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Editoriale di Marco Travaglio - 29 Ottobre 2024
FACCIAMO UN GIOCO
Facciamo finta che il cranio squarciato come una tela di Fontana e ricucito come una palla da rugby non sia del fratello d’Italia Gennaro Sangiuliano e che a ridurlo così non sia stata Maria Rosaria Boccia, celebrata dall’opinionismo progressista come una brillante “imprenditrice” tradita dal maschio cattivo nella sua legittima aspirazione di emanciparsi allargando il giro d’affari al ministero della Cultura. E immaginiamo che il cranio sia di un ministro di centrosinistra e la ferita sia opera di una sorella d’Italia, tipo un’Isabella Rauti o un’Arianna Meloni. Secondo voi, la feritrice continuerebbe a passare per una povera perseguitata, o qualcuno troverebbe due parole per chiamarla col suo nome, smetterebbe di auscultarla come la Sibilla cumana e solidarizzerebbe con la vera vittima?
Facciamo finta che Jeff Bezos, editore del Washington Post, avesse bloccato un endorsement del suo giornale a favore di Trump contro la Harris a una settimana dalle Presidenziali. Secondo voi la stampa democratica di tutto il mondo griderebbe alla censura, al bavaglio, alla fine della democrazia e al fascismo, come sta facendo ora che Bezos ha bloccato l’endorsement del suo giornale a favore della Harris contro Trump? O celebrerebbe l’eroico editore che difende l’indipendenza della libera stampa dalle ignobili pressioni del puzzone dalla chioma pittata?
Facciamo finta che in Georgia, dove la presidente è filo-occidentale e il premier filo-russo (anzi, neutralista fra Est e Ovest), la coalizione della presidente avesse sonoramente battuto alle elezioni il partito del premier col 54% contro un misero 37% e il premier sbaragliato avesse chiamato la gente in piazza per gridare ai brogli, al golpe, alla truffa e per chiedere di rivotare. Secondo voi Usa, Ue e media al seguito avrebbero accusato di golpe la presidente vincitrice o il premier che rifiuta di riconoscere la sconfitta, come invece stan facendo con la presidente sbaragliata che imita Trump e strilla al golpe contro il vincitore?
Facciamo finta che il mega-scandalo dello spionaggio, delle intercettazioni, degli hackeraggi e dei trojan privati, anziché a un uomo del centrodestra come il presidente della Fiera di Milano Enrico Pazzali, girasse attorno a uno qualsiasi del Pd o, peggio, del M5S. Secondo voi il governo e i suoi media non starebbero già ululando come vergini violate per la conferma alle loro trentennali denunce sulla sinistra politico-mediatico-giudiziaria che congiura contro la povera destra indifesa e perseguitata?
E potremmo continuare all’infinito. Sempre più gente non vota e non legge anche per questo: non ne può più di chi dà ragione agli amici che hanno torto e torto ai nemici che hanno ragione.
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Inserito il - 30/10/2024 : 03:52:23
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Editoriale di Marco Travaglio - 30 Ottobre 2024
LA SOMMA NON FA IL TOTALE
Apprendiamo dalle migliori gazzette che in Liguria hanno perso, nell’ordine: i pm, i forcaioli manettari, Report e il veto di Conte su Iv. A noi, molto più banalmente, pare che le Regionali, con elezione diretta a turno unico, siano una sfida a due: l’hanno vinta Bucci e chi l’ha voluto (la Meloni) e appoggiato (FdI, Lega, FI, centristi totiani e soprattutto scajoliani); l’hanno persa Orlando e chi l’ha voluto (la Schlein) e appoggiato (Conte, Calenda e Avs). La maggioranza dei liguri che sono andati a votare (46% scarso) ha preferito di poco il sindaco di Genova, un civico moderato in politica da 7 anni, a uno scialbo capetto del Pd in politica da 35 anni e in Parlamento da 5 legislature. Strano, no? Il Pd ha sorpassato in retromarcia FdI rispetto alle Europee perché ha perso molti meno voti. Ma Orlando l’han votato solo gli elettori del Pd e i loro naturali alleati di Avs. I 5Stelle sono rimasti quasi tutti a casa. Chi dopo 15 anni non li ha ancora capiti scrive che Orlando ha perso per colpa di Conte. Invece è Conte che ha perso (anche) per colpa di Orlando: ha donato altro sangue per il candidato perfetto per il Pd, ma invotabile per i suoi. Gli elettori non sono tutti uguali: quelli del centrodestra e del Pd, con quello che han dovuto inghiottire, digeriscono anche i sassi pur di governare; quelli del M5S no, sono esigenti e cagaca**i. Non si sentono alleati organici del Pd, né protagonisti di campi larghi purchessia contro le destre: vogliono cambiare la politica, l’opposizione non li spaventa, accettano di governare col Pd solo a condizioni ben chiare e votano candidati esterni solo se molto innovativi. Cioè se non sono Orlando: brava persona, ma incapace di discontinuità rispetto al sistema Calce&Martello che precedeva la banda Toti e minacciava di subentrarle in caso di vittoria. Se poi l’ammucchiata avesse incluso pure bin Rignan, il M5S avrebbe perso altri voti (e così il Pd e Avs). Sommare le mele, le patate e i cetrioli col senno di poi è ridicolo.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Ora che il duo Pd-M5S ha perso 9 Regionali consecutive in 5 anni (escluse quelle sarde, dove però la candidata era la Todde, 5Stelle e fortemente innovativa), Conte ha un’indicazione netta dagli elettori ancor prima degli Stati generali: niente alleanze organiche o rapporti preferenziali col Pd. Fino alle Politiche, il M5S faccia opposizione e intanto si rifondi e si apra alla società cercando dei candidati credibili e i votanti perduti. Anche a costo di ritirarsi per un po’ dalle Amministrative come faceva Casaleggio quando i meet-up litigavano sulle liste. Così il Pd potrà finalmente liberarsi dei barbari grillini, fare coming out con l’amato Renzi e assumersi le proprie responsabilità senza il solito capro espiatorio. Poi, fra un paio d’anni, chi non muore si rivede.
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Editoriale di Marco Travaglio - 31 Ottobre 2024
MORTE PRESUNTA
Molti mi scrivono a proposito del mio articolo sul voto in Liguria. Rispondo a chi l’ha equivocato: se un giornalista viene frainteso è colpa sua, non del lettore. Le obiezioni principali sono due.
