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MISS GRANDE CENTRO
l'editoriale di Marco Travaglio
02 gennaio 2025
Più i giornali perdono lettori, più parlano di politici senza elettori. Senza mai domandarsi se non ci sia per caso un nesso causa-effetto. È come se un irrefrenabile impulso suicida o un mortifero algoritmo imponesse uno spazio fisso per personaggi e argomenti che stanno sulle palle a tutti o non fregano niente a nessuno. Una tassa da pagare, anzi da far pagare agli sventurati che ancora si trascinano in edicola sperando di avere in cambio qualche notizia. La prelibatezza più in voga è l’intervista giornaliera a tal Renzi, il cui successo sui media è inversamente proporzionale a quello nelle urne. Da un mese, quotidianamente intervistato da maggiordomi e cameriere, ripete che il divieto di prendere soldi da governi extraeuropei è “ad personam” contro di lui, infatti “Berlusconi non l’avrebbe mai votato” (fece solo 80 leggi ad personam: esempio azzeccatissimo), insomma una “norma sovietica” e “sudamericana” (notoriamente l’Unione Sovietica era in Sudamerica). E nel personale di servizio nessuno interrompe mai il pianto greco per obiettare che: 1) il divieto per i senatori vale già per i deputati italiani ed europei; 2) se colpisce solo lui è perché c’è un solo parlamentare in tutt’Europa che si fa pagare dal regime criminale saudita di bin Salman: lui.
Un altro imprescindibile desertificatore di urne e di edicole è Paolo Gentiloni (parlandone da sveglio). L’altroieri campeggiava sul Corriere con foto “mentre lascia l’ufficio di Bruxelles” e titolo: “Il centrosinistra e lo scettro del ‘Federatore’. Le carte in mano a Gentiloni”, che “tornerà a parlare”, è “una riserva della Repubblica”, ha un “curriculum poderoso” e si porta su tutto: “federatore” del centrosinistra o del centro, sempreché qualcuno voglia farsi federare da lui, “premier” e persino “punta di diamante” di qualcosa. Casomai qualche lettore fosse sopravvissuto, ecco il sommario da ko: “Delrio lancia Comunità democratica con Prodi e Ruffini”, ma pure “padri nobili come Castagnetti” (mai più senza), insomma “Delrio chiede una maggiore accoglienza e spazio, nel Pd o anche fuori dal Pd” (una sciarada: non si vede perché un deputato del Pd come Delrio dovrebbe chiedere accoglienza nel Pd né a chi si dovrebbe rivolgere per avere accoglienza fuori dal Pd). Onde evitare che altri ectoplasmi si adontino, Rep svela “Chi conta a Bruxelles: Euronews promuove Draghi e Letta” (ormai sono citati in coppia, come Ric e Gian). È il vantaggio della post-democrazia: i voti sono un handicap. Anche Macron sceglie i suoi premier trimestrali esclusivamente fra i senza voti: meno ne hai, più sei bravo. E pure bello. Rep segnala “la somiglianza di Bayrou con Richard Gere”. Un fico spaziale. Ma mai come Renzi, Gentiloni, Delrio e Castagnetti, che sono sputati Brad Pitt.
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LA SCOSSA
l'editoriale di Marco Travaglio
03 gennaio 2025
Anche stavolta, come negli altri nove semolini di fine anno, il presidente Sergio Mattarella è riuscito a non dire praticamente niente. Perciò, come le altre volte, ci eravamo riproposti di non dire niente sul niente che ha detto lui. Poi abbiamo scoperto dai giornaloni che, pur senza dirle, aveva detto un sacco di cose. Il Corriere ne è rimasto talmente elettrizzato da segnalare in prima pagina la “scossa di Mattarella”; invece Repubblica ha preferito puntare sulla “scossa di Mattarella”, mentre la Stampa ha optato per “la scossa di Mattarella”. Il mondo è bello perché è vario. Escludendo che le migliori gazzette facciano tutte lo stesso titolo in ossequio alle veline del Colle (non sarebbe da loro, né da Colle), la singolare sintonia ha due sole spiegazioni possibili: 1) che i quirinalisti siano immuni dall’effetto-anestetico che il sermone quirinalizio sortisce su tutti i comuni mortali (da cui il nuovo record di ascolti a reti unificate); 2) che confondano il cloroformio con l’alta tensione e, se vedono un tizio che dorme, pensino fra sé e sé: “Questo deve aver preso la scossa”.
