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Dino

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15/03/2023
La coda del diavolo

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Ci voleva quel putiniano del cardinale Pietro Parolin per dire che il re è nudo: in Ucraina “l’unica soluzione realistica rimane il negoziato”, perché “i conflitti non si risolvono con la polarizzazione del mondo fra buoni e cattivi, ma con la certezza che non c’è un impero del bene e nessuno è il demonio”. E comunque “per salvare qualche anima si tratta anche col diavolo in persona”. Nel mondo del buonsenso, sarebbero banali ovvietà. Ma nel mondo delle due propagande belliciste – putiniana e atlantista – sono frasi clamorose: infatti le hanno ascoltate tutti i giornali, ma non le ha riprese nessuno (a parte Fatto, Stampa e Avvenire). E il perché è semplice: non è affatto vero che il negoziato lo vogliono tutti tranne Putin. Lo vogliono in pochissimi: la Turchia per i suoi biechi interessi, la Cina per comprarsi il mondo in santa pace, il Papa per salvare vite e ogni tanto Francia e Germania. Tutti gli altri – Nato, cioè Usa e Uk, poi Ue, Italia, Polonia, baltici, nordici e i due belligeranti – vogliono che la guerra continui fino all’ultimo ucraino. Chi lavora davvero al negoziato è facile riconoscerlo: sono i governi che non parlano di “vittoria ucraina”. E non perché non la auspichino (anzi, tutti sperano che arrivi), ma perché sanno che è una chimera per palese inferiorità di uomini, mezzi e tempo.

L’ha ribadito ieri l’ultima inchiesta del Washington Post. Ma lo sa anche il Pentagono, che lo ripete da mesi per bocca del generale Mark Milley. Purtroppo Biden&C. hanno deciso di non ascoltarli per fare (e soprattutto farsi) propaganda sulla pelle del popolo ucraino. Sì, perché continuare ad annunciare la vittoria ucraina sapendo che è impossibile significa sacrificare cinicamente i militari e i civili ucraini (120 mila morti contro i 200 mila della Russia, che però ha il triplo di abitanti). Vale anche per i trombettieri atlantisti nostrani: neppure la mattanza di Bakhmut, col destino inesorabilmente segnato come già Mariupol e le altre città martiri, li porta a un pizzico di sano realismo. Preferiscono ripetere a pappagallo la narrazione moralistica della guerra, bollata dal Papa come “la fiaba di Cappuccetto Rosso”. Una fiaba che non regge perché il lupo cattivo c’è (Putin), ma manca la bambina innocente, visti gli orrori commessi dalla Nato nella sua storia e da Kiev dal 2014. E soprattutto non serve a nulla, se non a perpetuare la lenta avanzata russa e il massacro ucraino. Eppure quanti chiedono il negoziato su un compromesso territoriale che salvi il salvabile (l’Ucraina rimasta in piedi) e lasci decidere ai popoli di Donbass e Crimea con chi vogliono stare (in un referendum validato da Onu e Osce) vengono dipinti dagli atlantisti come utopisti: perché sono gli unici realisti.




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16/03/2023
L’importante è leccare

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – È uno di quei giorni che ti prende la malinconia che fino a sera non ti lascia più. E allora ripensi all’Agenda Draghi. Che fine avrà fatto? Anzi, l’avranno poi trovata, gli archeologi, dopo tante ricerche e tanti scavi? Per un anno e mezzo le meglio firme del bigoncio ci sbomballarono i santissimi con quel prezioso quanto misterioso incunabolo, ignoto financo al presunto titolare. E in campagna elettorale garantirono che, per prendere voti, tutti i partiti avrebbero dovuto abbeverarvisi come al Santo Graal. Poi i voti furono direttamente proporzionali alla distanza dei partiti dall’Agenda Draghi, anzi Dragula visto la sfiga che portava: le elezioni le vinse Meloni, unica oppositrice; Conte, noto profanatore del leggendario manoscritto, raddoppiò i consensi persi con i Migliori; e gli agendisti più devoti, BaioLetta e Ollio&Ollio, furono inspiegabilmente puniti dagli elettori. Allora l’Agenda Draghi sparì dall’orizzonte, riposta frettolosamente fra le buone cose di pessimo gusto dell’amica di nonna Speranza. Chi ne parlasse oggi verrebbe guardato come uno che gira col borsello a tracolla o cerca un telefono a gettoni. Infatti, sui giornaloni e all’assemblea Pd, i cantori della mitica Agenda hanno finto che non sia mai esistita. E iniziato a leccare Elly Schlein – antitesi politico-antropologica del draghismo – con la voluttuosa disinvoltura con cui fino a ieri leccavano Letta.

Del resto dieci anni fa, quando Elly guidava Occupy Pd pro Rodotà e governo Pd-M5S, i giornaloni leccavano tutti il Napolitano bis e il governo Letta-B.. Oggi fondano il culto di Santa Elly e insorgono persino se qualcuno osa farle una pallida critica o peggio una caricatura, ma senza mai spiegarci se nel 2013 sbagliava lei o sbagliavano loro. E se oggi sbaglia lei o sbagliano loro. Proprio ieri la Schlein ha copiato paro paro un altro punto del programma dei 5Stelle, il salario minimo legale a 9 euro l’ora, esponendosi all’ovvia risposta della Meloni: perché non l’avete fatto nella scorsa legislatura, quando governavate voi? Il ministro del Lavoro, nel governo dei Migliori, era Orlando (oggi schleiniano), che non inviò mai il parere sul ddl Salario minimo dell’ex ministra Catalfo (presentato nel 2019 e riproposto nel ’21) e sui relativi emendamenti. Forse perché il salario minimo non era nell’Agenda Draghi né in quella del Pd, infatti gli emendamenti dem chiedevano di eliminare la soglia minima legale di 9 euro l’ora. In un Paese serio chi leccava il Pd e l’Agenda Draghi senza salario minimo non leccherebbe la Schlein con salario minimo. O revocherebbe una delle due leccate. Ma qui vale sempre la massima di Ennio Flaiano: “Se i c**i dei potenti italiani fossero di carta vetrata, i giornalisti in gran maggioranza sarebbero senza lingua”.




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17/03/2023
Il miracolo di Santa Elly

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Noi qui a domandarci se non sia un filino esagerato questo culto della personalità per Santa Elly, e lei che ti fa? Il primo miracolo. Le è bastato copiare il salario minimo proposto dai 5Stelle nel 2013, riproposto con due pdl da Nunzia Catalfo nel ’18 e nel ’21 e sempre respinto dall’ammucchiata Pd-Lega-FdI-FI-Iv-imprese-sindacati-giornaloni, per trasformarlo da ciofeca a figata. Le migliori firme del bigoncio si illuminano d’immenso: che ideona, come non averci pensato prima, ci voleva una donna del Pd! Era già accaduto con la blocca-prescrizione, ma a tempi invertiti. La annunciò Renzi nel 2014 e tutti si arraparono come ricci. Poi purtroppo la realizzò Bonafede nel 2018 e i giornaloni che prima la invocavano la sputacchiarono: “Giustizialismo”, “barbarie”, “Inquisizione” (Stefano Cappellini, Repubblica), roba da “oranghi”, “bifolchi del diritto”, “codice Hammurabi”, “Stato tiranno” (Mattia Feltri, Stampa). Se ne deduce che una buona legge è buona a due sole condizioni: che la proponga il Pd e che non venga approvata.