1) “Ma allora ha ragione Grillo a opporsi all’alleanza organica di Conte col Pd”. Purtroppo Grillo non ha più idee (o, se le ha, le nasconde bene), ma solo rancori e interessi. E la sua recente avversione alle alleanze non è credibile: fu proprio lui a conficcare il M5S nell’alleanza più innaturale ed eterogenea mai vista (il governo Draghi, addirittura con B.). Conte non ha stretto alleanze organiche col Pd: diversamente da qualche smemorato dei suoi, non ha neppure applicato ai 5Stelle l’etichetta di centrosinistra. Nello Statuto approvato dagli iscritti, li ha definiti “progressisti”: l’opposto dell’attuale Pd, refrattario a ogni cambiamento e nostalgico di Renzi. Ha fatto bene ad allearsi col Pd in Sardegna per sostenere la Todde e ora fa bene a riprovarci in Umbria con una civica pacifista e green come la Proietti. Ha fatto bene a non appoggiare il Pd degli affari in Piemonte. Ha sbagliato a donare il sangue a candidati invotabili in Liguria, Abruzzo e Basilicata. Le alleanze è insensato sia darle per scontate sia rifiutarle “a prescindere”: dipende dalle persone e dai compagni di strada. Nessun atto dovuto: si decide caso per caso. Idem per il governo: se il Pd sarà aperto alle idee 5Stelle come Salvini all’inizio e poi Zingaretti, si firma un contratto e lo si realizza. Sennò, opposizione.
2) “I 5Stelle sono finiti, Conte si faccia da parte e si torni alle origini con Grillo, Raggi e Di Battista”. I 5Stelle, malgrado sconfitte, scissioni, espulsioni, calunnie e risse, restano la terza forza d’Italia, stimata nell’ora più buia fra il 14 e il 12%. Cosa debba fare Conte lo decideranno gli iscritti che l’hanno votato due volte. Grillo, dopo i capolavori di Draghi e del vitalizio da 300 mila euro, le origini non sa più cosa siano. Anche la Raggi si schierò pro Draghi fin dal primo giorno. E Di Battista strappò la tessera proprio quel giorno. I 5Stelle sono in crisi perché sono gli unici ad aver realizzato il loro programma (Draghi e Meloni non han fatto altro che distruggerlo). Ora devono darsene uno nuovo: a questo serve l’Assemblea di novembre. Se ce la faranno o falliranno, si vedrà alle elezioni politiche, dove han sempre dato il meglio. Li davano già per morti nella culla e da allora il loro funerale viene annunciato un paio di volte all’anno. Poi, quando meno te lo aspetti, tornano su, come i fenomeni carsici. In questo Conte, il politico più sottovalutato del secolo, è il più grillino di tutti. Il loro motto è quello di Mark Twain quando lesse il suo necrologio sui giornali: “Spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è fortemente esagerata”.
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MARINA, IN ARTE EDDA.
l'editoriale di Marco Travaglio.
01 novembre 2024
È con il cuore ricolmo di orgoglio patriottico che apprendiamo dai Cinegiornali Luce quanto segue: Sua Eccellenza Sergio Mattarella ha conferito il Cavalierato del Lavoro a Marina Berlusconi, figlia di cotanto pregiudicato, pluri-prescritto, frodatore fiscale, corruttore di giudici e finanziatore della mafia che uccise Piersanti Mattarella (fratello di Sua Eccellenza). La presidentessa del gruppo Mondadori, rubato dal genitore con una sentenza comprata da Previti e a lei consegnato come suo, sfoggiava – informa la virile cronaca di Francesco Specchia su Libero – un “fisico esile d’acciaio temperato, la guaina severa d’un abito scuro da protocollo, lo sguardo umido e fiero, la salda stretta di mano al Presidente che l’attende sul proscenio”. E “osservarla alla consegna dell’onorificenza è un fatto di una certa rarità”, ma non perché il Cavalierato si dà una volta sola: perché “la Cavaliera”, per “una discrezione al limite dell’umano, tende a divincolarsi dai riflettori accesi”, tant’è che sul Colle avevano spento tutte le luci e brancolavano a tentoni. Il che non ha impedito al “saggio Mattarella” di “elogiare l’Italia dell’impegno e dell’operosità in netta ripresa economica contro tutti i gufi” (tipo l’Istat, che nelle stesse ore annunciava la crescita zero). Né alla Cavaliera di ricevere, “in un immaginario passaggio di consegne, l’onore che fu di papà Silvio” (costretto poi a rinunciarvi per motivi penali) e di sfoderare “ricordi di un nitore quasi letterario”, tipici di una “Wolf che risolve i problemi di Tarantino” grazie all’“occhio della Cavaliera: il miglior segno di continuità” (con l’occhio della madre nella Corazzata Potëmkin di Fantozzi).
La nostra eroina – aggiunge sobrio Luigi Mascheroni sul Giornale – “ha donato tutta se stessa al lavoro e alla famiglia”, “puntuale, scontrosa, generosissima – talis Silvius talis Marina – irremovibile, affettiva… per nulla fredda, femmina alfa che rispetto alla Meloni è l’omega”, ligia ai “Comandamenti del padre: lavorare, crederci e investire”. Manca delinquere, ma solo per motivi di spazio. Infatti “quelle poche parole che ha detto sono risuonate come sentenze”, senza offesa per nessuno. E se “ha bacchettato la Meloni sugli extraprofitti delle banche”, tipo Mediolanum, non è per vile pecunia o allergia ereditaria al fisco, ma “per un’oscillazione dall’area liberal a quella liberale”: che avevate capito. Insomma, per dirla col poeta, “Meno male che Marina c’è”. Vergin di servo encomio, Mario Ajello del Messaggero ha una visione paradisiaca: “Chissà se Berlusconi, vedendo da lassù questa cerimonia per la figlia più berlusconiana di lui che s’intrattiene con Caterina Caselli, starà cantando ‘Insieme a te non ci sto più’”. O magari, per dire, “Nessuno mi può giudicare”.
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LA PERUGIA-BIBBIANO
l'editoriale di Marco Travaglio
02 novembre 2024
Per l’angolo del buonumore, segnaliamo due titoli. Il primo è del Corriere: “Mosca avanza in Ucraina, l’ira di Zelensky”. Il secondo del Messaggero: “Umbria, sorpresa Tesei indagata e archiviata. Lei: ‘Strumentalizzazioni’”. Non è ben chiaro a chi sia indirizzata l’ira di Zelensky, visto che sono 32 mesi che promette vittorie e raccoglie sconfitte. Idem per la presidente dell’Umbria Donatella Tesei, che si salva da un’indagine grazie all’abolizione dell’abuso d’ufficio e s’incazza pure. Con chi ce l’avrà? Col governo amico che le ha cancellato il reato a tradimento? Col Gup di Perugia che l’ha archiviata perché il suo reato non è più reato? Coi giornali che han dato la notizia? Forse preferiva restare indagata fino al voto per non sfigurare, visto che a destra le imputazioni fanno punteggio e portano voti: essere onesti è già un bell’handicap, ma pure sembrarlo. Lei peraltro non corre rischi: l’indagine riguardava 4,8 milioni erogati dalla sua giunta all’azienda di tartufi del marito della sua assessora al Bilancio, che durante il bando aveva assunto suo figlio. Tutto in famiglia. Allora quel mega-conflitto d’interessi era reato, ora grazie a Nordio&C. resta un mega-conflitto d’interessi, ma è lecito, anzi vivamente consigliato. Ma, anziché accendere un cero a San Carletto Mezzolitro, la miracolata tuona contro le “mistificazioni con argomenti di ignobile livello amplificate dalla vicinanza della scadenza elettorale”. E frigna perché ha “appreso la notizia dai giornali”, che peraltro l’han appresa dagli avvocati della sua assessora coindagata e coarchiviata. Ora sarebbe interessante sapere se sia così infuriata per l’archiviazione o per la formula “il fatto non più previsto dalla legge come reato”.
