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DOV’È LA VITTORIA
Editoriale di Marco Travaglio
02 aprile 2025.
Non sapendo più come squalificare la manifestazione M5S di sabato contro il riarmo dei 27 Stati Ue (soprattutto uno), per il negoziato sull’Ucraina e un’economia sociale per l’Europa, i media dominanti han ricominciato a dipingere organizzatori e manifestanti come un mix di idioti e farabutti. Idioti che inseguono l’utopia di mettere i fiori nei cannoni, pacifisti assoluti che vogliono abolire eserciti, spese militari e alleanze strategiche per difendersi da eventuali aggressori sventolando ramoscelli di ulivo. E farabutti che sotto sotto tifano per Putin e i suoi crimini. Noi abbiamo l’impressione che chi manifesterà sabato sia lontanissimo da quel fumettone, anzi l’opposto: quanto di più realista e meno utopista esista in Italia. Gente che da tre anni solidarizza col popolo ucraino per le due aggressioni subite. Quella degli oltranzisti Nato che hanno strappato a viva forza Kiev dalla sua collocazione più conveniente (scelta dagli elettori e pattuita dai governi negli anni 90 e nei primi 2000): la neutralità militare e la cooperazione economica con Russia e Ue. E quella di Putin con l’invasione del 2022. Gente che ha sperato nella vittoria dell’Ucraina, ma si è resa ben presto conto che era impossibile: sul campo gli ucraini da due anni e mezzo non fanno che arretrare per mancanza non di armi, ma di uomini; e, se mai Mosca dovesse soccombere, un attimo prima di alzare bandiera bianca sgancerebbe l’atomica. Gente che, proprio perché sta dalla parte del popolo ucraino tradito dagli “amici” occidentali e dalle sue classi dirigenti, prega che riesca il negoziato avviato da Trump, che è sgangherato finché si vuole, ma è l’unico che abbiamo. Così l’Ucraina manterrà almeno l’80% del territorio che le è rimasto, senza le regioni russofone e russofile che in maggioranza dal 2014 non si riconoscono più nel regime di Kiev; e potrà tornare alla sua neutralità, unica vera garanzia contro future invasioni. Questo dice il realismo. L’alternativa è nota: la guerra continua, i russi continuano ad avanzare lentamente ma inesorabilmente (dei 1300 kmq invasi dagli ucraini nella regione di Kursk in agosto, ne hanno ripresi 1.220), Kiev continua a perdere uomini e terreno. Quindi gli utopisti e i farabutti sono quelli che remano contro il negoziato con piani di riarmo e truppe “volenterose”: sono loro i veri alleati di Putin (a cui conviene continuare la guerra); i finti amici degli ucraini (a cui conviene fermarla subito); e i veri nemici dell’Europa (che non è mai stata nel mirino di Putin, ma a furia di armarsi potrebbe presto finirci). I sognatori del ’68 ripetevano una frase di Che Guevara e Camus: “Siate realisti, chiedete l’impossibile”. Oggi siamo così mal ridotti che chi chiede il possibile passa per sognatore.
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PARTITO GUERROCRATICO
Editoriale di Marco Travaglio
03 aprile 2025
Dopo tanti pareggi, ieri il Pd ha vinto la gara di bellicismo con le destre. Tutti gli eurodeputati dem presenti (i 17 iscritti, esclusi gli indipendenti Strada e Tarquinio) hanno votato Sì alla relazione che precipita l’Europa in stato di guerra. Come loro, fra gli italiani, si sono espressi solo i forzisti: FdI si è astenuto, mentre Lega, M5S, Verdi e SI han detto No. Se si fosse votato al Parlamento italiano, il riarmo sarebbe finito in forte minoranza: alla Camera, su 400 deputati, i Sì sarebbero stati circa 140 (calcolando anche Iv, Azione, Moderati e qualcuno del Misto, assenti in Ue); e al Senato, su 200, circa 70. Splendido segnale: la dissidenza militante delle poche voci fuori dal coro serve a qualcosa. La stragrande maggioranza degli italiani è contraria a dirottare sulle armi i fondi sociali e a scomputare dal Patto di stabilità le spese militari (anziché quelle di welfare, sanità, scuola, ricerca). E la classe politica non può non tenerne conto. Per il Pd, invece, il segnale è pessimo: solo ai tempi di Renzi dopo la sbornia iniziale (quando ancora non lo conoscevano) si era registrato un tale abisso fra elettori ed eletti. Cosa deve ancora accadere perché i vertici prendano atto che la convivenza fra i progressisti e i guerrafondai autonominatisi “riformisti” (per mancanza di riforme) è impossibile e avviino le pratiche di divorzio? Per quanto tempo pensano di continuare la pantomima di un partito la cui segretaria dice no e il gruppo parlamentare dice sì su questioni cruciali come il futuro dell’Europa, della pace e della guerra? Cos’hanno fatto di male gli elettori, che due anni fa scelsero la Schlein per cambiare il Pd e lo vedono ogni volta dire una cosa e far l’opposto? Quanto può durare l’equivoco di un partito che mantiene i consensi giocando a nascondino con le mozioni e le superc***ole senza mai scegliere da che parte stare e dicendo contemporaneamente sì, no, ni, forse?
È bene che si sappia su cosa si è votato ieri: un documento delirante che “accoglie con favore il piano ReArm Europe” (su cui il Pd si era appena spaccato in Europa e si era opposto in Italia); addita la Russia come “la minaccia più grave e senza precedenti nella storia del mondo” (peggio delle orde barbariche, di Napoleone e di Hitler) perché avrebbe “dichiarato guerra ai Paesi europei” (quando?); impegna l’Ue ad armare l’Ucraina fino alla “vittoria militare decisiva” contro la prima potenza nucleare, in pieno negoziato; a “programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani” con “dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate”; e, dulcis in fundo, a “investimenti nella Difesa pari al 3% del Pil”. Così l’Italia passerebbe di botto da 32 a 64 miliardi di spesa militare l’anno. Pd e FI hanno detto Sì. Una prece.
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@follower Dopo tanti pareggi, ieri il Pd ha vinto la gara di bellicismo con le destre. Tutti gli eurodeputati dem presenti (i 17 iscritti, esclusi gli indipendenti Strada e Tarquinio) hanno votato Sì alla relazione che precipita l’Europa in stato di guerra. Come loro, fra gli italiani, si sono espressi solo i forzisti: FdI si è astenuto, mentre Lega, M5S, Verdi e SI han detto No. Se si fosse votato al Parlamento italiano, il riarmo sarebbe finito in forte minoranza: alla Camera, su 400 deputati, i Sì sarebbero stati circa 140 (calcolando anche Iv, Azione, Moderati e qualcuno del Misto, assenti in Ue); e al Senato, su 200, circa 70. Splendido segnale: la dissidenza militante delle poche voci fuori dal coro serve a qualcosa. La stragrande maggioranza degli italiani è contraria a dirottare sulle armi i fondi sociali e a scomputare dal Patto di stabilità le spese militari (anziché quelle di welfare, sanità, scuola, ricerca). E la classe politica non può non tenerne conto. Per il Pd, invece, il segnale è pessimo: solo ai tempi di Renzi dopo la sbornia iniziale (quando ancora non lo conoscevano) si era registrato un tale abisso fra elettori ed eletti. Cosa deve ancora accadere perché i vertici prendano atto che la convivenza fra i progressisti e i guerrafondai autonominatisi “riformisti” (per mancanza di riforme) è impossibile e avviino le pratiche di divorzio? Per quanto tempo pensano di continuare la pantomima di un partito la cui segretaria dice no e il gruppo parlamentare dice sì su questioni cruciali come il futuro dell’Europa, della pace e della guerra? Cos’hanno fatto di male gli elettori, che due anni fa scelsero la Schlein per cambiare il Pd e lo vedono ogni volta dire una cosa e far l’opposto? Quanto può durare l’equivoco di un partito che mantiene i consensi giocando a nascondino con le mozioni e le superc***ole senza mai scegliere da che parte stare e dicendo contemporaneamente sì, no, ni, forse?
