). Diversamente da B., che iniziò a combattere il comunismo quando questo morì, gli avversari preferiamo combatterli da vivi e in salute. Quando sono malati, non rinneghiamo nulla di ciò che abbiamo detto, scritto e pensato di loro. Ma mettiamo tutto in pausa, perché la battaglia per la vita viene prima di tutte, pronti a tornare all’attacco se il bersaglio tornerà mobile. Per fortuna, a parte qualche svitato reso celebre dai social, nessuno augura a B. di perdere quella battaglia. Quindi non si comprendono i furori dei suoi camerieri e impiegati che chiedono agli antiberlusconiani di abiurare, partecipare alla beatificazione preventiva del Caro Non Estinto, financo “arrendersi perché ha vinto lui” (Ballusti dixit). Per sapere se ha vinto o perso, andrebbe chiarito di che guerra, battaglia o partita stiamo parlando.

Quella contro il comunismo era stata vinta da altri (Reagan, papa Wojtyla, Walesa, Havel, i mujaheddin afghani ecc.), prima che lui scendesse in campo a funerali avvenuti. Quella per la rivoluzione liberale l’ha persa per abbandono, nel senso che l’ha sempre evitata: in una democrazia liberale, un satrapo monopolista assistito (prima dal Caf, poi da sé medesimo) e fuorilegge non avrebbe costruito i suoi imperi immobiliare, editoriale, finanziario e politico, perché l’avrebbero arrestato prima. Quella per passare alla storia come statista l’ha clamorosamente persa: oggi nessuno, neppure il cameriere più servile, saprebbe indicare una sola riforma o leggina dei suoi tre governi che abbia migliorato la vita degli italiani, tant’è che da dieci anni il grosso degli elettori di destra si rivolge altrove. Quella per cambiare il sentire comune l’aveva già vinta prima del 1994 con le sue tv, ma l’ha cambiato in peggio azzerando quel po’ di cultura, stile e serietà che prima sopravviveva: dopo il ’94, con la fine del barlume di concorrenza Rai-Mediaset e la berlusconizzazione della fu sinistra, è tutta una picchiata verso il basso. Quella per distruggere la Costituzione l’ha clamorosamente persa: la sua unica riforma, la Devolution, fu rasa al suolo dagl’italiani al referendum 2006. Invece quella per sdoganare l’illegalità, il conflitto d’interessi, il privilegio, il familismo, il sessismo, l’anti-antifascismo, la menzogna, l’impunità, la privatizzazione dello Stato, la prostituzione di tutto e di tutti l’ha vinta, ma non ha nulla di cui vantarsi. Gli auguriamo di campare almeno altri dieci anni, durante i quali continueremo a combatterlo senza un cent di sconto. E quando poi ci lascerà, se non ci avrà sotterrati tutti, seguiteremo a pensare del morto quello che pensavamo del vivo.




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09/04/2023
I buchi bianchi

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Ognuno ha le sue perversioni. Noi siamo irresistibilmente attratti dai titoli di giornale sul mondo fantastico e fantascientifico del “Terzo Polo” (così chiamato perché nelle urne è sesto e nei sondaggi quinto), popolato di supereroi fantasy usciti dal genio dei nuovi fumettisti: i “retroscenisti”. Uno di Repubblica informa (si fa per dire) che “la galassia centrista si muove e guarda a Renzi e Crosetto”. Par di vederla, la galassia centrista (qualunque cosa significhi) che in una scena alla Star Wars ruota lenta su se stessa e appunta i visori laser a infrarossi sul girovita di Bomba e Cicciobomba. Cosa se ne faccia una persona o una galassia normale di due esseri così inutili, che non prenderebbero un voto in più nemmeno se con B. morissero i leader di tutti gli altri partiti, non è dato sapere: a meno che non vogliano farsi quattro risate. Ma Rep assicura che i due sono addirittura “Astri del centrismo”, o centri dell’astrismo. Hanno persino “in comune un filo diretto con la premier Meloni”. Perbacco.

