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 Gustatos e la schiaccia all'acciuga.
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Dino

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Inserito il - 26/10/2022 : 05:41:39  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Dino  Invia a Dino un messaggio Yahoo! Invia a Dino un Messaggio Privato Aggiungi Dino alla lista amici  Rispondi Quotando
Copiata da un articolo di facebook

"HAI VISTO, CI VOLEVINO L’ORBITELLANI PE' FA’ CONOSCE LA STIACCIA CO’ LE LACCIUCHE AL MONDO!".

Non è il solito spirito campalinista ad animare questa nostra ironica espressione in vernacolo, ma una sana ribellione, per ciò che potrebbe apparire come un "furto" identitario e culturale delle nostre tradizioni gastronomiche santostefanesi.
Alcuni mesi fa, a mezzo di articoli su quotidiani, lo Slow Food Orbetello dichiarò il proprio impegno a ottenere il riconoscimento della prelibata schiaccia con acciuga e cipolla come presidio slow food, ai quali seguì un nostro post critico, nel quale esprimemmo la nostra contrarietà a quanto scritto, argomentandola con cenni storici e aneddoti facilmente riconducibili alla verità, perché la rivendicammo come nostro patrimonio identitario.
Dopo aver pubblicato il nostro post sui social, la nostra associazione venne contattata dal Presidente dello Slow food Orbetello e le venne proposto di collaborare al progetto, al fine di fornire informazioni storico-gastronomiche sull'argomento, per affrontare un percorso condiviso. Mantenendo fede al nostro impegno, inviammo le notizie in nostro possesso, che di seguito riportiamo:

A Porto S. Stefano una tra le preparazioni che più di tutte è apprezzata e consumata fin dalle origini del Paese è la gustosa “schiaccia con acciughe e cipolla”, una sorta di focaccia ripiena preparata con pasta di pane e farcita di cipolla affettata sottilmente ed acciughe salate. Da tempo immemorabile viene preparata sia nei forni del paese che nelle case, nata come colazione di metà mattina dei pescatori.
Originariamente veniva preparata con le sarde salate e non con le acciughe in quanto queste ultime, essendo un prodotto più nobile, erano destinate soprattutto alla vendita.
Nel dopoguerra le cose cambiarono e nel forno di Ghiga “la Giangia” si iniziarono a sostituire le sarde con le acciughe salate, perché il marito, proveniente dalla Campania e proprietario di una lampara, ne era pescatore e produttore. La schiaccia che si ottenne era molto più delicata al gusto e venne molto apprezzata sia dai vecchi che dai numerosissimi nuovi consumatori.
Questo fatto provocò una piccola rivoluzione nella comunità, perché da quel momento in poi nelle famiglie e negli altri forni del paese si iniziarono ad usare le acciughe al posto delle sarde, e la schiaccia con acciuga e cipolla venne chiamata “schiaccia della Giangia”.
Ma come nasce la schiaccia alle acciughe e cipolla e perché si può trovare solo nei forni della nostra zona mentre è pressoché sconosciuta altrove?
Probabilmente questa preparazione rappresenta una fusione delle culture gastronomiche dei pionieri che arrivarono ad abitare le nostre coste, ovvero i liguri ed i campani.
Siamo nel XVIII secolo, ad alcuni pescatori liguri, specializzati nella pesca e nella conservazione sotto sale di acciughe e sardine, è da attribuire l’abitudine di preparare la focaccia con pesce conservato sotto sale e cipolla, dato che nei loro luoghi di provenienza da ben quattro secoli rappresentava l’usuale colazione dei pescatori.
Andando a ritroso nel tempo possiamo seguire il profumo di pesce salato e cipolla che esce dai forni delle zone del Ponente ligure, comprese le valli dell’entroterra e i piccoli paesini della Costa Azzurra, della Provenza, fino ad arrivare al 1300.
In queste zone ancora oggi possiamo trovare questa focaccia dei pescatori che nel versante ligure con il passare del tempo si è arricchita di altri ingredienti, unendo alle cipolle ed al pesce salato il pomodoro, l’aglio, le olive (taggiasche), i capperi, il basilico, l’ origano e a volte anche il formaggio.
Nella zona francese, nei dintorni di Nizza, è rimasta la versione più antica ed originale, la pissaladière (termine che deriva da peis salad, ovvero pesce salato), che è una focaccia di pasta di pane coperta da cipolla cotta, filetti di acciuga salata e olive nere, legata al mondo della pesca, tanto da essere chiamata “la focaccia del pescatore”.
Con il termine schiaccia in Toscana viene definita una preparazione a base di pasta di pane che si distingue dalla pizza che viene preparata con un impasto arricchito da sale e un grasso. Quindi il nome dato alla nostra preparazione è indubbiamente toscano, mentre la farcitura, come abbiamo visto, è di origine ligure. Resta il fatto che la nostra “schiaccia” si differenzia dalla ligure per la copertura che ricorda storicamente la tiella campana, testimonianza dei primi pescatori arrivati dal Regno di Napoli nel 1700 (pizza “chiena”, pizza di scarola, tiella di Gaeta con polpo e frutti di mare, ecc.).
Dopo i primi insediamenti di pescatori nel XVIII secolo, la pesca del pesce azzurro, acciughe, sarde e tonni, favorì il nascere di una consistente attività conserviera del pescato. Diffusissima fu la salatura delle acciughe, per il consumo locale e l'esportazione nelle città, e delle sarde, usate soprattutto per il consumo locale.
Le sardine si pescavano da marzo a maggio e da settembre a novembre, mentre la pesca delle acciughe avveniva soprattutto nei mesi estivi. Inizialmente la pesca avveniva con imbarcazioni chiamate “menáite” (manaide, il nome si deve alla rete usata per questo tipo di pesca e non all’imbarcazione), nel tratto di mare limitrofo a Monte Argentario, poi, con il fiorire dell’industria conserviera, numerose furono le imbarcazioni che ogni anno si recavano lungo le coste settentrionali dell’Africa (Barberia) per la pesca delle acciughe.
Nel 1873, ovvero circa poco più di un secolo dopo la nascita della comunità di Porto S. Stefano, fu fondato uno stabilimento per la preparazione di sardine sott’olio ad opera di Federico Pollette della Rochelle, un francese che si stabilì dalle nostre parti, probabile successore di un soldato che, diverso tempo prima, era sbarcato sulle nostre coste per rovesciare la dominazione spagnola.
Fondò lo stabilimento in riva al mare (curiosamente all’incirca nello stesso luogo dove furono ritrovati i resti dell’antica tonnara romana) ed avviò la produzione conserviera del pesce azzurro con una vasta gamma di prodotti quali sardine salate, tonno in scatola e acciughe sott’olio e in salsa piccante, conservate in lattine metalliche. La preparazione che incontrò il successo maggiore fu qyella delle sardine sott’olio all’uso di Nantes.
Rivoluzionario per quei tempi fu l’ingegnoso sistema di apertura delle scatolette di sardine, che fu brevettato dallo stesso Federico Pollette. Si trattava di un sistema che permetteva di aprire le scatolette di metallo con estrema facilità, a mezzo di una chiavetta con cruna annessa alla confezione, tecnica successivamente adottata da una notissima casa conserviera di carne in scatola.

