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Dino

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TROPPO DEMOCRATICI

l'editoriale di Marco Travaglio

27 luglio 2024

Per capire cosa intendano per “democrazia” gli Stati Uniti, basta il costo della campagna elettorale: 14 miliardi di dollari, il Pil del Nicaragua, o del Mozambico, o della Namibia, o della Palestina. Ma pure il discorso d’addio di Joe Biden, che rivendica “la promessa di essere sempre onesto e di dirvi la verità”. Poi però non spiega mai perché rinuncia a una candidatura decisa non da lui, ma dall’87% gli elettori alle primarie tra gennaio e giugno. Tant’è che il 23 aprile annunciò la ricandidatura, malgrado tutti sapessero (il WP l’aveva scritto già il 12 settembre) che non era in condizione neppure di ultimare il mandato, figurarsi di governare altri quattro anni. Tre settimane fa ribadiva: “Gli elettori dem hanno votato e mi hanno scelto come candidato”. Una malattia improvvisa? Non risulta. Una settimana fa diceva: “Mi ritiro solo se me lo chiede il medico”, che però non gliel’ha chiesto. Infatti, nel discorso del ritiro, s’è detto certo che “i miei risultati, la mia leadership nel mondo, la mia visione del futuro meritassero un secondo mandato”. Poi, con un salto logico incompatibile col presidente onesto e sincero, ha aggiunto che “niente, neppure l’ambizione personale, può ostacolare la salvezza della democrazia”. Ergo – chissà perché – “passo la torcia a una nuova generazione”: cioè alla “nostra grande vicepresidente Kamala Harris”, mai votata alle primarie né ancora investita dalla Convention, ma indispensabile per non perdere le milionate già sganciate dai finanziatori al ticket Biden-Harris, che deve restare in corsa almeno al 50% per mantenerle.

Che un rimbambito non sappia di esserlo (specialmente se gli alleati gli obbediscono come se fosse lucido), ci sta: altrimenti non sarebbe rimbambito. Infatti non ci pensa neppure a sloggiare subito, come dovrebbe fare chi confonde Zelensky con Putin e se stesso con la Harris(“Sono il primo vicepresidente donna”). E sostiene restando serio che “per la prima volta in questo secolo gli Usa non sono in guerra in nessuna parte del mondo”. Ma c’è un limite anche alle bugie: tutti sanno che, oltre all’ambizione e alla sete di potere sua, della moglie e dello staff che comanda al posto suo, e alla paura per il figlio-mariuolo Hunter senza più il padre-padrino alla Casa Bianca, il primo motivo della sua cocciuta resistenza era la scarsa stima per la Harris. Biden l’ha nascosta per quattro anni come un impiastro e ora dice: “Il bello dell’America è che non governano re o dittatori, ma il popolo” con la sua “libertà di voto e di scelta”. Ma il popolo aveva scelto lui e ora si ritrova la sua vice scelta da lui, dall’intrallazzona Nancy Pelosi e dalle Dynasty Clinton e Obama. Se questi sono i difensori della democrazia minacciata da Trump, povera democrazia.

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TANA LIBERI TOTI

l'editoriale di Marco Travaglio

28 Luglio 2024

Tajani, vicepremier: “I giudici hanno costretto Toti a dimettersi per riavere la libertà”. Salvini, altro vicepremier: “Sovvertono il voto popolare usando inchieste e arresti”. FdI: “Democrazia ferita”. Crosetto: “Giustizia sconfitta e debolezza rattristante della politica”. Calenda: “Toti è stato ricattato con misure cautelai a pioggia (sic, ndr): se non ti dimetti non esci. Indegno di uno Stato di diritto”. Iv: “Toti sarà rimesso in libertà solo dopo averne determinato, coercitivamente, le dimissioni. Si è dimesso perché i pm non permettono che si dica innocente”. Radicali: “Pagina nerissima per la democrazia, indegna di un paese civile”. Giornale: “Toti, vincono i ricattatori. Le toghe sovvertono il voto”. Unità: “Piemmerato: alle procure il potere di sciogliere i consigli regionali. Caporetto della politica”. Foglio: “Arresto di scambio”, “vergogna, ricatto”. Riformista: “Politica l’è morta. Un golpe giudiziario che seppellisce il garantismo. Non vinci alle urne? Ci pensano le toghe”, “Toti come Moro (sic, ndr): una lettera contro la classe dirigente e politica”.
Quattro passi nel delirio della presunta politica e della cosiddetta informazione per dire l’ignoranza sesquipedale di chi parla di giustizia senza sapere ciò che dice (o sapendolo benissimo, che è pure peggio). Si parte da un presupposto falso: che i politici, in quanto eletti, siano più uguali degli altri in base a un fantomatico “primato della politica” (che non esiste in nessuno Stato di diritto: l’unico primato è quello della legge). Quindi i loro reati sarebbero meno reati e a loro si applicherebbero un Codice penale e uno procedurale diversi. Siccome però questi codici speciali non esistono, e per giunta nei tribunali c’è scritto “La legge è uguale per tutti”, pm e giudici applicano i Codici esistenti. E valutano le esigenze cautelari per i politici come per i cittadini comuni: il rischio di reiterazione di reati della stessa specie dipende dalla possibilità concreta che l’indagato, lasciato in libertà, continui a delinquere. Se, come Toti, è accusato di farsi corrompere e finanziare illegalmente (reati che può commettere solo un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio), è ovvio che quel pericolo scompaia solo se smette di ricoprire cariche pubbliche; o, in alternativa, se denuncia tutti quelli che l’hanno corrotto o finanziato illegalmente, rompendo il vincolo di omertà e rendendosi inaffidabile nell’ambiente criminale. Lo spiegava già Borrelli per Mani Pulite: “Non li arrestiamo per farli parlare, li scarceriamo dopo che hanno parlato”. Toti, legittimamente, si proclama innocente, dunque non denuncia nessuno. Poteva benissimo continuare a governare dai domiciliari (in Italia s’è visto persino di peggio).
Ma, finché restava presidente della Liguria, poteva reiterare i reati. Anche perché – come ha notato il Tribunale del Riesame – non ha ancora capito, o finge di non capire, che chiedere e incassare soldi (registrati o meno) da imprenditori che ricevono concessioni, licenze, autorizzazioni, varianti urbanistiche, appalti (dovuti o meno) dalla propria giunta è un reato. Infatti, nella sua letterina in stampatello da scuola elementare, Toti invoca “regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica”. Come se non fossero già chiarissime. Come se la giustizia dovesse convivere con la politica, anziché scoprirne e sanzionarne i reati.
Perciò Toti si è dimesso da presidente della Regione: per non essere più un pubblico ufficiale e annullare, o almeno attenuare, il pericolo di reiterazione dei reati e sperare nella revoca degli arresti domiciliari. Che però è tutt’altro che automatica. Se un politico conosce il mondo delle mazzette e lo copre, si garantisce armi di ricatto verso tutti gli altri che il suo silenzio ha salvato dai guai, o da guai peggiori. Anche se si dimette: il suo potere ricattatorio prescinde dalle cariche formali. Dipende da ciò che sa, non da ciò che fa. Quanti politici dimissionari per indagini, arresti e condanne, sono diventati mediatori d’affari e malaffari, costruendosi una seconda vita proprio su ciò che sanno e non rivelano? E poi, alla base delle misure cautelari, non c’è solo il rischio di reiterazione dei reati: a parte quello di fuga (improbabile nel caso di Toti), c’è pure quello di inquinamento delle prove, cioè di subornazione dei testimoni e dei correi, che cresce con l’avvicinarsi del processo, dove l’imputato può comprarsi il silenzio dei complici in cambio del proprio: una mano (sporca) lava l’altra. Perciò non solo in Italia, ma in tutto il mondo, esiste la custodia cautelare: per arrivare al processo senza che spariscano le prove, o i testimoni, o gli imputati. E non ha nulla di ricattatorio. Il prete arrestato per molestie gay in seminario, se vuole attenuare le esigenze cautelari, si spreta o si barrica in un eremo o passa a un oratorio femminile. Il maestro catturato per pedofilia abbandona l’insegnamento e vi torna solo dopo la sentenza definitiva (se è di assoluzione). Il chirurgo beccato a scannare o sfigurare i pazienti si depenna dall’Ordine dei medici per non poter più esercitare la professione. Il giudice in cella per sentenze vendute lascia la toga. E l’avvocato in galera per sentenze comprate si dimette dall’Albo forense. Dove sarebbe il ricatto o lo scandalo se un pubblico amministratore arrestato per reati contro la PA abbandona la PA per non rischiare di ripetere reati contro la PA? Parafrasando Borrelli: non lo arrestano per farlo dimettere, lo scarcerano (forse) dopo che si è dimesso.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

