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Dino

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Agenda Dragula

27 SETTEMBRE 2022 - M. Travaglio

Se le elezioni fossero un carosello, lo slogan sarebbe quello di Raid l’insetticida: “Draghi li ammazza stecchiti!”. La lista delle vittime del Migliore è un corteo di carri funebri da far invidia a Buckingham Palace: Letta, Salvini, Calenda & Renzi, Bonino, Di Maio, i direttori e i commentatori dei giornaloni (una prece). Nessuno poteva prescindere dal premier chiamato Agenda, chi aveva osato negargli la fiducia l’avrebbe pagata cara, gli elettori orfani e vedovi l’avrebbero reissato a Palazzo Chigi sulle proprie spalle, insomma sarebbe tornato domani a furor di popolo. Invece era così popolare che vincono, nell’ordine: Meloni, sua unica oppositrice; Conte, additato da tutti come il suo killer; Fratoianni e Bonelli, che non gli avevano mai votato neppure mezza fiducia e sono i soli a salvarsi dall’apocalisse del centrosinistra.

Signorini grandi firme. È uno spasso vederli in tv, dotti e pensosi, mentre spiegano l’errore fatale di Letta, Calenda & C.: non allearsi con i 5Stelle, dare Conte per morto, percularlo come “avvocato del popolo di Volturara Appula” tutto “piazze piene e urne vuote”, ma anche pensare che agitare il nome di Draghi portasse voti, che l’allarme fascismo, l’allarme Putin, l’allarme Orbán terrorizzassero le masse inebriate dall’euroatlantismo, dal riarmo, dai moniti dei mercati, di Zelensky, della Casa Bianca, di Ursula, Scholz, Macron e le altre cancellerie Ue. In una parola, spiegano che chi segue i loro consigli è un coglione (invece chi li dà resta una volpe).

Lecta. Il principale artefice del trionfo della destra (dopo Facta, Lecta), della rimonta dei 5Stelle e del punto più basso mai toccato dal suo partito, s’è rivelato il peggior segretario del Pd alla pari di Renzi (e non era facile), s’è presentato ieri alla stampa per dare la colpa ai 5Stelle: mancava soltanto che, anziché le sue dimissioni, annunciasse quelle di Conte. Come se gliel’avesse ordinato Conte di sdraiarsi ai piedi di Draghi donandogli il sangue perinde ac cadaver e gonfiando Meloni come un’anguria, sposare il riarmo e il bellicismo atlantista senza mai parlare di pace, rinnegare l’unica alternativa vincente alle destre (l’alleanza M5S-Pd del Conte-2), puntare su Di Maio e tal Crippa, pomiciare con Calenda per poi farsi mollare all’altare, scommettere tutto sul “Pd primo partito” (ciao core) e sullo “Scegli” fra nero e rosso (stravince il nero di 18 punti), evitare accuratamente accordi coi 5Stelle sui collegi contendibili al Sud, dare per acquisiti quelli delle Regioni (ex) rosse, insomma giocare la partita con le regole del proporzionale mentre vige il Rosatellum che premia le coalizioni e i cartelli tecnici. Infatti in Puglia, dove Emiliano sposò fin da subito l’alleanza coi 5Stelle, il Pd cresce di 3 punti.

Fa il record al Sud (16,8). E con 5S (28) e alleati minori, supera il 50, staccando di 10 punti le destre. Si potrebbe ripartire di lì, mettendo in salvo la povera Schlein dal bacio della morte dei cavalieri Gedi che la lanciano alla segreteria con gli amorevoli consigli che già tumularono Renzi, Pisapia, ora Letta. Il quale avrà molto tempo libero prima di tornare a Parigi a insegnare come perdere il governo con l’Agenda Monti e le elezioni con l’Agenda Draghi: forse ci spiegherà se l’ultima catastrofe è tutta farina del suo sacco o gli ha dato una mano qualche zio d’America.

Ernesto “Che” Conte. Trasformato da cecchini e avversari in un tupamaro descamisado solo perché parla di pace, reddito di cittadinanza, salario minimo, rincari e legalità, riporta i 5Stelle al 15,5% dall’8-9 in cui erano precipitati per l’effetto Draghi. Dimostra che il M5S è l’unica novità degli anni 2000 che non passa di moda come una meteora. E ci salva da una destra oltre i due terzi e padrona della Costituzione. Ma ora il governo avrà un capo, anzi una capa, molto riconoscibile. All’opposizione serve un volto credibile e, al momento, c’è solo quello di Conte, in attesa che il Pd esca dalla notte dei lunghi coltelli. La partita che lo attende va ben oltre i confini dei 5S: sta a lui scavalcarli, tornando a essere il “punto di riferimento dei progressisti” ritratto dal tanto vituperato Zingaretti (che alle Europee del 2019 portò il Pd al 22,7%, subito dopo la scissione di Iv). Partendo da comitati civici in tutta Italia per difendere le conquiste del Rdc, della Spazzacorrotti, della lotta al precariato e ai salari da fame, della pace, dell’ambiente dagli assalti delle destre alla diligenza.