Il salario minimo legale a 9 euro ha compiuto il percorso inverso: meraviglioso a partire dall’altroieri, quando Elly ha chiesto alla Meloni perché non l’ha varato nei dieci anni di opposizione mentre il Pd governava quasi sempre; orrendo dal 2013 a mercoledì, quando lo voleva solo il M5S. Stampa: “Salario minimo, stangata da 15 miliardi. Allarme Confesercenti: costi esorbitanti” (4.6.’19); “Stirpe: ‘Non è il momento di aumentare i salari contro l’inflazione’” (19.2.’22). Corriere: “Salario minimo, Di Maio accelera. Ma Istat e imprese lo bocciano. Alle aziende costerà 4,3 miliardi. L’Ocse: troppi 9 euro” (18.6.’19); “Confapi: ‘Salario minimo? Così apriamo al Far West’” (23.7.’19). “Politiche del lavoro: l’illusione del salario minimo. Non è affidando allo Stato il compito di fissare le retribuzioni che si costruisce una società né si garantisce che quelle leggi saranno veramente applicate” (28.9.’21). Intanto lo raccomandava pure l’Ue e la Germania lo portava a 12 euro. Ma qui restava una porcata pure per Repubblica, celebre giornale di sinistra (già noto per la campagna contro il Rdc): “Salario minimo, il piano M5S per sfidare i sindacati. Il movimento punta a sventolare la nuova bandiera delle basse retribuzioni in vista del voto europeo. Il rischio che si torni alle gabbie salariali” (25.3.’19); “Salario minimo: fino a 6 miliardi i costi per le imprese. La proposta ‘bandiera’ del M5S. Imprese, sindacati e Lega contro il rischio di nuove gabbie salariali” (25.6.’19); “Salario minimo tagliando il cuneo: ma costa 6 miliardi” (24.7. ’19). Ora sono tutti bagnati per la perfetta congiunzione astrale: lo propone il Pd e non c’è alcun pericolo che venga approvato.




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IL BENE DI FARSI MALE

l'editoriale di Marco Travaglio

18 marzo 2023

Due chiappe con le orecchie a sventola e gli occhiali: questa era per il Male la faccia di Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio, 34 volte ministro e parlamentare dal 1948. Storie di (stra)ordinaria satira politica, come il nano Fanfani con le gambe stiracchiate, il Craxi sempre grasso ora pagliaccio e ora ladro (14 anni prima di Mani Pulite), il “Cossiga tonné”, il Berlinguer putrefatto e la bestemmia “porco Pertini” (immaginatevela oggi su Mattarella). L’altro giorno, quando è esplosa la ridicola polemica sulla caricatura di Elly Schlein firmata sul Fatto da Francesco Federighi, abbiamo pensato che la replica migliore non fosse quella di spiegare cos’è la satira e cos’è una caricatura ai nostri innumerevoli censori, non si sa se più ignoranti o più in malafede: sarebbe stato come spiegare le barzellette a chi non le capisce. Molto meglio rinfrescarci tutti la memoria e regalare ai nostri lettori (gli unici dei quali ci importa) le migliori copertine del papà della moderna satira italiana: il Male, appunto, la rivista ispirata al francese Le Canard enchaîné e fondata nel 1977 da Pino Zac, che arrivò a vendere nelle edicole la bellezza di 140 mila copie, fece danni fino al 1982 e poi figliò eredi del calibro di Tango (inserto dell’Unità), di Satyricon (inserto di Repubblica) e di Cuore (prima allegato all’Unità, poi autonomo). La banda Zac schierava disegnatori, grafici, vignettisti e scrittori come Vincino, Angese, Calogero “Lillo” Venezia, Vincenzo Sparagna, Andrea Pazienza, Giuliano, Enzo Sferra, Jacopo Fo, Cinzia Leone, Sergio Saviane, Alain Denis, Roberto Perini, Jiga Melik, i nostri Riccardo Mannelli e Vauro Senesi e tanti altri.

Non tutti i bersagli erano cinicamente sportivi come Andreotti, che mai querelò. Ma soprattutto non tutti i giudici erano affezionati all’articolo 21 della Costituzione: infatti la rivista subì innumerevoli sequestri preventivi, denunce, censure, processi, condanne per diffamazione, blasfemia, oscenità, vilipendio. Uno dei direttori, Venezia, fu il secondo giornalista della storia repubblicana a finire in galera (dopo Giovanni Guareschi) per vilipendio della religione e di un capo di Stato estero (papa Giovanni Paolo II, che il Male chiamava “Giampaolo II”, beccandosi per quella sola accusa la bellezza di 100 processi).

Il primo incidente scoppiò al battesimo a Villa Borghese, dove la banda del Male inaugurò un beffardo busto di Andreotti in marmo, subito sequestrato dalla polizia. Alla cerimonia presenziava anche un giovane Roberto Benigni, denunciato con Sparagna e Vincino per essersi fatti beffe del cognome del funzionario della Digos, autore della confisca del prezioso manufatto, un certo Pompò: immaginate come.

Un’altra volta la forza pubblica si mobilitò per l’annuncio di “Dieci grammi di droga gratis” col Male, per poi scoprire il mesto contenuto delle bustine allegate: qualche granello di pepe.

Furono cinque anni di curaro a base di vignette, caricature, racconti, poesie, interviste vere e false, inserzioni pubblicitarie di noti marchi rivedute e corrette, fumetti a dir poco estremi. Il tutto spesso firmato con pseudonimi per (provare a) scampare alla mannaia della censura.

Il periodo aureo fu quello dei falsi d’autore, cioè delle finte prime pagine dei quotidiani. Le più celebri sono quelle de La Stampa, Paese Sera e Il Giorno che annunciano l’arresto di Ugo Tognazzi vero capo delle Brigate Rosse (“Rivendico il diritto alla cazzata”, commentò l’attore, che aveva partecipato alla beffa facendosi fotografare in manette). Ma anche il fotomontaggio dell’auto-impiccagione di Maurizio Costanzo dopo la chiusura del suo settimanale L’occhio. Il falso Corriere dello Sport che spara l’annullamento dei Mondiali del 1978 perché la squadra dell’Olanda che ha battuto l’Italia è tutta dopata. La finta Unità in cui il segretario del Pci Enrico Berlinguer comunica la fine del compromesso storico con la Dc. Il farlocco Corriere della Sera sul primo, storico vertice fra una delegazione dell’Onu e una degli Ufo. L’attualissimo fac-simile di Repubblica con la foto di un fungo atomico e l’annuncio della terza guerra mondiale. E la beffa anticomunista del numero fake di Trybuna Ludu, organo del regime polacco, che ufficializza la fine del governo Gierek e la nomina a re di papa Wojtyla, distribuito in Polonia proprio durante la visita del pontefice nella terra natìa.

Irriverente coi santi e coi fanti, impietoso coi vivi e pure coi morti, il Male sghignazzò durante tutto il sequestro Moro: dopo il rapimento, lo raffigurò con la faccia da scroto; il dibattito fra la linea della fermezza e quella della trattativa fu liquidato con un Craxi che canta gli stornelli delle osterie romanesche sotto il titolo “Il partito della trattoria”; e il giorno dei funerali, ecco una falsa prima pagina di Repubblica col titolo cubitale: “Lo Stato si è estinto”.