29 luglio 2024

Harakiri. “Serve un centro serio” (Carlo Calenda, Corriere della sera, 24.7). Ma perché escluderti già in partenza?

Le vacanze intelligenti. “Il tour con le firme di Repubblica nei luoghi delle vacanze lontani dal turismo mordi e fuggi” (Stefano Cappellini, Repubblica, 27.7). “Dalle campagne di Matteotti all’antico confine di De Gasperi. Un piccolo pellegrinaggio laico alle origini della democrazia. Il trekking lungo la strada che unisce le vite di due grandi politici. L’autore Antonio Polito ha camminato con Gaetano Quagliariello, Fabio Dattilo, Roberta Lulli ed Emanuele Micozzi” (Corriere della sera, 28.7). Ma non ce l’avete una vita? Poi dice che che uno si droga.

Le vite degli altri. “Il missile di Hezbollah, strage nel campo di calcio: 12 ragazzini uccisi mentre giocano nel Golan, 30 i feriti. Hamas: colpita una scuola a Gaza, 30 morti” (Corriere della sera, 28.7). Quindi, se un missile di Hazbollah uccide 12 ragazzini è una “strage”; se Israele ne uccide 30 è un’opinione di Hamas e non si sa chi è stato.

Duty free. “È il momento d’oro dei profumi deluxe: Valentino arruola nasi per immaginare un mondo di fragranze ispirate alla moda” (Repubblica, 28.7). Piero Fassino già in taxi verso Fiumicino.

Ha stato Putin. “Una rivendicazione per il sabotaggio all’alta velocità a Parigi. Il dominio utilizzato (riseup.net, domiciliato a Seattle) viene spesso utilizzato dalla galassia anarchica” (Repubblica, 28.7). “Ombre russe sulle Olimpiadi di Parigi… La mancanza di rivendicazioni stride… In attesa di conoscere gli sviluppi delle indagini francesi sul sabotaggio contro l’Alta Velocità, oggi l’Ue è attraversata dalla forte preoccupazione di essere diventata un obiettivo della guerra ibrida lanciata da Vladimir Putin per riuscire a prevalere in Ucraina” (Maurizio Molinari, Repubblica, 28.7). Delle due l’una: o il direttore di Repubblica non legge Repubblica, o Seattle è in Russia.

Elementare, Sambuca. “A quasi due anni dalla vittoria elettorale di Fratelli d’Italia è ormai evidente che Giorgia Meloni guida il governo più a destra della Storia repubblicana” (Molinari, Repubblica, 26.7). Ammazza che volpe.

La gnorri. “Meloni prova a ricucire la Via della Seta” (Repubblica, 28.7). “Meloni apre alla Cina: ‘Basta incomprensioni’” (Stampa, 28.7). “Meloni in Cina, prove di disgelo con Xi” (Giornale, 28.7). Se becca la premier che ha bloccato la Via della Seta, le fa un mazzo così.

Lo gnorri. “Autonomia, alt di Tajani: ‘Si tenga conto del Sud. Togliere allo Stato materie come l’export? Non scherziamo’” (Messaggero, 27.7). Se becca il leader FI che ha votato l’Autonomia, gli fa un mazzo così.

Slurp. “Inizia l’Olimpiade e il presidente della Repubblica c’è, fa squadra, mai invadente, non una parola, un gesto fuori luogo… Ha un rapporto sano con lo sport, lo arricchisce con l’ironia… Vola alto, come Tamberi: e gli atleti lo sanno, lo comprendono, simpatizzano… Il medagliere azzurro parte già ricco: l’oro di Mattarella” (Corriere della sera, 26.7). “Sport, abbracci e sorrisi: la lievità del Mattarella 2… Chissà che qualche dritta Sergio Mattarella non l’abbia data anche al portabandiera azzurro alle Olimpiadi, ‘Gimbo’ Tamberi… regalando all’Italia un parallelismo sognante con Sandro Pertini… Quella del web, della comunicazione pop e della volontà di rompere certe barriere che circondano il Colle è una cifra stilistica che l’83enne governa senza intralci. Più che davanti alle gesta di una ex Balena bianca pare di essere dinanzi ad un agile delfino, capace di sguazzare nel mare magnum dei social tra una lezione sulla Costituzione ad una dozzina di Youtuber e un ciuffo ribelle sistemato in un fuori onda che è già parte della storia… È lo spirito del tempo nascosto dietro la mitezza di occhi azzurri” (Messaggero, 27.7). Ma riposare le lingue mai?

Sbando. “L’accusa del Pg Tarfusser, prossimo alla pensione: ‘La censura per il caso Erba una medaglia. Csm, sistema allo sbando’” (Identità, 25.7). Però dài, ora che vai in pensione c’è già tutta un’altra aria.

Il titolo della settimana/1. “Se Temptation Island rinnega l’Italia sovranista” (Gianluca Nicoletti, Stampa, 28.7). Vuol dire che ha mangiato pesante.

Il titolo della settimana/2. “Le telefonate Mosca-Washington per tenere a freno i blitz ucraini” (Repubblica, 28.7). In arrivo a Mosca le prime armi Usa per respingere l’Ucraina.

Il titolo della settimana/3. “La topologia dei nodi e la nuova alternativa democratica. Renzi avrebbe dovuto essere un topologo” (Riformista, 26.7). Gnamm, da leccarsi i baffi.

Il titolo della settimana/4. “I dubbi di Starmer sul nuovo caccia: a rischio la collaborazione con l’Italia” (Repubblica, 24.7). Oh, no, e adesso come facciamo?

