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Dino

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CENTRO ANZIANI

l'editoriale di Marco Travaglio

15 dicembre 2024

Da anni ci domandiamo cosa diavolo sia questo “Centro” che manca molto ai giornaloni e poco agli elettori. E finalmente, con le discesine in campetto di Sala e Ruffini, abbiamo capito: è la Rsa dell’Uds, l’Ufficio deretani scoperti. Quando uno che piace alla gente che piace finisce il mandato e non si sa più dove piazzarlo, si prova alla Consulta o alla Rai. Se non ce la fa, lo si parcheggia al Centro. Ora Ruffini, uomo dai riflessi pronti, scopre che 19 mesi fa la Meloni definì le tasse “pizzo di Stato” e poi fece 20 condoni, quindi lascia l’Agenzia delle Entrate, previa intervista sdegnata al Corriere e presenza a un convegno di tal Fioroni, da tempo degente nel Centro. Intanto Sala si accorge che tra un anno sarà a spasso e prenota una stanza e un girello al Centro, previa intervista a Rep. Tanto basta a mandare in orgasmo gli onanisti a mezzo stampa e a gettare nel panico le tre tenutarie dell’Rsa: Tajani, che gestisce l’ala destra in comodato gratuito da Mediaset (ma Pier Silvio garantisce: “Non vendo FI, nessuno s’è fatto avanti per rilevarne delle quote”, manco fosse la Magneti Marelli); e le comari Calenda e Renzi, che rissano sul ballatoio sinistro. Calenda lancia Gentiloni (parlandone da sveglio) come nuovo premier. Renzi fa il nome di Gabrielli – che, poveretto, non meritava – e ricorda: “Sono tutti nomi nati alla Leopolda”, quindi spacciati. Lo Russo, sindaco di Torino, preferisce Sala: “Con lui si vince”, ma nessuno capisce in che senso, visto che lui sta nel Pd e l’altro nel Centro. Per Tabacci, ex Dc, ex centrodestra, ex centrosinistra, fu Bonino, fu Draghi, fu Di Maio, “i consensi di Ruffini cresceranno perchè c’è uno spazio enorme” (gli esattori, specie in Italia, sono popolarissimi).

Quindi l’Rsa è sold out: Ruffini, Sala, Gentiloni, Gabrielli, Renzi, Calenda. Più leader che elettori. Ma Ruffini, per chi gli crede, assicura che non farà politica. Invece Sala ha un progetto ben chiaro: “Serve nell’alleanza una forza più liberaldemocratica che non sia un cespuglietto di una sinistra molto spostata a sinistra” e “parli a una parte dell’elettorato che non vuole sentirsi di destra, ma è spiazzato da una proposta troppo estrema” (testi di Giuli-Annunziata-Valerio). Ma cosa dovrebbero fare esattamente non è dato sapere. Le lingue dei giornaloni leccano in ordine sparso: “papa straniero”, “nuovo Prodi”, “nuovo Ulivo”, “cattolico moderato”, “cattolico di sinistra”, “sinistra moderata”, “gamba di centro”, “cosa bianca” e soprattutto “federatore”, anche se non è chiaro chi dovrebbe federare, se le vittime siano d’accordo e soprattutto chi lo voti. Se però passa il lodo Francia (governa chi ha meno voti), o il lodo Georgia-Romania (se prende più voti il candidato sbagliato si rivota finché non vince quello giusto), per il Centro è fatta.

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Dino

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

16 dicembre 2024

Il Grande Centro. “Al Jolani, il radicale pragmatico… La rivoluzione della misericordia” (Corriere della sera, 9.12). “Inizia l’èra di al Jolani, il miliziano pragmatico… il fondamentalista moderato… Vuole una Siria democratica… ha le idee chiare su come pacificarla”, “Libero mercato e onestà coranica: la rivoluzione del nuovo premier siriano Bashir” (Repubblica, 9.12). “Al Jolani… potrebbe condurre a una meravigliosa fioritura di democrazia tollerante” (Foglio, 9.12). “Siria, la linea moderata dei ribelli. Come premier hanno scelto il tecnocrate Bashir” (Messaggero, 10.12). Altro che Ruffini o Sala: il vero federatore del Centro è Arnaldo Jolani.

Transennate i seggi. “Eterno Centro, Gentiloni: ‘Darò una mano per coinvolgere tutti’” (Stampa, 11.12). Sì, però adesso piano con le minacce.

Dove tira l’aria. “Il governo è ipocrita, è necessario obbligare le persone a vaccinarsi e bloccare chi rischia di essere un untore, serve più rigidità. Teniamo a casa gli untori e il governo li punisca seriamente” (Tommaso Cerno, deputato Pd, L’aria che tira, La7, 16.11.2021). “Il governo fatto benissimo a fare il condono per le multe sbagliate ai no vax, per chiudere questa èra di schifo. Tu non mi obblighi, non limiti la libertà personale!” (Tommaso Cerno, direttore del Tempo, L’aria che tira, La7, 12.12.2024). Praticamente un Cerno al Lotto.

Sempre lucido. “La mentalità di guerra che evoca Rutte serve a costruire la pace” (Vittorio Emanuele Parsi, Foglio, 14.12). Un po’ come la mentalità di fogna che serve a profumare l’aria.

Il veggente. “Giorgetti ritorna ottimista: ‘Il Pil? Io vedo un più 0,7%’” (Giornale, 13.12). Otelma, è lei?

Piangi che ti passa. “L’Italia analfabeta preda dei populisti” (Elsa Fornero, Stampa, 11.12). Mica come quella competentissima ministra del Lavoro che riformò le pensioni scordandosi appena 350 mila esodati.

Baioletta. “Letta: ‘Usare il Mes per le spese militari’” (Repubblica, 14.12). Altre cazzate?

Logica nordiana. “Nordio contro Mani Pulite: ‘Davigo ora è un pregiudicato’” (Stampa, 15.12). Quindi ora dovrebbe piacergli un sacco.

Logica deluchiana. “Giusto il sì del Pd alla commissione Ursula: non si può consegnare l’Europa alle destre” (Piero De Luca, deputato Pd, Unità, 7.12). Giusto: per non consegnare l’Italia alle destre, il Pd deve votare sempre col governo Meloni.

Logica picierniana. “Ma in Europa M5S in linea con la Lega, certi amori non finiscono” (Pina Picierno, Pd, vicepresidente Parlamento Ue, Repubblica, 11.12). Disse quella che vota con la Meloni.

Vota, anzi blocca. “Rai, ad Agnes mancano 2 voti per la presidenza: Conte può fornirli. Secondo i maliziosi dem per puntare alla direzione di Rainews o addirittura di Tg3” (Domani, 26.9). “Conte blocca Agnes” (Domani, 11.12). Vergogna: smentire così il Domani.