Noi, temendo di esserci persi nel dormiveglia qualche passaggio particolarmente ficcante, ci siamo rivisti l’intera omelia. E in effetti abbiamo scoperto notizie sconvolgenti. “La notte di Natale a Gaza una bambina di pochi giorni è morta assiderata”: il presidente non ha spiegato il perché, ma poco dopo ha denunciato il “mutamento del clima”, quindi dev’essere stato per quello. “La stessa notte di Natale feroci bombardamenti russi hanno colpito le centrali di energia dell’Ucraina per costringere la popolazione al buio e al gelo”: ecco, lì si è capito chi è stato ed è una fortuna che a Gaza non ci siano feroci bombardamenti israeliani da 15 mesi, sennò avrebbero potuto morire ammazzati anche altri 45 mila palestinesi. “La nostra Costituzione indica la pace come obiettivo irrinunziabile, che l’Italia ha sempre perseguito”: quello doveva essere l’angolo del buonumore, infatti includeva il monito a “evitare che vengano aggrediti altri Paesi d’Europa”. Tipo la Serbia, bombardata nel 1999 per 11 settimane da un governo vicepresieduto da Mattarella. “Colmare le distanze fra Nord e Sud”, “I giovani sono la grande risorsa del nostro Paese”, “Un’attenzione particolare richiede il fenomeno della violenza”, “Preoccupa il diffondersi di alcool e di droghe” e non va affatto bene ammazzare le donne e truffare gli anziani: ma neanche calpestare le aiuole, parlare al conducente, fare il bagno in mare subito dopo mangiato, cose così. Altro che scossa: una folgorazione via l’altra. Poi, cinque secondi prima della mezzanotte, è arrivato il messaggio di Angelo dei Ricchi e Poveri. E noi, senza offesa per nessuno, avremmo tanto voluto irrompere nel teleschermo per abbracciarlo.
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QUALE SILENZIO STAMPA
l'editoriale di Marco Travaglio.
04 gennaio 2025
Silenzio stampa: è un brutto binomio, per i giornalisti e per i cittadini. Però ce lo chiedono i genitori di Cecilia Sala (e forse anche il governo) per accompagnare “gli sforzi delle autorità italiane” con “riservatezza e discrezione” ed evitare che “il dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e rendere più complicata e lontana una soluzione”. Parole che comprendiamo e rispettiamo. La prima volta se ne discusse forse nei giorni del sequestro Moro. Trattare o no con le Br? Pubblicare o no i volantini dei terroristi e le lettere del prigioniero? Ma qui di terroristi non ce ne sono. C’è un governo, quello americano, che fa arrestare in Italia per terrorismo un ingegnere iraniano, “reo” di aver aiutato il suo Paese a costruire droni che hanno ucciso tre militari Usa in Giordania: se quello è un terrorista, lo sono anche tutti i dirigenti dei gruppi industriali occidentali (anche italiani) che producono ed esportano armi e i ministri (anche italiani) che li autorizzano. E c’è un governo, quello iraniano, che arresta una cittadina italiana con accuse altrettanto pretestuose, per scambiarla col proprio detenuto. Se gli Usa sono in guerra con l’Iran (dalle sanzioni fin dai tempi di Khomeini si direbbe di sì, dai recenti negoziati con gli ayatollah per moderare le rappresaglie di Teheran alle aggressioni israeliane si direbbe di no), è affar loro. Ma noi non lo siamo. Se qualche norma ci costringe ad arrestare al posto loro per terrorismo chi terrorista non è, dobbiamo cancellarla per il futuro. E, intanto, cercare qualunque appiglio giuridico che ci consenta di mandare Abedini ai domiciliari (Corte d’appello permettendo) e poi a casa in cambio della Sala.
Non si tratta di “cedere a una logica ricattatoria” (parole incredibili del Pd Peppe Provenzano) o di negoziare con i terroristi (cosa che peraltro in Medio Oriente abbiamo sempre fatto, ha sempre fatto anche Israele con le varie sigle palestinesi e stanno facendo pure gli Usa con Hamas per Gaza e con i reduci Isis e al Qaeda per la Siria). Si tratta di rimediare a un’ingiustizia (l’arresto di Abedini) che ne ha innescata un’altra (l’arresto della Sala). Il silenzio stampa che ci pare doveroso e avremmo osservato anche se nessuno ce l’avesse chiesto riguarderà dunque eventuali dettagli dei negoziati in corso: quelle indiscrezioni che, svelate in tempo reale, potrebbero pregiudicarne il buon esito. Invece su tutto ciò che è già avvenuto e avverrà nei prossimi giorni alla luce del sole, sugli atti d’accusa contro i due detenuti, sulle decisioni dei giudici, sulle scelte di governo e opposizioni che s’incontreranno tra breve al Copasir, continueremo a informare i nostri lettori. Le autorità hanno il dovere di trattare al buio, la stampa di tenere la luce accesa.