Il titolo della settimana/5. “Cosa perdiamo se si dimette Toti” (Fausto Carioti, Libero, 26.7). Un detenuto.

Il titolo della settimana/6. “Il Cav. come Trump? Un falso storico” (Foglio, 24.7). Infatti Trump non finanzia la mafia.

Il titolo della settimana/7. “Davvero Brad Pitt è più credibile di un Achille nero?” (manifesto, 21.7). Sì.

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UN GRILLO AL BIVIO

l'editoriale di Marco Travaglio

30 luglio 2024

C’è ben poco di politico nella polemica epistolare fra Grillo e Conte. La lettera del garante, come tutto in lui, è un fatto caratteriale, psicologico, umorale. Chi lo conosce sapeva benissimo che, in vista degli Stati generali per il rilancio del M5S, avrebbe battuto un colpo. Non perché voglia o tema qualcosa di diverso da Conte, dagli eletti e dagli elettori. Ma per dire che c’è sempre, anche se, da buon ciclotimico, alterna da una vita le discese ardite e le risalite. Sa benissimo che la democrazia diretta non esiste, ma l’alternativa non sono i caminetti fra “gruppi ristretti”, ed è paradossale che debba ricordarglielo Conte, grillino dell’ultima ora. L’alternativa è la democrazia partecipativa: il leader (Grillo e Casaleggio agli inizi, il direttorio a cinque, Di Maio e ora Conte) consulta la base, ne riceve gli input, poi dice la sua e la mette ai voti. Ma anche nel ruolo di garante (a vita: clausola che, escluse le monarchie, esiste solo alla Corte Suprema Usa), la sua parola non vale uno: pesa molto più di quella altrui. E influirà eccome agli Stati generali del 4 ottobre, nel 15° compleanno del M5S. Il bivio di Grillo è tra l’accompagnare quel passaggio decisivo fra il rilancio e l’estinzione con la magnanimità e la generosità del padre nobile, o l’insistere con la postura malmostosa. Quella di chi snobba i suoi ex “ragazzi meravigliosi”; sottovaluta gli sforzi titanici che han fatto e i prezzi altissimi che han pagato per piantare quasi tutte le bandiere del M5S nei 31 mesi dei governi Conte-1 e Conte-2, vilipesi e combattuti dai poteri marci; preferisce loro i presunti “grillini” Draghi e Cingolani; li liquida col gretto totem dei due mandati; e ora tratta Conte da mezzo usurpatore. Come se non l’avesse chiamato lui a lavorare gratis un anno e mezzo per resuscitare i 5S che lui aveva suicidato conficcandoli nel governo Draghi e costringendoli a ingoiarne tutti i rospi.

Nell’ultimo spettacolo, Grillo pareva pacificato, autoironico, autocritico: raccontava che Draghi l’aveva subornato con furbe blandizie e false promesse, e la sua disarmante sincerità portava il pubblico a perdonargli di esserci cascato. Ora sembra tornato alla fase dei malumori, senza neppure un progetto alternativo. Lo sa pure lui che, senza Conte, il M5S sparirebbe. Però va rifondato, tantopiù ora che i suoi cavalli di battaglia tornano di moda e la ruota della storia, nel falso bipolarismo delle lobby finanziarie e belliciste, riprende a girare verso quella voglia di cambiamento che il M5S è il più attrezzato a soddisfare. Sta a lui decidere se guadagnarsi i 300 mila euro l’anno di “consulenza per la comunicazione” partecipando col suo talento, o rintanarsi in casa a distillare letterine, battutine, regolette e rancorucci. Per fare il salto, basta un pizzico di generosità.

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LE CENSURE SULLA CENSURA

l'editoriale di Marco Travaglio

31 luglio 2024

La libertà d’informazione è affare troppo serio per lasciarla ai politici e ai giornalisti italiani. Che infatti la usano per tutt’altri scopi – difendere o attaccare il governo Meloni – tirandosi addosso tre diversi report sul tema senza distinguerli e scordandosi il punto di partenza, che precede di parecchio l’avvento dei Melones: l’informazione fa schifo da decenni. E lo faceva ancor di più ai tempi di Draghi e di Renzi (B. è fuori concorso), quando l’intera Rai e tutti i giornaloni erano turbogovernativi, le conferenze stampa dei premier erano messe cantate modello Corea del Nord che si concludevano con le standing ovation e ciononostante nessuno protestava: anzi, proprio per questo. La premier dice che la Relazione annuale della Commissione europea sullo Stato di diritto è stata travisata e strumentalizzata. Vero: critica alcune schiforme della giustizia del suo governo, ma sul premierato e la libertà d’informazione si limita ad affiancare alle posizioni governative quelle di “portatori di interessi” contrari (associazioni di categoria, osservatori, ong). Raccomanda l’indipendenza della Rai dai partiti, impedita dalla legge Renzi, e una riforma anti-querele temerarie, non certo nate con questo governo. Piuttosto minimalista e deludente, il report è pure viziato da sospetti di ricatto: doveva uscire il 3 luglio, ma fu rinviato perché Ursula stava trattando i voti FdI con Giorgia; poi non li ha avuti e oplà, il prezioso incunabolo è saltato fuori. La stessa puzza di estorsione si avvertì con le procedure d’infrazione aperte tre anni fa contro Ungheria e Polonia per violazioni dello Stato di diritto: poi Varsavia fu perdonata senza cambiare nulla perché obbediva alla Nato e dunque a Ursula sulle armi a Kiev, Orbán invece no perché disobbediva.

La Meloni aggiunge che “la Commissione europea riporta accenti critici di alcuni portatori di interesse, diciamo stakeholder: Domani, Fatto Quotidiano e Repubblica”. E questo è falso. I tre quotidiani sono citati, con i nomi dei giornalisti consultati, da un altro report sulla libertà d’informazione: quello di un consorzio privato, Media Freedom Rapid Response, che la premier confonde o finge di confondere con quello di Bruxelles per degradare le critiche europee come attacchi della stampa ostile. C’è poi un terzo rapporto, quello dell’osservatorio Centre for media pluralism and freedom, che va giù duro sui bavagli Cartabia, Nordio e Costa, la Rai governativa e i conflitti d’interessi di Mediaset, Angelucci e Gedi. Ma Rep è riuscita a parlarne citando i finti martiri di TeleMeloni e censurando proprio il passaggio sul loro editore impuro. C’è una bella differenza anche tra i “portatori d’interessi”: noi del Fatto portiamo solo l’interesse dei lettori a essere informati.