Forza Bavaglio. “L’inutilità del decreto ‘Anti gogna’. Varare norme che non prevedono sanzioni è solo un segno di debolezza” (Foglio, 11.12). Giusto, per i giornalisti che pubblicano notizie vere ci vuole l’ergastolo: tanto il Foglio non corre rischi.

Lo smemorato di Cologno. “Il M5S diventa il partito di Conte: qui comando io e scelgo chi verrà eletto” (Dino Giarrusso, ex eurodeputato M5S, L’identità, 10.12). Ma tipo Di Maio che scelse Giarrusso?

Brutte notizie. “No, non è affatto ottimista Draghi sul futuro dell’Europa. Almeno su quello prossimo” (Marcello Sorgi, Stampa, 11.12). Oh no! E adesso come facciamo?

Buone notizie. “La giara di Draghi. Il Quirinale resta la sua Luna. Ursula lo cita. Colleziona premi, inviti, non c’è un incarico alla sua altezza” (Foglio, 12.12). È che non ce lo meritiamo proprio.

Il titolo della settimana/1. “Macron-Bayrou, i capi coraggiosi che qui mandano” (Aldo Torchiaro, Riformista, 14.12). In effetti ci vuole un bel coraggio.

I titoli della settimana/2. “Israele sconfina nel Golan”, “Blitz di Israele, Erdogan attacca”, “Idf vicino a Damasco: ‘Stiamo distruggendo l’arsenale di Assad’” (Repubblica, 10 e 11.12). “Israele avanza nel Sud della Siria” (Sole 24 ore, 10.12). Ah meno male, e noi che pensavamo che Israele avesse invaso la Siria.

Il titolo della settimana/3. “Netanyahu ha consacrato la pace attraverso la forza e la dignità della guerra. Invece di processarlo, dovremmo ringraziarlo” (Giuliano Ferrara, Foglio, 11.12). Come se non l’avessero già ringraziato 50 mila cadaveri a Gaza e dintorni.

Il titolo della settimana/4. “La Siria è un pugno in un occhio per i teorici della resa dell’Occidente” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 10.12). Ma infatti: ora l’Occidente lo difende direttamente al Qaeda.

Il titolo della settimana/5. “Georgia e Romania: destre all’assalto della Costituzione” (Nadia Urbinati, Domani, 10.12). Pretendono persino di far governare chi vince le elezioni.

Il titolo della settimana/6. “Mosca vuole Kyiv al buio, ma gli ucraini sanno stare senza elettricità” (Foglio, 14.11). Volete la pace o il condizionatore acceso?

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FATE LA CARITÀ

l'editoriale di Marco Travaglio.

17 dicembre 2024

Miracolo! Ieri, per la prima volta dai tempi del Conte-2, tutti i giornali di destra, centro e sinistra attaccavano il governo. Per l’aumento mensile medio di 1,8 euro alle pensioni minime? Per l’aumento mensile medio di 7.193,11 euro a 8 ministri e 9 sottosegretari non parlamentari più 1.200 per spese telefoniche e viaggi e un’altra barcata di soldi per nuovi assistenti e consulenti? Per l’abolizione del Reddito di cittadinanza a chi non ha nulla e l’ulteriore stretta sull’indennità di disoccupazione? Per il record della povertà più alta e dei salari più bassi? Per l’affossamento della norma contro chi (uno a caso) sta in Senato e prende soldi da Stati esteri? Per il salva-grattacieli abusivi di destra&Pd? No. Lo sdegno unanime è per una delle poche cose giuste fatte dal governo in 26 mesi: il taglio dei fondi pubblici ai giornali che FI (ramo d’azienda del primo gruppo editoriale) vuole portare a 136,6 milioni e il Pd&Iv a 145,6, ma che il governo ha ridotto a 20. La Fieg (Federazione editori giornali) riempie pagine autopromozionali per battere cassa “a tutti i Parlamentari italiani”, paragonando la carta stampata a settori finanziati dallo Stato che non c’entrano nulla: edilizia, cinema, musica, teatro, danza (si scordano l’automotive per non offendere gli Elkann). E il fatto stesso di azzardare quel paragone blasfemo è la miglior prova che non si ha la più pallida idea di cosa sia l’informazione: il “quarto potere” che deve controllare gli altri – governo, Parlamento, partiti di maggioranza e opposizione, magistratura, finanza ecc. – dunque l’ultima cosa che dovrebbe fare è mettersi in condizione di farsene ricattare, piatendo fondi pubblici col cappello in mano fuori dai palazzi della politica.

Chi poi impartisce lezioni di “libero mercato”, brandendo financo la motosega di Milei, dovrebbe sapere che non c’è mercato meno libero di quello in cui giornali senza lettori campano e ingrassano coi soldi dello Stato (cioè dei cittadini che non li leggono e non li comprano), e fanno concorrenza sleale a quelli che si reggono sul mercato con le proprie gambe, cioè coi propri lettori. Mai che si pongano la domanda giusta: non sarà che il giornalismo è sempre più sp*****ato perché sta dalla parte del potere per farsi finanziare? Appellandosi ai parlamentari “affinché votino gli interventi per garantire effettività all’art. 21 della Costituzione e al Pluralismo (maiuscolo, ndr) dell’informazione”, la Fieg scambia il pluralismo e gli altri valori tutelati dall’articolo 21 per merci acquistabili nei supermarket di Palazzo Chigi, Montecitorio e Palazzo Madama. La libera stampa si difende battendosi contro le leggi bavaglio, non nascondendole o difendendole per poi chiedere la carità a chi le approva.

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33 GIORNI DI TERRORE

l’editoriale di Marco Travaglio.