La Nazione tutta – basta tendere l’orecchio nei bar, sui bus e nelle metro – è dilaniata da roventi dibattiti sul futuro del regno fiabesco detto “Centro” dopo l’eventuale dipartita di B.. Specie da quando ha letto su Rep che “una telefonata l’ha fatta Renato Schifani”. Come a chi? A Renzi: “Sono tanti i centristi e moderati che lo pressano e compulsano per tornare davvero in campo e diventare lui il frontman che manca per far rinascere l’araba fenice, la nuova Dc che risorge”. E mentre lui “lancia messaggi di grande apertura” (non si sa a chi, per cosa, de che, ma fa niente), un’altra specie protetta, “i centristi dentro la Lega e nel fronte di Noi con l’Italia” (ammesso che esistano in natura) pensano a ben altro “frontman ideale”: Crosetto, che ha più armi che voti, ma è uno dei “sarti centristi” della Meloni. Che, con tutti i guai che ha, vuol pure “governare eventuali cantieri moderati” (non uno, tanti), ora che sul capezzale del Cainano volteggiano avvoltoi speranzosi di spartirsene le spoglie. Rep fa i nomi di altri noti trascinatori di folle, da Tabacci a Fioroni, da Carfagna a Gelmini, da Raffaele Lombardo al duo Gianni Letta-Angelino Jolie Alfano, che l’altro giorno “erano seduti insieme a ragionare sulla figura di Maria Romana De Gasperi”: praticamente una seduta spiritica. Ma non c’è trippa per gatti: Renzi e Crosetto, dacché la galassia gli ha messo gli occhi addosso, sono in pole, infatti “in queste ore i loro telefoni sono molto caldi”. Si temeva un trojan, poi s’è scoperto che non trovavano il terzo per la briscola senza il due di coppe. Quanto alla galassia centrista pronta a ereditare la famosa e disabitata “prateria moderata”, non era altro che un buco bianco: cioè un buco nero morto.




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11/04/2023
Dire straits

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – “Dire straits” non è solo un mitico gruppo rock. È anche la situazione delle truppe ucraine secondo uno dei cablo del Pentagono finiti online: letteralmente – scrive il NYT – “condizioni più disperate di quanto il governo ucraino riconosca pubblicamente”. Motivo: “Senza un afflusso di munizioni, il sistema di difesa aerea che ha tenuto a bada l’aviazione russa potrebbe presto crollare, consentendo a Putin di scatenare i suoi aerei da combattimento così da cambiare il corso della guerra”. Ma anche nuove munizioni potrebbero ben poco contro l’aviazione russa, tuttora intonsa. I leaks dal sen fuggiti confermano più crudamente ciò che il gen. Mark Milley, capo di Stato maggiore Usa, ripete da mesi inascoltato. Cioè che è impensabile la prospettiva su cui si basa tutta la strategia Usa-Nato-Kiev di respingere e sabotare ogni ipotesi di negoziato e financo di cessate il fuoco: una vittoria ucraina a breve o a medio termine, che liberi le quattro regioni occupate dai russi negli ultimi 13 mesi e persino la Crimea. Il giochino degli Usa che accusano Kiev di nascondere il reale andamento della guerra è finito: dai cablo risulta che centinaia di soldati Nato combattono in Ucraina e conoscono la situazione, casomai non bastassero i satelliti e lo spionaggio Usa sui governi sudditi (ucraino, sudcoreano e altri). Biden sa tutto, ma continua a fingere che Kiev stia per vincere e a illudere il popolo ucraino perché si faccia sterminare un altro po’ anziché spingere Zelensky a negoziare almeno un armistizio.

Questa politica criminale, che fa scopa con quella di Putin (il fattore tempo gioca per lui), non incontrava finora alcun ostacolo in Europa: cioè l’area che, insieme all’Ucraina, paga il prezzo più alto di questa guerra senza fine né sbocchi. Ma ieri ha parlato Macron: “La trappola, per noi europei, sarebbe quella di ritrovarci invischiati in crisi che non sono le nostre”, dall’Ucraina a Taiwan, “proprio mentre riusciamo a chiarire la nostra posizione strategica e siamo più autonomi di prima della pandemia. In un mondo segnato dal duopolio Usa-Cina, finiremmo per diventare vassalli anziché costituire un terzo polo”. Mosca ha risposto che la Francia non può mediare fra Russia e Ucraina perché è “implicata nella guerra”. Ma non lo sarebbe più se Parigi smettesse di armare un esercito in “condizioni disperate” e altri governi Ue, a cominciare dai cofondatori Germania e Italia, lo seguissero. Per noi era già chiaro un anno fa, ma ora che lo scrivono anche gli Usa dovrebbe esserlo per tutti: i veri amici degli ucraini sono quelli che vogliono il negoziato, anche a costo di compromessi, per salvare il salvabile in termini di territori e vite umane; non chi li arma per spingerli al suicidio assistito.




