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Dino
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I TESTIMONI DI URSULA
Editoriale di Marco Travaglio
17 aprile 2025
Da quando Trump ha vinto le elezioni senza che nessuno le cancellasse o lo arrestasse, un termitaio di trombettieri sciama vorticosamente fra giornali e talk show ripetendo a pappagallo un solo copione. Come i rappresentanti Folletto o i testimoni di Geova. Solo che questi non piazzano aspirapolvere o la Torre di Guardia, ma armi. Attaccano bottoni infiniti su quanto è brava l’Ue a riarmarsi, quanto è cattiva la Russia che ora ci invade tutti e quanto ci manca la bell’America di una volta che faceva guerre ovunque per il nostro bene. Fanno anche tenerezza: non riescono a elaborare il lutto. E non si danno pace perché in tutto il mondo gli elettori fanno l’opposto di ciò che dicono loro. Non sapendo più come rimettere le cose a posto, provano con la magia: inscenano riti voodoo, conficcando spilloni in bamboline col ciuffo platinato. Psicanalizzano e psichiatrizzano il puzzone in contumacia. Danno dei pazzi criminali a lui e ai suoi elettori. Presto chiameranno un esorcista. E si credono pure eroici: tanto quello sta a migliaia di chilometri e manco li conosce. Il coraggio dei partigiani Folletto e dei testimoni di Ursula è direttamente proporzionale alla distanza di sicurezza dal nemico: fanno la Resistenza in Dad.
Se Netanyahu fa secchi 20 mila bambini a Gaza in un anno su una popolazione di 2,5 milioni, non fanno una piega o al massimo, se sono proprio incazzati, ripetono ciò che ha detto l’altro ieri restando seria Kaja Kallas (uno dei loro spiriti guida): “Israele ha il diritto di difendersi, ma le sue azioni attuali vanno oltre l’autodifesa proporzionata”. Nel loro personale borsino, la vita di un palestinese (o iracheno, o afghano, o libico) vale un millesimo di quella di un americano, o israeliano, o europeo (serbi e armeni esclusi). Negano persino ciò che tre anni fa raccontavano e commentavano pure loro: i negoziati russo-ucraini a Istanbul, che Usa e Uk convinsero Zelensky a disertare rifiutando condizioni molto migliori di quelle che ora subirà l’Ucraina. Devono dimostrare che con Putin non si può e non si deve parlare, perché non ha mai voluto negoziare. Non lo vuole neppure l’unico che ci prova: Trump. I testimoni di Ursula parlano come se a Gaza fossero morte 50 mila persone e in Ucraina mezzo milione sotto Trump, non sotto Biden. L’unica a volere la pace è l’Europa: infatti parla solo di guerra, non ha un negoziatore, manda a Kiev altri 23 miliardi di armi e vuole aggiungerci 30 mila soldati. Ma – precisa il Corriere – “senza mandato a combattere”. E allora che li mandano a fare? A “garantire la pace”, “monitorare la tregua”, “addestrare truppe ucraine” (ma sicuramente a coltivare fiori). In pratica faranno ciò che facevano i negoziatori ucraini e russi a Istanbul: turismo.
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L’AUTO-LIBERAZIONE
Editoriale di Marco Travaglio
18 aprile 2025
Nel Paese dove il primo che passa dà lezioni di storia ad Alessandro Barbero per aver segnalato le analogie tra il riarmo e il bellicismo di oggi e quelli che portarono alla Prima guerra mondiale, può accadere di tutto. Anche che il presidente forzista del Piemonte Alberto Cirio celebri “i tanti alpini morti nella campagna di Russia per la nostra libertà”. Cioè le truppe dell’Italia fascista che aggredirono l’Urss con quelle naziste. I media l’han liquidata come “gaffe”, ma è stata tutt’altro. Nelle stesse ore l’alta rappresentante per la politica estera Ue, l’estone Kaja Kallas, intimava agli Stati membri di disertare le cerimonia del 9 maggio a Mosca per l’80° Giorno della Vittoria contro il nazifascismo. A cui l’Urss pagò il più alto tributo di sangue (25-28 milioni di morti). E perché mai i Paesi liberati dovrebbero dimenticare il loro principale liberatore? Perché, spiega la Kallas, “Putin è un dittatore”. Se è per questo lo era, e all’ennesima potenza, pure Stalin. Eppure Roosevelt e Churchill non fecero certo gli schizzinosi.