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TEST DI RAPA
l'editoriale di Marco Travaglio
05 gennaio 2025
L’altra sera in trattoria. Il cameriere: “Dotto’, vino?”. Io: “No, grazie, Coca zero”. “Paura del Codice Salvini?”. “No, astemio”. “Io invece un bicchierino di rosso me lo facevo la sera, prima di tornare a casa, non più di uno per digerire e dormire meglio. Ora non più, se mi levano la patente sono rovinato. Pure i clienti hanno paura, consumi crollati. Mortacci sua”. Non bastando i flop sul Ponte, i trasporti, l’Autonomia e il ritorno al Viminale, ci mancava il nuovo Codice stradale: gli è venuto così scombiccherato che Salvini passa le due giornate a dissociarsi dal suo autore. Che però è lui. Annunciando la schiforma, assicurò: “Tolleranza zero per chi guida in stato di ebbrezza”. Ora che è entrata in vigore, passa da una sbevazzata a un brindisi a favore di social e ripete che “si può bere come prima, sull’alcol non è cambiato nulla, ma girano un sacco di balle”. Per esempio la sua sul fatto che non è cambiato nulla. Se fosse vero, a che servirebbe il nuovo Codice? Ma è falso. I limiti restano uguali, ma le multe sono molto più salate e le sanzioni più pesanti: se il tasso alcolemico va 0,5 a 0,8 grammi per litro, c’è il ritiro della patente. Peggio ancora le norme contro chi assume sostanze psicotrope (oppiacei, cannabis, benzodiazepine ecc.). Non si sanziona più l’“alterazione psicofisica”, ma il consumo a prescindere dagli effetti: basta risultare positivi al test salivare per beccarsi una multa fino a 6 mila euro, l’arresto fino a un anno, il ritiro della patente per 2 o 3 anni, anche se si è perfettamente lucidi. I test rilevano i cannabinoidi anche diversi giorni dopo l’assunzione, quando chi guida non mette in pericolo nessuno perché l’effetto è finito da un pezzo.
Poi ci sono i farmaci e lì, se non fosse una tragedia per tanti malati, ci sarebbe da scompisciarsi. Dice Salvini che le sanzioni non valgono per chi assume medicinali droganti, ma s’è scordato di scriverlo nella legge. Quindi valgono. Infatti ha annunciato un “tavolo tecnico” per esentare da sanzioni chi prende quei farmaci ed esibisce la ricetta medica: tavolo che non servirebbe a nulla se già le sanzioni non valessero. E poi che si fa per i farmaci da banco, antidolorifici o antinfluenzali, che non richiedono la ricetta, ma fanno scattare la positività al test? E per i sani che usano quei farmaci per drogarsi? Ma soprattutto: che minchia c’entra con la sicurezza stradale il proibizionismo ottuso di chi non distingue l’alterazione dalla semplice positività? Se lo scopo è evitare che si guidi sotto l’effetto di sostanze e metta in pericolo se stesso e il prossimo, va fermato anche chi usa farmaci psicotropi, a prescindere dalla malattia e dalla ricetta medica. Oppure la ricetta è una bacchetta magica che trasforma in lucido uno alterato? Più che un tavolo tecnico, urge un test salivare a Salvini.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
06 gennaio 2025
Giornalismo anglosassone. “Anche stavolta lei si è conquistato grande spazio mediatico. Si sente il principale oppositore del governo?”,“L’11 gennaio il più giovane presidente del Consiglio italiano, lei, compirà 50 anni e festeggerà a Firenze. Qual è il suo obiettivo nel 2025?” (Claudio Bozza “intervista” Matteo Renzi, Corriere della sera, 31.12). E mi dica un po’: come fa a essere così bravo e così bello?
Il negoziatore. “Parla Renzi: ‘Meloni dov’è? Liberare Cecilia Sala, anche gli americani trattano con Putin. Gli italiani si riportano a casa, i giornalisti si riportano prima’” (Foglio, 3.1). A costo di infilarli tagliati a pezzi in una valigia.
Maestri di competenza. “Todde sul filo. I malumori nel Pd per la gestione M5S: ‘Sciatteria e terribile incompetenza’” (Claudio Bozza, Corriere della sera, 5.1). Vuoi mettere la competenza di chi trova 24 mila euro nella cuccia del cane o ruba profumi Chanel al duty free dell’aeroporto.