È bene che si sappia su cosa si è votato ieri: un documento delirante che “accoglie con favore il piano ReArm Europe” (su cui il Pd si era appena spaccato in Europa e si era opposto in Italia); addita la Russia come “la minaccia più grave e senza precedenti nella storia del mondo” (peggio delle orde barbariche, di Napoleone e di Hitler) perché avrebbe “dichiarato guerra ai Paesi europei” (quando?); impegna l’Ue ad armare l’Ucraina fino alla “vittoria militare decisiva” contro la prima potenza nucleare, in pieno negoziato; a “programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani” con “dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate”; e, dulcis in fundo, a “investimenti nella Difesa pari al 3% del Pil”. Così l’Italia passerebbe di botto da 32 a 64 miliardi di spesa militare l’anno. Pd e FI hanno detto Sì. Una prece.
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PORGI L’ALTRA BOMBA
Editoriale di Marco Travaglio
04 aprile 2025
Vista la momentanea indisposizione di papa Francesco, fanno le sue veci alcuni teologi a mano armata, devoti al Vangelo secondo Caino. E ci spiegano quanto è cristiana la guerra. Ma si vergognano a tal punto da fingersi in missione per conto di Dio: il riarmo non ce lo chiede solo l’Europa, ma Gesù in persona (ci hanno parlato loro). Ha iniziato Vito Mancuso su Rep: “Non mi scandalizzo per niente dell’aumento delle spese militari… è irresponsabile non riconoscerne la necessità… Serve una forza militare adeguata, altrimenti non si è neanche presi in considerazione”. Perché – come dicono i suprematisti – “solo in Europa è rimasto lo statuto del diritto”. Tutto il resto del mondo è barbarie da baluba. Tale suor Paola, nella piazza serrapiattista (copyright Savino Balzano), è riuscita a dire restando seria: “L’esercito di riarmo è un’opportunità se ne facciamo un esercito di pace… tutti insieme, soprattutto i giovani… un’occasione di pace, di futuro… Se non abbiamo le armi, moriremo noi portatori dei valori della pace”. Poi è arrivato l’esegesi di Mario Deaglio, economista della Stampa: “Anche il Vangelo ci spinge all’autodifesa”, “Uno dei discepoli colpì con la spada uno di quelli venuti ad arrestare Gesù e gli staccò l’orecchio. Gesù… riattaccò l’orecchio, ma di certo non sgridò chi aveva sfoderato la spada”. Di certo un par di palle, direbbe Giobbe che era molto paziente. Gesù – narra l’evangelista Matteo – ca**iò il feritore: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che prendono la spada periranno di spada”.
L’altra sera, a DiMartedì, sdottoreggiava il teologo Corrado Augias: “San Paolo diceva che bisogna prepararsi ad affrontare il nemico. E poi è il Vangelo. E poi è la Bibbia. Se Hitler bussa alla tua porta e tu gli dici: ‘Chi è?’. ‘Sono Hitler’. ‘Ah prego, si accomodi, io sono un pacifista’, non va bene perché Hitler ti mangia vivo… Le armi servono”. Non sappiamo quale Vangelo parli di Hitler e dunque di Putin. Ma in quelli canonici c’è il Discorso della Montagna: “Fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello” (Matteo); “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Luca). In un altro passo di Luca, Gesù dice: “Se un re va in guerra contro un altro re, cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare il nemico che avanza con ventimila… Se vede che non è possibile, manda dei messaggeri incontro al nemico; e, mentre il nemico si trova ancora lontano, gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace”. Ma Gesù è un noto pacifinto putiniano.
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FASCINO DA BUNKER
Editoriale di Marco Travaglio
05 aprile 2025
Se oggi ci sarà tanta gente in piazza contro il riarmo, gran parte del merito sarà di questa Ue in assetto di guerra. In particolare della commissaria Lahbib e della sua “borsa di resilienza” col kit “per sopravvivere 72 ore” alla guerra mondiale (coltellino svizzero, busta salva-acqua per documenti, caricabatterie, medicine, torcia, accendino, carte da gioco e altri preziosi antidoti alle radiazioni). Forse era un messaggio ai russi: non potendoli ammazzare tutti con 800 miliardi di reddito di belligeranza perché sono troppi e hanno 6-7 mila testate atomiche, l’Ue prova a farli morire dal ridere. O forse è un messaggio a noi europei, non si sa se per rassicurarci o terrorizzarci. Sia come sia, ha centrato entrambi gli obiettivi. Ci ha rassicurati che all’invasione russa non credono neppure le tre grazie di Bruxelles, Grazia von der Leyen, Graziella Lahbib e Grazie al Kallas (sennò il trio non perderebbe tempo in simili minchiate; o l’avrebbero già dimissionato per eccesso di idiozia). E ci ha terrorizzati mostrandoci in che mani siamo e fornendoci l’identikit del vero nemico che minaccia l’Ue: l’Ue.
C’è però una terza ipotesi: che vogliano semplicemente abituarci all’idea della terza guerra mondiale come a un normale tran tran di routine, tipo i weekend fuori porta, le vacanze estive e natalizie, i picnic di Pasquetta. Infatti ne parlano con grande nonchalance in ogni discorso e nelle risoluzioni che fanno votare agli allocchi Pd&FI. E, siccome il popolo si ostina a rifiutare il riarmo, hanno incaricato i loro trombettieri di inventarsi dei padri nobili per giustificarlo. I serrapiattisti hanno scomodato le buonanime di Spinelli, Colorni e Rossi per mettere loro in bocca cosa mai dette né pensate. I catechisti a mano armata confondono i Vangeli con le Sturmtruppen. E Rep spara un bel titolo civettuolo: “L’Italia scopre il fascino del bunker. ‘Superiamo la paura dell’atomica’. Cosa c’è in un rifugio antiatomico privato: un alloggio a prova di bomba. Record di richieste per farsi costruire ricoveri in casa”. A parte il fatto che l’unico da ricovero è chi inventa quella robaccia, chi di voi non sogna di murare porte e finestre di casa per vivere il resto dei suoi giorni in un grazioso e arrapante cubo di cemento armato? Sentite che figata: “Camere da letto, bagni, soggiorno e zone fitness tra 1,5 e 5 m. sottoterra, porte blindate pesanti fino a 400 kg. in ferro e calcestruzzo, sale di decontaminazione con doppie porte e docce, aree per stoccaggio di cibo e acqua, sistemi elettrici di emergenza attraverso l’uso di cyclette (tocca pedalare, ndr), sistemi di smaltimento rifiuti e decomposizione”. Prezzi modici: “Dal modello base da 85 mila ai più cari da 1 milione che possono ospitare anche veicoli”. Per raggiungere il più vicino reparto psichiatrico.