Oggi basta un’occhiata a quelle copertine per capire la ridicolaggine, la mestizia, la mediocrità delle polemiche di questi giorni e far sorgere un’inguaribile nostalgia per quella sfavillante stagione di libertà, talento, genialità, spregiudicatezza, perfida e scanzonata iconoclastia e “diritto alla cazzata”, quando sia la satira sia la censura erano cose serie. Cioè prima che a soffocare il tutto arrivassero il conformismo, il servilismo, il politicamente corretto e piagnone dei nani della politica e del giornalismo. Che più fanno ridere e meno sanno ridere.

Foto dal web

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18/03/2023
I ferri e i bronzi

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Se esistesse una Corte penale internazionale per le facce di bronzo, si aggiudicherebbero subito un processo con condanna incorporata Biden, Zelensky e il procuratore della Corte penale internazionale dell’Aja, l’inglese Karim Khan. Questo per aver firmato il mandato di cattura contro Putin, gli altri due per averlo elogiato. Non che Putin, con le sue truppe, non abbia commesso crimini nelle guerre di Cecenia, Georgia, Siria e Ucraina. Ma, a parte la violazione dell’immunità garantita dal diritto internazionale ai capi di Stato in carica, è ridicolo che di quelle guerre – le prime tre vecchie di 20, 15 e 8 anni – la Corte si accorga solo ora (forse perché quelle in Cecenia e in Siria facevano comodo all’Occidente contro il comune nemico islamista). Ed è ancor più comico che le guerre siano crimini contro l’umanità se le fa Putin e passeggiate di salute se le fa la Nato. Sul banco degli imputati dovrebbero sedere tutti i governanti che hanno scatenato guerre contro il diritto internazionale e l’Onu: anche quelli Nato che aggredirono la Serbia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001-’21, l’Iraq nel 2003-’11 e la Libia nel 2011. E poi i democraticissimi presidenti ucraini Poroshenko e Zelensky per i crimini commessi in Donbass da truppe regolari e milizie neonaziste contro le popolazioni russofone dal 2014, in barba ai due accordi di Minsk su cessate il fuoco e autonomia di Lugansk-Donetsk: crimini puntualmente denunciati da Onu, Osce e Amnesty.

Ecco perché i governi di Usa, Russia e Ucraina si guardano bene dal riconoscere la Corte: per non finirci imputati. Ma, se ora la Corte processa anche un governo che non la riconosce, perché la sua legge non vale per tutti e non vengono spiccati mandati d’arresto per Biden, Obama, Bush jr., Clinton e i loro euroservi, da Blair e B., oltre a Poroshenko e Zelensky? Risposta ovvia. La mossa del procuratore britannico non è giustizia: è politica, la peggiore. Appena per l’Ucraina si affaccia una proposta di negoziato, il trio Nato-Usa-Uk la boicotta con una provocazione. La strage russa di Bucha (analoga a centinaia di eccidi fatti dai “nostri” in Serbia, Afghanistan e Iraq) fu usata per stoppare le trattative russo-ucraine in Turchia. Le aperture di Zelensky sulla neutralità di Kiev e la Crimea furono stroncate dal no secco di Stoltenberg. Poi ci furono le balle di Zelensky sul missile russo (in realtà ucraino) caduto in Polonia. Ora serviva un sabotaggio prêt à porter contro la missione cinese e zac! Putin è diventato un paria ricercato in tutto il mondo. Anzi, solo nei Paesi che riconoscono la Corte dell’Aja. Se per lui le cose si mettessero male in patria, il tiranno russo potrebbe sempre rifugiarsi in Ucraina o negli Stati Uniti: lì i criminali di guerra sono sempre al sicuro.




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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

20 marzo 2023

Ballusti. “Immigrazione, tam-tam: ‘Ora che c’è la Meloni non partiamo più’: ‘Ho pensato di attraversare il mare, dice K., 21 anni, nigeriano, ma ho sentito che questa donna è stata appena eletta e non accetterà più i migranti che arrivano dalle sue parti… Sono venuto in Libia per avere una speranza, ma… non so se questa donna autorizzerà altri sbarchi. Voglio tornare a casa’” (Libero, 2.12.’22). “Assalto all’Italia. Allarme: non si fermano più. Dalla Libia partenze continue” (Libero, 13.3.’23). Ma levargli il vino no?

Ballista. “Disfatta culturale: i libri teneri con Putin e duri con Zelensky scalano le classifiche… Al primo posto, scavalcando il principe Harry, il principe del forcaiolismo de noantri, Marco Travaglio, che intitola il suo libro di facezie uscito dall’editore Paper First ‘Scemi di guerra’… I libri seri che spiegano come stanno le cose, quelli di Vittorio Emanuele Parsi o quello di Andrea Graziosi stentano a scalare le classifiche… Non abbiamo saputo contrastare meglio l’atmosfera in cui galleggiano questi libercoli. Dove abbiamo sbagliato?” (Pierluigi Battista, Huffington Post, 13.3). Potevate vietarli per legge. O imporre per decreto l’acquisto dei vostri. Ma siete ancora in tempo.

Giorgia Calimera. “Mi trovo a guidare una Nazione come l’Italia forse nel momento più complesso dalla sua storia dalla fine della seconda guerra mondiale: cerchi di affrontare un problema e se ne apre un altro. Non sono stata fortunata” (Giorgia Meloni, FdI, presidente del Consiglio, 13.3). Prima il piano Solo, poi le stragi fasciste e il golpe Borghese, poi la crisi petrolifera, poi il terrorismo rosso e il sequestro Moro, poi Ustica e la strage di Bologna, poi il crac dell’Ambrosiano e la loggia P2, poi le stragi di mafia, Tangentopoli e la svalutazione della lira, poi i crac Cirio e Parmalat, poi la pandemia da Covid e infine il governo Meloni: capitano tutte a lei, solo perché è piccola e nera.

La divisione dei compiti. “Salvare Bakhmut, rispondere al cuoco di Putin. È ora di inviare dal cielo gli angeli sterminatori per respingere le ributtanti milizie della carneficina… con una sacrosanta apocalisse di fuoco” (Giuliano Ferrara, Foglio, 15,3). Quindi ricapitolando: i cattivi fanno carneficine, noi buoni sterminiamo.

Scambio di persona. “Xi vola a Mosca e vuole parlare con Zelensky, ma è sempre più bellicoso” (Foglio, 14.3). Zelensky fa guerra al Donbass, Putin all’Ucraina (fra l’altro), gli Usa ovunque e il bellicoso è l’unico che non ne ha mai fatte.

Conta il pensiero. “Cospito e la smania di mettere in cella il pensiero” (Iuri Maria Prado, Riformista, 16.3). Il pensiero che spara alle gambe a un manager e mette una bomba alla caserma di Fossano per fare una strage di allievi carabinieri.

Slurp. “Il nostro tempo, la nostra parte. Domenica 26 febbraio, una data che segnerà la nostra storia. Aperta all’alba dalla tragica strage di migranti e chiusa con la vittoria a sorpresa di Elly Schlein” (Marco Damilano, Domani, 10.3). Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.

Save the date. “Il funerale del grillismo” (Vittorio Macioce, Giornale, 11.3). Un altro?

Anche se. “I soliti compagni. La sinistra processa Giorgia anche se vede Netanyahu” (Renato Farina, Libero, 10.3). O forse proprio per questo.