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12/04/2023
Cappuccetto Rosso

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Mentre leggete questo articolo, si combattono nel mondo oltre 40 guerre: lo dice l’ultimo rapporto di Amnesty International. Ma si parla soltanto di una: quella in Ucraina, perché l’ha deciso la Nato, che si crede il mondo intero e si finge un’“alleanza difensiva”. I direttori di alcuni quotidiani firmano un sacrosanto appello a Putin contro l’arresto del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, che rischia 20 anni di carcere in Russia per spionaggio per avere svelato i crimini di guerra del gruppo Wagner. Purtroppo si scordano di lanciare un appello a Biden e Sunak contro l’estradizione del giornalista Julian Assange, che rischia 175 anni di carcere negli Usa per spionaggio per aver svelato i crimini di guerra degli americani. E si dimenticano di chiedere a Zelensky di collaborare finalmente – dopo nove anni di depistaggi analoghi a quelli egiziani su Regeni – alle indagini della nostra magistratura sull’omicidio del giornalista italiano Andrea Rocchelli, assassinato nel 2014 dalle sue truppe in Donbass mentre documentava gli orrori della guerra civile.

Grande scandalo per un cablo rubato del Pentagono, svelato dal Washington Post, secondo cui “l’Egitto è pronto a produrre 40 mila razzi per la Russia”. Ma come: il feldmaresciallo al-Sisi, il golpista sostenuto da Usa e Ue per rovesciare nel 2013 il presidente Morsi dei Fratelli Musulmani (l’unico nella storia egiziana a vincere elezioni democratiche), che grazie a Draghi ha aumentato le forniture di gas all’Italia per ridurne la dipendenza dalla Russia, si dimentica degli amici? Stesso scalpore per la notizia che la Turchia dell’amico Erdogan, apprezzato membro Nato, dopo aver armato sia Mosca sia Kiev prima della guerra, è pronta a rifornire la Wagner in Mali e in Ucraina. Ma come: pure l’amico Sultano, mentre stermina i curdi che hanno sconfitto l’Isis per conto nostro e suo, fa il doppio gioco? Di questo passo, scopriremo presto che anche l’Algeria, altro Paese scelto da Draghi per ridurre la nostra dipendenza energetica da Mosca, non solo è retto da una feroce dittatura, ma è partner commerciale e militare della Russia, infatti un anno fa all’Onu s’è astenuto sulla condanna dell’attacco all’Ucraina. Manca solo un cablo top secret che sveli ciò che tutti sappiamo: tipo che, per non dipendere più dalle fonti fossili russe, ora dipendiamo da quelle di Angola, Mozambico, Congo, Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar, i cui regimi fanno impallidire l’autocrazia putiniana. Così forse smetteremo di sorbirci la fiaba alla Cappuccetto Rosso (Papa dixit) sulla guerra dei buoni contro i cattivi. E prenderemo finalmente atto della regola numero 1 della geopolitica: “Il più pulito ha la rogna”.




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13/04/2023
Il Polo superfluo

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – La morte annunciata del Terzo Pelo o Terzo Coso è ancor più trascurabile della sua nascita. Trattandosi di un polo superfluo, il divorzio fra il De Gaulle dei Parioli e il De Rege di Rignano è molto meno allarmante di quello fra Boldi e De Sica. Molto più affascinanti sono gli spingitori dei due Nessuno: giornaloni, tg e talk che li han pompati fino a convincerli di essere qualcuno: campioni del Riformismo, alfieri del Moderatismo, idoli del Grande Centro. Sono loro che li hanno rovinati, chiamandoli “Terzo Polo” sulla fiducia e illudendoli di avere “praterie” sterminate: bastava che si accoppiassero per crescere e moltiplicarsi. Vincono i 5Stelle? Praterie. Cade il Conte-1? Praterie. Nascono Azione e Italia Viva? Praterie. Cade il Conte-2? Praterie. Arriva Draghi? Praterie. Cade Draghi? Praterie. Calenda va con Letta? Praterie. Calenda va con Renzi? Praterie. Vince Meloni? Praterie. Schlein leader Pd? Praterie. B. ricoverato? Praterie. Dove siano esattamente queste praterie, sfugge ai più. L’unica certezza è che, se esistono, sono disabitate. O popolate di gente che ha sulle palle sia Ollio sia Ollio: persone normali. Resta da capire chi frequentino i giornalisti per convincersi che i due caratteristi abbiano un radioso futuro.