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IL SENSO DI UNA PIAZZA
Editoriale di Marco Travaglio
06 aprile 2025
Non sappiamo quali conseguenze avrà la piazza strapiena di ieri contro l’Ue in assetto e in economia di guerra. Ma sappiamo che ne avrà. Non modificherà l’umore dell’opinione pubblica, già ieri plebiscitariamente contraria al riarmo degli Stati, a nuovi armamenti all’Ucraina in pieno negoziato e ancor più alla follia “volenterosa” di spedire migliaia di giovani europei a morire in una guerra persa prima di iniziare. Ma la vista di tutta quella gente assiepata nel corteo e davanti al palco ai Fori Imperiali farà bene sia a chi c’era sia a chi non c’era. Farà bene a chi legge i giornali e vede i talk del Pensiero Unico Bellicista con un misto di smarrimento e solitudine. E si domanda: davvero non esiste un pensiero alternativo? Davvero non c’è più niente da fare contro questa deriva da escalation verso la terza guerra mondiale? Davvero dobbiamo rassegnarci alla normalità di un conflitto armato, non più per procura come in Ucraina, ma diretto, con morti e feriti nelle nostre famiglie, come non accadeva dal 1945? Davvero è inevitabile celebrare gli 80 anni della Liberazione dal nazifascismo con una nuova corsa agli armamenti, prima causa di tutte le guerre, fra le idiozie paranoiche e antistoriche degli euro-ras, tipo “La pace si ottiene preparando la guerra”?
I 5 Stelle di Conte, liberi dalle zavorre draghian-atlantoidi, hanno riscoperto le radici pacifiste del Movimento, fondato da Grillo e Casaleggio il 4 ottobre 2009, festa di San Francesco. Non è il pacifismo cieco di chi vuole uscire dalla Nato e abolire i nostri eserciti nell’attesa utopistica che lo facciano anche gli altri. È il pacifismo realistico e raziocinante che ripudia la guerra come la Costituzione, ma ammette la legittima difesa della Patria e degli alleati. Le armi sono l’extrema ratio quando fallisce ogni tentativo per scongiurarla con la politica e la diplomazia: altro che “prepararla” con riarmi nazionali pericolosi (vedi Germania) e inutili (la Nato è sempre lì) e provocazioni al presunto “nemico”, affibbiandogli propositi d’invasione senza neppure sedersi a un tavolo per ascoltarne le eventuali ragioni, trovare soluzioni e proporre un futuro di cooperazione e sicurezza reciproca. L’Ue, nata dal giuramento “mai più guerre fra noi” dopo due conflitti mondiali, ha passato questi tre anni a evitare e ora persino a sabotare ogni negoziato sull’Ucraina. Perciò la piazza era piena: non solo di elettori 5S, ma anche di una galassia di associazioni e di tanti cittadini (anche giovanissimi) apolidi e apoti che votano sinistra, centro, magari destra, ma non ne possono più di proclami bellicisti e normalizzazioni dell’orrore. Volevano dire la loro e l’han detta. Chi, nel Palazzo, resterà sordo la pagherà cara. La storia insegna: nulla più delle guerre spacca i partiti e li uccide.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
07 aprile 2025
Triduo quaresimale. “Né pacifista né di sinistra, alla larga dalla piazza di Travaglio e Orsini. Tutte le ragioni per non partecipare alla manifestazione organizzata dal Movimento 5 Stelle”, “Perché sarei a disagio nella piazza di Travaglio e Orsini”, “Le ragioni per non esserci” (Stefano Cappellini, Repubblica.it, 3, 4 e 5.4). E dài, pazienza, è andata così. Però ritenta, sarai più fortunato.
Che ovvove, signova mia/1. “Travaglio elenca le colpe dell’Europa, elencate con un certo turpiloquio” (Alessandro De Angelis, Stampa, 6.4). Oddìo, che senz’accorgermene mi sia scappato un “De Angelis”?
Che ovvove, signova mia/2. “Ascolti Barbara Spinelli, che è qui e non nelle piazze intitolate a Ventotene” (De Angelis, ibidem). Ecco, bvavo, ova domàndati il pevché.
Applausi e risate. “Marco Travaglio dal palco prende in giro Michele Serra e i ‘serrapiattisti’ della manifestazione pro Ue. Applausi e risate” (Francesco Bei, Repubblica, 6.4). Veramente ho detto “guerrapiattisti” e della manifestazione di Serra&C. non ho parlato. Però carini questi di Rep che sentono le voci come Giovanna d’Arco e si fanno le battute da soli.
Manco le basi. “Se tanti italiani fanno fatica a capire un testo. E a scrivere” (Corriere della sera, 31.5.22). “Ocse: “Il 35% degli italiani adulti non è in grado di capire testi lunghi” (ilfattoquotidiano.it, 10.12.24). “Uno striscione affettuoso per Putin: ‘Il popolo russo non è il mio nemico’” (Fabrizio Roncone, Corriere della sera, 6.4.25). Ma neppure i testi di otto parole.
Né né. “Tajani, la spinta europeista: ‘Né sfascisti né pacifinti’” (Messaggero, 6.4). Praticamente le solite nullità.
Ma va? “La piazza di Conte non è la nostra” (Dario Nardella, eurodeputato Pd, Dubbio, 3.4). Infatti c’era gente.
Hippy. “Schlein, senza difesa, vuole l’Ue come una comunità hippie” (Giorgia Meloni, premier FdI, 30.3). “Conte e Salvini sono i trombettieri della Zacharova, le due facce del populismo italiano filorusso, senza neppure quel pacifismo hippie di ‘mettete dei fiori nei vostri cannoni’ che ingenuamente sopravvive in certe parti marginali del Pd” (Francesco Merlo, Repubblica, 4.4). Ma Merlo li ha pagati i diritti Siae alla Meloni?
Calende greche. “L’unico modo per aver a che fare col Movimento 5Stelle è cancellarlo” (Carlo Calenda, leader Azione, 29.3). “Cancellare il M5S? Non l’ho detto” (Calenda, 2.4). Tipo quello di dire una cosa e poi, 4 giorni dopo, negare di averla detta
L’ultimo a sapere. “Taruffi (Pd). ‘Calenda decida da che parte stare’” (Repubblica, 31.3). Ma perché, non l’hai ancora capito? Ti serve un disegnino?
En plein. “Da ‘Dibba’ a Raggi. Il Conte pacifista recluta gli ex grillini. Anche la Cgil” (Giornale, 31.3). Ne avessero azzeccato uno.