18 dicembre 2024

Mancano 33 giorni all’insediamento di Donald Trump e c’è da temere, anzi da tremare per ciò che potrebbe accadere di qui ad allora. Il Partito della Guerra, ben incistato nell’amministrazione americana uscente e nelle cancellerie europee (purtroppo non tutte uscenti), farà di tutto per impedire l’unica cosa saggia che il presidente eletto intende fare dal 20 gennaio: chiudere con un compromesso l’“assurda carneficina” della guerra fra Russia e Nato in Ucraina. Da quando Trump ha vinto le elezioni, chi vuole allungare e allargare il conflitto ha iniziato ad appiccare fuochi dappertutto. In Georgia, appoggiando la presidente golpista Zourabichvili che rifiuta di sloggiare e riconoscere la débâcle elettorale. In Romania, sostenendo la cancellazione delle elezioni perché al primo turno ha vinto il candidato sgradito. In Siria, dando l’ok all’offensiva dei tagliagole al Qaeda&Isis spacciati per “moderati” come il loro leader Arnaldo Jolani. E in Ucraina, inducendo quel che resta di Biden a dare il via libera ai bombardamenti in Russia con missili Atacms, sempre negato perché definito dallo stesso Pentagono “militarmente inutile”. Ieri poi il servizio segreto ucraino, che non si sa più a chi obbedisca, ha messo a segno e subito dopo rivendicato il più grave attentato oltre confine, a Mosca, facendo saltare per la strada con un chilo di tritolo il generale russo Igor Kirillov e il suo vice.
Un gesto fatto apposta per innescare una nuova escalation: nessun vantaggio sul campo di battaglia, dove Kiev perde sempre più terreno; solo una prevedibile rappresaglia russa commisurata al grado degli ufficiali assassinati. L’ennesimo ostacolo al negoziato che non solo Trump&C., ma anche Zelensky e Putin, danno per scontato. Naturalmente la cosiddetta Europa continua a tacere sul regime terroristico che da dieci anni l’Occidente si alleva in seno a suon di armi, miliardi e spie e che, quando arriverà il cessate il fuoco, andrà demilitarizzato per evitare che continui a compiere attentati in patria e fuori (come la distruzione dei gasdotti Nord Stream, gli assassinii di Daria Dugina figlia del filosofo putiniano, di Korotky capo della sicurezza della centrale di Zaporizhzhia, dell’ex deputato socialista Kiva, del blogger Tatarsky, il tentato omicidio dello scrittore Prilepin e il sostegno ai gruppi jihadisti Qaeda in Niger, Mali, Burkina Faso e Siria). Resta da capire se Zelensky, mentre tenta di ingraziarsi Trump e prepara il suo popolo a durissimi sacrifici territoriali, abbia avallato l’ultima provocazione dei suoi 007, o se l’ala più oltranzista del regime l’abbia messo di fronte all’ennesimo fatto compiuto. Sia come sia, il leader ucraino nato come figura comica sta finendo come figura tragica.

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LA GUERRA CONTINUA

l'editoriale di Marco Travaglio

19 dicembre 2024

Se non ci fossero almeno un milione fra morti e mutilati, la guerra in Ucraina sembrerebbe puro cabaret.

Come se avesse iniziato a leggere il Fatto con tre anni di ritardo, Zelensky scopre che “l’Ucraina non ha forze sufficienti per riconquistare il Donbass e la Crimea controllati dai russi. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative”. E lo dice poche ore dopo che il suo regime, come captatio benevolentiae, ha fatto saltare col tritolo un generale russo e il suo vice a Mosca. Ma soprattutto lo dice chi ha firmato nell’ottobre 2022 un decreto che proibisce ogni negoziato con Putin, organizzando poi “conferenze di pace” senza la Russia.

Rutte, segretario Nato, rutta: “Se parliamo troppo di pace, avvantaggiamo i russi”, cioè quelli che han vinto la guerra. Poi ripete a pappagallo, come se fossimo nel febbraio 2022, che “Kiev va messa in una posizione di forza per poi decidere quando e come aprire i negoziati”. Mentre lui decide quando e come, i russi stermineranno altre migliaia di ucraini e invaderanno altra Ucraina.

Più stupidi di lui ci sono solo Ursula Bomberleyen e gli scemi di guerra destra-centro-pseudosinistra che l’han votata: totalmente impermeabili al principio di realtà e ora anche alla resa di Zelensky, dopo i 14 pacchetti di sanzioni alla Russia che hanno danneggiato più i sanzionatori che il sanzionato, varano il 15° e preparano il 16°, continuando a raccontarci e a raccontarsi che “più dura la guerra e maggiore sarà il prezzo che l’economia russa dovrà pagare”. Intanto i governi Ue sono alla canna del gas e cadono come birilli. Ma la euro-demente annuncia l’invio a Kiev di altri “13 miliardi nel 2025” in omaggio più “18 miliardi di prestiti garantiti dagli asset russi congelati” per “acquistare nuovi armamenti”, il che proverebbe che “la strategia di Putin per gettare Kiev nel disastro finanziario è completamente fallita” (in realtà è l’Ucraina che è fallita, da ben prima di essere invasa). Quindi, anche ora che Zelensky alza bandiera bianca chiedendo agli alleati di spingere Putin alla pace e Trump non vede l’ora, la cosiddetta Ue parla come Badoglio dopo l’armistizio di Cassibile: “La guerra continua”, anche se non la vogliono più neppure gli ucraini. Tutto pur di non ammettere di aver perso la guerra a suon di menzogne e sabotato nell’aprile 2022 il negoziato di Istanbul che avrebbe spuntato per Kiev condizioni molto migliori delle attuali. Crimini di guerra che, se esistesse il diritto internazionale, dovrebbero trascinare dinanzi alla Corte penale anche Biden, Harris, Stoltenberg, Ursula, Johnson, Macron, Draghi e altri presunti leader troppo impegnati a salvarsi la faccia per pensare a salvare vite.

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I FISCHIETTATORI

l'editoriale di Marco Travaglio

20 dicembre 2024

Avevamo previsto come sarebbe finita la guerra in Ucraina, ma anche la reazione dei guerrapiattisti alla resa dei conti: fischiettano tutti come se i fatti non sbugiardassero proprio loro. Spacciano la resa di Zelensky su Donbas e Crimea per una sua mossa geniale: “La svolta di Zelensky” (Rep), “Pace in Ucraina, Zelensky apre” (Stampa),“Svolta di Zelensky: trattiamo” (Messaggero), “Zelensky apre il negoziato” (Giornale). Come a dire: sono tre anni che provo a mettermi con Monica Bellucci, non l’ho mai vista se non in foto, ma ora se mi chiama magari le rispondo. I più ottusi, tipo il rag. Cerasa sul Foglio cavillano sulle parole di Zelensky: “Non ha detto di rinunciare ai territori occupati, ha detto: europei tocca a voi”. Cioè: siccome da tre anni l’Ucraina non fa che perdere territori, ora l’Ue ordinerà a Putin di restituirli tutti e lui obbedirà all’istante. Il duo comico Taradash&Loquenzi (mantenuto dai contribuenti) vomita bile sul Fatto per il titolo Abbiamo perso la guerra. I poveretti pensano che abbiamo attribuito la frase a Zelensky, senza accorgersi che non ha virgolette perché è nostra. E parla dell’Europa sconfitta e suicida per una guerra persa in partenza, non solo dell’Ucraina che ci ha messo i morti per procura. Mieli, più furbo, non prova neppure a negare la debacle, ma continua a falsificare la posizione di chi ha avuto ragione: “Dicevano dal primo giorno quanto ‘convenisse’ la resa immediata di Kiev”. No, ciccio: nessuno ha mai chiesto una resa, ma un negoziato che prima dell’invasione russa l’avrebbe evitata (gli accordi di Minsk violati dai governi ucraini) e un mese dopo l’avrebbe fermata con 1/20 di vittime e condizioni molto più vantaggiose delle attuali (l’intesa di Istanbul sabotata da Usa e Uk).