Più ridicoli dei suoi alti lai ci sono solo i commenti del Pd, tipo quello della responsabile giustizia Debora Serracchiani: “Colpisce il comportamento spregiudicato della Tesei che, se non più rilevante penalmente, è indubbiamente inopportuno e discutibile”. È lo stesso Pd che 20 giorni fa, quando la schiforma Nordio salvò il suo ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti imputato per abuso, lo beatificava come un martire perseguitato e reclamava le scuse da chi l’aveva accusato (in barba a una sentenza definitiva – quella che ha assolto Claudio Foti – che ha certificato gli abusi di ufficio della giunta Carletti sugli affidamenti al centro Hansel e Gretel “effettuati in pieno spregio della normativa in materia di appalti”). Le stesse scemenze ora le dice la Tesei: “Mi risulta che l’indagine era iniziata da tempo e già questo dimostra la correttezza della mia amministrazione”. No, dimostra solo che ti hanno abolito il reato. E che, sulla giustizia, la differenza fondamentale fra il Pd e la destra è che il Pd scrive i testi e la destra le musiche.
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IL GRILLO DI ELLY
l'editoriale di Marco Travaglio
03 novembre 2024
Chi fosse dotato di un pizzico di memoria ricorderà quando e perché i 5 Stelle, fondati da Grillo e Casaleggio sr. il 4 ottobre 2009 come movimento civico per i Comuni e le Regioni, iniziarono a pensare alle elezioni nazionali fra mille dubbi di Beppe. Era l’8 febbraio 2010 e fino ad allora i due guru appoggiavano l’Italia dei Valori di Di Pietro, di cui Gianroberto curava la comunicazione web e non solo per gli aspetti tecnici. L’anno precedente, con il blog, avevano contribuito a far eleggere al Parlamento europeo due indipendenti nelle liste Idv: Luigi de Magistris e Sonia Alfano. Poi quel giorno Tonino annunciò l’appoggio a Vincenzo De Luca, ex sindaco plurimputato di Salerno, che il Pd candidava a presidente della Campania contro il forzista Caldoro e il grillino Fico. Casaleggio gli levò il saluto e Grillo lo fulminò sul blog: “Mi sono svegliato con un senso di nausea. Per un partito che ha fatto delle mani pulite la sua bandiera, uno come De Luca rappresenta un suicidio politico. Chi ha le mani sporche potrà dire che Di Pietro è uguale agli altri… Ma non è uguale agli altri. E allora perché dilapidare un patrimonio di consensi per un signore con due processi pesantissimi in corso? Era meglio Bassolino, che di processo ne ha uno solo ed è anche più simpatico…”.
Oggi, 14 anni e mezzo dopo, De Luca ha 75 anni suonati e aspira al terzo mandato contro la legge. Elly Schlein, eletta segretaria al grido “fuori i cacicchi e i capibastone”, si è ben guardata dal metterlo fuori, ma dopo mille traccheggiamenti e fumisterie ha finalmente detto una cosa chiara a netta: no al terzo mandato, per De Luca e chiunque altro. Quello l’ha sbeffeggiata e il Pd campano ha scelto lui contro di lei: ieri in commissione i consiglieri regionali dem han fatto marameo a Elly che chiedeva un rinvio e obbedito a Don Vicienz, votando la norma che spiana la strada alla sua monarchia assoluta ed ereditaria (i due figli si scaldano a bordo campo). In un partito normale, dinanzi a un simile atto di insubordinazione, scatterebbero le espulsioni. Vedremo se la Schlein sarà una volta tanto coerente o farà anche stavolta buon viso. Finisce così, dopo cinque giorni dalle Regionali liguri, la leggenda che vuole i 5 Stelle morenti in perenne rissa e caos fra Conte e Grillo e il Pd in ottima salute, unito e compatto attorno alla segretaria. Certo, al momento la partita dei consensi la stravince il Pd. Ma Grillo non sposta più un voto, mentre in Campania De Luca è il Pd. Se si candida contro il Pd, forse non vince, ma di sicuro lo fa perdere. Che farà Elly? Accompagnerà alla porta la sua mina vagante come sta facendo Conte con Grillo, o abbozzerà con l’ennesima superc***ola? È quando il gioco si fa duro che si distinguono i veri leader dai quaquaraquà.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
04 novembre 2024
Le ultime parole famose. “Orlando: ‘I liguri non vogliono il bis del sistema Toti’” (manifesto, 23.10). Certo, come no.
A lavorare. “Corruzione, Toti vuol scontare la pena facendo il testimonial del Parco regionale. Ma il gup dice di no: ‘Dovrà fare anche lavoro materiale’” (ilfattoquotidiano.it, 30.10). Ma mandarlo a zappare no?
Grasso che schiuma. “Giuli e il presunto scoop di ‘Report’: tanto rumore per nulla” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 29.10). Risultato: Rai3 con Report al 13,8% di share, La7 all’1,3. Ammazza quanto rosica Urbano Grasso.
Chi trova un amico. “Stefania Craxi: ‘Così diventarono amici papà Bettino e Berlusconi’” (Giornale, 29.10). Papà Bettino gli faceva i decreti e le leggi su misura per le sue tv e Berlusconi gli bonificava 21 miliardi di lire sui conti svizzeri. Che amori.
Agenzia Stica**i. “Morta la nonna di Fascina, il cordoglio dei Berlusconi” (Corriere della sera, 2.11). “Morto Franco Alfonso, lo storico barbiere di Mattarella” (Corriere della sera, 27.10). Mai una gioia.
Mai contenti. “Si vuole inviare un messaggio ai trafficanti: se venite clandestinamente in Italia rischiate di finire in Albania. Li scoraggia. Non sono soldi buttati, semmai investiti per invertire una tendenza” (Ignazio La Russa, FdI, presidente del Senato, Repubblica, 21.10). “Sono centri, non dico come un hotel a cinque stelle, ma almeno di tre, molto meglio di certi centri italiani” (Antonio Tajani, FI, ministro degli Esteri, 26.10). Mai contenti, ‘sti migranti: se gli proponi un tre stelle invece di un cinque stelle si scoraggiano e non vogliono più venire.