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L'ULTIMO PIRLA

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01 agosto 2024

Il nostro lettore, che ha la fortuna di non dover leggere i giornaloni, non sa chi è il loro nuovo beniamino: Tajani. Che vanta una quantità di interviste, citazioni e commenti benevoli almeno pari alla buonanima di Renzi. Soprattutto da quando FI, unico partito governativo, ha votato la von Sturmtruppen con il Pd, i Verdi e i centristi (quelli europei: quelli italiani almeno al Parlamento europeo si sono estinti), mentre FdI e Lega le dicevano No con 5Stelle e SI. La cosa ha eccitato gli onanisti dell’ammucchiata, che sognano contro la Meloni una nuova “maggioranza Ursula” detta anche “alleanza di scopo”: un blob raccapricciante che va da FI al Pd passando per i centrini e tagliando fuori i non-allineati (destre, M5S e quel che resta della sinistra). L’ha scritto Stefano Folli su Rep, lodando l’“abilità tattica di Renzi” e il “lento spostamento a sinistra (sic, ndr) di FI, sospinta dalla famiglia Berlusconi al di là delle cautele di Tajani”, e intimando al Pd di “scegliere tra Renzi e i 5S”: infatti alla Schlein conviene un sacco imbarcare il noto voltagabbana sfollagente che ha tradito tutti, anche se stesso, per il balsamico “rafforzamento dell’area centrista”. Una prospettiva così terrificante che costringerebbe persino noi a difendere il governo Meloni come male minore.

Manca solo la mappa dei due tesori nascosti – le “praterie moderate” e l’“agenda Draghi” – ma arriverà presto. Infatti non passa giorno senza leggere sui giornaloni grandi leccate all’astuzia di Elly che abbraccia Renzi, alla leadership di Tajani novello Churchill e al trust di cervelli Pier Silvio-Marina, che poi sono i nuovi Palmiro Togliatti e Nilde Iotti. Per non urtare i due eredi di B., tutti fingono di dimenticare che è lui lo spirito-guida delle tre destre governative nei loro conflitti d’interessi, nei loro attacchi ai giornalisti e ai magistrati e nelle loro schiforme giudiziarie e costituzionali. E tirano in ballo Orbán, che non c’entra nulla. E annunciano come good news la campagna acquisti di FI tra gli eletti di Azione (ma il trasformismo parlamentare non era un male da combattere?) e il pranzo fra Tajani e i due Berlusconi più Confalonieri (come se il trio Biscione fosse un soggetto politico e il conflitto d’interessi politica-affari non fosse il cancro d’Italia; poi naturalmente tutti a prendersela con gli Angelucci, il cui conflitto d’interessi è brutto solo perché stanno con Meloni e Salvini). Sul flirt fra Schlein e Renzi ha già detto parole (una volta tanto) definitive Calenda: “Pensavo di essere l’ultimo ‘pirla’ che si era fidato di Renzi, non ero l’ultimo e questo mi rassicura dal punto di vista psicologico. L’unica cosa che mi sento di dire è in bocca al lupo a Schlein”. Nella politica italiana, i pirla non sono mai gli ultimi: sono sempre i penultimi.

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IL SÒLA DELL''AVVENIRE

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02 agosto 2024

Due stalker si aggirano nella canicola: uno tragico, l’altro comico. Quello tragico è Zelensky, che da due anni dà del servo di Putin a chiunque gli chieda di negoziare con la Russia e manda avanti il noto esaltato Mykhailo Podolyak, suo consigliere diplomatico (sic), a insultare chiunque gli capiti a tiro, dal Papa all’Onu alla Croce Rossa, e a firmare sproloqui come questi del settembre 2023: “Il Papa non può mediare, non è credibile, non capisce la politica: è filorusso”, forse per “investimenti russi nello Ior” (mai un rublo), “voi occidentali piantatela di pensare a negoziati con la Russia, smettetela di flirtare con quei maniaci. La decisione sulla Russia dev’essere ancora presa: l’isolamento geopolitico, lo status di terrorista, la sospensione dalle organizzazioni internazionali, i mandati di arresto per i capi. E soprattutto la sconfitta nella guerra, seguita da un cambio di regime”. Mancava solo la sua incoronazione a Zar. Ora che la guerra è persa, Zelensky ci sbomballa i cotiledoni perché la Russia tratti con lui subito, possibilmente in giornata. Ma s’è scordato di abrogare il suo decreto che vieta a qualsiasi ucraino di negoziare con Mosca. Che quindi non gli risponde per il suo bene: sennò dovrebbe arrestarsi da solo.

Lo stalker comico è Renzi, che fra le Europee e la Partita del Cuore era tornato al rango che gli compete: quello di pelo superfluo della politica. Poi l’astuto abbraccio di Elly Schlein l’ha catapultato dal campo santo al campo largo. E lui, appena gli dai un dito, si prende pure il coso, vabbè ci siamo capiti. In Liguria vuole imbucarsi nel centrosinistra per il dopo-Toti, con la credibilità che gli deriva dall’aver difeso Toti anche dopo l’arresto contro il centrosinistra che ne chiedeva le dimissioni; e dal governare tuttora col centrodestra a Genova nella giunta del totiano Bucci. Non contento, intima a Schlein e a Conte di mollare quel che stanno facendo per invitarlo subito, entro sera, a “un confronto senza veti”. Come se non fosse stato lui, nell’ordine: a porre il veto su Conte nel 2021, quando abbatté il governo progressista per riportare le destre al potere con Draghi e poi da sole; ad annunciare nel 2022 che “oggi finisce la storia del M5S, non parliamone più, torniamo alle cose serie, torniamo alla politica” e che “la fine del Pd sarà sia con Elly sia senza Elly. Ma se Elly Schlein diventa segretario, metà Pd passa con noi, e forse sono stato prudente”; a votare con le destre le schiforme della giustizia e la commissione sul Covid, cioè su Conte e Speranza. I sondaggi dicono che sono più i voti che fa perdere di quelli che porta, ma lui è lì apposta: “Se io metto il veto sui grillini e i grillini su di me, vince Meloni”. Che “non risponde su nulla e cambia opinione su tutto”. Quindi dovrebbe piacergli un sacco.

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GLI STRAGISTI BUONI

l'editoriale di Marco Travaglio

03 agosto 2024

Davvero arrapante il dibattito politico-genetico sulla pugile italiana che si ritira dopo il primo papagno dell’Ivana Draga algerina e prima che i seguenti la mandino in ospedale, fra la destra che finora decideva il sesso in base agli organi genitali alla nascita e ora punta tutto sui cromosomi XY, e la sinistra che attacca l’atleta perché, evitando di farsi spolpettare, fa il gioco della destra e, ça va sans dire, di Putin. Ancor più appassionante il dibattito politico-archeologico sulla matrice della strage di Bologna, fascista-piduista per tutte le sentenze (e ora, buoni ultimi, pure per Meloni e La Russa), che nel 2024 insegue ancora le leggende sui segreti di Stato (inesistenti sul punto) e sui legami con l’attuale governo tramite Meloni e Colosimo (che nel 1980 avevano rispettivamente 3 e meno 6 anni), mentre notoriamente quelli della Dc e di B. non c’entravano nulla con la strategia della tensione, i servizi deviati e la P2. Siccome siamo lievemente più sensibili ai neofascismi e agli stragismi attuali, segnaliamo un paio di notiziole.