La scoperta dell’America. “Sapevamo già tanto della centralità americana nel sistema di difesa ucraino. Ma l’approfondita inchiesta del New York Times, ricca di informazioni fornite anche dall’intelligence militare, presenta un quadro molto più ampio del coinvolgimento del Pentagono nella resistenza ucraina contro l’invasione russa lanciata il 24 febbraio 2022” (Lorenzo Cremonesi, Corriere della sera, 31.3). Ma non mi dire: così ampio che cominciò otto anni prima dell’invasione russa.
L’esperto. “La libertà non è gratis, ma gli hippy non lo sanno. Il costo della difesa” (Giovanni Toti, Giornale, 31.3). Eh già, mannaggia, gli avvocati costano. Specie quando sei colpevole.
Incensis. “Giuseppe De Rita: ‘La forza dell’Italia? I brand. Chi compra Ferrari lo farà anche con i dazi. Il pacifismo non è politica. La piazza M5S? Ci sarà di tutto, dai partigiani alla TikToker di Roccaraso” (Messaggero, 5.4). Altre cazzate?
Chi ha stato? “Rovinato da divorzi e Fisco. Mi restano 14 euro sul conto” (Paolo Guzzanti, Corriere della sera, 2.4). “Sto pagando il fatto di essere stato fuori dal coro e di aver attaccato fin dal 2008 la violenta strategia espansionistica del Cremlino… Non essere allineato con la politica estera italiana mi è costato l’esclusione dal Senato e la relativa indennità. E poi sono stato travolto dalle spese” (Guzzanti, Giornale, 2.4). E niente, pure per i divorzi, le tasse e i debiti, ha stato Putin.
Il titolo della settimana/1. “Strage a Kryvyi Rih, Zelensky se la prende con gli Usa” (Corriere della sera, 6.4). Ha stato Trump.
Il titolo della settimana/2. “Enrico Letta: ‘È l’11 settembre dell’economia, Trump attacca il cuore dell’Europa’” (Stampa, 5.4). Io però preferivo quella sul default della Russia entro pochi giorni.
Il titolo della settimana/3. “Carmine Fotia: ‘Scusaci Bettino’” (libro ed. Heraion). Ma parla per te.
Il titolo della settimana/4. “Faccia a faccia con Lorenzo Guerini, l’eretico del Pd quando si parla di difesa europea, guerra e Nato. ‘Riarmare la sinistra’” (Foglio, 31.3). E riuscire a restare seri.
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L’APPELLO DEL VENERDÌ
Editoriale di Marco Travaglio
08 aprile 2025
Dodici giorni fa, a Otto e mezzo, ho discusso con Massimo Giannini del famoso “diritto internazionale” regnante in Occidente fino a Trump. Ora, fuori tempo massimo, Giannini prova a ricordarmi sul Venerdì di Rep “qualche verità” e a “fissare i punti fermi”. Purtroppo, invano.
1. “Il famoso negoziato di pace di aprile 2022 non saltò perché Usa, Ue e Johnson vietarono a Zelensky di firmarlo… L’Ucraina si ritirò dal tavolo dopo i massacri di Bucha e l’annessione russa con referendum-farsa di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson”. Balle. Le denunce su Bucha iniziano il 3 aprile, ma Zelensky dice che il negoziato prosegue e i suoi delegati rivedono i russi a Istanbul per altri 12 giorni. Poi il 15 aprile se ne vanno. I referendum e le annessioni dei quattro oblast ucraini arrivano 5 mesi dopo: a fine settembre. Il perché lo spiega il capo-delegazione ucraino David Arakhamia alla tv zelenskiana 1+1: “I russi erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo accettato la neutralità: avremmo dovuto promettere di non aderire alla Nato. Questo era il loro punto chiave”. Ma il 9 aprile “Johnson venne a Kiev e disse che non dovevamo firmare nulla coi russi, ma solo combattere e basta”.
2. “È vero, i bombardamenti nell’ex Jugoslavia non ottennero il via libera dall’Onu, ma solo perché in Consiglio di sicurezza misero il veto Russia e Cina”. Quindi, siccome Russia e Cina sono membri permanenti del Cds, il loro voto vale solo quando dicono Sì. E il diritto internazionale lo decide Giannini: se le guerre le fa la Nato (con o senza Onu) vanno bene, se le fanno gli altri no.
3. “La missione Afghanistan ebbe almeno la copertura Nato”. Quindi la Nato fa le veci dell’Onu. Come dire che le invasioni sovietiche dell’Ungheria e della Cecoslovacchia ebbero almeno la copertura del Patto di Varsavia.
4. “Nulla di ‘illegale’ nelle vicende di Kosovo e Libia”. Se la Nato sostituisce l’Onu, vale tutto (per la Nato). Ma purtroppo il diritto internazionale lo sancisce l’Onu. Nel 1999, dopo i 78 giorni di bombardamenti Nato su Belgrado e la contro-pulizia etnica kosovara su 300 mila serbi e rom, la pace di Kumanovo, ratificata dalla risoluzione Onu n. 1244, riconosce la sovranità serba sul Kosovo. Che però nel 2008 si proclama indipendente e l’Occidente lo riconosce in spregio al trattato e alla risoluzione Onu. Quanto all’attacco Nato alla Libia nel 2011, giustificato dalle solite fake news Usa su fosse comuni e 30 mila vittime dei gheddafiani, la risoluzione Onu n. 1970 autorizza “tutte le misure necessarie per proteggere civili e aree a popolazione civile”: non certo quei bombardamenti su civili, centri abitati, tv e scuole (una per disabili).
Massimo, dài retta, era meglio fare come a Otto e mezzo: tacere.
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HORROR DAZI SHOW
Editoriale di Marco Travaglio
09 aprile 2025
Non essendo economisti, possiamo permetterci il lusso di non avere certezze e non fare previsioni sugli effetti a medio e lungo termine dei folli dazi di Trump che sconquassano le borse, i mercati, i governi e persino i pinguini. Quindi assistiamo da spettatori curiosi all’ennesimo derby fra due curve ultrà: gli apocalittici dell’imminente fine del mondo e i minimizzatori secondo cui, alla fine della fiera, cambierà poco o niente; chi intima all’Ue di rispondere pan per focaccia per fargliela vedere al bullo platinato e chi consiglia di trattare. Meglio tirare le somme quando il polverone si sarà depositato. Anche perché gli “esperti” sono gli stessi che tre anni fa davano la Russia in default per le formidabili sanzioni che hanno mandato in bancarotta i sanzionatori mentre il sanzionato cresce 8-10 volte più di loro. Da profani, ci affascina leggere che i dazi hanno “bruciato” in tre giorni tot migliaia di miliardi, figurandoci le dimensioni del falò di banconote; e poi scoprire al quarto giorno che le Borse risalgono, immaginando il mago della zecca (o la banda degli onesti di Totò e Peppino) che ne ristampa una montagna equivalente.