Lo struzzo di Messina. “Una settimana Di Battista e Di Cesare sono su un canale mentre Orsini e Travaglio sull’altro, e viceversa. Ci vorrebbe un bel dibattito settimanale a reti unificate: Di Battista, Orsini, Di Cesare e Travaglio. Solo loro. Tutti insieme. Senza costringerci a cambiare canale” (Sebastiano Messina, Repubblica, 9.3). No, dài, che poi rischi di imparare qualcosa.

Sarò franco. “Urso: ‘L’asse con la Francia deve coinvolgere anche la Germania’” (Verità, 11.3). Eh, ma poi che asse con la Francia è?

I titoli della settimana/1. “E ora il Pd fa paura… Travaglio contro Schlein… Una caricatura e un titolo intriso di misoginia” (Angela Azzaro, Riformista, 14.3). “Schlein veniva raffigurata con un’enorme caricatura che ne storpiava i caratteri fisici secondo alcuni stereotipi che richiamano, forse involontariamente, la propaganda antisemita” (Federico Bosco, Foglio, 14.3). “La caricatura di Elly Schlein sul Fatto. Il codice visivo dell’antisemitismo e la libertà di stampa” (Demetrio Paparoni, Domani, 15.3). Questi non stanno per niente bene.

Il titolo della settimana/2. “‘Arrestate Putin, è un ladro di bambini’” (Libero, 18.3). “Sì, i comunisti mangiavano bambini (ucraini)” (Giornale, 18.3). Migliorano: prima li mangiavano, ora si limitano a rapirli.

Il titolo della settimana/3. “A F*******t mai un soldo dalle mafie” (Marina Berlusconi, Repubblica, 17.3). In effetti era F*******t che pagava la mafia.

Il titolo della settimana/4. “Sì al collegamento sullo Stretto. Salvini: ‘Sarà il ponte più verde del mondo’” (Giornale, 17.3). Per via delle alghe, quando crolla.

Il titolo della settimana/5. “Lo zar ricercato come Milosevic: così si allontanano anche i negoziati” (Lorenzo Cremonesi, Corriere della sera, 18.3). Meno male: stavamo giusto in pensiero.

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21/03/2023
Arrivano i buoni

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Sembra ieri, invece è il 20 marzo 2003. George W. Bush e i suoi maggiordomi Blair, Berlusconi, Aznar&C. (ma non Chirac) scatenano la guerra di aggressione all’Iraq di Saddam Hussein in base a due menzogne: le armi di distruzione di massa (inesistenti da anni, come hanno accertato gli ispettori Onu, eppure mostrate all’Onu nella falsa provetta dal segretario di Stato Colin Powell il 5 febbraio) e l’alleanza fra il tiranno di Baghdad e il capo di al Qaeda Osama bin Laden (che si odiano e si sono condannati a morte a vicenda). Naturalmente non la chiamano guerra, ma “lotta al terrorismo”, “esportazione della democrazia”, “scontro di civiltà” (quella “giudaico-cristiana”, superiore, contro quella islamica, inferiore).

La tragedia irachena, come tutte, appena varca la frontiera italiana si trasforma in farsa. Qui è pieno di americani a Roma che le “adm” sfuggite agli ispettori Onu e ai satelliti Nato le vedono a occhio nudo dalle loro terrazze. Per esempio il Foglio di Ferrara. E il Giornale di Belpietro: “Gli iracheni pronti a usare le armi chimiche” (23.3.03). “Così Saddam ha ingannato gli ispettori. A Baghdad una struttura specializzata nell’occultare armi e prove. L’Onu sapeva, ma ha taciuto” (29.3.03). “Antrace, botulino, agenti nervini e vescicanti: Saddam ha nascosto il suo arsenale in case, scuole, moschee, pronto a utilizzarlo con bombe, aerei e missili. Ha 100-5600 tonnellate di Sarin e Vx e 2500 litri di carbonchio” (30.3.03). “30 mila munizioni chimiche e migliaia di litri di nervino scoperti in una fabbrica di pesticidi” (30.3.03). “Trovate attrezzature per micidiali armi chimiche” (2.4.03). Figurarsi la frustrazione delle truppe angloamericane che dilagano per tutto l’Iraq fino a Baghdad e non trovano uno straccio di arma nucleare, chimica o batteriologica, anzi assistono alla fuga di Saddam, del suo terribile esercito e della sua feroce Guardia repubblicana che, pur dotati di cotanti arsenali, se la squagliano a gambe levate senza sparare neppure un petardo non convenzionale. Berlusconi però ha una spiegazione: le “adm” c’erano eccome, ma “sono state distrutte alla vigilia dell’attacco”. Diavolo di un Saddam: accumula per 10 anni ordigni micidiali per distruggere l’odiato Occidente e poi, quando se lo ritrova in casa, distrugge le armi di distruzione. Così lo rovesciano e lo impiccano, ma non gli trovano niente. Furbo lui. Anzi, dispettoso. Poi il 12.1.2005 la Casa Bianca annuncia en passant che “gli Usa non sono più impegnati nella ricerca delle armi di distruzione di massa”. Anche perché si scopre che in effetti in Iraq di “adm” ce ne sono, ma le han portate i “liberatori” della civiltà superiore: gli esportatori di democrazia.

Sigfrido Ranucci, inviato di Rainews 24, rivela che la città santa di Fallujah è stata rasa al suolo nella notte fra l’8 e il 9.11.2004, con migliaia di vittime civili, grazie a massicci bombardamenti di bombe al fosforo bianco, proibite da cinque convenzioni internazionali contro obiettivi civili. Il fosforo bianco è una sorta di moderno napalm che brucia la carne di chi vi entra a contatto. La Casa Bianca liquida lo scoop come “propaganda antiamericana”, poi dinanzi alle prove filmate deve ammettere la micidiale arma chimica. E così il governo Blair. B. invece non proferisce verbo, anche perché nessuno – a parte pochi cani sciolti della cosiddetta “sinistra radicale” – gli chiede niente. La grande stampa italiana snobba la supernotizia. O fa di peggio, come Massimo Teodori, che sul Giornale bolla l’inchiesta di Ranucci di “ordinaria demagogia e partigianeria filoterrorista”: al massimo “il fosforo è stato impiegato per illuminare le postazioni nemiche”. Ecco, gli Usa erano a corto di pile e riflettori e hanno illuminato la scena con un po’ di fosforo. Perché, insieme alla democrazia, stanno esportando anche l’illuminismo.