La prima la dà al Corriere il politologo russo Sergej Markov sul piano eversivo di Kiev svelato il 12 luglio dal ministro della Difesa russo Andriy Belousov nella telefonata all’ignaro omologo Usa Lloyd Austin, che secondo il NYT l’ha stoppata: “I servizi segreti ucraini progettavano attentati ai figli di altolocati funzionari russi”, “atti terroristici” che la Cia avrebbe fermato pure “ai tempi dell’Urss”. Se non fosse smentita – difficile, visto che i servizi ucraini hanno già eliminato a Mosca con un’autobomba Darya Dugina, figlia del filosofo Alexander Dugin – qualcuno dovrebbe domandare che uso fa Kiev dei 350 miliardi di dollari inviati in due anni e mezzo fra armi e fondi perduti da Nato e Ue: stiamo finanziando e armando uno Stato terrorista, o abbiamo capito male? La seconda notizia è Andriy Yusov, portavoce del Gur (il servizio segreto militare ucraino), che rivendica in tv il supporto a una strage in Mali, dove i ribelli secessionisti tuareg legati a Isis e al Qaeda hanno ucciso decine di soldati governativi e miliziani russi della Wagner grazie alle “informazioni – e non solo informazioni – necessarie a condurre un’operazione militare di successo contro i criminali di guerra russi”. Infatti il generale Budanov, capo del Gur, ordinò di “punire i criminali di guerra russi nel mondo, ovunque siano”. Inclusi, disse, i “giornalisti propagandisti”, cioè non usi a copiare le veline di Zelensky. Il Kyiv Post ha pubblicato foto degli islamisti separatisti con le bandiere ucraine. A parte la barzelletta di un governo che nega l’autonomia al Donbass e poi fiancheggia i separatisti del Mali, i servizi ucraini che destabilizzano un Paese sovrano in Africa li paghiamo e li armiamo noi, o abbiamo capito male.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

05 agosto 2024

L’imboscata. “Noi siamo molto seri” (Maria Elena Boschi, capogruppo Iv alla Camera, Foglio, 4.8). Uahahahahah.

A sorpresa. “‘No a Renzi e Calenda’. Gli elettori di Pd e M5S scettici sul campo largo. Il sondaggio rivela a sorpresa come la base dei due partiti maggiori del centrosinistra gradisca poco il ritorno dell’ex premier e del leader di Azione” (Repubblica, 4.8). Impossibile, sarà sicuramente taroccato.

Piste. “Federico Mollicone (FdI): ‘Le sentenze su Bologna sono un teorema politico per colpire la destra. Chiederò a Nordio di lavorare sulle mie denunce’” (Stampa, 4.8). Ha stato Peppa Pig.

Tappeti rossi. “L’abbraccio del killer. Putin accoglie il sicario del Fsb come un eroe della Russia. Tappeto rosso e picchetto d’onore” (Stampa, 3.8). Ma chi, Chicov Fortov?

Ha stato Stalin. “Le Vele di Scampia figlie dell’architettura sovietica. Edilizia e ideologia dall’Urss alla Campania” (Libero, 25.7). Parte sovietiche e parte nopee.

Nobili ideali. “Nevi (FI): ‘Forza Italia è contraria a una tassa sugli extraprofitti. In sintonia con Maria Berlusconi’” (Repubblica, 3.8). Più che altro con Mediolanum.

In scivolata. “Quelli di cui mi si accusa (corruzione e finanziamento illecito, ndr) sono reati dai confini molto scivolosi” (Giovanni Toti, 2.8). Basta che ti fai corrompere e scivoli subito.

Fate la carità/1. “Toti: ‘Arricchito? Più povero di prima’” (Corriere della sera, 3.8). In effetti ai domiciliari si guadagna poco.

Fate la carità/2. “Toti torna libero: ‘Vi racconto il mio calvario’” (Giornale, 2.8). Sta’ a vedere che, se ha una villa orrenda, è colpa dei giudici.

Ti caranzia. “Rai nell’impasse. Il Pd lancia Di Bella presidente di garanzia” (Corriere della sera, 4.8). Nel senso che garantisce il Pd.

Eau de Fassin. “Fassino vuole pagare 500 euro per chiudere il caso del profumo” (Giornale, 1.8). Deve aver cambiato marca.

Lo stratega. “Tajani: ‘Al lavoro senza sosta. Ora il conflitto non deve diventare inevitabile’” (Corriere della sera, 1.8). Ecco perché Netanyahu dorme sempre con la luce accesa.

Lacune. “Calise: ‘Da noi manca un Macron’” (Riformista, 31.7). Ma infatti, nei bar e sugli autobus, non si parla d’altro: “Perché certe fortune toccano sempre ai francesi?”.

Quando quando quando. “Renzi: ‘Quando litigai con Obama e non gli risposi al telefono per ore. Fu Biden a fare da paciere’” (Corriere della sera, 30.7). Fu quando stava diventando il centravanti della Fiorentina al posto di Batistuta e poi lo fregò il menisco.

Subito. “Roghi a Roma, Gualtieri: ‘Subito una mappatura delle discariche abusive’” (Repubblica, 2.8). È sindaco da due anni, ma nessuno l’aveva ancora avvisato.

Sempre più Chiara. “Mi chiedo se questa polemica sarebbe scoppiata se Imane Khelif avesse gareggiato nella ginnastica ritmica” (Chiara Valerio, Repubblica, 2.8). Ma infatti: pure nelle freccette.

La boxologa. “Khelif ha perso molti match. Invece di ritirarsi subito la nostra atleta Angela Carini poteva provare a vincere” (Laura Boldrini, deputata Pd, 1.8). Non s’è fatta menare abbastanza.

Che fantasia. “Ho provato a immaginare cosa sarebbe successo un paio d’anni fa se un procuratore avesse ipotizzato che un uomo politico di primo piano – magari Berlusconi… – avesse favorito la mafia” (Piero Sansonetti, Unità, 2.8). Lui la finanziava direttamente.

Li portano via. “Io rinascerò, cervo a primavera. Credo nell’Aldilà: Lucio Battisti cercò di comunicare con me”, “Dice Mogol che due persone, tra di loro sconosciute (una è una medium) gli hanno riferito di aver ricevuto segni inequivocabili da parte dello spirito di Lucio Battisti: chiedeva che l’amico di un tempo scrivesse in sua vece quei versi di addio che lui non aveva avuto il tempo di lasciare… Giulio sente che quella è l’ispirazione giusta per scrive per conto di Battisti… Mogol non sta parlando per metafore. Mi garantisce che è tutto vero” (Antonio Polito, Sette-Corriere della sera, 2.8). O, più semplicemente, aveva mangiato pesante.

Il titolo della settimana/1. “La strategia di Israele. Quella di Netanyahu è una scommessa comunque vincente” (Davide Assael, Domani, 3.8). Ma infatti, sta andando tutto a meraviglia.

Il titolo della settimana/2. “Netanyahu dà l’ok a nuovi negoziati” (Corriere della sera, 3.8). Dopo aver ammazzato il negoziatore.

Il titolo della settimana/3. “Pina Picierno (Pd): ‘È l’Iran, non Israele, il problema del Medio Oriente’” (Foglio, 31.7). Ma infatti, è quel che dicono anche i 40mila morti ammazzati a Gaza.

I titoli della settimana/4. “Meloni rilancia la cooperazione con la Cina” (Verità, 29.7). “Meloni apre la via cinese” (Libero, 29.8). Perciò aveva chiuso la Via della Seta: per aprirla.

Il titolo della settimana/5. “Riformare la giustizia per evitare altri scandali” (Augusto Minzolini, Giornale, 1.8). Smettere di rubare no, eh?