Ma i fischiettatori vanno capiti: dopo tre anni passati a compilare liste di putiniani e a pendere dalle labbra di un rinc*gli**ito (Biden), uno squilibrato (Johnson) e un mitomane illuso da noi (Zelensky), temono che emerga la verità: i veri amici di Putin e nemici degli ucraini erano loro. E fingono di non essere quelli che “con Putin non si tratta”, “il cessate il fuoco è un favore ai russi”, “Mosca in default”, “le sanzioni funzionano”, “Putin morente”, “Russia isolata”, “pace giusta”, “piano della vittoria”, “riconquista di Donbas e Crimea”, “confini del 1991”, ”Kiev nella Nato”, “controffensiva vincente”, “Armata Rotta”, insulti a Trump, a Orbán, a Scholz e persino al Papa perché provavano a mediare. Uno normale scaverebbe una buca e sparirebbe per sempre. Ma i pappagalli Usa non si vergognano, anzi si credono coerenti: ieri leccavano Biden, ora leccano Trump. Come gli sciuscià che lustrano le scarpe di questo e quello senza neppure alzare gli occhi per vedere di chi sono.

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IL CASO MATTEI

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21 dicembre 2024

Se Salvini sperava nell’aureola del martire arrestato (per finta, siamo in Italia) per aver difeso i sacri confini patrii da qualche decina di derelitti, i giudici gliel’hanno negata. Se il partito dell’impunità puntava alla sua condanna per dimostrare che i giudici danno sempre ragione ai pm e dunque bisogna separarne le carriere, in due giorni è stato sbugiardato prima dal Gup di Firenze su Renzi&C. nel processo Open e poi su Salvini dal Tribunale di Palermo nel processo Open Arms. Non esiste alcun Toga Party che marcia compatto come falange per abbattere politici sgraditi: solo pm che indagano doverosamente su notizie di reato e giudici che le valutano in autonomia e indipendenza, dando ragione o torto a chi ritengono che ce l’abbia. È la fisiologia del processo, che funziona senza bisogno di schiforme. L’unica patologia (voluta, creata e aggravata dai politici che poi strillano) sono i tempi intollerabili: due anni di udienza preliminare sul Matteo minor, cinque anni e mezzo per la sentenza sul Matteo maior.

Il Gup di Firenze, in base alla schiforma Cartabia, ha ritenuto che gli indizi portati dai pm (e decimati da Consulta e Cassazione) non bastassero a rendere probabile una condanna per finanziamento illecito, corruzione e traffico d’influenze sui fondi versati da gruppi privati alla fondazione Open dei renziani, che poi in alcuni casi si attivavano per i donatori: e ha negato financo il processo. A Palermo il Tribunale ha ritenuto, con la formula “il fatto non sussiste”, che il sequestro di persona non si applichi al ministro dell’Interno che nell’agosto 2019 rifiutò di comunicare il porto sicuro a una nave carica di migranti al largo delle coste italiane, negando lo sbarco anche ai minori malgrado l’ordine del Tribunale minorile e due lettere del premier Conte che gli intimava di compiere il suo dovere. Per conoscere le ragioni dei due verdetti bisogna attendere le motivazioni, che nessuno può conoscere. Ma già si sa ciò i giudici non potranno scrivere: e cioè che i comportamenti oggetto dei due processi fossero eticamente e politicamente ineccepibili. I fatti, a prescindere dalla rilevanza penale e dalle valutazioni giuridiche, erano già noti e inequivocabili da prima. E solo una classe politico-giornalistica miserabile – quella italiana – ha bisogno di “aspettare la sentenza” per dare il proprio giudizio. Che non deve riguardare i reati, ma i fatti. Non serve un giudice per stabilire che trasformare una corrente politica in una fondazione schermando i nomi dei finanziatori e in barba al dovere di trasparenza verso gli elettori, così come lasciar arrostire in alto mare sotto il sole di agosto decine di disgraziati per allungarne il calvario in cambio di qualche voto, è peggio di un reato: è una vergogna.

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ABBASSARE I TONY

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22 dicembre 2024

“Tony Effe, il centrodestra con Gualtieri. Il silenzio di Schlein”. Il titolo del Corriere è la miglior sintesi di come ci siamo ridotti da quando tutti sono “liberali” perché non sanno cosa voglia dire. Tony Effe è un giovane rapper che, come tutti i rapper, canta testi scorretti, eccessivi, osceni. Piace a molti adolescenti perché parla del loro mondo col loro linguaggio. Non un ideologo o un predicatore di tesi: un frullatore di frasi sue e non sue, giochi di parole e parolacce dette o sentite da lui o da altri. Il Comune di Roma sa che attira gente e lo invita al Concertone di Capodanno, che non è un ritrovo del Rotary: è una festa per ragazzi che non possono permettersi veglioni costosi. Ma una trasversale convergenza di bigotti, laici e democristiani (i cristiani sono altra cosa: la Santa Sede non dice una parola), maschi e femmine (e femministe), destri e sinistri, tutti fossili ignari di quel mondo, insorge: ma come, uno che dice quelle cosacce, e in pieno Giubileo, dove andremo a finire, poi non stupiamoci dei femminicidi, signora mia. Gualtieri cede alla canea censoria e revoca l’invito. Gli altri cantanti si ritirano per solidarietà col censurato. Che prenota il Palaeur per il 30 e il 31 e fa subito sold out, mentre il Concertone resta deserto. Salvo che si esibisca il sindaco con la chitarrina con cui accoglie le pop e rock star di passaggio. Incluso Vasco che, se esordisse oggi, sarebbe bandito per versi tipo “è andata a casa con il negro, la troia”. Idem Renato Zero (“sbattiamoci”, “se ti do il pelo tu che mi dai?”, “triangolo”), Dalla (“toccava il c**o a una signora e rideva e toccava, sembrava lui il padrone”, “disperato erotico stomp”), Guccini (“l’avvelenata”), Raf (“ti pretendo, è inutile che dici di no, sei l’unico diritto che ho”) e i big mondiali del sesso-droga-rock&roll: Nirvana, Rolling Stones, Clash, Eagles, Marley ecc. Tutti big che ebbero la fortuna di nascere nel secolo delle ideologie, quando i “liberali” si contavano sulle dita della mano di un monco, ma a nessuno saltava in mente di decidere cosa dovessero o non dovessero cantare.