E, già che ci sono, pure la tortura. La Cbs pubblica le foto di prigionieri iracheni seviziati dai soldati Usa nel carcere di Abu Ghraib: lo stesso dove Saddam faceva torturare e sterminare gli oppositori. Sdegno e orrore in tutto il mondo: persino Bush deve scusarsi col mondo islamico. Ma Ferrara nega l’evidenza, sproloquia di “episodi circoscritti” (almeno 25 prigionieri morti ammazzati) e indica il vero virus che “ci indebolisce nella guerra”: non la tortura, ma “la voracità morbosa di dire che la colpa è dell’Occidente, di pubblicare immagini delle torture degli occidentali”. Sul Corriere, Piero Ostellino ordina: “Non chiamiamole torture”, ma “effetti collaterali” della “mancanza di professionalità, di addestramento, di controllo” delle truppe. E poi, suvvia, la “democrazia reale” è “catturare i sospetti di terrorismo, farli parlare e accumulare la maggior quantità di informazioni: l’intelligence non è un balletto”, quando ci vuole ci vuole. Basta “non farsi fotografare se si maltrattano i sospetti di terrorismo” e morta lì. Nel 2006, sempre sul Corriere, Angelo Panebianco giustifica pure il sequestro dell’imam di Milano Abu Omar targato Cia & Sismi e “l’eventuale confessione, estorta dai servizi segreti anglo-americani tramite tortura, di un jihadista” che progetti attentati, “magari anche arrestato (sequestrato) illegalmente”. Perché, quando stai con i buoni, puoi fare di tutto, anche peggio dei cattivi. Poi magari, vent’anni dopo, ti scandalizzi perché i cattivi hanno imparato dai buoni. Ogni riferimento a fatti o personaggi di oggi è puramente intenzionale.




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22/03/2023
Troppe novità

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Una svolta. Un ciclone. Un terremoto. Anzi, una rivoluzione. Elly Schlein cambia tutto: non solo il Pd, ma pure gli altri. “Oscura” tutti, “si prende” questa e quella piazza, “si prende il salario minimo”, “si prende la Cgil”, “si prende i diritti civili” (solo i media non c’è bisogno di prenderli: quando si tratta di Pd, sono già presi). Ormai, a parte Meloni, c’è solo lei. E Meloni la teme, oh se la teme. Perché Todo cambia, come diceva la canzone. Ma pure quell’altra, Penso positivo: “Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa… da Che Guevara fino a Madre Teresa, passando da Malcom X attraverso Gandhi e San Patrignano… Niente e nessuno al mondo potrà fermare, fermare, fermare, fermare quest’onda che viene e che va…”. E il Pd, non avete visto com’è cambiato il Pd? Ora dice sì ai diritti civili, come prima; sì al salario minimo, come prima (tanto oggi mancano i numeri e dirlo non gli costa niente, mentre quando c’erano i numeri gli toccava dire sì e poi sabotarlo); no a tutte le mafie, come prima (e come tutti); e no ai capibastone e ai cacicchi, tranne Guerini, Orlando, Gori, De Luca jr., Bruno Bossio, Nardella, Margiotta, Leodori, Pezzopane, Pollastrini e un’altra carrettata di teneri virgulti entrati nella “nuova” Direzione.

E poi la politica estera: tutta nuova. Un cablo pubblicato da Wikileaks diceva che “il Pd è concepito dagli Usa come una operazione di contenimento della sinistra”. Quale migliore occasione per smentirlo sull’unica questione – il sì al negoziato e il no alle armi in Ucraina – che può infastidire la premier guerrafondaia agli ordini di Biden? Invece Elly conferma il cablo: pacifista quando non stava nel Pd, ora che è iscritta e segretaria vota il decreto Armi con le destre e il Sesto Polo; e tace nel dibattito parlamentare sulla guerra e fa parlare due fedelissimi di Guerini, che è un po’ il Crosetto del Pd. Non bastando queste novità da capogiro, ecco quella sui conflitti d’interessi. Ieri i 5Stelle presentano una mozione sullo scandalo Qatar per vietare per legge a ministri, parlamentari, assessori e consiglieri regionali e comunali di prendere soldi da Stati esteri (come han fatto illecitamente i vari Panzeri dal Qatar e dal Marocco e come fa lecitamente Renzi dai sauditi e da altri). Perfino Letta aveva chiesto di colmare “il vuoto normativo” che consente simili sconcezze. Persino Calenda aveva annunciato il suo voto a una legge che le vietasse. Infatti il nuovo Pd che fa? Si astiene. È l’ennesima svolta del nuovo Pd per una grande chiesa da Che Guevara a Madre Teresa passando da Malcom X attraverso Bin Salman e l’emiro del Qatar. Non è un amore?




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23/03/2023
GRA-TUI-TA-MEN-TE

l'editoriale di Marco Travaglio

23 marzo 2023

Dopo avere perculato Conte perché spiegava che, col Superbonus 110%, gli italiani potevano adeguare “gra-tui-ta-men-te” le proprie case all’efficientamento energetico e agli europarametri green, risparmiare sulle bollette e sulle emissioni e intanto creare un milione di posti di lavoro, far emergere il nero e rilanciare l’edilizia, come in ogni investimento pubblico che si rispetti, ora è la Meloni a sventolare in Parlamento il “gra-tui-ta-mente” a proposito delle armi. Solo che il gratuitamente di Conte era vero, quello della Meloni è una balla. Le armi che inviamo all’Ucraina, che acquistiamo per sostituirle e che aggiungiamo per raggiungere il traguardo (“da pazzi” secondo il Papa, urgente per Meloni&Crosetto) del 2% di Pil di spesa militare, non sono affatto gratis. O meglio, lo sono per gli ucraini, ma non per noi, che le paghiamo care e salate con le tasse e i tagli ai servizi pubblici (nella Finanziaria ci sono già meno scuole e meno fondi alla sanità). Solo che, diversamente dal Superbonus, non sono investimenti produttivi ed ecologici, ma costi improduttivi e inquinanti. E anche inutili, visto che il futuro esercito europeo dovrà unificare le tipologie di armamenti e, per l’economia di scala, ridurre l’attuale spesa dei 27 Stati membri. Per la premier, “raccontare che l’Italia spende soldi per mandare armi a Kiev è puerile propaganda: l’Italia invia all’Ucraina materiali e componenti già in suo possesso”. Che però non sono fondi di magazzino superflui (sennò perché acquistarli e rimpiazzarli?), ma servono alla nostra difesa.

In un anno l’Italia ha inviato a Kiev aiuti militari per “circa un miliardo”: l’ha detto il ministro Tajani a gennaio. E un miliardo sta spendendo in più fra ripristino delle scorte e contributi al settore. La sola batteria Samp/T (missili terra-aria franco-italiani) costa 800 milioni e va subito sostituita. L’ha detto Crosetto al Senato: “L’aiuto che abbiamo dato all’Ucraina ci impone di ripristinare le scorte che servono per la difesa nazionale”. Poi ci sono i fondi che ogni Stato Ue, tra cui l’Italia, invia all’European peace facility (Epf) creato nel 2021 per gestire le spese in armamenti: finora ha stanziato 3,6 miliardi e l’Italia ha contribuito con 450 milioni. E chi arma l’Ucraina può farsi rimborsare un 30-40% degli invii, ma non le spese per ripristinare le scorte di armamenti (che ora costano molto più di quelli acquistati anni fa e ceduti a Kiev). Così, secondo i calcoli di Milex, si arriva a un miliardo già speso. Che non è niente rispetto all’obiettivo – su cui la Meloni “mette la faccia” – di aumentare il bilancio militare al 2% del Pil: sono 13 miliardi in più all’anno (in aggiunta agli attuali 30). Ovviamente a carico nostro, perché qui nulla è gratis: neppure le balle che ci raccontano.