Lo spettacolo migliora vieppiù quando leggiamo che Musk, dipinto finora come il vero presidente Usa, il burattinaio di quella marionetta di Trump, auspica “zero dazi” e chiama “imbecille” l’ideologo trumpiano del protezionismo. E che Mr. Tesla-Starlink-X&C., ma anche Bezos, Zuckerberg e gli altri Big Tech, descritti fino a ieri come i veri registi della Casa Bianca in conflitto d’interessi per guadagnare tanti dobloni, grazie alla Casa Bianca hanno perso il Pil di una decina di stati africani: primo caso di conflitto d’interessi all’incontrario, che rovina i titolari anziché arricchirli. Ci eravamo appena abituati all’idea che, siccome Trump aveva osato vincere le elezioni, la famosa democrazia Usa fosse stata abolita e sostituita da una “tecno-dittatura” col terzo, quarto, quinto, sesto mandato di Donald (fino a 120 anni), seguito dalla tirannide di Vance o di Musk e poi di Barbablù. E ora leggiamo che Trump potrebbe cadere domattina per via dei dazi che invocava dal 1987 (quando c’era Reagan) ed erano in cima al suo programma elettorale. L’ipotesi che la maggioranza degli americani, immiserita e terrorizzata dalla globalizzazione e dalle delocalizzazioni industriali, lo abbia votato proprio per questo è esclusa a priori. Soprattutto nell’Ue, giustamente sorpresa da un presidente che fa ciò che ha promesso agli elettori. Infatti, mentre la Cina i dazi se li aspettava e aveva pronte le contromosse, gli euro-geni non li avevano previsti e non sanno che pesci pigliare. A parte, si capisce, l’ideona di farla pagare agli Usa comprando più armi e più gas dagli Usa.
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CRETINI DA NOBEL
Editoriale di Marco Travaglio
10 aprile 2025
Dopo aver fatto di tutto per oscurare la manifestazione dei 5Stelle e di tante associazioni contro il riarmo, i grandi media non riescono a smettere di parlarne. È una buona notizia: vuol dire che quella piazza piena ha lasciato un segno. Infatti sono tutti in lutto. Dicono tutti che quel diavolo di Conte, avendo una posizione esecrabile ma netta contro il riarmo, l’ha fatto apposta per mettere in difficoltà il Pd, che non ha una posizione perché ne ha più del Kamasutra. E a dirlo sono gli stessi che Conte lo danno sempre per morto e sepolto: come farà mai una salma a mettere in difficoltà chicchessia? Ma soprattutto: è colpa di Conte se i 5Stelle hanno una linea chiara e il Pd no? Il Pd una via d’uscita dall’imbarazzo ce l’avrebbe: scegliere una linea altrettanto netta sul riarmo, farla votare dagli organi preposti e poi perseguirla in tutte le sedi: interviste, votazioni parlamentari, congressi di Calenda e così via; e chi non ci sta è fuori. Ma è scartata a priori. È Conte che dovrebbe evitare di avere una linea netta per non imbarazzare il Pd che non ce l’ha: dire no al riarmo nei giorni pari e sì nei giorni dispari. E invitare i suoi parlamentari a votare un po’ sì, un po’ no, un po’ ni per non lasciare sola la Schlein.
Un altro refrain è la presa in giro di chi ha manifestato il 5 aprile per far credere che fossero tutti baluba. Il guaio è che in piazza c’era il premio Nobel Giorgio Parisi (meglio parlare della tiktoker De Crescenzo e dello youtuber Cicalone). E sul palco c’era, fra gli altri, lo storico Alessandro Barbero. Che fare? Luca Bottura, presunto umorista noto per non fare mai ridere, gli dà una bella lezione di storia postando un falso intervento di Barbero realizzato con l’AI, che gli fa dire l’opposto di quello che ha detto: le pazze risate. Mattia Feltri, altro spiritosone, si sfoga sulla Stampa: “Dalla mia casa romana ho ascoltato lo slogan più cretino di sempre: ‘Fuori la guerra dalla storia’”. Per forza, che ti vuoi aspettare da quegli idioti dei grillini? “Il popolo di Grillo è diventato il popolo di Conte ma non ha ancora imparato dalle proprie minchiate… Buttare la guerra fuori dalla storia può essere soltanto l’obiettivo di chi fuori dalla storia ci ha piantato le tende”. Feltri jr. non sa che la minchiata “Fuori la guerra dalla storia” l’ha inventata oltre un secolo fa la grande scrittrice e intellettuale pacifista austriaca Bertha von Suttner, talmente cretina che nel 1905 vinse il premio Nobel per la Pace (secondo Nobel a una donna dopo quello a Marie Curie): 104 anni prima che nascessero i 5Stelle. Ma non può essere lei che Feltri jr. ha sentito gridare: è morta nel 1914. Però uno vivo che ha ripetuto lo slogan c’è: “È l’ora di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’umanità prima che sia la guerra a cancellare l’umanità”. È quel cretino di papa Francesco.
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INSEGUENDO UNA LIBELLULA…
Editoriale di Marco Travaglio
11 aprile 2025
“Inseguendo la pace giusta verso la disfatta ineluttabile”: è il saggio di Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa che, per completezza e spietatezza, consigliamo ai nostri guerrapiattisti.
1. Mentre Trump, ben informato del disastro ucraino, sa di avere poco tempo, le “volenterose” Francia e Gran Bretagna (le due potenze atomiche europee) lavorano per sabotare i negoziati e prolungare la guerra con truppe di “rassicurazione” sul campo. Per nulla rassicurati, gli Usa rifiutano di garantire prima della fine del negoziato la sicurezza di Kiev. La Russia non vuole soldati Nato ai confini (ha invaso l’Ucraina apposta). E non c’è contingente europeo che possa garantire alcunché: l’Ucraina perde da tre anni con Usa ed Europa, figurarsi con l’Europa e senza Usa.
2. Macron e Starmer lo sanno benissimo: i loro annunci di truppe non servono a proteggere gli ucraini dopo la guerra, ma a convincerli a continuarla per procura. Il 5 aprile i capi di stato maggiore francese e britannico, Burckhardt e Radakin, hanno incontrato Zelensky e i vertici militari ucraini a Kiev per “mantenere un risoluto sostegno all’Ucraina che le consenta di continuare a combattere e definire una strategia a lungo termine per trasformare il modello di esercito” (Burckhardt). È l’esercito che, per accettare la pace, Mosca vuol ridurre ai minimi termini. Mentre fingono di preparare il dopoguerra, gli anglo-francesi lavorano alla guerra.
3. Zelensky ormai è un pendolo impazzito. Il 18 dicembre aveva ammesso di aver perso la guerra: “Non riusciremo a riconquistare Crimea e Donbass”. Ora, subornato dai falsi amici europei, è tornato a illudersi di vincerla: “La pace sarà giusta quando tutti i territori conquistati dalla Russia saranno restituiti. Non li riconosceremo mai come russi”. Parole che avrebbero un senso se le sue truppe dessero qualche segnale di vita. Invece stanno tracollando su tutta la linea del fronte (oltre 1000 km): nella regione russa di Kursk perduta, nel Nord-Est ucraino a Sumy e Kharkiv, nel Sud dal Donetsk a Zhaporizhzhia, al centro verso Dnipro. E persino i neonazi del battaglione Azov accusano il comandante Kyrsky di essere un macellaio e un incapace. Il negoziato conviene a Kiev che perde, non a Putin che vince. Ma Zelensky non lo sa, o finge: anziché le vite dei suoi uomini, preferisce salvarsi la faccia e la poltrona.