Ora i rapper sanno che, per salire su un palco pubblico, devono scatenarsi su Vola colomba bianca vola. E i registi, per evitare guai, devono dissociarsi da gentaglia tipo Woody Allen (sempre assolto, ma marchiato a vita dalla taccia di molestatore) e Bernardo Bertolucci di Ultimo tango a Parigi, finito al rogo nel 1976, riabilitato nell’86 e ora rispedito sulla pira in Francia dall’ultima versione del bigottismo: il femminismo misto al woke. Bertolucci con Tony Effe non c’entra, se non per l’idea ridicola che chi vede uno stupro in un film corra a commetterne uno e chi ascolta un rap diventi ipso facto un femminicida. La censura è sempre stupida, ma quella “liberale” batte tutti i record di idiozia.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

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23 dicembre 2024

L’altro mitomane. “La Russia è più vicina alle nostre richieste e ha iniziato a parlare in modo costruttivo” (Mykailo Podoljak, consigliere di Zelensky, 13.3.2022). “Parlare di negoziati non ha senso” (Podoljak, 8.11.22). “C’è solo un modo per far finire la guerra: sconfitte militari della Russia sul campo di battaglia… e vittoria dell’Ucraina” (Podoljak, 12.12.22). “Smettete di pensare che sia possibile e importante negoziare con la Russia” (Podoljak, 10.9.23). “Dobbiamo costringere Putin ad accettare il negoziato” (Podoljak, Corriere della sera, 21.12.24). Ma si droga anche lui?

Pari e patta. “Nella guerra russa in Ucraina entrambe le parti stanno perdendo” (Bill Emmott, Stampa, 21.12). Ma infatti: sta vincendo il Madagascar.

Il nulla/1. “A Firenze un’indagine basata sul nulla” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, Stampa, 21.12). Ma dài, non buttarti giù così.

Il nulla/2. “Lo stesso pm arresta il padre e la madre di Renzi” (Boschi, ibidem). No, stellina, è il gip che arresta, non il pm: ma hai studiato Legge per corrispondenza?

Lo stratega. “Se vince Putin un conflitto nucleare è più probabile” (Timothy Garton Ash, Repubblica, 21.12). Se invece perde, regala le 6mila testate atomiche agli Usa come nuove.

O tutti o nessuno. “È paradossale che una parte del mondo liberale si sia mobilitata contro gli obblighi vaccinali che sono un’innocua necessità collettiva, e invece in 46 anni non abbia fatto nulla per modificare le norme sul Tso” (Francesco Merlo, Repubblica, 21.12). Il Tso per tutti gli piace, quello per uno solo alla volta no: e fargli un bel Tso?

I fratelli Caponi. “Superbonus d’inflazione. L’incentivo ha causato il 50% dell’aumento dei prezzi nelle costruzioni” (Luciano Capone e Carlo Stagnaro, Foglio, 21.12). Ha stato Conte. Pure per l’inflazione in Usa, in Ue e in Russia.

Garantismo fantasy. “Nel caso Consip indovinate qual è l’unica condanna che vi è stata nei processi contro Renzi maggiormente cavalcata (sic, ndr) dal Fatto? Semplice: quella contro un giornalista del Fatto, condannato perché il maggiore Scafarto a quel giornalista passava atti coperti dal segreto” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 21.12). Non esiste alcun giornalista del Fatto condannato nel caso Consip. In compenso esiste un direttore del Foglio che sarà querelato per esserselo inventato.

Sono sempre i migliori/1. “Baci e applausi. Colleghi di partito e avversari salutano Enrico Letta dopo le dimissioni. Schlein: ‘Ci mancherai, certi che potremo continuare a contare su di te’” (Corriere della sera, 21.12). Soprattutto la Meloni.

Sono sempre i migliori/2. “La legge contro di me? Un esproprio ad personam. Fosse stato ancora vivo Berlusconi si sarebbe alzato in Senato dicendo che questa è una norma comunista. Ma i suoi eredi tacciono” (Matteo Renzi, Iv, Corriere della sera, 15.12). E le str**z*te tocca dirle a lui.

La vera sinistra. “Successo di Milei ad Atreju. Fa austerità (taglia la spesa pubblica, pareggia il bilancio), non vuole i dazi e intende liberalizzare i movimenti di capitale. Insomma, un liberale” (Carlo Cottarelli, X, 15.12). E questo nel 2022 fu eletto nel Pd.

La mosca cocchiera. “Nella vita una cosa di buono l’ho fatta: ho ottenuto che la mia (ex) casa editrice togliesse da un mio libro la prefazione (voluta dall’editore) di Travaglio. Punti paradiso” (Nicola Biondo, X, 19.12). Oh no, e io che speravo di farmi un nome con la prefazione a uno scrittore famoso!

Stavolta s’arruola. “Il mistero del porto russo di Novorossijsk sul Mar Nero che finanzia la guerra: perché Kiev non lo colpisce? (Federico Fubini, Corriere della sera, 19.12). Dài, su, bombardalo tu dal tuo terrazzo.

Il titolo della settimana/1. “L’ultima eredità del grillismo: vietato pagare bene i ministri” (Giornale, 18.12). Quindi il centrodestra che ha ritirato gli aumenti ai ministri è grillino.

Il titolo della settimana/2. “Prodi benedice il cantiere cattolico, ma Ruffini non c’è” (Repubblica, 15.12). Però può sempre dare l’estrema unzione.

Il titolo della settimana/3. “Più soldi alla Nato: un patto trasversale. Una chiacchierata con Crosetto e Guerini” (Foglio, 13.12). Che poi sono la stessa persona.

Il titolo della settimana/4. “La pena di Toti: assisterà i malati di tumore” (Giornale, 19.12). È la clownterapia.

Il titolo della settimana/5. “Capodanno, il Pd conferma di avere un grosso problema con le donne” (Libero, 15.12). A froci!

I titoli della settimana/6. “Il procuratore di Verona conferma: Chico Forti aveva chiesto di ‘far tacere’ Travaglio e Lucarelli” (Huffington Post, 19.12). “Forti: crollano le accuse di Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli” (Libero, 20.12). “L’Italia degli analfabeti: secondo l’Ocse, 1 su 3 legge ma non capisce” (Giornale, 11.12). Ecco, appunto.

Il titolo della settimana/7. “Iscritto al Pd mentre era in coma. Misiani: ‘Vergogna!’” (Foglio, 19.12). Oh bella, e quand’è che uno normale dovrebbe iscriversi al Pd: da sveglio?