Foto dal web

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NEURONI IMPOVERITI

l' editoriale di Marco Travaglio

24 marzo 2023

Secondo il Centro Osservatorio Militare, 7.600 militari italiani in missione dalla Bosnia alla Somalia all’Iraq si sono ammalati di cancro per l’esposizione all’uranio impoverito, rilasciato da proiettili Nato; e 400 sono morti di leucemia o altri tumori. L’esplosione sprigiona nell’aria polveri sottilissime che si depositano sul terreno e vengono inalate da uomini e animali, entrano nell’organismo per via respiratoria o tramite gli alimenti e viaggiano nel sangue da un organo all’altro: un veleno invisibile che uccide anche a distanza di decenni. Tutto accertato da indagini epidemiologiche, giudiziarie e parlamentari in vari Paesi. Infatti, quando s’è saputo che le truppe russe in Ucraina potenziano i proiettili con uranio impoverito, mettendo a ulteriore rischio i propri soldati, quelli ucraini e i civili, la condanna è stata unanime. Poi tre giorni fa il governo britannico annuncia l’invio di proiettili all’uranio impoverito a Kiev. E da quell’istante l’uranio impoverito si tramuta in Chanel n. 5, con un fans club di tutto rispetto. Antonio Caprarica, ex reginologo in astinenza da regine, spiega su La7 che i simpatici proiettili radioattivi – purché made in London – sono “correntemente usati su tutti i campi di battaglia, purtroppo con esiti assai preoccupanti per la salute dei soldati che, poveracci, come dire, hanno anche altre preoccupazioni: non solo le malattie da uranio impoverito, ma quel che gli succede sui campi di battaglia. Quindi nessun allarme escalation”. Se non muori ammazzato, come dire, vuoi mettere la soddisfazione di tornare a casa e beccarti correntemente una leucemia o un cancro a piacere targato Uk? La Nato, si sa, è come il Dash: lava più bianco.

Su RadioRai il noto esperto Federico Fubini dispensa altre perle di saggezza: “Il Fatto titola ‘Uranio impoverito, Ucraina nuovo Iraq’, ma ho cercato di approfondire e non mi sembra che la scienza sia univoca sulla pericolosità.




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25/03/2023
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – L’uranio sarà anche impoverito, ma il suo Fan Club non fa che arricchirsi. Dopo il duo Caprarica-Fubini, giovedì a Piazzapulita ne parlavano Vittorio Emanuele Parsi e Francesca Mannocchi. Invano Corrado Formigli ricordava la strage infinita di soldati in missione all’estero, mentre quelle dei civili possiamo soltanto immaginarle. Poi intervistava Sigfrido Ranucci sui bombardamenti anglo-americani a Fallujah (Iraq) col fosforo bianco. E, con Padellaro e Negri, notava il doppiopesismo del Tribunale dell’Aja che vuole arrestare Putin dopo aver dormito sonni profondi sulle stragi occidentali da uranio impoverito e da fosforo bianco. Ma ora che l’uranio impoverito lo donano generosamente gli inglesi agli amici di Kiev non riesce proprio a indignare né Parsi né Mannocchi. Sì, certo, spiegava Parsi, agli ucraini va raccomandato di “non raccogliere queste cose (sic, ndr) senza cautela, perché potrebbero essere pericolose” e financo “avere delle controindicazioni”, tipo l’aspirina. Ma “non hanno nessuna capacità di escalation”, quindi “sta a noi decidere se vogliamo fare (sic, ndr) l’agenda dei russi o la nostra”. Ovvio che è meglio la nostra, anche se è difficile distinguerla da una cartella clinica di oncologia. Mica possiamo darla vinta a Putin rinunciando a sterminare un po’ di ucraini con un po’ d’uranio.

Padellaro osservava che la parola “uranio” allarma vieppiù l’opinione pubblica per un’escalation senza sbocchi né strategie. Ma Mannocchi metteva su l’arietta di Parsi: queste cose spettano ai “decisori”, non certo all’“opinione pubblica, che non ha la lucidità”. A noi pare l’opposto, ma non essendo decisori non siamo lucidi. Invece il lucido Parsi spiegava che i giudici dell’Aja “applicano la legge in ossequio alla separazione dei poteri, non all’opportunità politica”: infatti hanno inviato “un segnale a Putin”, che è proprio una scelta politica. E la lucida Mannocchi opinava che non si può chiedere a quei giudici perché non processano tutti i criminali di guerra, ma solo chi conviene alla Nato: “L’Iraq è una vergogna che ci portiamo dietro, ma è un fatto storico, mentre ora parliamo di Ucraina”. E il milione di morti ammazzati da noi fra Iraq e Afghanistan è prescritto, sennò “c’è un pregiudizio antiamericano”. Cose che càpitano quando l’opinione pubblica poco lucida si ostina a non apprezzare le virtù taumaturgiche dell’uranio impoverito che “si libera attraverso le urine con molta più facilità” (Fubini). Ed è meglio del Viagra: vuoi mettere avere lì sotto un razzo a testata nucleare fosforescente che ti illumina a giorno la stanza da letto, così risparmi sull’abat jour? La preziosa sostanza è consigliata anche come profumo per ambienti e sale da bagno: la famosa essenza di geranio impoverito.




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26/03/2023
La gara degli orrori

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – In 13 mesi di invasione russa dell’Ucraina l’Onu ha accertato almeno 40 esecuzioni sommarie di militari prigionieri e disarmati: 25 commesse dalle forze ucraine su soldati russi e 15 da quelle russe su quelli ucraini. Sono dati parziali, frutto di un’indagine degli ispettori Onu tra agosto e gennaio con interviste a 400 prigionieri di guerra, metà ucraini e metà russi. Che raccontano anche torture, civili usati come scudi umani e altri abusi bipartisan che “potrebbero costituire crimini di guerra” su entrambi i fronti. La capo-missione Matilda Bogner spiega che Kiev, informata di tutto con tanto di prove, si è voltata dall’altra: “Nessun caso è stato finora portato in tribunale”. Idem Mosca. Il fatto che i crimini ucraini siano più numerosi di quelli russi non conferisce a Kiev il record di ferocia, né giustifica l’aggressione. Ma dimostra che ha ragione il Papa: questa non è la fiaba di Cappuccetto Rosso e del lupo cattivo, perché ci sono soltanto lupi cattivi. Lo scrivemmo un anno fa sulla strage di Bucha, quando ancora mancavano elementi certi per ricostruirne la dinamica, ma già la propaganda atlantista la enfatizzava per farne un unicum mai visto e spezzare l’esile filo dei negoziati russo-ucraini in Turchia. Invece era una storia di ordinario orrore bellico, come centinaia di stragi in ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e altri Paesi aggrediti dai “buoni”. Usarla per uccidere i negoziati e allungare la guerra non fece che moltiplicare le Bucha da entrambe le parti. Già nel 2014 l’Onu denunciava crimini di guerra ucraini in Donbass: “Gravi violazioni dei diritti umani, continue uccisioni di civili, arresti illegali, persone torturate e fatte sparire, esecuzioni sommarie, stupri… Tra metà aprile e metà novembre, 4.317 civili uccisi e 9.921 feriti”. E nel 2016 segnalava “uccisioni, torture, rapimenti e lavori forzati… anche a opera di gruppi armati che combattono a fianco dell’esercito regolare” (i famigerati battaglioni Azov, Dnipro&C.).