Maestri di trasparenza. “Non sono un garantista a senso unico, ma mi auguro che la Todde faccia un esame di coscienza… Che beffa, i 5Stelle volevano la trasparenza, ma sono dei dilettanti” (Ugo Cappellacci, deputato FI, ex presidente della Sardegna, Repubblica, 5.1). I veri professionisti come lui vengono prescritti per abuso d’ufficio e rinviati a giudizio per corruzione.
Maestri di etica. “Se saranno confermati gli errori, Todde subito a casa! Non faremo sconti a nessuno” (Maurizio Gasparri, capogruppo FI al Senato, 4.1). A meno che non siano mazzette.
L’uovo di Colombo. “Servirebbe un nuovo Basaglia per dimezzare il numero dei detenuti” (Riformista, 31.12). Si fa come per i matti: si dichiarano innocenti i delinquenti e oplà, il gioco è fatto.
Fumo e arrosto. “Il divieto di fumo all’aperto è una indicazione, i vigili valuteranno su quali priorità concentrarsi” (Anna Scavuzzo, Pd, vicesindaca di Milano, Repubblica, 2.1). È vietato, ma solo un po’.
Nostradamus. “I paesi africani non si fidano più della Russia” (Mario Giro, Domani, 31.12). “I soldati francesi cacciati dal Senegal: il Sahel è di Mosca. Dopo Ciad, Niger e Burkina Faso, anche Dakar manda via i militari occidentali e si affida agli uomini ex Wagner” (Repubblica, 29.12). Dev’essere perché non si fida.
Occasioni mancate. “Evasione fiscale, l’ultimo avviso di Ruffini: ‘L’Italia deve recuperare 30 miliardi l’anno’” (Stampa, 2.1). Se avesse diretto l’Agenzia delle Entrate per 6 anni, avrebbe potuto pensarci lui, mannaggia.
Polito el Drito. “L’importanza dei diritti umani. Al cuore dei principi della civiltà dell’Occidente c’è da secoli l’inviolabilità personale dalla detenzione arbitraria” (Antonio Polito, Corriere della sera, 2.1). Vedi Assange, Guantanamo, Abu Omar, Abu Ghraib, Israele e l’Ucraina, per dire.
L’ideona. “Copiare Trump per salvare i dem. Biden vieta la vendita di US Steel ai giapponesi” (Domani, 4.1). È l’idea di Renzi: funziona.
Il servo Bernardo. “Auguri da contrapporre a un mondo impazzito… Augurio che Putin si trasformi in un orso polare e che, compromesso dal riscaldamento del clima, si stacchi dalla banchisa russa e vada alla deriva fino al polo magnetico. Augurio che Zelensky, dopo essere stato Churchill, torni a essere Patton e lanci, sulla Crimea o da qualche altra parte, un attacco così inaspettato da capovolgere tutti i rapporti di forza… Augurio che Israele, vittorioso ovunque, ritorni senza indugi a essere il Paese dei pionieri, dei poeti e dei profeti che, in fondo, non ha mai smesso di essere…” (Bernard-Henri Lévy, Stampa, 4.1). Come si dice in Francia “prova del palloncino”?
Aspetta e spera. “Cosa ci dice una stretta di mano mancata. Francia e Germania da al Julani sperano in una Siria laica nel dopo Assad” (Foglio, 4.1). Sveglia: quella laica era prima.
Il titolo della settimana/1. “Bergoglio star musulmana” (Libero, 5.1.25). Uahahahah.
Il titolo della settimana/2. “Esportare la democrazia si può” (Michele Magno, Riformista, 31.12). Bravo: quando parti?
Il titolo della settimana/3. “La nonviolenza ha un prezzo troppo alto. La libertà minacciata dal cieco pacifismo” (Magno, ibidem, 2.1). Questo se vede un pacifista nonviolento si spaventa: è se gli bombardano casa che gode.
Il titolo della settimana/4. “Mattarella: ‘Pace urgente, l’Italia farà la sua parte’” (manifesto, 2.1). Inviando altre armi al fronte.
Il titolo della settimana/5. “L’ultima missione di Draghi: salvare la Germania da recessione e austerità” (Domani, 4.1). E con la sola imposizione delle mani.
Il titolo della settimana/6. “A sinistra tutti pazzi per l’Agenda Mattarella” (Domani, 3.1). Ma si drogano?
Il titolo della settimana/7. “Un Fiandaca per la Consulta” (Foglio, 31.12). Piuttosto il Divino Otelma.
Il titolo della settimana/8. “Cosa serve al Pd di Schlein per recuperare gli ultimi” (Domani, 2.1). Un altro partito.