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IL MINISTRO INCOMPETENTE

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24 dicembre 2024

Passi per Salvini, che s’intende di giustizia come di trasporti. Per Tajani, che ha studiato diritto penale all’Università di Arcore. Per la Meloni, che entrò giovanissima in politica in onore di Borsellino per poi rifilarci Nordio. Per il 99% dei media, che non distinguono un tribunale da un paracarro. Ma Nordio è stato pm per 40 anni e qualcosa della materia dovrebbe ricordare. Prendete questa sua frase sul processo Open Arms a Salvini: “Era fondato sul nulla, non sarebbe nemmeno dovuto iniziare: e comunque avrebbe dovuto coinvolgere anche Conte”. Cioè: dovevano processare due imputati sul nulla anziché uno. Naturalmente il processo era fondato su precise notizie di reato a carico di Salvini (non di Conte, che se ne dissociò in tempo reale), validate non solo dal Tribunale dei ministri e dai pm di Palermo, ma anche dal Senato che li autorizzò a procedere e dal Gup che dispose il giudizio. Il fatto che un tribunale o una corte d’appello o la Cassazione assolva non vuol dire che l’indagine e il processo non si dovessero fare: quelli servono appunto a stabilire se un reato sia stato commesso e da chi. Se no le sentenze le scriverebbe direttamente il pm. Più sono i gradi di giudizio (l’Italia ha il record mondiale), più aumentano le possibilità di valutazioni difformi. E non è detto il giudice smentito dal successivo abbia sbagliato: per convenzione “vince” chi sentenzia per ultimo, ma può benissimo darsi che avesse ragione il penultimo o il terz’ultimo. Ora Nordio vuol risarcire gli assolti e punire i pm che li hanno indagati, come se ogni assoluzione marchiasse di errore l’indagine o la sentenza precedente. Scambia la fisiologia per patologia: il livello probatorio che la legge richiede per indagare, arrestare, rinviare a giudizio è molto inferiore a quello necessario per condannare. Un indiziato può essere giustamente indagato, arrestato e rinviato a giudizio e poi giustamente assolto senza che nessuno abbia sbagliato nulla.

Ora tutti giocano sul termine “errore giudiziario”, che è la condanna di un innocente o l’assoluzione di un colpevole con una sentenza che stravolge (dolosamente o colposamente o involontariamente) il fatto storico per i più svariati motivi: prove inquinate, testimonianze false o inquinate, documenti taroccati, confessioni mendaci, scambi di persona, intercettazioni fraintese o mal trascritte, errori del giudice nel valutare le prove o del pm e delle forze dell’ordine nell’indagare (in buona fede, o per ignoranza, o per corruzione). Fortuna per Nordio che, quando faceva il pm e non ne azzeccava una, il ministro della Giustizia non fosse Nordio. Altrimenti si sarebbe punito da solo. E oggi, anziché fare altri danni al ministero, starebbe in qualche altro luogo meno confortevole.

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IL LIMITE IGNOTO

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27 dicembre 2024

Non che i due pesi e due misure siano una novità, nelle relazioni internazionali. Ma il 2024 ne ha fatto registrare il record di tutti i tempi. Israele chiude l’anno in bellezza sterminando 19 civili, fra cui 5 giornalisti, a Gaza, dove morti di freddo tre neonati in 48 ore. Ma, anziché parlare di sanzioni contro il governo criminale di Netanyahu, si continua a disquisire se sia reo di genocidio o “solo” crimini di guerra e contro l’umanità: quasi che questi fossero una cosetta da niente. Da 15 mesi non passa giorno senza che venga annunciata una tregua, ma sempre per l’indomani: una tragica farsa alimentata dai media per tener buona l’opinione pubblica. Le cancellerie internazionali invocano negoziati fra i terroristi del governo israeliano, di Hamas e di Hezbollah e i governi di Usa, Iran e Qatar che li finanziano e li armano. Però scomunicano e sabotano chiunque voglia trattare con la Russia.

“Terrorista” è chi fa la guerra colpendo volutamente obiettivi civili, ma solo se è nostro nemico: gli amici possono massacrare tutti i civili che vogliono e pure gli ex nemici che ci fanno comodo, come i jihadisti ex-al Qaeda ed ex-Isis in Siria. Anche “democrazia” – potere al popolo – è diventata una parola vuota: se il popolo non vota per chi vogliamo noi, si annullano le elezioni (Romania), si rinviano sine die (Ucraina), si ignorano trattando da vincitore chi le ha perse e da sconfitto chi le ha vinte (Georgia), o si ribaltano con intrighi di palazzo (Francia). Musk, l’uomo più ricco del mondo con conflitti d’interessi ovunque, era un genio benefico (tipo il buon samaritano Soros) quando sosteneva i Democratici, ma ora che sta con Trump è il pericolo pubblico n.1.. Trump era un golpista quando negava la vittoria di Biden e aizzava i suoi sgherri in piazza, ma ora che lo fa la presidente georgiana sconfitta è una paladina della democrazia. Trump è cattivo se vuole graziare se stesso e i suoi; se Biden grazia suo figlio Hunter, è buono. Già che c’è, Biden grazia pure 37 condannati a morte “per salvarli da Trump”, come se al patibolo li avesse spediti il successore. Purtroppo però è stato Biden, che nel 2020 promise “una legge che elimini la pena di morte a livello federale”. ma non lo fece. Che poi la pena capitale piace moltissimo quando Kiev la infligge senza uno straccio di processo a un generale russo e lo fa saltare in aria a Mosca sotto casa. Ora l’Ue si straccia le vesti per quattro cavi sottomarini tranciati (forse) da navi russe nel Baltico. Ma seguita ad armare e finanziare il regime ucraino che nel Baltico fece saltare i gasdotti russo-europei North Stream e protegge gli attentatori ricercati dai giudici tedeschi. Nel 2019, quando elesse Zelensky, l’Ucraina era l’unico Stato europeo presieduto da un comico. Oggi è in ottima compagnia.

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I PROCESSI SOMARI

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28 dicembre 2024

L’8 gennaio la Camera inizierà a discutere la legge Nordio-Gelli per separare le carriere di giudici e pm e i rispettivi Csm. Noi non vediamo l’ora che entri in vigore malgrado siamo contrari, anzi proprio per questo. Solo la prova su strada farà capire ai somari del garantismo all’italiana di aver prodotto l’effetto opposto a quello che auspicavano. Oggi requirenti e giudicanti fanno parte dell’unico Ordinamento giudiziario. Ma i passaggi da una funzione all’altra, un tempo normali (Falcone e Borsellino furono prima giudici e poi pm), sono già così ostacolati da leggi infami di destra&sinistra da risultare statisticamente irrilevanti: nel 2023 hanno riguardato 34 magistrati su 9mila (lo 0,37%). Eppure il Consiglio d’Europa li raccomanda per l’arricchimento professionale dei giudici e dei pm accomunati dalla “cultura della giurisdizione”. E la nostra Costituzione affida a entrambi lo stesso obiettivo: cercare la verità con imparzialità. Se il pm si stacca dal giudice, sarà sempre meno imparziale: un avvocato della polizia, tutto teso a far condannare più gente possibile. La cultura dell’imparzialità cederà il passo a quella del risultato, la stessa del poliziotto che fa carriera a suon di statistiche: tot perquisizioni, tot sequestri, tot arresti…