Migliaia di casi mai perseguiti né dai governi ucraini (Poroshenko e Zelensky) e dalla loro “giustizia” né dai giudici strabici del famoso Tribunale dell’Aja. Infatti sono proseguiti nel 2022-23. Vedi i filmati di prigionieri russi ammanettati e gambizzati. E l’ultima denuncia di Amnesty del 4 agosto: “Le tattiche di combattimento ucraine mettono in pericolo i civili”, “violano il diritto internazionale e trasformano i civili in obiettivi militari”, cioè in scudi umani con “basi militari e sistemi d’arma messi in aree residenziali, compresi scuole e ospedali”. Siccome ora lo fanno anche con le nostre armi, chi ha votato per inviarne altre dovrebbe forse dire qualcosa. Non per stilare una classifica dell’orrore, ma per farlo finire al più presto. A qualunque costo.




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27/03/2023
Ma mi faccia il piacere

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Prima e dopo la cura. “Asse Meloni-Macron contro la Germania. Forse si aprirà uno spiraglio pure per l’auto” (Libero, 25.3). “Accordo solo con la Germania sui carburanti: l’Europa ci bidona sull’auto”, “L’Ue ci frega sull’auto. Ma la partita è aperta” (Libero, 26.3). L’asse a forma di cetriolo.
Signora mia/1. “Già la tempistica dice molto. Domenica, mentre le prime pagine dei giornali di tutto il mondo parlavano dell’incriminazione di Putin da parte della Corte penale internazionale, il Fatto quotidiano apriva infatti con il titolo: ‘Decine di soldati ucraini in Italia per addestrarsi’. Dettaglio divertente… nell’articolo in verità si parlava di ‘una ventina’ di soldati, dunque si direbbe che le ‘decine’ si riducano a due (in pratica, il minimo grammaticale per giustificare il titolo: è da questi particolari che si giudica un direttore)” (Francesco Cundari, Linkiesta, 21.3). Un direttore che pubblica financo una notizia quando ce l’ha e per giunta conosce la tabellina del 10: dove andremo a finire.
Signora mia/2. “Cosa c’entra una fogna del genere con la satira esattamente?” (Arianna Ciccone, direttrice Festival Internazionale del Giornalismo, contro l’ultima vignetta di Riccardo Mannelli sul Fatto, Twitter, 26.3). Poi c’è quel Lionel Messi che si crede un calciatore.
Melmoni. “Una vignetta ignobile, che non fa ridere e offende e basta una bravissima giornalista, potete indovinare su quale giornale può uscire una melma del genere” (Jacopo Iacoboni deLa Stampa, Twitter, 26.3). Non quello che scambiò Beatrice Di Maio per un’agente grillin-putiniana, invece era la moglie di Brunetta, e continua pubblicare le bufale dell’autore della bufala.
Parsi di guerra. “(Travaglio, ndr) attacca il somaro dove padrone comanda” (Vittorio Emanuele Parsi, “Direttore ASERI, Professore Ordinario di Relazioni Internazionali e Studi Strategici Unicatt, Capitano di Fregata Riserva della Marina Militare, Rugbysta”, Twitter, 25.3). “Lo squadrismo mediatico del falso quotidiano. Incapaci di controbattere attaccano interlocutrice. Scemi di guerra” (Vittorio Emanuele Parsi Twitter, 26.3). E niente, mi sa che il rugbysta si è riconosciuto.
Taci, il nemico ti ascolta. “Mi ha colpito, nel periodo appena trascorso a Londra, quanto poco si discuta dell’Ucraina. Sui giornali, in televisione, in pubblico, a cena con gli amici. Non perché non interessi. Perché, in fondo, c’è poco da dire: il Paese è stato aggredito dalla Russia, e va aiutato…” (Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 26.3). Ora, per dire, gli inglesi lo aiutano con armi e proiettili all’uranio impoverito. Ma è meglio non parlarne, come ai bei tempi del Duce: “Qui non si parla di politica o di alta strategia. Qui si lavora”.
Non l’hanno avvisato. “…È nell’interesse dell’Europa libera, di cui il Regno Unito fa parte. Così l’Italia, anche se a volte sembra dimenticarsene” (Severgnini, ibidem). In effetti, con l’Italexit, l’Italia è uscita dall’Europa: fortuna che il Regno Unito resiste.
Comma 22. “Un negoziato è possibile solo se la Russia lascia l’Ucraina” (Foglio, 25.3). Giusto, solo che poi non si saprebbe più su cosa negoziare.
Il fascista del Kgb. “La realtà triste è che Putin ha trasformato la Russia in un Paese che ha ormai praticamente tutte le caratteristiche che ne fanno una Nazione fascista” (Danilo Taino, Corriere della Sera, 25.3). Ma infatti: ha fatto tutto nell’ultimo anno. Ora gli manca solo il battaglione Azov.
Un posto al sòla. “Adolfo Urso: ‘Bisogna liberare l’Africa dal controllo russo-cinese’” (Libero, 23.3). Che bello: dichiariamo guerra all’Africa.
Gra-tui-ta-men-te. “Tank, F-35 e portaerei. Le priorità della Difesa per le guerre di domani. I vertici militari hanno presentato in Parlamento le esigenze di riarmo. Per adeguare mezzi e organici alle lezioni dell’Ucraina servono oltre 30 miliardi extra” (Repubblica, 22.3). E vabbè, dai, che saranno mai oltre 30 miliardi extra all’anno dinanzi alla figata delle “guerre di domani”. A proposito, domani chi attacchiamo?
Vogliamo l’inchiesta. “Nello staff di Musumeci l’assessore che nascose i morti di Covid” (Repubblica, 23.3). Tutto pronto per la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid.
Il titolo della settimana/1. “La figlia di David Rossi inchioda la Schlein” (Libero, 26.3). L’ha buttato giù lei?
Il titolo della settimana/2. “La storia del Ponte in Sicilia comincia con i cartaginesi. Da Plinio a Salvini” (Libero, 21.3). Uahahahahahah.
Il titolo della settimana/3. “Perché la ‘carta igienica’ deve far paura al Cremlino” (Foglio, 23.3). Oltreché a Renzi.