È vero che Carletto sparava: “Puntiamo al 13%, Meloni non governerà mai e tornerà Draghi”, salvo poi incolpare gli elettori perché votano tutti fuorché lui. È vero che il fu Matteo vaticinava: “Facciamo il botto, nel 2024 saremo primo partito, il M5S è morto”. Ma, anziché ridergli in faccia e relegarli nelle brevi, i media li prendevano sul serio. Corriere a tutta prima: “Ciclone Calenda sul centrosinistra” (non scoreggina: ciclone), “Strategia di Renzi per una svolta ‘alla Pirlo’” (con la o). Folli: “Il magnete Calenda” (non pongo: magnete). Il profeta Riotta: “Il centro di Calenda e Renzi sembra ben vivo… potrebbe animare a sorpresa la scena politica”. Foglio: “Il Centrocampo Calenda” (3 pagine su 4). Polito el Drito: “L’accordo Letta-Calenda riequilibra in parte una gara sbilanciata a favore del centrodestra”. Francesco Merlo e la sua lingua: “Calenda aspira all’eredità dei papi laici o forse luterani, Ugo LaMalfa, Visentini, Spadolini, la buona amministrazione, il rigore dei conti e il cattivo carattere che è stato una grande risorsa italiana, una specie di lievito di progresso” (o di birra). Paginone sulla Stampa: “Cantiere Draghi bis”. Paginone su Rep: “Calenda, l’uomo mercato corteggiato da tutti”, con foto dei suoi tatuaggi (“La A di Azione presa dagli Avengers, lo squalo e SPQR”), dettagli biografici (“A 16 anni fece una figlia”) e rivelazioni dell’eroico ragazzo padre: “Le cambiavo i pannolini e la allattavo”. Precoce com’è, aveva già le tette. Ora si allatta da solo.