Il pescato era fornito da circa 40 barche operanti a Porto S. Stefano e a Porto Ercole. Verso la fine dell’800 la fabbrica aveva un organico formato da 105 lavoranti, 35 operai e 70 operaie (i primi con una retribuzione giornaliera di 3 lire, le seconde di 1,50) con una produzione annuale di 50.000 scatole d’acciughe e di 500.000 scatole di sardine.
Verso il 1882, aumentando la richiesta del prodotto soprattutto dalle regioni dell’Italia settentrionale, dalla Toscana e dalla provincia di Roma, il Pollette aprì una succursale a Porto Ercole nel 1886.
Il trasporto delle confezioni inscatolate avveniva soprattutto via mare. La mattina del 14 dicembre 1895 la tartana “Catina” partita da Porto S. Stefano con un carico di 115 casse di sardine sott’olio con destinazione Genova, naufragò sugli scogli di Vada a causa di una forte tempesta. Si salvarono soltanto 3 casse di sardine con un danno di £ 5.000 (dal giornale L’Ombrone, a XXVI, n. 51 del 22 dicembre 1895).
Queste informazioni sono testimoniate, oltre che dalle conoscenze locali, anche dal fatto che la famosa “Friggera di San Vincenzo”, costituita successivamente alla Grande Guerra, di proprietà del Conte Gaddo Della Gerardesca, altro non era che uno dei primi esempi di “delocalizzazione” nella storia, riscontrabile nell’insegna della prima sede edificata nel paese livornese.
Foto presa dal web.
Testo fornito dall’Associazione “Presidi di Toscana - Officina del Gusto APS”
Le suddette informazioni sono riservate e non divulgabili a scopo propagandistico da enti, associazioni, Comuni che non abbiamo la nostra autorizzazione




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