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PASTICCIO DI SARDI
l'editoriale di Marco Travaglio
07 gennaio 2025
La prima cosa da dire sul caso Todde è che gli errori che l’hanno innescato sono una prova di dilettantismo, pressappochismo e cialtroneria così sconfortante da imporre le scuse della presidente: anche se non fossero colpa sua, ma del comitato elettorale (scelto da lei). Di Maio e poi Conte avevano sudato più delle canoniche sette camicie per scollare di dosso ai 5Stelle la taccia di scappati di casa. E ora proprio lei, che non è stata raccolta per strada, ma ha una storia manageriale di tutto rispetto, li ripiomba in quel ridicolo stereotipo per la gioia di avversari, alleati e commentatori “indipendenti”. Per giunta su una storia di rendicontazioni elettorali che sono da sempre il pallino del “movimento degli scontrini”. Il secondo paradosso è che non c’è un solo motivo che giustifichi i pasticci: se fossero serviti a nascondere fondi opachi o addirittura tangenti, avrebbero almeno un movente. Ma le spese elettorali sono state rendicontate al centesimo sul sito del M5S. E, a parte 12 mila euro di microcontributi di cittadini, la campagna costata 90 mila euro è stata finanziata solo da 5Stelle e Pd, senza aiuti esterni: in proprio, la candidata non ha ricevuto né speso soldi (se non i suoi). Il che spiega perché non nominò il “mandatario” e non aprì il conto dedicato: due delle 10 scelte che le contesta il Collegio elettorale di garanzia presso la Corte d’appello per decretarne addirittura la decadenza. Cioè la sanzione estrema prevista per legge in due soli casi: sforamento di oltre il doppio del tetto alle spese elettorali; e omesso rendiconto. Ma nessuna delle due contestazioni figura nell’ordinanza del Collegio, che dunque non si capisce a che titolo voglia mandare a casa la presidente appena eletta. Fra l’altro le ha pure inflitto una multa di 40 mila euro, ben inferiore al massimo previsto: quindi per la pena pecuniaria le infrazioni sono lievi, ma per quella amministrativa diventano così gravi e insanabili da meritare la sanzione massima della decadenza (prevista solo per due irregolarità escluse dal Collegio).
Diversamente dal centrodestra, che copre qualunque porcheria e ora le dà lezioni di competenza, trasparenza e morale, la Todde si difende nel procedimento (amministrativo, non penale). E Conte tace per rispetto istituzionale. Se fossero di centrodestra, farebbero l’analisi del sangue ai membri del Collegio e scatenerebbero l’inferno: la presidente è la sorella del leader sardo di Italia Viva e uno dei sei membri – un commercialista molto loquace con i media sull’ordinanza appena emessa – è il padre di un candidato di Forza Italia alle ultime Regionali. Noi non crediamo ai complotti, ma una domanda la poniamo: la sorella e il padre di due avversari politici della Todde non dovevano astenersi dal giudizio sulla Todde?
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CENSURA MON AMOUR
l'editoriale di Marco Travaglio
08 gennaio 2025
“È un mondo spietato, figliolo! Bisogna tener duro fino a quando passerà questa mania della pace!”. La frase di Full Metal Jacket è la perfetta epigrafe del nostro Mondo di Sottosopra, che sdogana la guerra. E, di conseguenza, la censura. In Germania chi parla di Gaza deve copiare le veline di Netanyahu e il governo taglia i fondi a due Ong israeliane: una si batte per i palestinesi, l’altra per gli obiettori di coscienza israeliani. Macron e altri campioni di liberaldemocrazia vogliono combattere le destre antieuropee e filorusse copiando la Russia: cioè impedendo a Musk di intervistare su X la leader di Afd. Il portavoce della Commissione Ue ricorda loro che “Musk è libero di esprimere il proprio punto di vista sulla politica europea, è nel suo diritto, rientra nella libertà di parola alla base del Digital Service Act”. Apriti cielo! I censori democratici protestano: va bene la libertà di parola, ma solo se la usano loro. Zuckerberg bandì persino Trump dai social di Meta e quello dovette crearsene uno tutto suo, finché Musk comprò Twitter (ora X) e ridiede libertà a tutti. Tutte le notizie su Gaza bloccate da Meta sono passate da X. Ora Zuckerberg, per baciare la pantofola a Trump, elimina da Facebook e Instagram il cosiddetto “fact checking”: l’odioso algoritmo che censura le notizie sgradite a Biden, parenti e compari. E c’è pure chi protesta in nome della liberaldemocrazia. Nel Mondo di Sottosopra, non deve vergognarsi chi censura, ma chi non lo fa. Infatti il censore Zuckerberg è sempre stato fra i “buoni”, almeno finché (come Musk) sosteneva i Dem. Ora che s’inchina a Trump diventa cattivo, ma solo un po’, anche perché ha appena infilato nel Cda di Meta John Elkann, genio dell’automotive e padrone di Stampubblica amato dal Pd. Quindi per lui le sacrosante campagne contro i tecno-monopolisti e oligopolisti non valgono: per Musk invece sì.