Battelli e pedalò. “Io, grillino, ho votato Bucci perché è bravo. Il M5S è un partito padronale, senza idee e inesistente, un partito del 4,6% votato solo dagli amici e dai parenti” (Sergio Battelli, ex deputato M5S passato con Di Maio in Insieme per il futuro, poi ribattezzato Impegno civico, Giornale, 30.10). Disse quello dello 0,9%.
Prima o dopo. “Marco Travaglio ritiene Conte il miglior presidente del Consiglio dopo Cavour” (Francesco Damato, Dubbio, 1.11). Dopo? E chi ha mai detto dopo?
Il vero vincitore. “Liguria. Il crollo di Conte segna la rivincita di Renzi” (Daniela Preziosi, Domani, 29.10). E senza neppure presentare una lista: ha vinto in smart working, da remoto.
L’esperta. “Un Pd che riesce addirittura ad aumentare i voti rispetto all’ultimo appuntamento elettorale” (Lisa Di Giuseppe, Domani, 1.11). No, cara: l’ultimo appuntamento elettorale erano le Europee di giugno e rispetto a quelle il Pd ha perso in Liguria oltre 4mila voti.
L’esperto/1. “I moralizzatori scoprono quanto fa male essere moralizzati… Ci sono casi come quello dell’ex magistrato Scarpinato, oggi senatore del M5S, che sta sperimentando sulla sua pelle cosa vuol dire difendersi da accuse vaghe come quelle con cui deve fare i conti a Caltanissetta dove è indagato per favoreggiamento di Cosa Nostra e calunnia” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 2.11). Poi ci sono casi come quello del rag. Cerasa che spacciano i semplici testimoni come Scarpinato per indagati per favoreggiamento di Cosa Nostra e calunnia.
L’esperto/2. “Il giorno dell’arresto di Previti scrissi un editoriale nel quale non esultavo, anzi mi dispiacevo, e chiedevo che la sinistra si adoperasse per l’indulto e l’amnistia… Dell’Utri non era accusato di nessun reato specifico, solo di un reato inconsistente e puramente ‘morale’… Ma la sinistra è stata travaglista” (Piero Sansonetti, Unità, 31.10). Massì, che sarà mai corrompere giudici e comprare sentenze o fiancheggiare per 30 anni Cosa Nostra.
Tutto chiaro. “Renzi: ‘Sinistra sconfitta da Conte’” (Stampa, 30.10). Siccome ha vinto Bucci, che governa con Renzi, per sconfiggere Bucci la sinistra doveva allearsi con Renzi che governa con Bucci.
È fatta. “Kyiv sa come ottenere una ‘de-escalation’” (Foglio, 31.10). “Putin non è più così influente in Asia centrale, pure se ne ha bisogno” (Foglio, 31.10). “L’economia di guerra russa è (alla lunga) insostenibile” (Maurizio Carta, Domani, 2.11). Mi sa che è rimorto Putin.
Sarà fatta/2. “I georgiani danno forza all’opposizione, sfidano Orbàn e chiedono: quando arrivano i nostri?” (Micol Flamminii, Foglio, 29.10). Idea: invadiamo la Georgia.
Il titolo della settimana/1. “Il Pd inizi a trattare il M5S come la Lista Dini. Rincorrere il mini M5S fa sbandare” (rag. Cerasa, Foglio, 30.10). Come leggere il Foglio, per dire.
Il titolo della settimana/2. “Edilizia pubblica, Gualtieri: ‘Servono 700mila nuove case’” (Messaggero, 31.10). Dici a noi?
Il titolo della settimana/3. “Bucci ha vinto con Toti e Meloni. La procura ha perso insieme al codazzo dei forcaioli” (Tiziana Maiolo, Dubbio, 30.10). Altre cazzate?
Il titolo della settimana/4. “Dopo la Liguria, Genova: nel Pd la tentazione di candidare Orlando” (Corriere della sera, 2.11). Tentazione fortissima: come diceva Totò, il talento va premiato.
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L'HARRIS BAR
l'editoriale di Marco Travaglio
05 Novembre 2024
Abbiamo atteso con ansia i risultati del ballottaggio in Moldavia per sapere se era valido o no. Le prime proiezioni davano in testa il socialista Alexandr Stoianoglo, bollato come “filorusso” perché vuol mantenere il Paese neutrale fra Mosca e l’Occidente. Infatti l’Impero del Bene già strillava alle elezioni truccate da Putin. Poi invece ha vinto col 54% Maia Sandu, gradita a Usa e Ue, quindi tutto regolare: “Ha vinto la democrazia”. Era già accaduto al primo turno, quando si votava pure il referendum consultivo pro o contro l’Ue. Finché le proiezioni davano davanti il No, il voto era viziato dai brogli dell’Impero del Male (anche se molti moldavi in Russia non avevano neppure le schede per votare). Poi ha prevalso il Sì per 13 mila voti (50,46 a 49,54%) e sono tornate la legalità e la democrazia. Purtroppo non si può dire lo stesso della Georgia, dove i quattro partiti filo-occidentali fedeli alla presidente Zourabichvili han racimolato appena il 37%, contro il 54 di Sogno Georgiano del premier Kobakhidze (neutralista, ergo “filorusso” pure lui): lì, siccome ha vinto quello sbagliato, il voto non vale, anche se l’Ocse non ha rilevato irregolarità e il riconteggio ha confermato la disfatta dei Buoni per mano dei Cattivi. La Zourabichvili, che non è neppure georgiana ma francese, anziché inchinarsi alla sovranità popolare, ha chiamato la gente in piazza per ribellarsi e chiedere di rivotare, col sostegno delle famose democrazie Usa e Ue, che accettano i risultati elettorali solo se piacciono a loro. Se vince il candidato sbagliato, le elezioni sono truccate e si rivota finché non vince chi decidono loro.
Sono gli stessi che accusano preventivamente Trump di avere l’intenzione di non riconoscere l’eventuale sconfitta, come già quattro anni fa con l’assalto a Capitol Hill. E intanto fanno la stessa cosa in Georgia ed erano pronti a farla anche in Moldavia, se al referendum avesse vinto il No e se la Sandu avesse perso le Presidenziali. Anche fra i golpisti, ci sono quelli buoni e quelli cattivi. Come per le fake news. L’altro giorno Trump ha attaccato la guerrafondaia Liz Cheney, degna figlia di suo padre, schierata con la Harris: “Ha sempre voluto mandare la gente in guerra, se fosse per lei saremmo in guerra con 50 Paesi: mettiamola davanti a un fucile che le spara addosso e vediamo come si sente. Sono tutti falchi di guerra quando stanno seduti a Washington in un bel palazzo e dicono ‘Cavolo, mandiamo 10 mila soldati nella bocca del nemico’…”. Un discorso che avrebbe potuto fare Gino Strada. Ma tutti i media dell’Harris Bar hanno scritto che Trump istigava a fucilare la Cheney e un procuratore idiota ha pure aperto un’inchiesta. Le balle dei buoni non sono fake news: sono dogmi di fede.