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28/03/2023
Vergognatevi voi

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Cari censori liberali e democratici, fate pure il vostro sporco lavoro. Spacciate le nostre caricature per omicidi, le nostre vignette per stragi terroristiche (“Je ne suis plus Charlie”), la nostra ostilità a tutte le guerre per putinismo. Offrite pure la vostra pelosa solidarietà alle presunte vittime di quel crimine contro l’umanità chiamato satira e di quel peccato mortale chiamato imparzialità, ma non credete che non abbiamo capito perché sfidate il ridicolo con questi servizietti: stavolta l’opinione pubblica che tentate di trascinare in guerra con la vostra propaganda da quattro soldi non vi segue. È molto più lucida dei “decisori”, come insegnano le piazze di Francia e d’Israele. È questo che vi spaventa: più fabbricate balle, liste di proscrizione e censure, più aumentano gli italiani che vi sbugiardano e vi abbandonano. Perciò siete ossessionati da un piccolo giornale corsaro come il Fatto: perché è ancora una volta un punto di riferimento per quelli che non se la bevono. E stavolta non sono minoranza, ma maggioranza, come indicano i sondaggi e le classifiche dei libri che tanto vi allarmano. Quindi continuate pure il vostro sporco gioco a effetto boomerang: più lavorate al pensiero unico, più sviluppate senza volerlo il pensiero critico. Ma non illudetevi di creare un clima che ci metta all’angolo, sulla difensiva, costretti a giustificarci ogni giorno di ciò che pubblichiamo al servizio dei lettori. Siete voi che vi dovete giustificare e vergognare. Non noi.
Siete voi che trovavate simpatico e pragmatico Berlusconi pappa e ciccia con Putin, non noi che di Putin abbiamo sempre denunciato i crimini e gli orrori. Siete voi che sorvolavate sulle guerre di aggressione della Nato (la famosa “alleanza difensiva”) prese a modello e ad alibi da Putin per le sue, non noi che le abbiamo sempre denunciate. Siete voi che stavate con Renzi quando aggirava le sanzioni a Mosca dopo l’occupazione della Crimea, continuando ad autorizzare vendite di armi poi usate per aggredire l’Ucraina, non noi che abbiamo contribuito a sloggiarlo, almeno da Palazzo Chigi. Siete voi che avete trasformato il principio di autodeterminazione dei popoli in una burletta, infischiandovi dei popoli di Serbia, Libia, Afghanistan, Iraq, Donbass, Palestina, Kurdistan ecc., riscoprendolo per quello ucraino (Donbass escluso), non noi che l’abbiamo sempre difeso per tutti. Siete voi che avete trasformato il Tribunale penale internazionale in un juke-box, esultando quando processa Milosevic o vuole arrestare Putin, ma tacendo quando ignora i crimini di guerra di Usa e Nato, di Mosca in Siria e dei governi ucraini in Donbass (denunciati per nove anni da Onu, Osce, Amnesty e sempre impuniti, all’Aja come a Kiev).
Siete voi, antifascisti a targhe alterne, che avete sciolto peana ai neonazisti dei battaglioni Azov&C., colpevoli di quei crimini. Siete voi che avete trasformato i diritti civili e umani in un colabrodo, indignandovi giustamente per i delitti Regeni e Politkovskaya e i depistaggi russi ed egiziani, ma tacendo su casi gemelli come quello di Andy Rocchelli, il reporter ucciso dalle truppe regolari ucraine in Donbass nel 2014 perché vi documentava la guerra civile, ancora in attesa di giustizia perché il regime di Kiev ha sempre depistato le indagini. Siete voi che avete compilato o avallato liste di proscrizione (falsamente attribuite ora alla Columbia University, ora ai Servizi) contro chi la pensa diversamente da voi o si limita a difendere l’articolo 11 della Costituzione, bollandolo come putiniano agli ordini o al soldo di Mosca, chiedendo di non invitarlo più in tv o di deferirlo al Copasir e vantandovi di non ospitarlo. Siete stati voi a screditare il buon nome del giornalismo propalando notizie false (il default della Russia, gli effetti balsamici delle sanzioni, l’isolamento internazionale di Putin, la sua imminente fine per una collezione di malattie da Guinness, l’autosabotaggio russo dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, l’autobombardamento russo della centrale nucleare di Zhaporizhzhya, la prossima o già avvenuta liberazione dei territori ucraini occupati); e tacendo o bollando di fake news notizie vere (gli appelli del Papa contro i governi “pazzi” del riarmo al 2% del Pil, lo scoop del premio Pulitzer Seymour Hersh sul sabotaggio Usa dei gasdotti russi, i decreti Zelensky che mettono fuorilegge gli 11 partiti di opposizione e vietano di trattare con Putin, gli appelli al negoziato non dei “pacifinti”, ma persino del capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, generale Mark Milley, scettico su una vittoria militare ucraina).
Siete voi che avete criminalizzato i pacifisti con insulti e calunnie, trasformando il valore della pace in un disvalore e il “ripudio” costituzionale della guerra in un via libera al bellicismo, all’escalation e alla cobelligeranza con un Paese non alleato che dal 4 ottobre ripudia il negoziato per decreto. Siete voi che avete spacciato le sanzioni su gas e petrolio russi per una battaglia di democrazia, infatti ora li acquistiamo (o ne acquistiamo di più) da tirannie altrettanto o più ributtanti di quella russa: Algeria, Egitto, Angola, Mozambico, Congo, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar. Siete voi che minimizzate gli effetti letali dell’uranio impoverito da quando Londra ha annunciato che ne farà dono agli ucraini. Quindi, cari censori liberali e democratici, siete voi che dovete giustificarvi agli occhi degli italiani. Non noi. Fatevene una ragione e provate a spiegare che cosa vi è successo, se ci riuscite.




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29/03/2023
Processi somari

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Nella fauna e nella flora dei liberi docenti di satira che spiegano a Mannelli cos’è e come si fa una vignetta (confondendola con le caricature, le barzellette, il Bagaglino e le scoregge dall’ascella), svettano quelli che “il Fatto insulta”. Quindi, sottinteso, è ovvio che lo faccia anche Riccardo Mannelli. Che non è un artista di 68 anni che ha lavorato in tutte le riviste satiriche dell’ultimo mezzo secolo – Help, Male, Cuore, Boxer, Satyricon, Tango, Cuore, Linus –, svignettato e disegnato per Europeo, Stampa, Messaggero, Lotta Continua, manifesto, Repubblica, L’Écho des Savanes (in Francia), Humour, Pagina 12 (in Argentina) e Fatto, ha esposto alla Biennale di Venezia e satireggia su chi gli pare. No, è un killer attivato dal suo direttore perché “insulti” questo e quello, o vendichi Padellaro dopo un dibattito con la madonnina infilzata. Leggete questo scampolo di prosa malferma: “Ma in un quotidiano dove a essere zeppi di insulti, ingiurie e storpiature sono gli editoriali, che vi aspettavate dalle vignette, Raffaello?”. È di Stefano Cappellini, che nessuno lo sa, ma è nientemeno che editorialista di Repubblica: e non lo sa neanche lui, altrimenti saprebbe anche che Mannelli collabora come illustratore con Repubblica. Lui però non solo non sa cosa sia la satira, ma neppure l’insulto: infatti, mentre accusa gli altri di insultare, insulta. Ieri, per dire, accusava Orsini di “cialtroneria”.

Quindi per lui dare del cialtrone a un professore che previde l’invasione russa dell’Ucraina nel 2019, quando lui probabilmente pensava che il Donbass fosse un prete nano, non è un insulto. Oppure per lui le critiche ai suoi amichetti sono insulti e gli insulti ai suoi nemici sono critiche argomentate. Infatti non risultano tweet indignati di Cappellini quando sul suo giornale Francesco Merlo paragonò Grillo a “quel Malpassotu che, da un buco della campagna siciliana, masticando odio e cicoria, scagliava i suoi pizzini per sfregiare i nemici e umiliare gli innocenti” (U Malpassotu, alias Giuseppe Pulvirenti, è il boss sanguinario catanese reo confesso di una faida da 100 morti l’anno). Qualcuno penserà che Cappellini difenda Mannocchi perché è donna. Ma è altamente improbabile. Sennò avrebbe difeso Virginia Raggi dagli insulti sessisti che la sommersero per cinque anni da sindaca. Invece, mentre Libero la chiamava “patata bollente” e la Verità “Forrest Gump con fama di mantide”, Repubblica s’inventò che Salvatore Romeo, nella causale delle due polizze che aveva intestato alla Raggi in caso fosse morto, aveva scritto “relazione sentimentale”. Tutto falso. E chi fabbricò la fake news? Cappellini. Che poi ovviamente non rettificò né si scusò per la diffamazione sessista. Ma forse, per lui, quella era satira.




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