Nell’orticello italiota destre & Pd vietano la proiezione ad Arezzo del documentario di Russia Today “Maidan, la strada verso la guerra”, che espone il punto di vista russo sulle origini della guerra ucraina. L’articolo 21 della Costituzione vale solo per il punto di vista ucraino. E il noto liberaldemocratico Aldo Grasso sul liberaldemocratico Corriere chiede di “chiudere la sede Rai di Mosca” perché la corrispondente Liana Mistretta ha osato “dar conto del discorso di fine anno di Putin” con queste gravissime parole: “Putin afferma fiducioso che ‘tutto andrà bene, tutto andrà avanti’”, anziché inventarsi che Putin ha detto “va tutto male” per far contento Grasso. Il quale commenta sconsolato: “Il Tg2 sembra tornato ai tempi di Marc Innaro”, che “sosteneva la tesi putiniana dell’allargamento a Est della Nato”. Cioè si permetteva financo di dire la verità.
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BALLO IN MUSK
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09 gennaio 2025
Il caso Sala era partito malissimo, col ministro della Giustizia che timbra il fermo dell’iraniano senza sapere dagli Esteri dell’arresto dell’italiana, e con l’annuncio delle dimissioni della direttrice del Dis nel bel mezzo della crisi. Ma si è concluso benissimo e nei tempi giusti, col rilascio della Sala e, prevedibilmente, la non-estradizione dell’ingegnere di Teheran negli Usa e una qualche scappatoia per riconsegnarlo al suo Paese, alla vigilia della visita di Biden e a 12 giorni dall’insediamento di Trump. Il merito è di Giorgia Meloni, che ha preso in mano il dossier con riserbo e tempestività, come spiega Padellaro a pag. 5. Gliel’hanno riconosciuto anche le opposizioni e hanno fatto bene, così come da oggi faranno bene a ricominciare a opporsi. Ma facendo tesoro del caso Sala. Non per ammorbidire la battaglia contro il governo. Ma per liberarsi della zavorra più letale: l’ipocrisia, che spesso le ingabbia in battaglie di retroguardia, lasciandole poi col cerino acceso in mano. Un banco di prova sarà l’accordo del governo con SpaceX-Starlink, il gruppo di Elon Musk che ha già in orbita 7mila satelliti e li porterà a 42mila per coprire il mondo intero con la connessione Internet a banda larga. Un affare mostruoso sia per Musk sia per i clienti, che potrebbero assicurarsi la rete web spaziale sul 100% del territorio senza i buchi e i rischi della connessione terrestre via cavo.
Se esistesse una tecnologia in mano pubblica con le stesse prestazioni, andrebbe scelta quella. Ma non esiste: Musk è monopolista perché è partito prima, ha capitali che i governi non hanno e l’Ue chiacchiera molto, ma è all’anno zero col progetto Iris 2: 290 satelliti che, ove mai andassero in orbita, costerebbero molto di più ed entrerebbero in funzione nel 2035. E nel frattempo? È sacrosanto pretendere massima trasparenza: l’eventuale contratto non potrà essere affidato alle bizze (e alle dosi di ketamina) di Musk, dev’essere garantito dal governo Usa; e la chiave di criptazione dei dati dev’essere in mani italiane. Ma mettiamo da parte l’ipocrisia: Musk è il genio pazzo che sappiamo, ciclotimico sul piano clinico come su quello politico, tant’è che nel 2020 votò Biden (e piaceva un sacco all’internazionale dem) e ora sponsorizza Trump e i neonazi tedeschi e austriaci. Però i satelliti non sono né nazi né liberali né comunisti. Tocca affittarli da chi li ha. E oggi li ha solo lui. Garantiamoci le migliori condizioni di sicurezza e finiamola con le ipocrisie sull’Uomo Nero. Le nostre telecomunicazioni sono già in mano a privati stranieri. I negoziati con Starlink per Space X non li ha avviati la Meloni, ma Draghi. E i presunti nemici di Musk, da Macron alla Cina, stringono lucrosi accordi con lui. Giusta la trasparenza, purché non diventi coglionaggine.