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L'ALFABETO DEGLI ANALFABETI
l'editoriale di Marco Travaglio
06 novembre 2024
Ci mancava la convocazione del vicepresidente del Csm ai piedi della Meloni per completare il puzzle dell’analfabetismo del governo dei somari. Fino al 2022, per fermare i migranti, bastava chiedere la testa della Lamorgese che, da brava comunista (tutti i prefetti lo sono), li faceva venire apposta ordinandoli su Amazon. E annunciare il blocco navale per non farli partire e i porti chiusi per non farli sbarcare. Naturalmente i porti sono rimasti aperti (come sempre, anche quando Salvini credeva di averli chiusi) e il blocco navale non s’è fatto per una terribile scoperta: l’Africa è grossa. Ma Sallusti nota un miracolo: “Tam tam tra i migranti in Libia: ‘Ora che c’è la Meloni, non partiamo più’”. Li ferma con la sola imposizione delle mani. Poi purtroppo, nel primo anno di governo anti-migranti, gli sbarchi raddoppiano. E si passa al piano B: dichiarare guerra a Francia e Germania, nessuno ricorda perché. Neppure i migranti, che continuano a migrare. Piano C: dar la colpa a Putin, noto spingitore di migranti tramite la Wagner. Lo garantisce Crosetto, ma viene smentito persino dai Servizi. Piano D: il karaoke di Meloni e Salvini sulla Canzone di Marinella la sera della strage di Cutro, vedi mai che i superstiti tornino indietro per salvarsi i timpani. Ma niente. Piano E: scrivere decreti coi piedi (quelli di Nordio e Piantedosi, che sono una garanzia)e poi prendersela con i giudici che li disapplicano perché hanno letto la Costituzione e la giurisprudenza europea. Intanto gli sbarchi triplicano.
E allora sotto col piano F: la Meloni spiega loro “i rischi che si corrono a partire”, ignara di quelli che si corrono a restare. E annuncia: “Inseguirò gli scafisti in tutto il globo terracqueo”. Ma non parte mai. Piano G: Nordio assicura che li mette nelle caserme dismesse. Poi, smaltita la sbornia, se ne scorda. Piano H: 20 nuovi centri di raccolta, uno per Regione. Ma nessuna li vuole e morta lì. Piano I: il migrante, per evitare il Cpt, paga una cauzione di 4.938 euro. Ma non attacca neppure quel deterrente: chi non ha soldi non teme di perderli. Piano L: un commissario straordinario all’emergenza migranti, tale Valerio Valenti, mai più visto né sentito. Piano M: le Ong devono circumnavigare l’Italia, così imparano. Piano N: Giorgia & Ursula allungano 300 milioni al dittatore tunisino al-Saied per tenersi i migranti. Quello rinnega il Memorandum appena firmato e chiede più soldi. Piano O: campagna di Albania con marcia su Rama di 16 migranti, che tornano subito indietro perché vengono da Paesi insicuri in base a una sentenza europea. Piano P: Dl Nordio per trasformare in sicuri i Paesi insicuri. Ma nasce morto perché prevale il diritto Ue. Piano Q: dare dei comunisti ai giudici. Ancora sei lettere e poi, se Dio vuole, finisce l’alfabeto.
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LA MARCIA TRIONFALE
l'editoriale di Marco Travaglio
07 novembre 2024
Finalmente si è chiarito cosa avesse da ridere Kamala Harris: le avevano raccontato che gli americani si informano sulla stampa italiana, l’unico luogo al mondo (insieme ai media Usa) dove lei stravinceva.
“Se continua la sua campagna del caos, alla fine Trump perderà” (Giuliano Ferrara, Foglio, 14.3).
“Fermi tutti: ‘Trump sta perdendo’. Parola di Karl Rove” (Foglio, 26.6).
“Di certo Harris si colloca sul solco di Franklin Delano Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy, Bill Clinton e Barack Obama. Può motivare l’identità del Partito democratico e apparire capace di intercettare la parte di consenso che rimane inespresso nella mela tagliata a metà che sono gli Usa” (Walter Veltroni, Stampa, 25.7).
“Kamala Harris rivitalizza l’America: i giovani la sentono più vera e vicina. Vance flop per Trump, non gli porta consenso” (Nayyera Haq, ex consigliera di Obama, Stampa, 29.7).
“L’energia rock di Harris conquista Atlanta” (Repubblica, 1.8).
“Ho sognato anche questo: se ce l’ha fatta l’underdog della Garbatella, come può non farcela la ragazzaccia di Oakland?” (Massimo Giannini, Venerdì-Rep, 2.8).
“L’incubo Trump e Kamala Harris. Che potrebbe vincere, e pure alla grande” (Foglio, 5.8).
“Kamala vede il sorpasso su Trump” (Messaggero, 5.8).
“Kamala, rimonta ultimata. E adesso Trump è una furia” (Giornale, 11.8).
“Trump annaspa… Sembra un sogno diventato un incubo per The Donald disorientato dal cambiamento radicale della corsa… incapace di prendere le misure e contenere il tandem Harris-Walz”… Da leone ferito a leone in gabbia… Furibondo per il successo della sua avversaria… finisce per cadere nel ridicolo” (Massimo Gaggi, Corriere, 13.8).
“Profumo di Obama. Così la campagna elettorale di Kamala Harris sfrutta le strategie che portarono Barack alla Casa Bianca. Adesso ‘Kamala is Brat’. E poi le emoji, il cocco e la palma e la solita lista di celebrità progressiste” (Foglio, 17.8).
“Donald Trump si mostra come un uomo aggressivo e rancoroso, sul viale del tramonto” (Laura Boldrini, deputata Pd, 23.8).
“‘Freedom’ e ‘Sì, se puede’. Tra star e parole d’ordine la Kamala Night è un party” (Rep, 24.8).
“Kamala è molto più erede degli Obama che non di Hillary Clinton, che perse contro Trump” (Maurizio Molinari, Rep, 24.8).
“I dem conquistano il country: la musica del popolo di Trump adesso suona per Kamala. Alla Convention di Chicago stravolta la playlist dei fan. L’obiettivo è allargare la platea dei sostenitori: non più solo dance, rap e un po’ di rock” (Rep, 25.8).