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LE STRAGI BIANCO

l'editoriale di Marco Travaglio

06 agosto 2024

La sinistra ha fatto (parzialmente) i conti col terrorismo rosso almeno da quando Rossana Rossanda, in pieno sequestro Moro, sfatò il tabù delle “sedicenti Brigate Rosse”, spacciate da molti per nere travestite, e ammise che leggendone i volantini “sembra di sfogliare l’album di famiglia”. Il Pci, che appoggiava il governo Andreotti di “solidarietà nazionale”, condannò e isolò subito i “compagni che sbagliano”. Lo stesso fece il capo del Msi Almirante col suo album di famiglia insanguinato (soprattutto in Ordine nuovo del rivale Rauti), ma senza troppe parole perché era fuori dall’“arco costituzionale”: come racconta Padellaro, vide più volte Berlinguer per scambiarsi notizie ed evitare guai peggiori. Ora che a Palazzo Chigi e a Palazzo Madama siedono gli ex missini Meloni e La Russa, hanno dovuto citare – pur fra mille distinguo – le sentenze sulle stragi neofasciste, da Bologna all’Italicus. Il potere esecutivo e legislativo deve attenersi ai verdetti di quello giudiziario. Perciò, quando la Meloni stese il tappeto rosso a un condannato per omicidio, la criticammo aspramente: un cittadino può pensare che Forti o i Nar siano innocenti e agire di conseguenza, un premier no. Ora l’ineffabile Mollicone di FdI definisce le sentenze su Bologna “teoremi per colpire la destra” e rilanciando la bufala palestinese. È una scemenza, ma ha il diritto di dirla, non essendo una carica dello Stato. Ed è una scemenza anche invocarne l’espulsione, come si fa da sinistra. Sennò la sinistra dovrebbe espellere chiunque contesti la condanna definitiva dei lottatori continui Sofri, Pietrostefani&C. per l’omicidio Calabresi e rompere i rapporti con i giornali, da Repubblica al Foglio, che ospitavano od ospitano il mandante di quel delitto e con i commentatori che lo difendono. Per non parlare degli avvocati d’ufficio di quell’altro galantuomo di Battisti.

Le sentenze si possono contestare eccome, purché con critiche documentate. Quella sulla trattativa Stato-mafia non sta in piedi e l’abbiamo scritto. Così tante altre. Ma soprattutto le sentenze vanno lette. Freda e Ventura furono assolti per piazza Fontana, poi si scoprì che erano stati loro, ma non potevano più essere processati: assolti, ma colpevoli. Per l’Italicus sono stati tutti assolti grazie ai depistaggi di Servizi e P2: il che non vuol dire che non sia stato nessuno. Ora che pure la destra fa i conti con l’album di famiglia, mancano all’appello solo gli eredi di chi lucrò sulle stragi. E non sono né neri né rossi: stavano nella P2 (tipo B., per dire) e nella Dc e nei partiti alleati che nominarono i capi deviati dei Servizi e sviarono indagini e processi per garantire l’impunità non alla bassa manovalanza di tanti giovani di destra e di sinistra, ma ai mandanti e agli utilizzatori finali. Cioè a se stessi.

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IMMUNITÀ DI GREGGE

l'editoriale di Marco Travaglio

07 agosto 2024

Da giorni Salvini, dopo essersi calato qualche mojito (almeno si spera), calava la maschera strologando di strane forme di impunità per i presidenti di Regione a fine mandato o sino a fine mandato (non lo capiva bene neanche lui). Poi ieri l’ha raggiunto a Roma il suo idolo Toti, fresco di manette e rinvio a giudizio per corruzione, e ha tradotto l’ideona in italiano: “Le immunità della politica sono calate oltre ogni limite seguendo un certo populismo e giustizialismo. Vanno allargate dai parlamentari ai ministri. E anche governatori e sindaci devono avere una protezione, non per Toti, ma per il mandato popolare che gli è stato affidato”. Quindi immunità parlamentare, ma anche ministeriale, regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, rionale e pure extralarge, mai vista neppure nella Costituzione originaria. Che non s’è mai sognata di vietare o rinviare i processi agli eletti: richiedeva solo l’autorizzazione a procedere del Parlamento per indagarli. Poi, visto l’abuso che ne faceva, nel 1993 lo stesso Parlamento la riformò a furor di popolo, limitandola ad arresti, perquisizioni e intercettazioni (che fra l’altro sono atti a sorpresa ed è assurdo avvisarne in anticipo i destinatari).
Ora Toti vuole l’autorizzazione a delinquere. Ma nessuno l’ha informato – è un giornalista e certe cose mica può saperle – che i “giustizialisti populisti” che imposero il taglio delle immunità erano proprio i suoi alleati: i futuri forzisti e Fratelli d’Italia (all’epoca nel Msi) e la Lega (Salvini che aveva solo 20 anni e, per fortuna di Bossi, stava a Il pranzo è servito). Si era in piena Tangentopoli e, dopo un solo anno di legislatura, le due Camere avevano ricevuto ben 540 richieste di autorizzazione a procedere per quasi altrettanti eletti (oltre metà del totale): record mondiale di tutti i tempi. Un sondaggio F*******t di Gianni Pilo svelò che solo il 2% degli italiani aveva fiducia nei partiti. I leghisti Bossi, Maroni e Castelli chiesero a gran voce la fine all’“inaccettabile degenerazione nell’applicazione della immunità… trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio” con “conseguenze aberranti”. E così i missini Fini, Gasparri (ora FI) e La Russa (ora FdI): “L’uso e soprattutto l’abuso del diniego di autorizzazione a procedere sono visti dai cittadini e dall’autorità giudiziaria come strumenti per sottrarsi al corso necessario della giustizia”. Il relatore della riforma era Carlo Casini (un Dc pro life poi passato ai centristi con Lupi): “Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. L’istanza di eguaglianza deve riguardare in primo luogo gli autori delle leggi”. La Camera approvò con 525 si#768;, 5 no (fra cui Sgarbi) e 1 astenuto; il Senato con 224 si#768;, zero no e 7 astenuti. Almeno i ladri di allora erano furbi. Oggi sono pure fessi.

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SAN CARLO E SAN SERGIO

l'editoriale di Marco Travaglio

10 agosto 2024

Ieri il presidente della Repubblica aveva un’ottima occasione per ricordare al governo Melusconi che esiste una Costituzione. Non, per carità, sulla violazione permanente dell’articolo 11 con la cobelligeranza per nulla difensiva, ma anzi offensiva, nel conflitto russo-ucraino: quella Mattarella non solo non l’ha mai censurata, ma l’ha pure rivendicata come cosa buona e giusta. Parliamo di un’altra voragine costituzionale: la schiforma Nordio che abolisce l’abuso d’ufficio, previsto dalla Convenzione Onu di Merida (ratificata dall’Italia), e dunque viola palesemente l’articolo 117 (“La potestà legislativa è esercitata… nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”). Inoltre contrasta con le norme Ue sulla lotta alla corruzione, a cui sono vincolati i fondi del Pnrr, e con l’imminente direttiva Ue che sull’abuso d’ufficio sancirà l’Italexit dal diritto europeo e imporrà alla Commissione di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia e al Consiglio d’Europa (che monitora i livelli di lotta alla corruzione nei Paesi) di censurare il nostro governo.