I somari citano, a sostegno della separazione, il caso dei due pm milanesi condannati in primo grado per aver nascosto prove favorevoli agli imputati nel processo Eni. Ma è proprio perché le carriere sono unite che è stato possibile condannarli. Il pm non ha il cottimo sulle condanne: se si convince dell’innocenza dell’imputato, deve chiedere di assolverlo. Ma se diventa come l’avvocato, pagato per far assolvere il cliente anche se lo sa colpevole, ignorerà le prove a discarico. Se un avvocato porta al giudice una prova contro il suo assistito, viene punito per infedele patrocinio; il pm invece viene punito se non porta una prova a favore del suo imputato. Perciò pm e difensore non sono sullo stesso piano: l’uno mira alla verità (come il giudice), l’altro all’assoluzione. Due figure essenziali che meritano armi pari, ma una rappresenta la collettività, l’altra il privato. Separandoli dai giudici, i “garantisti” trasformeranno i pm in una casta di Torquemada molto popolari e “giustizialisti” che chiederanno condanne purchessia a furor di popolo: il “partito dei pm”, oggi inesistente, si materializzerà proprio grazie a questi somari. È già accaduto in Portogallo nel 1974 quando, caduto Salazar, la Rivoluzione dei Garofani separò i pm dai giudici, ma senza metterli sotto il governo: i pm divennero una falange di inquisitori assatanati, anche contro i potenti. Tant’è che lì i “garantisti” vorrebbero riunificare le carriere per riportare un po’ di equilibrio. Se hanno qualche amico in Italia, è il caso che lo avvisino per tempo.

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SEMILIBERTÀ DI STAMPA

leditoriale di Marco Travaglio

29 Dicembre 2024

L’inaudito arresto di Cecilia Sala a Teheran – non per i suoi scritti, ma come ostaggio da scambiare con un imprenditore iraniano catturato in Italia su ordine Usa per fumosissime accuse – ha finalmente messo d’accordo l’intera stampa: non si arrestano i giornalisti. Si dirà: in quale Paese si potrebbe mai affermare il contrario? In Italia. Sei mesi fa Julian Assange fu costretto dagli Usa a patteggiare una pena per evitare 170 anni di galera e riavere la libertà dopo 12 anni trascorsi fra una stanzetta d’ambasciata e un carcere di massima sicurezza a Londra. La colpa era aver pubblicato notizie e documenti veri, dunque sgraditi agli Usa e ai loro complici, che lo accusavano di spionaggio. Ma molti giornalisti appesi per anni alle sue labbra per assicurarsene gli scoop non spesero una parola in sua difesa, anzi dissero che stava bene dov’era. Johnny Riotta, che sta alle notizie come Rocco S******i all’illibatezza, squalificò le sue come “raid di spionaggio e cyberwar russa”; e quando, come nei processi staliniani e maoisti, Assange ridotto a larva fu costretto a barattare la libertà con l’ammissione di reati inesistenti, fece lo gnorri: “Assange confessa il reato Wikileaks alla giustizia Usa e viene di conseguenza liberato. Bene così”.

Repubblica deplorò “l’enorme clamore mediatico e dei fan di Assange” e s’interrogò: “Eroe? Criminale? Martire della libertà? Giornalista? Agente al soldo altrui?”. Il Giornale di Ballusti lo definì “ladro di segreti di Stato” e “spione” con la “pancetta da abbrutito”. La Stampa “hacker” forse “putiniano” che ha “favorito Trump e autocrati”. Giuliano Ferrara, vera spia (della Cia), raccomandò sul Foglio: “Niente monumenti per Assange, colpevole e libero” perché “se l’è cavata” (recluso come un sorcio per 12 anni: che sarà mai). Per Libero, l’ingrato Assange avrebbe dovuto ringraziare i suoi persecutori perché “i nemici degli Usa non muoiono in cella”. Nel senso che gli amici degli Usa i giornalisti li ammazzano direttamente sul campo. Le truppe ucraine ne fecero fuori 40 negli 8 anni di guerra civile in Donbass, fra cui l’italiano Andy Rocchelli. Quelle israeliane negli ultimi 15 mesi ne hanno eliminati almeno 138 fra Gaza, Cisgiordania e Libano, oltre la metà di tutti quelli assassinati nel mondo (in Ucraina sono 21 in tre anni). Gli ultimi cinque, palestinesi, erano su un furgone di fronte all’ospedale Al-Awda, in un campo profughi della Striscia, con la scritta Press grande come una casa: l’Idf li ha fatti saltare in aria spacciandoli per “cellula terroristica”. E nessun giornale italiano, a parte un paio fra cui il Fatto, ha ritenuto la notizia degna della prima pagina. Poi, purtroppo, è stata arrestata Cecilia a Teheran. E, per fortuna, l’amore per la stampa libera è risbocciato ovunque. Furbi et orbi.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l"editoriale di Marco Travaglio

30 dicembre 2024

CoeRenzi. “In questo momento l’unica cosa che conta è che Cecilia Sala torni a casa subito. Massimo sostegno agli sforzi diplomatici del Governo. E un abbraccio grandissimo alla famiglia di Cecilia e ai suoi colleghi giornalisti” (Matteo Renzi, senatore Iv, Facebook, 27.12). Incluso Jamal Khashoggi, trucidato e segato a pezzi dal regime del suo amico e finanziatore bin Salman. Alla memoria.

CoeRenzi/2. “’Camerata’, ‘No a lezioni’. Al Senato Renzi battibecca con La Russa” (Corriere della sera, 29.12). Ma chi, il camerata che divenne presidente del Senato grazie ai voti dei renziani?

Tutto vero. “I successi di Netanyahu nella guerra di rinascita di Israele” (Fiamma Nirenstein, Giornale, 29.12). Non è un macabro scherzo: l’ha scritto veramente.

Fuori pericolo. “Le parole fanno paura nell’Italia delle querele” (Chiara Valerio, Repubblica, 29.12). Tranquilla, tanto le tue non le capisce nessuno.

Cos’è il genio/1. “Sono d’accordo col sindaco Sala che vuole vietare il fumo anche in strada. Lo proposi io” (Carlo Giovanardi, ex ministro Udc, Corriere della sera, 29.12). Figurarsi se una boiata del genere non era venuta in mente a lui.

Cos’è il genio/2. “Nel 2006 l’ultimo atto di clemenza e solo il 10% dei beneficiari ritornò in cella” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 28.12). Infatti il 90% dei delitti rimane impunito.

Cos’è il genio/3. “Nordio: ‘Carceri sovraffollate, ecco il piano: lavoriamo a condomini dove far scontare i domiciliari ai senza dimora’” (Libero, 28.12). Per trovare casa, bisognerà delinquere.

Il collezionista. “Torino, la Kings League al Teatro Regio. Luciano Moggi accolto da star. E il Comune investe 1,2 milioni per il 2025. Lo Russo e Cirio: ‘Un nuovo grande evento per la città’… Una folla di ventenni oggi ha preso d’assalto il teatro e, un po’ a sorpresa, ha celebrato Luciano Moggi, 87 anni, l’ex dg della Juventus radiato a vita dal calcio ma ‘convocato’ dal rapper Fedez, presidente della formazione dei Boomers. ‘Direttore, alla Juve manca uno come lei’, ‘Luciano, un selfie?’, ‘Moggi, chi vince il campionato?’” (Corriere della sera, 5.12). Non se ne lascia sfuggire uno.