4. Trump se ne infischia dell’Ucraina. Ma la fine della guerra gli serve per ripristinare i rapporti diplomatici con Mosca e coinvolgerla nei negoziati ben più cruciali con Hamas, Iran e Cina. Di questo hanno parlato ieri per cinque ore a Istanbul i suoi inviati e quelli di Putin. Usa e Russia la pace la faranno comunque. E il duo Europa-Ucraina, inseguendo la pace giusta, perderà tutto.
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DAL VANGELO SECONDO LOLLO
Editoriale di Marco Travaglio
12 aprile 2025
Profittando della confusione generale, il cosiddetto ministro Lollobrigida, che è un po’ l’angolo del buonumore del governo, s’è liberato della mordacchia che gli aveva imposto Palazzo Chigi e ha ricominciato a esternare da par suo. Dopo il celebre monito contro “l’abuso di acqua che può portare alla morte” (soprattutto se non sai nuotare), è rimasto in tema liquidi con un’esegesi evangelica a dir poco rivoluzionaria: “Erano i cattolici nel Diritto canonico che disciplinavano il vino, questo prodotto fondamentale per la religione cristiana e che era stato ovviamente oggetto del primo miracolo di Cristo nella moltiplicazione di quello che, per chi crede come noi, certamente non può essere un veleno, altrimenti avremmo un problema con chi l’ha moltiplicato”. Da duemila anni si pensava, alla luce del Vangelo di Luca, che il primo miracolo di Gesù fosse la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. E che poi, in almeno due occasioni, il Cristo avesse moltiplicato pochi pani e pesci per sfamare migliaia di discepoli sprovvisti di pranzo al sacco. Ma ora l’evangelista Lollo ha scoperto che Gesù moltiplicò direttamente il vino, non si sa se sfuso o imbottigliato. Ergo l’alcol, regolamentato nientemeno che dal Diritto canonico, fa benissimo alla salute e l’acqua fa malissimo: infatti Gesù mica la moltiplicò. Né, a Cana, si sognò di tramutare il vino in acqua, per evitare una strage di invitati che avrebbe trasformato il matrimonio in un funerale di massa.
A proposito di vino. Il cosiddetto ministro Nordio, che sostituisce Lollo quando è in pausa, ha spiegato al Senato la vera causa del sovraffollamento carcerario: “Se aumenta il numero dei detenuti non è colpa del governo, ma di chi commette reati e della magistratura che li mette in prigione. Non mi risulta che siano stati imprigionati in base a nuove leggi di questo Parlamento”. In attesa che il ministro della Salute spieghi che le liste d’attesa negli ospedali sono colpa dei cittadini che decidono di ammalarsi e dei medici che decidono di curarli, seguiamo il ragionamento del Guardagingilli. Lui e il suo governo, in 30 mesi, hanno aggiunto al Codice penale 48 reati per un totale di 417 anni di carcere, a cui ora – col dl Sicurezza avallato ieri da Firmatutto Mattarella – si aggiungono altri 14 reati e 9 aggravanti. Ma Nordio assicura che nessuno dei 62.400 detenuti è dentro per i nuovi reati. Ma allora, se già sapeva che nessuno li commette o nessuno viene beccato o nessuno fa un giorno di galera, che li ha introdotti a fare? Sia come sia, i detenuti sono troppi perché commettono troppi reati (vecchi) e i giudici ne arrestano e ne condannano troppi, anziché uno sì e uno no. Ma non sarà che Nordio, digiuno del Vangelo secondo Lollo, ha di nuovo esagerato con l’acqua ?
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SALVATE IL SOLDATO MARIO
Editoriale di Marco Travaglio
13 aprile 2025
Qualcuno dovrebbe difendere Mario Draghi dallo stalking di Renzi, che da cinque anni gli fa da piazzista non richiesto stampandogli sulle gote un bacio della morte dopo l’altro. Non bastando i danni che gli ha fatto mandandolo al governo nel 2021 (flop totale), poi appoggiando la sua autocandidatura al Quirinale (altro fiasco epocale), infine usando come testimonial lui e la sua misteriosa Agenda alle elezioni del 2022 per il famoso Terzo Polo (sesto su sei), ora vuole spedirlo a Washington a trattare con Trump per l’intera Ue: “Sono tempi difficili. Serve un inviato speciale per la trattativa con Trump. Un leader autorevole, credibile, forte. Bruxelles deve chiedere a Draghi di trattare con Trump a nome di tutta Europa”. Ora, visto come Trump tratta chiunque abbia avuto a che fare con Biden, dei cui ordini Draghi fu un fedele esecutore senza neppure accorgersi che era completamente rinc*gli**ito, la missione alla Casa Bianca parte sotto i migliori auspici. Se Trump con Zelensky si era limitato ad alzare la voce, con Draghi potrebbe passare alle vie di fatto, magari aiutato da uno dei simpatici wrestler grandi come armadi a tripla anta che si porta appresso. Ma c’è anche un altro piccolo problema: l’Ue che dovrebbe compattarsi per la prima volta nella sua esistenza per scegliere Draghi come suo inviato è la stessa che ha prontamente archiviato nel cestino il famoso “Rapporto Draghi” sulla competitività (accolto trionfalmente solo sui media italiani, che si bevono tutto). La stessa che, quando SuperMario era premier, gli bocciò un’ottantina di volte l’inutile “price cap” sul gas, per poi approvarne una versione ancor più ridicola appena arrivò la Meloni.
Del resto chi non ricorda le sue dotte analisi sul Green Pass come “garanzia ai cittadini di ritrovarsi tra persone non contagiose” (poi si beccò il Covid e tutti pensarono che fosse un pericoloso No Vax e No Green Pass)? E i suoi autorevoli oracoli su “vittoria dell’Ucraina e sconfitta della Russia”? E le sue informatissime centurie sull’“effetto dirompente delle sanzioni alla Russia, che avranno il massimo impatto in estate” (correva l’anno 2022)? E la sua recente ideona di combattere i dazi smettendola di puntare tutto sulle esportazioni e potenziando la domanda interna, lievemente stridente con le politiche recessive (anche sue) che fanno dell’Italia il Paese Ue con gli stipendi più bassi senza neppure un salario minimo (che Conte aveva inserito nel Pnrr e lui aveva tolto)? Però, ove mai si ritrovasse nello Studio Ovale, Draghi potrebbe bissare la gag più irresistibile del suo repertorio: “Preferisce la pace o il condizionatore acceso?”. Al che Trump potrebbe sembrare persino lucido e rispondergli: “Tutt’e due”.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
14 aprile 2025
L’ultimo bacio. “Gas e armi, aumentare gli acquisti dagli Usa. Il piano europeo anti dazi con il sì dell’Italia” (Corriere della sera, 13.4). Da “Riarmo Europa” a “Prontezza 2030” a “Baciamogli il c**o 2025”.
Il medico curante. “In America esiste il Dsm, la bibbia dei disturbi mentali, Trump ne ha una collezione. Non dovrei dirlo, ma io ve l’avevo detto. Se fossi un parente di un anziano così problematico, lo farei vedere da uno bravo” (Beppe Severgnini, Otto e mezzo, La7, 11.4). Possibilmente prima che arrivi a Lisbona.