Nel mese che si è preso per riflettere fino all’ultimo giorno utile (ieri), Mattarella aveva tutti gli elementi per respingere alle Camere la legge Nordio in quanto palesemente incostituzionale e chiederne la riscrittura con “messaggio motivato”, in base all’art. 74 della Carta, per risparmiare al suo e nostro Paese uno scontro con l’Europa e una salatissima sanzione pecuniaria. Invece ha covato la schiforma per 30 giorni, ha promulgato prima la burletta del Dl Carceri e ieri, in extremis, ha firmato. Un segno di debolezza dinanzi all’arroganza delle destre e dei loro complici calendiani e renziani (quelli che intanto vorrebbero entrare nel centrosinistra), che si erano financo permessi di mettergli fretta via Twitter. Da ieri, grazie a quella firma, chi abuserà del suo potere per favorire i soliti noti e danneggiare chi non ha santi in paradiso sa di poterlo fare impunemente col consenso del capo dello Stato. E chi l’ha già fatto si vede cancellare la condanna definitiva e ripulire la fedina penale, così può tornare nella PA e ricominciare indisturbato: migliaia di amministratori che usavano i pubblici poteri per violare le leggi e sistemare amici e parenti o punire chi li ostacolava, medici del Ssn che dirottavano pazienti nei loro studi privati, il sindaco e gli assessori che levavano l’Ici ai raccomandati, il pm che indagava l’ex fidanzata che l’aveva piantato, cose così. In tutto 3.623 i pregiudicati dal 1997 al 2022 tornano miracolosamente incensurati, mentre altre centinaia di imputati si vedono evaporare ipso facto il processo. Con una preghierina di ringraziamento a San Carlo e una a San Sergio.

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DUE ITALIE,DUE LINGUE

l'editoriale di Marco Travaglio

11 agosto 2024

La schizofrenia del dibattito pubblico è talmente patologica che pare di vivere in due Italie, ciascuna con i suoi politici e giornalisti. Invece è sempre la stessa Italia, con gli stessi politici e giornalisti. Che cambiano lingua, logica ed etica a seconda delle convenienze. Una vita umana vale 0,1, o 1, o 100, o 1000 a seconda della nazionalità di chi muore e soprattutto di chi lo ammazza. Se Israele bombarda una scuola e trucida cento palestinesi in preghiera, fra cui molti bambini, nessuno sdegno: si continua ad annunciare (da nove mesi, dopo 40 mila civili morti) l’imminente tregua a Gaza. Se un missile russo fa 14 morti ucraini, lo sdegno è unanime. Ma subito si spegne se di morti ne fa molti di più l’“incursione” ucraina in Russia contro obiettivi civili. E guai a parlare di invasione o aggressione, sennò – come nota Michele Ainis – dovremmo togliere le armi all’aggressore Zelensky e inviarle all’aggredito Putin.

Lo stesso metro a fisarmonica viene applicato alla questione carceri. Gli stessi politici e commentatori che tuonano contro l’Italia delle “manette facili”, lo Stato di polizia che mette tutti in galera e butta la chiave senza pene alternative, lodano e invocano “riforme” svuotacarceri, amnistie, indulti, depenalizzazioni, limiti alla custodia cautelare, sconti e saldi di fine stagione, si stracciano le vesti appena esce anzitempo o non entra neppure in cella un criminale comune. Il brigatista condannato nei processi Biagi e D’Antona. L’americano del delitto Cerciello Rega. Il rapitore del bimbo assassinato dal complice. Gli stalker e gli indiziati di stupro a spasso per la gioia delle vittime. E l’ergastolano Chico Forti che in America avrebbe finito i suoi giorni in cella, ma curiosamente sceglie l’Italia manettara e giustizialista, dove uscirà nel 2025. Non passa giorno senza che la cronaca ci mostri gli effetti delle leggi-colabrodo fatte dai colletti bianchi per se stessi, ma usate da tutti. L’anno scorso un tribunale della California ha negato per la sedicesima volta la libertà vigilata a Sirhan Sirhan, 78 anni, da 55 in galera per l’omicidio di Bob Kennedy, perché “ancora pericoloso”. Da noi il 99% dei terroristi rossi e neri con decine di morti sulla coscienza sono fuori da anni. Ogni 2 agosto politici e parenti delle vittime si azzuffano sulla strage di Bologna: intanto Giusva Fioravanti, condannato per quegli 85 morti e per altri 10 omicidi a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi, mai pentito, era già semilibero dopo 18 anni di carcere e totalmente libero dopo 31. Tra la severità del sistema Usa e l’indulgenza plenaria del nostro, si potrebbe trovare una via di mezzo. Nell’attesa, piantiamola almeno con la leggenda delle “manette facili”: in Italia di facile ci sono solo le scarcerazioni. Il difficile è metter dentro i criminali e soprattutto tenerceli.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l"editoriale di Marco Travaglio

12 agosto 2024

Ha stato Putin. “Putin, veleno sui Giochi. Fourest, direttrice di Franc-Tireur: dietro il battage social sulla vicenda della pugile la disinformazione di Mosca”. “’Guerra ibrida russa sulla vicenda Khelif’. Borghi del Copasir accusa”. “Infezioni, ritiri e paure. La Senna inquinata rovina i Giochi alla Francia. La triatleta belga colpita da gastroenterite, la sua nazionale rinuncia alla staffetta. Malori per due svizzeri e un norvegese, i timori dell’azzurro Paltrinieri”. “Dal fiume balneabile alla sfilata queer. Il tiro a segno sovranista su Olimpiadi e Macron” (Repubblica, 4, 5 e 6.8). Mi sa che Putin ha pure cagato nella Senna.

L’elmo di Scipio. “Zelensky come Scipione” (Augusto Minzolini, Giornale, 10.8). “Da Scipione l’Africano fino ad Ariel Sharon: viaggio nei conflitti le cui sorti sono state ribaltate da un’azione che può essere azzardata o geniale. Come quella degli ucraini verso la russa Kursk” (Maurizio Stefanini, Libero, 11.8). Uahahahahah.

Hit Parade. “Reputazione sul web, Pier Silvio Berlusconi secondo tra i manager” (Giornale, 7.8). Non osiamo immaginare chi sia il primo.

Agenzia Stica**i/1. “Cesara Buonamici: ‘Vivevo con Cristina Parodi, lei cantava e intanto io cucinavo. Berlusconi voleva che usassi solo gli evidenziatori verdi’”. (Corriere della sera, 10.8). Accipicchia.

Agenzia Stica**i/2. “Meloni in Puglia (con Giambruno), Renzi espugna la Sardegna. E Schlein fa perdere le tracce” (Corriere.it, 8.8). Corbezzoli.

Agenzia Stica**i/3. “Racchette d’Italia. Il Campo Largo. Da Capalbio a Orbetello, sull’Aurelia tra la sinistra tennistica e la dorsale tirrenica. Colloquio sotto rete con Giuliano Amato. Presidente del Circolo di Orbetello oggi è Marco Bassertti, numero uno di Banijay, marito di Stefania Craxi. Ma Amato è sempre il boss”. (Foglio, 10.8). Ma non mi dire.