Miracolo a Roma. “L’inedita alleanza destra-sinistra per rilanciare Roma: ‘Un miracolo civile’”, “Gualtieri: ‘Bene il metodo Giubileo, abbiamo dimostrato che possiamo fare le cose e Roma può diventare la locomotiva d’Italia, piovono complimenti’” (Repubblica, 24 e 29.12). In effetti terminare in tempo il 31% dei cantieri ha un che di soprannaturale.

Agente Prodov. “Prodi era molto vicino all’Unione sovietica, al punto che fu sospettato di essere un agente del Kgb… È probabile che stia facendo il ventriloquo ai nemici dell’Occidente liberale” (Alessandro Sallusti, Giornale, 17.12). A Ballusti, Le Carré gli fa una pippa.

Slurp. “Miracolo sul Colle. Globetrotter, impassibile, inappuntabile. Contro nemici veri e immaginari, a 83 anni Sergio Mattarella rimane saldo al timone del Quirinale, e sorride pure. Ci sono le t-shirt stile Metallica… Ogni giorno Mattarella si sveglia e sa che deve correre più veloce di qualcuno che gli chiede di non firmare una legge” (Michele Masneri, Foglio, 28.12). Una volta gli portarono lo scontrino della tintoria e firmò anche quello.

Il piccolo fiammiferaio. “Malagò: amato dagli atleti, esonerato dalla politica” (Foglio, 28.12). Uahahahahah.

Il partigiano Bruno. “Bruno Vespa: ‘Come resisto da 30 anni’” (Libero, 19.12). Come resistiamo noi, piuttosto.

Smemoranda. “Conte arrivò a Palazzo Chigi con una maggioranza e riuscì a rimanere con un’altra di segno opposto grazie anche al panico sopraggiunto all’esplosione della pandemia da Covid” (Francesco Damato, Libero, 20.12). Infatti il Conte 2 nacque nell’agosto 2019 e la pandemia esplose nel febbraio 2020.

Il titolo della settimana/1. “Tanta voglia di Svizzera” (Massimo Giannini, Venerdì di Repubblica, 27.12). Oh no, e poi come facciamo?

I titoli della settimana/2. “In Nagorno Karabakh è pulizia etnica. Ferma condanna delle minacce e violenze commesse dalle truppe azere” (Parlamento europeo, 5.10.23). “Italgas accelera all’estero e punta sull’Azerbaijan” (Messaggero, 28.12.24). Oh, finalmente una democrazia liberale.

Il titolo della settimana/3. “Agenzia delle Entrate: al posto del ‘politico’ filo-tasse Ruffini arriva il tecnico interno” (Stefano Zurlo, Giornale, 24.12). In effetti era strano che il capo del Fisco non fosse un anti-tasse.

Il titolo della settimana/4.
“Biden grazia i condannati a morte: ‘Così non verranno giustiziati da Trump’” (Repubblica, 24.12). Ci teneva a giustiziarli lui, ma non ha fatto in tempo.

Il titolo della settimana/5. “Nuove armi all’Ucraina, Crosetto: ‘Speriamo che non servano nel 2025’” (Repubblica, 24.12). Noi intanto le mandiamo. Se poi non servono, se le rivendono.

Il titolo della settimana/6. “Francia: Bayrou e la somiglianza con Richard Gere” (Repubblica, 15.12). Questi non stanno per niente bene.

Il titolo della settimana/7. “Ma quale ’ndrangheta: lasciate in pace Silvio e Dell’Utri” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 27.12). Giusto, quella è mafia.

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Dino

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HENRY E JIMMY CHI?

l'editoriale di Marco Travaglio

31 dicembre 2024

Nel giro di poco più di un anno gli Usa hanno perso i loro centenari più illustri: Henry Kissinger e Jimmy Carter. L’ex segretario di Stato di Nixon e Ford e l’ex presidente, entrambi Nobel per la Pace, erano agli antipodi: un figlio di p*****a di grande successo e un sant’uomo di grande insuccesso. Ma su un punto si trovavano d’accordo (come ogni politico e diplomatico normodotato dell’epoca): si parla con tutti, amici e nemici, e si negozia col nemico perché nessuno può sceglierselo. Ieri, come a Kissinger “uomo del dialogo con la Cina”, i giornali pullulavano di elogi a Carter “presidente della pace”: quella di Camp David che nel 1978 chiuse la guerra dei 30 anni fra Israele ed Egitto con le firme di Begin e Sadat. Questo nelle pagine pari. Poi, in quelle dispari, le solite minchiate sulle guerre attuali: sconfiggere Russia e Cina, mai parlare con Putin, non si tratta col nemico, il negoziato sarebbe una resa, serve la “pace giusta” (quella imposta da chi perde la guerra a chi la vince). Fa eccezione Israele, che può invadere e sterminare chi gli pare.

Intanto si tratta con Hamas ed Hezbollah, con l’Iran e il Qatar che li finanziano, coi talebani, con l’Isis e al Qaeda in Siria e, per ridurre la dipendenza da gas e petrolio russi, si pagano profumatamente regimi uguali o peggiori di Mosca: Egitto, Algeria, Angola, Arabia, Azerbaigian, Congo, Emirati, Turchia. Ma con la Russia non si può. A costo di condannare a morte l’economia europea, buttiamo i soldi rimasti in armi inventando imminenti invasioni russe senza senso né movente, regaliamo a Putin mezza Africa, facciamo campagna elettorale gratis a tutti i partiti fascisti e antieuropei e, quando vincono, diciamo che non vale perché “ha stato Putin” o “ha stato Tik Tok”. Dopo aver seguito Rimbambiden fino all’ospizio senza obiettare un monosillabo con un filoamericanismo alla Nando Mericoni, ora che Trump vuol chiudere la guerra persa e normalizzare i rapporti con Mosca per sganciarla da Pechino, l’Ue si scopre antiamericana e muore dalla voglia di finanziare in esclusiva il conflitto infinito. E gl’intellettuali, anziché smascherare le imposture di Bomberleyen, Rutte e sgovernanti al seguito, gliele suggeriscono. “Kiev perde perché non la aiutiamo abbastanza” (che saranno mai 300 miliardi di dollari in tre anni): ma la controffensiva del 2023 fallì nel momento di massimo invio di armi e soldi. “La resistenza ucraina vuol continuare a combattere”: ma i sondaggi dicono l’opposto, i reclutandi fuggono o si mutilano e i soldati disertano dal fronte. “Urge rafforzare la leadership di Zelensky”: ma spetta agli ucraini scegliersi il presidente, peraltro scaduto a maggio. Kissinger e Carter, nell’aldilà, non sapranno se ridere o piangere.

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