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I MILIARDARI I MPICCIONI
l'editoriale di Marco Travaglio
10 gennaio 2025
Ci sono un’omissione e una contraddizione, nel parallelo della Meloni fra i due affaristi impiccioni Elon Musk e George Soros. L’omissione: Musk controlla X e ha un ruolo pubblico con Trump; Soros agisce nell’ombra e non ha cariche pubbliche né media di proprietà. La contraddizione: Soros, appena premiato da Biden per le sue interferenze in Europa, ha sempre messo le sue Ong “umanitarie” e “filantropiche” al servizio delle politiche guerrafondaie Usa&Nato. Per esempio finanziando le “rivoluzioni colorate” che hanno destabilizzato l’Est post-comunista, quasi tutte sfociate in guerre sanguinose. Le prove generali sono nella Serbia di Milosevic nel 2000, dopo le bombe Nato. Nel 2003 il bis in Georgia: il presidente Shevardnadze, già ministro di Gorbaciov, straccia nelle urne il rivale Saakashvili. Che grida ai brogli e riempie l’ex piazza Lenin di Tbilisi, ribattezzata Libertà. Shevardnadze è tutt’altro che filo-russo: ha appena combattuto gl’indipendentisti in Abkhazia. Ma Bush vuol recidere ogni legame tra Georgia e Russia. Il presidente e la sua scorta vengono aggrediti e cacciati dal Parlamento dai deputati di Saakashvili, che sventola fiori in omaggio alla “rivoluzione delle rose”. Shevardnadze se ne va per evitare una strage, la Corte Suprema annulla il voto e le nuove elezioni le vince Saakashvili.
Nel 2004 tocca all’Ucraina: il premier Yanukovich, equidistante fra Nato e Russia, è eletto presidente contro il filo-occidentale Yushchenko. Che grida ai brogli e chiama i supporter in piazza Maidan con bandiere arancioni. La star è la oligarca di estrema destra Tymoshenko. Il Guardian rivelerà presto cosa c’è dietro la “rivoluzione arancione”: “La campagna è una creazione Usa, un esercizio sofisticato e brillante di branding occidentale e marketing di mass media utilizzato in quattro Paesi in quattro anni per cercare di salvare elezioni truccate e rovesciare regimi sgraditi”. E cita fra i registi i partiti e le istituzioni Usa, ma anche “l’Ong Freedom House e l’Istituto per la società aperta del miliardario Soros”. Solo a Kiev la campagna è costata 14 milioni. La Corte Suprema annulla le elezioni e vince Yushchenko, che nomina premier la Tymoshenko. La scena si ripete nel 2014: siccome gli ucraini hanno rieletto Yanukovic, parte un’altra rivolta di piazza con appoggio Usa e appositi cecchini per creare il caos. Bagno di sangue, presidente in fuga e nuovo governo filo-occidentale con quattro ministri neofascisti e tre stranieri selezionati da due agenzie finanziate dalla Fondazione Renaissance di Soros. Che si vanta di aver partecipato al casting. Poi gli otto anni di guerra civile e l’invasione russa. Queste cose la neo-atlantista Meloni dovrebbe saperle: perché non le dice?
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FUCK CHECKING
l'editoriale di Marco Travaglio
11 gennaio 2025
I giornaloni che strillano in stereo contro l’abolizione del fact checking da Facebook&Instagram sono come un intero bordello, dalla tenutaria all’ultima signorina, che firma petizioni per l’obbligo di illibatezza. Parlano come se oggi l’informazione, grazie ai gendarmi di Zuckerberg, fosse vergine da bugie e domani, senza il sinedrio dei Ministri della Verità, condannate alla perdizione. Fingono di non sapere alcune cosucce. 1) A colpi di algoritmi automatici e filtri umani, i social Meta sono un ricettacolo di menzogne ufficiali spacciate per verità fattuali. 2) Le fake news più diffuse e pericolose sono prodotte dai media tradizionali – giornali e tv – che, essendo perlopiù asserviti ai poteri costituiti, possono mentire in loro favore, con l’autorevolezza dell’ipse dixit di testate un tempo gloriose, senza tema di smentita e sanzione. E additare i social come sentina di tutte le bugie perché danno voce a chi non ne ha.