“Del fattore K – che non è il kommunism ma Kamala Harris – nessuna traccia. L’entusiasmo che improvvisamente si è riacceso tra i democratici americani non ha minimamente contagiato i democratici italiani. Non risultano agli atti riflessioni particolari o discussioni sulla Grande Novità Americana che può spegnere l’interruttore trumpiano… Dalle parti della sinistra del Pd questo è un orientamento abbastanza radicato. Confina con il ‘pacifismo’ di Conte e del Fatto” (Mario Lavia, Linkiesta, 30.7)
“L’apertura di Tajani non va sprecata. Confrontiamoci in Aula. Il modello è Kamala Harris” (Roberto Speranza, Pd, Rep, 22.8).
“Anche Alain Delon taceva benissimo, ma con un certo disprezzo dell’umanità… Nessuno sa fare silenzio come Obama. Andate a riprendere quel momento in cui aspetta prima di dire ‘yes she can’ e aspetta di nuovo dopo averlo detto… Resta elastico sulle caviglie… sguaina un sorriso… tace ancora… fa così con la testa” (Concita De Gregorio, Rep, 22.8).
“Yes she can” (Stampa, 22.8).
“Dai dem Usa una lezione per noi: si vince se si è uniti” (Peppe Provenzano, responsabile esteri Pd, Rep, 23.8).
“Misteriosa o pragmatica: l’imprendibile Kamala sfida i tabù dell’America” (Riotta, Rep, 23.8).
“Essere demure per diventare brat: ragazzacce e signore si alleano per Kamala” (Simonetta Sciandivasci, Stampa, 26.8).
“‘Vincerà Kamala’: la certezza di Lichman, ‘veggente’ d’America. Dal 1984 un solo errore” (Corriere, 15.10).
“Harris, la candidata… anzi la presidente degli Stati Uniti, diciamocelo subito” (David Parenzo, Radio 24, 8.10).
“Le donne sfidano Trump. L’attrice Julia Roberts in prima fila” (Rep, 2.11).
“A 96 ore dal voto Kamala Harris vede la possibilità di una rincorsa in extremis capace di farla diventare la prima donna a sedersi nello Studio Ovale. A rovesciare la situazione sono i dati sul voto per posta… ben il 55% sono donne… Il fattore entusiasmo… sta favorendo lei, come Obama nel 2008” (Molinari, Rep, 1.11).
“Gli ultimi sondaggi rilanciano Harris. Report clamoroso sull’Iowa: dem in vantaggio di 3 punti” (Domani, 4.11).
“Tutto è possibile, ma io penso che vincerà Kamala Harris” (Antonio Di Bella, 4.11).
“Trump scommette sulla sua sconfitta. Perciò è pericoloso” (Mattia Ferraresi, Domani, 5.11).
“Sulla scalinata di Rocky, Harris torna in testa. L’ultimo sondaggio dà alla dem un vantaggio di 4 punti” (Rep, 5.11).
“La sorpresa che può spiazzare Trump si chiama alta affluenza delle donne. Il tycoon partiva in vantaggio sull’economia, ma ora stenta” (Bill Emmott, Stampa, 5.11). Pensa se non stentava.
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POPULISMO O MORTE
l'editoriale di Marco Travaglio
10 novembre 2024
Ma lo Xi Jinping che accoglie Mattarella a Pechino e si dichiara “suo buon amico” e a cui Mattarella promette “dialogo” e commerci “senza alzare steccati ingiustificati da blocchi contrapposti” è lo stesso con cui Conte firmò la Via della Seta vituperato da tutti come un servo della Cina? E il Trump a cui Mattarella porge “cordiali auguri di successo” e “di benessere per la sua persona e di prosperità per l’amico popolo statunitense”, con “la ferma volontà di lavorare d’intesa nella ricerca di soluzioni efficaci alle gravi crisi” e di cui Draghi afferma “farà una grande differenza, non tutta in senso negativo”, è lo stesso che, se Meloni o Conte o Salvini dicono le stesse cose o anche meno, diventano dei fottuti populisti fascisti? Il tempo è galantuomo, ma pure cortissimo, come la memoria di chi non lo perde a cambiare idea: cambia semplicemente padrone. Forse il ritorno del bandito finto biondo sortirà altri effetti positivi, oltre alla svolta ucraina: riabilitare chi predicava il negoziato con Mosca e un multipolarismo che guardi anche a Est; e quel sano “populismo” che da vent’anni impedisce all’astensionismo di raggiungere il 100% degli elettori.
Chi vuole capire perché gli elettori votano così deve archiviare le categorie “destra/centro/sinistra” e spostarsi sul nuovo asse che orienta gran parte dei votanti: élite/popolo, vecchio/nuovo. L’ha spiegato bene Sabrina Ferilli sul Fatto: “Agli americani interessava capire cosa sarebbe accaduto sulle tasse, non se Trump aveva detto ‘fica’”. Da 15 anni i giornaloni scagliano anatemi contro i populisti 5 Stelle chiamandoli “partito del Vaffa” perché due anni prima di fondarli, al V-Day, Grillo mandò affanc**o i 25 pregiudicati in Parlamento: come se ci fosse qualcosa di male nello sfanculare una classe politica di delinquenti e se milioni di elettori non avessero votato M5S anche per quello. Nel tempo che resta fra una scomunica e un piagnisteo per gli elettori che non obbediscono più, lorsignori dovrebbero domandarsi che fare per comunicare con loro. La Schlein, con un riflesso pavloviano che ne segnala l’irredimibilità, è subito corsa fra le braccia di Draghi. I 5 Stelle hanno la fortuna di aprire fra due settimane i loro Stati generali: se vogliono rinascere o almeno rilanciarsi, dovranno imboccare la corsia opposta. Meno politicamente corretto, più populismo. Meno campo largo, più campo aperto. Non per tornare a mitologiche “origini” ormai passate, ma per ripartire da ciò che han fatto nei due governi Conte: leggi per gli onesti, i poveri, i lavoratori precari, l’ambiente, le imprese sane e buoni rapporti con gli Usa, ma anche con la Cina e la Russia. Sono i soli che non devono inseguire nessun modello o moda del momento: gli basta essere se stessi.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
11 novembre 2024
Abbassare i Toni. “Secondo me, Kamala Harris asfalta Donald Trump: segnatevela” (Toni Ricciardi, deputato Pd, Coffee Break, La7, 23.7). Ma questo che aspettano a farlo segretario?
L’Impero dei Sensi. “La Corea del Nord sta combattendo direttamente contro l’Europa, la sta invadendo in Ucraina, inviando migliaia di soldati, ma a noi che ce frega, stasera padel o cinemino?” (Filippo Sensi, deputato Pd, X, 5.11). Ma infatti: arruolati subito.
Borghetto sotto spirito. “Conte registra un trumpianesimo di fondo che a sinistra non ci dovrebbe stare? Se uno preferisce Trump a Harris, nel centrosinistra non ha spazio” (Enrico Borghi, senatore Iv, ZTL, Giornale Radio, 5.11). “Una parte dell’inner circle di Trump è di prim’ordine: Pompeo al Pentagono e Jamie all’Economia sarebbero dei fuoriclasse. E The Donald è talmente imprevedibile che può fare tutto, perfino una buona squadra… Credo ci siano tutte le condizioni per un compromesso con la Russia” (Matteo Renzi, leader e senatore Iv, Foglio, 7.11). È la volta buona che Iv espelle Renzi.