I tombaroli. “Renzi scippa De Gasperi al Partito popolare. Ira FI: ‘Alcide non guardava mai a sinistra’” (Giornale, 12.4). Ma infatti: De Gasperi, Renzi e Tajani sono tre gocce d’acqua.
La scelta. “Zaia: ‘Il tetto dei mandati toglie al popolo il diritto di scegliere’” (Libero, 13.4). Tranquillo, sceglieranno un altro.
Carletto Mezzolitro. “Uno dei miei miti politici era Churchill, che beveva e fumava… Di vino abbiamo usato e abusato, potrebbe costituire un buon alibi per le eventuali sciocchezze che posso aver detto” (Carlo Nordio, ministro FdI della Giustizia, Repubblica, 9.7.24). “Nordio e gli attacchi sull’alcol costruiti sul luogo comune che il ministro, da veneto, beva molto” (Hoara Borselli, Giornale, 13.4.25). In effetti nessuno riesce ad attaccare Nordio sull’alcol come lo fa Nordio.
La legge è uguale per gli altri. “Lucano la scampa e rimane sindaco dopo la condanna definitiva a 18 mesi per falso. Ma la Prefettura annuncia battaglia” (Verità, 10.4). “Da Riace porta in faccia al Viminale. Lucano resta sindaco” (Unità, 10.4). Poi tutti a chiedere le dimissioni dell’imputata Santanché.
Sta poco bene. “Putin ha quinte colonne in tutti i Paesi europei. Dietro la parola ‘pace’ si nasconde una forte vicinanza alle ragioni di Putin. E dovrebbe essere una ragione per stare molto lontani dal Movimento 5 Stelle” (Carlo Calenda, Azione, 10.4). Certo che questo Conte ha proprio tutte le fortune.
Il due senza il tre. “Dobbiamo lavorare perché l’Europa non venga vissuta come un’astrazione ma diventi ‘qualcuno’ che sappia tenere testa ai furori di Trump e ai crimini di Putin” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 13.4). Con Israele a Gaza, invece, tutto tranquillo.
Le solite palle. “Zelensky: ‘Presi due soldati cinesi che combattevano per Mosca’” (Corriere della sera, 9.4). “Zelensky: ‘Pechino non neutrale’” (Repubblica, 9.4). “Ora anche i cinesi invadono l’Ucraina” (Libero, 9.4).
“‘Mercenari che non sembrano avere un legame diretto con il regime della Cina… con addestramento minimo e senza alcun impatto evidente sulle operazioni militari’: così tre fonti occidentali interpellate da Reuters hanno definito i cittadini cinesi che Zelensky accusa di combattere al fianco delle truppe russe” (Stampa, 13.4). Ma Zelensky non può avere mentito: non sarebbe da lui.
Extraslurp. “Giorgia, talento politico unico”, “Meloni incarna il primato della politica. Se pensi a lei, pensi alla politica… Sbaglia rarissimamente… È in sintonia con i sentimenti profondi e con gli interessi veri delle persone reali… E per questo è in grado di capire i processi profondi. Che la fanno apprezzare da Draghi, da Biden, Trump e von der Leyen. È in sintonia con la contemporaneità come nessun altro. Perciò raccoglie una stima così trasversale… Chi ha abbassato in maniera strutturale le tasse? Meloni. In più… sento tra tantissimi amici socialisti e liberaldemocratici una attenzione grande verso questa donna. D’altronde lo dimostra anche Calenda, che ha una sensibilità politica notevole… Decine di persone che conosco, di area liberalsocialista, voteranno Meloni nel futuro… Craxi visse sempre con un certo distacco dall’establishment che lo blandiva. Proprio come Meloni” (Agostino Saccà, Riformista, 11.4). Però ha anche dei pregi.
Il titolo della settimana/1. “Recalcati rilegge la Bibbia per parlare al nostro presente” (Venerdì-Repubblica, 11.4). Grazie davvero, ma non doveva disturbarsi.
Il titolo della settimana/2. “Monti: ‘Gli Usa non sono più una democrazia liberale’” (Repubblica, 10.4). In effetti hanno questo brutto vizio di non fare governi tecnici imposti dal Colle anziché dagli elettori.
Il titolo della settimana/3. “Germania, intesa di governo. Merz: ‘Con Kiev fino alla fine’” (Stampa, 10.4). La fine di Kiev o della Germania?
Il titolo della settimana/4. “Perché la democrazia ha ancora bisogno di vivere nei partiti” (Giuliano Amato, Repubblica, 1.4). Grazie, mo’ me lo segno.
Il titolo della settimana/5. “Ma davvero c’è bisogno di invocare il fantasma di Gelli contro la separazione delle carriere?” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 1.4). Sì.
Il titolo della settimana/6. “La lezione di Calenda, quando prevale il merito” (Giorgio Merlo, Riformista, 2.4). Uahahahahah.
Il titolo della settimana/7. “Prodi spinge la piazza d’Europa” (Repubblica, 4.4). Aveva provato a tirarla per i capelli, ma niente.
Il titolo della settimana/7. “Scalfarotto chiede la ratifica dell’accordo col Canada” (Foglio, 7.4). Scalfarotto e il Canada: il sequel di Totò contro Maciste.
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LA STRAGE AL BALZO
Editoriale di Marco Travaglio
15 aprile 2025
Ci sono due modi di reagire al criminale bombardamento russo a Sumy con 34 ucraini morti, di cui 2 bambini. Il primo è condannarlo, come si devono (anzi si dovrebbero) condannare tutti i bombardamenti di ogni guerra, inquadrandoli nell’essenza stessa della guerra; e aumentare gli sforzi per favorire i negoziati e rimuovere gli ostacoli dal percorso avviato da Trump per far tacere le armi, evitando altre stragi. Il secondo è usare i morti nel raid per sabotare vieppiù i negoziati, moltiplicando i raid e i morti: come si fece con la strage di Bucha ai primi di aprile del 2022, quando la trattativa di Istanbul fra Mosca e Kiev era giunta a buon punto con il primo “comunicato congiunto” di fine marzo fra le due delegazioni. Biden e l’Ue colsero la strage al balzo per ripetere che con quel criminale di Putin non si doveva trattare. Zelensky negoziò ancora fino al 15 aprile (giusto tre anni fa). Ma, dopo la missione criminale di Johnson a Kiev, ritirò i negoziatori e lasciò deserto il tavolo. La parola restò alle sole armi e sappiamo come andò: altre dieci, cento, mille Bucha. Poi, il 18.12.2024, la sostanziale resa di Zelensky: “Non riusciremo a riprendere militarmente Donbass e Crimea”. Da quel giorno nessuno riesce più a spiegare ai soldati ucraini rimasti al fronte (gli altri hanno disertato o sono sfuggiti alla leva) per che cosa combattono.