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14/04/2023
Aridateci Aigor

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Allegria! Nasce una Commissione parlamentare per indagare sulla gestione del Covid da parte dei governi Conte e Draghi (e non delle Regioni, competenti in sanità): cioè sul lockdown, le zone rosse, arancioni e gialle, gli acquisti di mascherine, i vaccini, perfino i banchi “a rotelle”. Insomma su tutte le benemerite iniziative, poi copiate dai migliori governi d’Europa, che hanno arginato la pandemia e salvato decine di migliaia di vite. Nelle vere democrazie le commissioni d’inchiesta le crea l’opposizione per controllare chi detiene il potere, non chi detiene il potere per ricattare l’opposizione. Perciò M5S e Pd protestano. Ma al loro posto ci limiteremmo a disertare le sedute e a goderci lo spettacolo dei segugi destro**i che indagano da soli. Uno spettacolo che, visti i precedenti, si annuncia imperdibile. In Italia le commissioni parlamentari non scoprono mai nulla più dell’acqua calda, riuscendo semmai a incasinare il poco che ha accertato la magistratura. E colpiscono pure come boomerang chi le architetta. La più recente è quella sulle banche, voluta da Renzi nel 2017 contro i 5Stelle, Lega e FdI che osavano denunciare i conflitti d’interessi del suo Pd nei crac bancari. Partito per suonarle agli oppositori, il poveretto finì suonato dallo scandalo della sua soffiata sul dl Banche Popolari a De Benedetti, che ci speculò in Borsa. Si scoprì pure che la Boschi aveva fatto il giro delle sette banche, più Consob e Bankitalia, per raccomandare l’Etruria tanto cara al babbo.
Il meglio però lo diedero i berluscones con due capolavori della commedia all’italiana: le commissioni Telekom Serbia e Mitrokhin. La prima, presieduta dall’avvocato di Dell’Utri, Enzo Trantino, nasce nel 2003 per indagare sull’acquisto nel 1997 del 29% della compagnia telefonica serba da Stet-Telecom Italia: 900 miliardi di lire al governo di Milosevic, già sotto embargo e poi catturato e condannato all’Aja. Per nascondere le tangenti (vere) pagate da Previti ai giudici romani per comprare le sentenze Mondadori e Imi-Sir, salta fuori un “supertestimone” delle tangenti (false) intascate da Prodi, Fassino e Dini sui conti cifrati “Mortadella”, “Cicogna” e “Ranocchio”. Il portentoso teste, tal Igor Marini, si presenta come “conte polacco”, giura di aver trattato personalmente l’acquisto di Telekom, ma afferma di aver dimenticato le carte in Svizzera. La commissione gli crede sulla parola e parte con lui per Lugano. Ma si scorda di avvertire gli svizzeri, che arrestano i nostri eroi. I parlamentari vengono poi rilasciati. Marini lo trattengono in galera, essendo ricercato per aver truffato alcuni alberghi: mangiava, beveva e dormiva, ma non pagava il conto come un altro conte, il Mascetti di Amici miei.
Appena sentono il suo nome, i giudici di Torino chiedono la sua estradizione: lo cercavano da mesi per una truffa su titoli indonesiani. I pm, diversamente dalla Commissione, indagano su di lui e scoprono che vive in un tugurio nel Bresciano e fa il facchino al mercato ortofrutticolo: l’attività tipica degli intermediari da Stato a Stato. La seconda moglie racconta in lacrime che Igor ha truffato anche lei: non era conte né polacco, si spacciava per numero 2 dello Ior e amico del Papa. La prima moglie, la soubrette Isabel Russinova, dichiara ai pm: “Igor ha preso in giro anche me. Mi sono vergognata per anni, ma ora che ha truffato l’intero Parlamento mi sento meno sola”. Dei conti Cicogna, Mortadella e Ranocchio e della maxi-tangente da 450 miliardi non si troverà traccia. Marini sarà condannato a dieci anni per calunnia. E si scoprirà che l’unico a prendere soldi provenienti dall’affare Telekom Serbia è stato un membro della Commissione Telekom Srrbia: Italo bo*****o di An.
Il degno pendant del conte Aigor è Mario Scaramella da Napoli, “superconsulente” della commissione Mitrokhin, che indaga sugli infiltrati del fu Kgb in Italia sotto la presidenza di Paolo Guzzanti, padre d’arte. Una vita di espedienti, trascorsa a millantare credito e fondare inesistenti centri studi e organizzazioni internazionali antiatomiche formate da lui e dalla fidanzata, nonché a spacciarsi per “giudice antimafia”: un cazzaro legato al Sismi e alla Cia. La Commissione gli crede ciecamente e lo manda in giro per l’Europa a torchiare vecchie spie russe in andropausa. Quelle gli raccontano le porcate di Putin, ma lui è più interessato a Prodi, di cui purtroppo nessuno sa nulla, a parte una spia che ha sentito dire da un’altra (morta) che un’altra (morta) aveva saputo da un’altra che Prodi piaciucchiava al Kgb. Quindi Prodi agente sovietico, forse coinvolto nel caso Moro. “Una bomba termonucleare!”, esclama Guzzanti al telefono con Scaramella, “lo dico subito al Capo”. Cioè a B.. Ma neanche lui lo prende sul serio. Scaramella continua a molestare gente nei bar di Londra, mostrando foto di Prodi e persino di Diliberto e Pecoraro Scanio (anche loro del Kgb, malgrado l’età). Nei suoi rapporti cifrati, Pecoraro è ‘Pecorosky’ e ‘Culattosky’. Una delle spie molestate prega Guzzanti di riprendersi lo stalker: “Your friend is a mental case”. Mario sostiene di essere stato avvelenato a Londra col polonio insieme all’ex agente Litvinenko: “Mi han dato una dose dieci volte superiore a quella mortale”. Solo che Litvinenko muore, mentre Scaramella resuscita e torna in Italia. Lo arrestano appena scende dall’aereo e lo condannano per armi e calunnie. Ora sia lui sia Marini sono fuori. Pronti per la Commissione Covid.




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