Staffette partigiane. “Torna Antonio Scurati e in Rai si resiste come si può… Su Rai3 lo spazio resistente di Marco Damilano” (Antonio Dipollina, Repubblica, 2.11). Dal nostro corrispondente a Ventotene.
Scemi di guerra. “Zelensky più di ogni altra cosa dovrà convincere i governi europei a fare un passo avanti e a subentrare là dove gli Usa si tireranno indietro Se i governi europei intendono difendere sul serio la loro sicurezza e tutelare la Nato, è esattamente questo ciò che devono fare” (Bill Emmott, Stampa, 7.11). Finanziare al posto degli Usa una guerra che conviene solo agli Usa e danneggia solo l’Europa. Furbi, noi.
Cos’è il genio? “Non è un caso se ieri una Schlein molto delusa dal voto americano abbia visto Mario Draghi. Ha voluto essere una risposta al trumpismo nel segno dell’europeismo che abbiamo conosciuto, bisognoso di essere rivitalizzato” (Stefano Folli, Repubblica, 7.11). Dio li fa, poi li accoppia e acceca chi vuole dannare.
L’ideona. “Vittorie a metà. Cosa e come sta perdendo l’Ue in Moldavia e in Georgia, nonostante i risultati” (Foglio, 5.11). Non resta che invaderle.
Moderati. “I calcoli di Renzi che punta su De Luca per federare i moderati” (Foglio, 5.11). In effetti, dove lo trovi un moderato più moderato di De Luca?
Dossier. “Quel grumo mediatico-giudiziario che l’ha giurata a Chiara Colosimo. Ora il ‘Fatto’ di Travaglio tira fuori i ‘dossier’ sullo zio” (Dubbio, 5.11). Ora le sentenze di Cassazione si chiamano dossier.
Corriere separate. “Chiamatela riforma Falcone” (Alessandro Sallusti, Giornale, 1.11). “Carriere separate fra giudici e pm. Perchè occorre la riforma Falcone” (Filippo Facci, Giornale, 2.11). Che fece sia il giudice sia il pm.
Terzo Pollo. “Il Terzo Polo è vivo e vegeto, aspetta solo una casa politica. Porta aperte a Calenda. Renzi potrebbe stupirci” (Andrea Marcucci, ex capogruppo Pd, presidente Libdem, Tempo, 1.11). “‘Tre settimane al nuovo partito libdem’. Marattin guarda oltre la crisi dei due poli” (Riformista, 1.11). Stavamo giusto in pensiero.
Amnesy International. “Stiamo abbandonando l’Ucraina?”, “Chiamare ‘pace’ questo eventuale esito è un oltraggio a una delle parole più invocate e insieme più vilipese dall’inizio (24 febbraio 2024) della prima guerra combattuta nel continente europeo da quando finì (2 settembre 1945) il secondo conflitto mondiale” (Carlo Verdelli, Corriere della sera, 10.11). Quindi la Serbia e il Donbass sono in Oceania.
Ha stata Virginia. “Marciapiede rovinato, bimba si rompe braccio. Il pm manda a processo Raggi” (Corriere della sera, 3.11). Sembra Lercio, invece è tutto vero.
Il titolo della settimana/1. “Trump ha preso dal Cav., sì, ma il Cav. era l’opposto” (Giuliano Ferrara, Foglio, 6.11). Giusto: B. finanziava la mafia, corrompeva giudici e stava nella P2.
Il titolo della settimana/2. “Zelensky punta su Donald. L’ultimo disperato tentativo di salvare Kiev dai russi” (Anna Zafesova, Stampa, 7.11). Ma quindi è vero che si droga.
Il titolo della settimana/3. “J.D.Vance, il ‘cafone’ colto che già guarda al voto del 2028” (Gianni Riotta, Repubblica, 7.11). Ma infatti, è solo laureato in Scienze Politiche all’Università dell’Ohio e in Legge all’Università di Yale.
I titoli della settimana/4. “L’Europa deve trattare, serve Draghi” (Maurizio Molinari, Riformista, 7.11). “Se solo il piano Draghi può difenderci da Trump” (Alessandro Barbano, Stampa, 8.11). “O Draghi o morte”, “L’Europa nella tana del lupo pende dalle labbra di Draghi” (Riformista, 9.11). Per dire com’è ridotta.
Il titolo della settimana/5. “I dem ora puntano sui governatori. Le ipotesi sul futuro di Harris. Kamala, idea per la Corte Suprema” (Corriere della sera, 9.11). Ma cos’è, il Pd con Giuliano Amato?
Il titolo della settimana/6. “L’altra verità” (Mario Mori e Giuseppe De Donno, ed. Piemme). Ah, quindi la solita balla.
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MANCO LE BASI
l'editoriale di Marco Travaglio
12 novembre 2024
Ormai, in questa batracomiomachia che parodizza le tragedie degli anni 70, non passa giorno senza che uno di destra voglia tappare la bocca a uno di sinistra, e viceversa. Tizio non deve parlare, Caio va punito per aver detto la tal cosa, il circolo o il sito Sempronio va chiuso, il corteo X o Y va proibito. La democrazia non muore perché è tornato il fascismo o il comunismo, come dicono gli opposti cabarettismi, ma perché nessuno si ricorda più che cos’è: un sistema faticosissimo, ma meno inaccettabile degli altri, dove tutti sono liberi di parlare e manifestare, anche per dire bestialità. Difendere questa libertà di tutti non significa che hanno tutti ragione: possono avere anche tutti torto, ma nessuno deve temere per ciò che dice. I veri (e rari) democratici si distinguono proprio quando difendono la libertà di chi è più lontano da loro. Esempio: che CasaPound sfili a pochi passi dalla stazione di Bologna, luogo della strage fascista, è osceno: ma nessuno può impedirlo. Se poi si commettono reati, la polizia interviene: dopo, non prima. E se gli antifascisti – ci mancherebbe – vogliono contestare la marcia di CasaPound, devono poterlo fare senza manganellate né cariche preventive.