Trump e il suo segretario di Stato Rubio hanno scelto la prima opzione: condannare la strage di Sumy e insistere, a maggior ragione, col negoziato per scongiurarne altre. L’Ue ha scelto la seconda: armare sempre più Kiev, che per bocca del suo stesso presidente non riuscirà a riprendere i territori perduti e ogni giorno che passa ne perde altri, ripetendo il macabro mantra della “vittoria militare decisiva sulla Russia” (testuale dall’ultima risoluzione del Parlamento Ue). Chi ha sempre condannato ogni bombardamento – da quelli Nato su Belgrado, sulla Libia, in Afghanistan e in Iraq, a quelli ucraini sul Donbass negli otto anni di guerra civile, a quelli russi in Cecenia, in Siria e ora in Ucraina, a quelli israeliani su Gaza – e ha sempre auspicato che le controversie internazionali fossero risolte con la diplomazia, ha le carte in regola per indignarsi dell’ultima strage. Chi invece usa i 34 morti ucraini a Sumy, soprattutto i 2 bambini (ignorando peraltro i 20mila sterminati da Israele), per allontanare un’altra volta i negoziati e prolungare la guerra fino all’ultimo ucraino, è il primo complice di Putin, che sta vincendo ed è il meno interessato a trattare, a meno di un’offerta che non possa rifiutare. L’alternativa alla diplomazia non è mai stata fra sconfitta e vittoria, ma sempre fra una piccola sconfitta con pochi morti e una grande disfatta con tanti morti. E tante Sumy.
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I FANTASMI DI ISTANBUL
Editoriale di Marco Travaglio
16 aprile 2025
Quando il bugiardo seriale Trump dice che la guerra in Ucraina non è sua, ma di Biden e Putin, dice la verità (anche se alla lista mancano Bush jr., Obama e la Clinton). Ma quando tira in ballo Zelensky, dice una mezza verità. Se Zelensky avesse dichiarato la neutralità dalla Nato e rispettato gli accordi di Minsk sull’autonomia e il cessate il fuoco per il Donbass, come chiedevano la Germania di Merkel e Scholz e la Francia di Hollande e Macron, avrebbe evitato l’invasione russa del 2022. Ma, se non lo fece, è perché eseguì gli ordini Usa e Nato. Ora, il presidente Usa che dice la verità sulla guerra manda ai matti i nostri americani a Roma, infatti son diventati tutti antiamericani. E si sono ridotti a negare ciò che tutti vedevano e scrivevano tre anni fa: il negoziato russo-ucraino in Bielorussia e poi a Istanbul subito dopo l’invasione. Sennò dovrebbero riconoscere che Putin non ha mai inteso prendersi l’intera Ucraina (la invase con 175 mila uomini, meno della metà dell’esercito attivo ucraino) per poi papparsi l’Europa, ma impedire che Kiev entrasse nella Nato e tentasse di riassoggettare la Crimea e il Donbass fuggiti dal nuovo regime filo- Nato dopo la “rivolta” del 2014.
Paolo Mieli e Federico Fubini del Corriere a Prima Pagina (Radiorai) si affannano a negare che il negoziato fosse una cosa seria e avesse raggiunto intese importanti quando, dopo il blitz di Johnson a Kiev, Zelensky lo fece saltare il 15 aprile 2022. “Una frottola”, per Mieli. “Un mito” della “retorica di Travaglio e altri”, per Fubini, convinto che Putin a Istanbul volesse sostituire Zelensky con “un governo fantoccio filorusso” per “prendersi tutta l’Ucraina”. Il guaio, per lorsignori, è che a raccontare quanto l’accordo fosse vicino e vantaggioso per Kiev rispetto alle condizioni che dovrà subire ora non è Travaglio, ma tutti i protagonisti del negoziato. Come il capo- delegazione ucraino David Arakhamia, capogruppo parlamentare del partito di Zelensky: “I russi erano pronti a porre fine alla guerra se avessimo accettato la neutralità: dovevamo promettere di non aderire alla Nato. Questa era la cosa più importante, il punto chiave per loro. Tutto il resto era solo retorica sulla denazificazione, la popolazione di lingua russa e bla-bla-bla”. Ma poi “Johnson è venuto a Kiev e ha detto che non avremmo dovuto firmare nulla coi russi: solo combattere e basta”. E un altro negoziatore ucraino, Oleksandr Chalyi: “A metà aprile del 2022 eravamo molto vicini alla conclusione della guerra con un accordo di pace. Putin si rese conto di avere sbagliato e fece tutto il possibile per fare la pace con l’Ucraina. Decise lui di accettare il Comunicato di Istanbul, totalmente diverso dalla proposta originale russa”.
E Oleksii Arestovych, consigliere di Zelensky: “Gli accordi di Istanbul erano stati messi a punto al 90% in vista dell’incontro con Putin… Pensai che la trattativa fosse andata a buon fine, tant’è che stappammo una bottiglia di champagne. Quello era l’accordo migliore che avremmo potuto stipulare”. Zelensky ne parlava ogni giorno. “Su Crimea e Donbass trovare un compromesso con Putin” (8.3). “Non possiamo entrare nella Nato, dobbiamo ammetterlo” (153). “Neutralità e accordo su Crimea e Donbass per la pace” (27.3). “Lo status neutrale e non nucleare dell’Ucraina siamo pronti ad accettarlo: la Russia ha iniziato la guerra per ottenere questo. Poi servirà discutere e risolvere le questioni di Donbass e Crimea. Ma capisco che è impossibile portare la Russia a ritirarsi da tutti i territori occupati: porterebbe alla Terza guerra mondiale” (28.3). Il 28.3 Mosca riceve una proposta scritta di Arakhamia: “Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina” in 18 articoli. L’Ucraina si impegna a non entrare nella Nato; ma non rinuncia all’Ue e Putin non si oppone; imminente vertice Zelensky-Putin a fine aprile sul destino di Donbass e Crimea, da sottoporre a referendum in loco. Mosca rinuncia alla smilitarizzazione totale dell’Ucraina, pur chiedendole di non ospitare basi militari straniere, e promette di ritirarsi dalle aree di Kiev e di Kharkiv, cosa che inizierà a fare il 1° aprile. Le due delegazioni concordano il famoso Comunicato. I progressi continuano anche dopo la strage di Bucha, fino al blitz di Johnson del 9.4. E al ritiro degli ucraini il 15, mentre si discutono le dimensioni del futuro esercito ucraino e i Paesi garanti della sicurezza di Kiev. Dirà il presidente turco Erdogan: “L’opportunità storica che avrebbe salvato la vita di decine di migliaia di persone e impedito sofferenze e distruzioni è stata sprecata, anzi sabotata”. L’altro mediatore, il premier israeliano Bennett, ricorderà che dopo l’invasione Putin gli garantì l’incolumità di Zelensky, da lui subito informato. E racconterà che al Comunicato le due delegazioni erano giunte dopo essersi scambiate “17-18 bozze” di trattato di pace: “Putin era pragmatico e capiva totalmente le costrizioni politiche di Zelensky”, portatore di “analogo pragmatismo”. Poi, dopo Bucha, “nessuno fu più pronto a pensare in modo non ortodosso” e prevalse “la legittima decisione degli occidentali di continuare a colpire Putin… Hanno bloccato la mediazione. Pensai che era sbagliato. C’era davvero una chance di cessate il fuoco”. Ma per i nostri guerrapiattisti tutto ciò non è mai avvenuto. Un’allucinazione collettiva. L’ennesima fake news putiniana diffusa dai turchi, dagli israeliani e soprattutto dagli ucraini.
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