Lo scudiero. “Serve uno scudo per i governatori” (Matteo Salvini, segretario Lega, Verità, 5.8). “Toti incontra Salvini: ‘Vanno allargate le immunità’”. (Giornale, 7.8). “Salvini: ‘Mollo solo se mi arrestano’”. (Repubblica, 7.8). Sa qualcosa che noi non sappiamo?

Veti e voti. “L’apertura a Renzi piace ai big del Pd. Schlein al lavoro per superare i veti”. (Repubblica, 9.8). Ma soprattutto per perdere i voti.

Ambiguità. “Delrio: ‘Fastidiosa ambiguità di Conte su Trump. L’equidistanza del M5S mi sembra un grave errore. Ma ognuno si sceglie le sue amicizie’” (Repubblica, 11.8). Lui per esempio ha scelto Renzi.

Campo Lardo. “Lei vuol sapere se Renzi porterà più voti di quanti ne toglierà. Ma la politica non è aritmetica e il campo largo è uno spazio di valori, di interessi e, se vuole, anche di conflitti sedati, di dialettica. Il suo successo dipenderà dal carisma di Elly Schlein, ma solo tenendo tutti dentro, la sinistra umiliata, dimessa e bastonata potrà rialzare la testa e vincere” (Francesco Merlo, Repubblica, 10.8). Dài che magari ci scappa un’altra consulenza Rai da 240mila euro l’anno.

Beccati. “I putiniani nostri, che sono uno spettacolo… provano a deformare e a intorbidire la verità con espedienti che probabilmente gli stessi russi suggeriscono… E dunque per ora hanno rilanciato l’intrigo internazionale… cioè il ‘giallo’ di uno scambio di prigionieri e di un complotto per impedire la liberazione concordata di Navalny che era lì lì per essere rilasciato” (Merlo, Repubblica, 20.2). “L’ex collaboratore Shaveddinov: ‘Tra i dissidenti liberati doveva esserci Navalny’” (Repubblica, 4.8). Ma quindi è putiniano il collaboratore di Navalny o Rep o tutti e due?

Storici. “I grillini storici vicini a Grillo all’attacco di Conte” (Verità, 8.8). Ah sì, quelli espulsi perché contestavano Grillo sul governo Draghi.

Riforma scolastica. “Per promuovere la festa dei giovani di FdI lanciano post e meme e il tono da liceo Mariuccia è questo” (Foglio, 8.8). Che poi era un asilo, ma fa lo stesso.

Sacre sentenze/1. “Italicus e Bologna, linea rossa di Mattarella: ‘Stragi neofasciste’. Ma FdI nega le sentenze” (Repubblica, 5.8). Come quel giornale che fece scrivere per anni il mandante del delitto Calabresi?

Sacre sentenze/2. “Mollicone e il negazionismo di FdI, cresce l’insofferenza di Forza Italia” (Repubblica, 6.8). Che alle sentenze è sempre molto affezionata.

Il titolo della settimana/1. “Così l’intelligenza artificiale ha riaperto il caso Pantani” (Sole 24 ore, 9.8). Poi s’è scoperto che era l’idiozia naturale.

I titoli della settimana/2. “Tajani riunisce i ministri G7: ‘No a un conflitto regionale’” (Messaggero, 5.8). “Telefonata di Meloni con Teheran. La chiamata col presidente Pezeshkian per evitare l’escalation” (Libero, 9.8). Ecco perché gli ayatollah non chiudono più occhio.

Il titolo della settimana/3. Non bastava la gip figlia di una del Pd. Il giudice del processo Toti è il fratello di un ex M5S” (Pietro Senaldi, Libero, 6.8). Urge la separazione delle famiglie.

Il titolo della settimana/4. “Il generale Figliuolo vola in Libano per le missioni Unifil e Mibil. L’obiettivo è sostenere la fragile stabilità di Beirut ed evitare tensioni con Tel Aviv” (Giornale, 7.8). Con la sola imposizione delle mani.

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PRESE PER IL c**o

l'editoriale di Marco Travaglio

13 agosto 2024

Anzitutto le scuse ai lettori: ieri, diversamente da tutti gli altri giornali, abbiamo pensato che le guerre e i massacri di ucraini, russi e palestinesi fossero più importanti della finale olimpica di volley femminile e del terribile assalto del governo al compagno Malagò, che le brutte destracce (e, incidentalmente, anche una legge dello Stato) vorrebbero sostituire dopo appena 3 mandati e 11 anni al Coni. E poi massima solidarietà al cosiddetto ministro degli Esteri Tajani, che nella sua intervista quotidiana (ieri toccava al Corriere) ha risolto con due frasi ficcanti le due guerre, ma senza distogliere il terzo o quarto “occhio ‘molto attento’ alla situazione in Venezuela”. Ucraina: “la sosteniamo senza se e senza ma”. Infatti subito dopo c’è un ma: “ma non siamo in guerra con la Russia” e “le armi che abbiamo fornito non possono essere usate per attaccare la Russia sul suo territorio”. Il fatto che lui e Crosetto lo ripetano ogni giorno lascia intendere che Zelensky se ne freghi delle loro diffide, sempreché ne abbia avuto notizia, e usi le nostre armi per invadere pezzetti di Russia. Domanda: se no? Che succede se le usa? “A fine mese chiederemo chiarimenti al ministro Kuleba e valuteremo come agire”. Apperò. Da 30 mesi inviamo armi agli ucraini senza dire quali né tracciarle e ci meravigliamo se le usano. Quindi, gentile ministro, facciamo così: o smettiamo di inviarle, o smettiamo di chiedere di non usarle qui o lì, perché le due cose insieme sanno di presa per il c**o.

Gaza: “la nostra linea è molto chiara”. Ah sì? “Chiediamo con forza a Israele di interrompere attacchi che portano a un numero altissimo di vittime civili, in contrasto col diritto internazionale… È l’ora del cessate il fuoco”. Ecco: dopo 10 mesi e 40 mila morti, è l’ora. Tajani lo diceva anche dopo 5 mila, 10 mila, 20 mila, 30 mila morti. E non se l’è filato nessuno: del resto Netanyahu sfancula pure Biden e Blinken, figurarsi Tajani. Domanda: se no? Che si fa se Bibi continua a massacrare civili e negoziatori? E se respinge la sua fantomatica “missione di controllo sulla costruzione dello Stato palestinese con l’Anp, non certo con Hamas”, che la Knesset ha già bocciato e nessuno sa su quali territori, visto che Bibi vuol tenersi gran parte di Gaza e continua a colonizzare la Cisgiordania, senza contare che l’Anp rappresenta un’esigua minoranza di palestinesi e a Gaza non mette piede dal 2006, quando i suoi furono sterminati da Hamas mentre massacravano quelli di Hamas in Cisgiordania? Quindi, gentile ministro, facciamo così: o il governo italiano riconosce lo Stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania, ritira l’ambasciatore da Tel Aviv e sanziona Israele cominciando dalle armi fino alla tregua, oppure tace, perché ogni parola suona come una presa per il c**o.

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