Non è un’opinione. È l’articolo 17 della Costituzione: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Articolo che non specifica per cosa o contro chi si manifesta: si può farlo sempre senza chiedere il permesso, ma solo dando il preavviso. Punto. Lo stesso vale per le continue guerre verbali su ciò che dice questo o quello. Se Saviano vuol dare la colpa della mattanza dei ragazzini di Napoli al governo, è liberissimo di farlo senza che il partito della premier lo additi al linciaggio come “sciacallo senza dignità”. Se un prof di liceo insulta e minaccia (criticare è un’altra cosa) un ministro, questi può querelarlo (e con buone speranze in tribunale), ma non levargli il lavoro per tre mesi e dimezzargli il già misero stipendio. L’articolo 21 della Carta dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Cioè include anche il diritto alla cazzata. Chi solidarizza con Saviano e col prof, però, dovrebbe smettere di chiedere punizioni esemplari per le sparate di Vannacci&C. e dei negazionisti del clima, del Covid, del gender, della storia. E nessuno dovrebbe chiedere di vietare cortei e chiudere siti web e centri sociali di qualunque colore. Semmai sgomberare i palazzi che occupano illegalmente. Tutti, però.
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CHIAGNI E FITTO
l'editoriale di Marco Travaglio
13 novembre 2024
Sapere l’inglese non è obbligatorio, tutt’altro. Ma parlarlo senza saperlo, magari scrivendosi a matita la pronuncia in italiano sopra il testo, è ridicolo. Però non è per questo che Raffaele Fitto, aspirante commissario alla Coesione e Riforme e vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, ha fatto una figura barbina e l’ha fatta fare all’Italia all’Europarlamento (peraltro abituato alle performance di altri poliglotti, tipo Renzi). Il contenuto delle sue risposte alle rare domande vere – di una 5 Stelle e di un Verde – era molto peggio della forma. A un certo punto ha dovuto spiegare l’inspiegabile (almeno per i Paesi che non sono l’Italia, dove vige ancora il principio di non contraddizione): come può uno di FdI, che sul Pnrr si astenne a Bruxelles e a Roma dicendone peste e corna, aver fatto per due anni il ministro del Pnrr e ora assumerne la delega Ue? Alla domanda ha risposto comprensibilmente in italiano, l’unica lingua al mondo che consente la superc***ola, spiegando che il Nì ai 209 miliardi di fondi al suo Paese piegato e piagato dal Covid era un mezzo Sì, come quello dei fidanzatini che fanno i ritrosetti per accrescere il desiderio: “In quella fase avevamo perplessità e dubbi rispetto all’attuazione e ad alcuni aspetti collegati a delle evidenze che non erano chiare. L’astensione era una posizione di attesa. Posso dire che l’esperienza che ho avuto da ministro del Pnrr mi porta a dire che è un’esperienza positiva e quindi quella astensione, se dovessi votare domani mattina, sarebbe un voto favorevole”. Traduzione: quando nel 2020 c’era da votare su un successo di Conte, dovevamo dire che era una porcata; ma ora che i soldi li distribuiamo noi e grazie alla smemoratezza generale possiamo prendercene il merito, diciamo che è una figata.
Ce ne sarebbe abbastanza per rimpatriare col foglio di via questo free-climber della logica e del pudore, come già accadde a Buttiglione. Ma non succederà. Anche perché chi dovrebbe dirgli ciò che si merita, in primis il Pd, ha già ingoiato la Commissione von Sturmtruppen con tutta la scatola. Ed è a sua volta maestro di arrampicate sugli specchi per trasformare i No e i Nì in Sì e viceversa: sull’uso del Pnrr per comprare armi e sul via libera a Kiev per bombardare la Russia con i nostri missili riuscì a votare No agli articoli specifici e Sì alle risoluzioni che li contenevano. Quindi Fitto è in una botte di ferro. A meno che il Parlamento europeo non gli applichi il concetto di patriottismo appena illustrato dalla Meloni al sindaco di Bologna: “Se mi vede fascista non mi chieda aiuti”. Se le istituzioni e i fondi pubblici non sono di tutti gli italiani, ma proprietà private della premier, anche Fitto è roba sua: quindi bocciarlo non sarebbe uno sgarbo all’Italia, ma solo alla Meloni.
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BALLO IN MUSK
l'editoriale di Marco Travaglio
14 novembre 2024
Bene ha fatto Mattarella a zittire Musk dopo il tweet contro i giudici italiani. E a zittirlo ieri, dopo la sua nomina nell’Amministrazione Trump, che ha trasformato lui da privato cittadino in un politico e il suo post sgangherato su X in un’intromissione indebita negli affari interni di un altro Paese, per giunta alleato. La stessa frase – “L’Italia sa badare a se stessa” – Mattarella l’aveva rivolta il 7 ottobre 2022, dopo le elezioni italiane, alla ministra francese Laurence Boone, che aveva promesso di “vigilare sulla Meloni come l’Ue ha già fatto in Polonia e Ungheria”. Purtroppo si era scordato di farlo nel luglio ’22, quando i governi europei, americano, ucraino e la Commissione Ue avevano ingerito pesantemente nei fatti nostri intimando al Parlamento di votare la fiducia all’amato (da loro) Draghi. Il quale peraltro il 20 luglio andò in Senato ad attaccare M5S, Lega e FI per farsi sfiduciare. E raggiunse lo scopo. Poi, fino alle elezioni del 25 settembre, ripartì la rumba delle ingerenze euro-atlantiche per ordinare agli elettori di non votare i non guerrafondai, cioè 5Stelle e Lega, bollati di “populismo” e “putinismo”: dalla Clinton al vice di Scholz, da Blinken alla Von der Leyen (“Se l’Italia andasse in una direzione difficile, abbiamo gli strumenti per intervenire come verso Polonia e Ungheria”) a Zelensky (“Non votate gli amici di Putin”). E anche allora Mattarella si distrasse un po’. Poi si rifece con la ministra macroniana e ora col genietto trumpiano: non si minacciano i governi di un Paese alleato e non se ne attaccano i giudici. Non per sovranismo, ma per galateo istituzionale.
La questione però è molto più vasta e scivolosa. Già l’altroieri, quando Musk era ancora un privato cittadino, le opposizioni italiane erano insorte invitando la Meloni a zittire l’amico Elon e a difendere i nostri giudici. Ma si erano scordate di aver difeso per anni un altro miliardario, George Soros, dall’accusa delle destre di impicciarsi nelle politiche finanziarie e migratorie di mezza Europa. E soprattutto si erano dimenticate di avere a loro volta attaccato (e giustamente) i giudici di un altro Paese alleato, l’Ungheria, per il processo e il trattamento brutale a Ilaria Salis e poi di averla candidata al Parlamento europeo per sottrarla al giudizio con l’immunità. Allora, a insorgere contro quella doppia intromissione nella giustizia di uno Stato europeo, furono il premier Orbán e i suoi amici della destra italiana: gli stessi che ora difendono l’ingerenza di Musk da chi oggi la condanna, ma dieci mesi orsono faceva altrettanto con Budapest. Siccome il galateo istituzionale è uno solo e non può cambiare a seconda di chi c’è in ballo, è il forse caso di decidere una volta per tutte che cosa si può e non si può dire o fare. E poi rispettarlo. Tutti.
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