L’anno scorso la Russia non fu invitata agli 80 anni dello sbarco in Normandia: però c’era Zelensky, anche se mezza Ucraina aveva accolto come liberatori i nazisti invasori e tuttora venera il collaborazionista Bandera come eroe nazionale. Il 27 gennaio si è commemorato l’80° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, ma per il terzo anno consecutivo non erano invitati rappresentanti di Mosca (fa fede La vita è bella di Benigni, dove sono gli americani a liberare i lager nazisti). Da tre anni, all’Onu, i Paesi Ue e Nato votano contro (come Usa e Ucraina) o si astengono sulla risoluzione di Mosca per “la lotta alla glorificazione del nazismo e del neonazismo, che contribuiscono ad alimentare forme contemporanee di razzismo, xenofobia e intolleranza”: non vogliono contrariare Kiev, che si tiene nell’esercito milizie neofasciste e naziste con svastiche e simboli SS, finanziati e armati da noi “antifascisti”.
Del resto Putin, i cui genitori scamparono per miracolo all’assedio nazifascista di Stalingrado dove morì di difterite uno dei suoi fratelli, è il “nuovo Hitler”. La Russia viene continuamente paragonata al Terzo Reich, anche da Mattarella. E il Parlamento Ue ha appena equiparato il nazismo al comunismo che lo sconfisse e definito la Russia “la minaccia più grave e senza precedenti per la pace nel mondo”, più delle orde barbariche, di Napoleone e di Hitler. Quindi il povero Cirio non ha fatto che unirsi alla riabilitazione del Führer in funzione anti-Putin. Chi grida alla gaffe farebbe meglio ad annullare o rinviare sine die le celebrazioni del 25 Aprile per gli 80 anni della Liberazione. Con l’aria che tira, nessuno sa più chi ci liberò. E da che cosa.
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IL PRIMO BACIO
Editoriale di Marco Travaglio
19 aprile 2025
Per capire se la visita della Meloni a Trump sia andata bene, o benino, o male, bisognerebbe sapere cosa ci sia andata a fare. Ma nessuno lo sa perché lei non l’ha detto. A occhio, l’unico successo è che Trump, diversamente da quanto aveva fatto con Zelensky e Netanyahu, non l’ha menata. Ma, se voleva diventare il ponte fra Usa e Ue nel negoziato sui dazi, non ci è riuscita: Trump aveva già dichiarato di voler trattare con l’Ue tutta insieme e, quando lo farà, non sarà certo con lei, ma con la Commissione von der Leyen. Se voleva invitarlo a Roma per un’altra passerella a ruoli invertiti, bastava telefonargli. Se voleva ottenere elogi per quanto è brava, eccezionale, miglior alleata in Ue, li aveva già ricevuti ed erano pure prevedibili: a parte Orbán, l’unica premier europea di destra che conta è lei. Se voleva strappare trattamenti di favore sui dazi, per ora ha fallito. L’ha detto Trump: non lo ha convinto. Anzi, è Trump che ha ottenuto di tutto e di più dall’Italia. Molto più dell’auspicato bacetto sul c**one: 10 miliardi di investimenti italiani in Usa, più spese militari, più gas e armamenti americani. La Meloni ha ceduto molto sugli interessi Usa senza ottenere nulla su quelli italiani.
L’unica volta in cui, nello Studio Ovale, i due piccioncini sono usciti dalla vaghezza dei convenevoli è stato quando Giorgia, con lo sguardo terrorizzato dalla possibile reazione di Donald, ha ribadito la sua versione pubblica della guerra in Ucraina: la solita tiritera su aggressore e aggredito, come se dopo tre anni il problema fosse chi ha iniziato questa fase della guerra, e non come finirla. Infatti Trump ha subito dissentito, ribadendo le corresponsabilità di Biden e Zelensky (“Non sono un suo fan, ha fatto un pessimo lavoro, la guerra non doveva iniziare”). E lei ha taciuto: gli archivi della Casa Bianca conservano la foto di Biden che le bacia il capino proprio per la sua fedeltà canina alla linea pro Kiev senza se e senza ma. Il bello è che sulla guerra la Meloni la pensa come Trump (e come chiunque conosca la storia e la possa raccontare perché non c’entra). Lo disse il giorno dell’invasione russa nelle chat pubblicate da Giacomo Salvini: “La strategia dei democratici americani era sbagliata. I risultati parlano da soli… Ma ora che la guerra è iniziata non è più il momento dei distinguo: con l’Occidente e la Nato senza se e senza ma”. E lo ribadì l’1.11.23 al comico russo scambiato per il leader dell’Unione Africana: “La controffensiva ucraina non sta andando come ci si aspettava… Serve una via d’uscita accettabile per entrambe le parti”. Ma non può dirlo pubblicamente, sennò dovrebbe smettere di tenere il piede in due scarpe: l’asse bellicista Ue-Kiev e i negoziati promossi dagli Usa. E scegliere finalmente gli interessi dell’Italia.
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