Ciò significa che i fatti non esistono più e tutto è opinione? Al contrario: i fatti esistono e chi li racconta e li verifica col fact checking è un benemerito: il Fatto (nomen omen) lo fa ogni giorno e continuerà a farlo. E la cronaca di un giornalista professionale non equivale a quella di un qualunque utente dei social. Ciò che non è ammissibile è che un editore – Zuckerberg e gli altri padroni del web – investa qualche amico suo del potere assoluto di sancire la Verità e impedire a chi se ne discosta di dire la sua. Oscurandolo e mettendolo a tacere. Il vero fact checking lo fanno i lettori, fidandosi di chi ritengono più credibile dopo aver vagliato le opzioni alternative. Io posso dire che Tizio mente. E, se sono autorevole e porto le prove di ciò che affermo, la mia parola varrà più di quella di Tizio. Ma non posso impedire a Tizio di dire la sua. Altrimenti non sono un fact checker: sono un censore. Nel mondo dorato del fact checking degli amici di Zuckerberg, è vietato chiamare col suo nome lo sterminio israeliano di palestinesi a Gaza, parlare degli scandali di famiglia di Biden, che tutti vedevano rinc*gli**ito ma chi lo scriveva era un complice di Trump. Tutti sapevano che Ucraina e Nato stavano perdendo la guerra con la Russia, ma bisognava dire l’opposto, aggiungendo Mosca in default e Putin moribondo. Tutti sanno che quella di Zelensky non è una democrazia, con i partiti di opposizione fuorilegge, un solo canale tv di propaganda, la libertà di culto abolita, i Servizi dediti al terrorismo internazionale, ma guai a dirlo. Ogni volta che in un Paese Ue e Nato vince un partito anti-Ue e anti-Nato, non è perché ai cittadini ripugnano le politiche di Ue e Nato, ma perché li ha subornati Putin. E chi documenta il contrario non viene criticato, ma oscurato. Quando questa sconcezza finirà, sarà sempre troppo tardi.
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I SENZA-LOGICA
l'editoriale di Marco Travaglio
12 gennaio 2025
Quando gli storici del futuro si occuperanno del nostro presente, faranno caso a ciò che noi che vi siamo immersi non notiamo: l’abolizione della logica. A cominciare dal principio di non contraddizione. Rispondendo al nostro Giacomo Salvini, la Meloni dice che “separando le carriere si rafforzerà la terzietà del giudice” e giura che il pm non sarà sottoposto al governo. Ora, l’unico Paese che aveva le carriere unite e le ha separate senza sottomettere il pm all’esecutivo è il Portogallo, dopo la Rivoluzione dei Garofani del 1974. Il risultato fu creare una casta di accusatori assatanati che chiedono arresti e condanne a tutto spiano, popolarissimi e molto più influenti sui giudici di prima. Da allora chi sogna un ordinamento più equilibrato vuol tornare alle carriere unite. Sulla guerra in Ucraina (e solo su quella, fra le 56 in corso), le violenze alla logica sono legione. L’ultima è che la Nato, Zelensky e persino l’Ue ripetono da un anno che “bisogna costringere Putin a trattare”, dopo aver detto per due anni che mai si doveva trattare con Putin. Ma appena qualcuno contatta Putin – Orbán, Scholz, Fico e Trump – lo scomunicano come un pericoloso agente del Cremlino. Forse pensano di trattare con Putin senza parlarci: per telepatia.
Il nostro Parlamento ha appena vietato ai senatori di prender soldi da Stati extraeuropei (regola già vigente per i deputati italiani e gli eurodeputati dei 27 Paesi). E il senatore Renzi non fa che ripetere che è una roba liberticida, “ad personam”, fatta apposta per colpire “l’unico vero oppositore al governo” (che infatti vota col governo ogni due per tre). Nessuno dei suoi intervistatori ad personam gli ribatte che a nessun altro senatore è mai venuto in mente di prendere soldi da Stati esteri, men che meno dal regime criminale di Bin Salman, mandante dell’omicidio del giornalista Khashoggi e recordman di condanne a morte. La moda di spacciare atti sacrosanti per persecuzioni ad personam ha contagiato anche De Luca, che pretende di candidarsi per la terza volta a presidente della Campania in barba alla legge che lo vieta. E tuona contro il governo che, sacrosantamente, impugna alla Consulta la norma regionale (quella sì ad personam) che lui s’è fatto approvare per aggirare la legge nazionale. E tutti glielo lasciano dire, quando non rilanciano la sua balla. Il Riformatorio spara in prima pagina il titolone “Ad De Lucam”, denunciando una congiura per “colpire il governatore premiato alle urne”. Ma, se complotto ci fosse, sarebbe per colpire tutti i presidenti di Regione intenzionati a violare la legge: cioè lui ed eventuali altri che volessero violare la legge. Non c’è alcuna norma ad personam: c’è un sacco di gente che ragiona ad minchiam.
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