Il Sesto Pelo. Il Terzo Polo di Calenda&Renzi, come volevasi dimostrare, è il sesto. Ollio&Ollio vaneggiavano di 15%, di “risultato a due cifre”, invece si fermano alla metà (7,8). Dovevano rubare messi di voti alla destra (“Calenda è un magnete”, Letta dixit), invece ne fregano pochissimi al centrosinistra. E, senza il 2,9% della Bonino, vanno poco sopra i voti del 25 luglio dopo la caduta di Draghi: allora Swg per La7 diede Azione e +Europa al 6% e Iv al 2,9. Ma è tutta colpa degli elettori, spiega lo Statista dei Parioli: l’avevano illuso con le standing ovation a Draghi (ma quando mai?), poi hanno “scelto il populismo di chi urla di più” (ma in quel caso lui sarebbe alla pari della Meloni). Però la mesta fine del Grande Centro, sorpassato in retromarcia persino dal feretro di B., e la débâcle della Bonino, altro bluff pompato dai giornaloni, ha almeno il pregio di svelare l’arcano di che diavolo fosse l’Agenda Draghi (ora Agenda Dragula): il libro delle firme ai funerali sul tavolino in fondo alla chiesa, con la copertina nera in velluto floccato e la penna legata alla cordicella.




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Dino

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Le centurie di Nostradamus

28 SETTEMBRE 2022 - M. Travaglio

Un doveroso omaggio ai veri esperti e professionisti della politica, che avevano previsto tutto perché non ne sbagliano mai una.

Il CONTE MORTO. “Cinquestelle sotto il 10%, anche il Sud boccia Conte” (Messaggero, 14.6).

“Perché Letta e Di Maio escluderanno Conte. Come è ormai evidente, la parabola politica di Giuseppe Conte è vicina a concludersi… Letta ha bisogno dei 5Stelle… ma devono essere 5S “de-contizzati”, ossia che si sono liberati della guida dell’ex premier, relegandolo ai confini dello schieramento o fuori… La frenesia anti-governativa di Conte rende i 5S marginali e inservibili” (Stefano Folli, Repubblica, 17.5).

“I disastri di Giuseppe Conte. L’irresistibile discesa del leader mai nato nel M5S” (Domani, 28.5).

“Meglio Fico e Di Maio che Conte per i 5Stelle” (Domani, 30.5).

“I 5Stelle pensano all’addio a Conte dopo il nostro editoriale” (Domani, 31.5).

“Da un anno Conte tenta di diventare un leader, e ancora non ha imparato a cosa va incontro chi prova a fare un mestiere che non è il suo” (Sebastiano Messina, Rep, 31.5).

“Ora è certo: Conte non esiste” (Piero Sansonetti, Riformista, 15.6).

“Conte e il M5S sparito” (Rep, 15.6).

“Di Maio se ne va, a Conte restano 4 stelle. Per il tacchino M5S è arrivato Natale” (Alessandro Sallusti, Libero, 17.6).

Un partito di Di Maio? Per i sondaggisti sarebbe il colpo mortale ai 5Stelle” (Messaggero, 18.6).

“Il romanzesco tramonto del M5S” (Messina, Rep, 18.6).

“Un conflitto che certifica il tramonto populista” (Massimo Franco, Corriere, 18.6).

“Antonio Noto, sondaggista: ‘Se andasse via Di Maio sarebbe la fine del M5S’” (Libero, 20.6).

“Il Movimento è finito” (Massimo Cacciari, Dubbio, 22.6).

“Il funerale del grillismo” (Giornale, 22.6).

“Polvere di 5Stelle” (Repubblica, 22.6).

“M5S, il senso di una fine” (Antonio Polito, Corriere, 22.6).

“La solitudine del Fondatore davanti all’abisso del fallimento” (Messina, Rep, 23.6).

“5S, fallimento senza gloria” (Francesco Merlo, Rep, 23.6).

“Quei leader meteora che spariscono nel nulla. Giuseppi teme di finire come Dini, Monti&C.” (Giornale, 23.6).

“Il M5S di Conte diventa una bad company” (Massimiliano Panarari, Stampa, 23.6).

“Più premier che leader: il lungo declino di Conte” (Piero Ignazi, Domani, 24.6).

“Di Maio è furbo e Conte un pirla” (Gianluigi Paragone, Verità, 24.6).

“Il M5S è finito” (Piero Ignazi, Riformista, 24.6). “Il M5S di Conte non arriva al voto” (Vincenzo Spadafora, Messaggero, 25.6).

“Caro Grillo, sciogli questa banda di parac**i” (Marcello Veneziani, Verità, 26.6).

“Dai che ci liberiamo della piaga grillina”, “Ormai è finita, Beppe scrive il necrologio del Movimento” (Libero, 29.6).

“Il prezzo della fine grillina” (Cappellini, Rep, 1.7).

“Ei fu. Siccome grillino” (Diego Bianchi, Venerdì Rep, 1.7).

“Sansonetti: ‘Pronto chi parla? Nessuno. Era Conte’” (Libero, 3.7). “La crisi del partito mai nato. Conte non controlla più il M5S. Tutti guardano a Crippa e D’Incà” (Domani, 19.7).

“L’isolamento dell’avvocato stretto dal duo Raggi-Dibba” (Messaggero, 19.7).

“Giarrusso rivela: Conte non ha alcun potere, è la Taverna che comanda” (Libero, 19.7).

“Il capolavoro del M5S: fa la crisi e ci finisce secco” (Libero, 21.7).

“Il M5S scompare, resta solo Di Battista” (Domani, 21.7).

“Lo zigzag di Conte, l’eterno indecisionista ridotto all’irrilevanza. Ora si ritrova verso le elezioni alla guida di un’Armata Brancaleone” (Sebastiano Messina, Rep, 21.7).

“È davvero l’ora (per il Pd) di mollare questi disperati 5Stelle” (Merlo, Rep, 22.7).

“Gli ‘affossatori’ (di Draghi, ndr) M5S: pochi seggi e sondaggi impietosi” (Corriere, 23.7).

“Conte crolla nei sondaggi” (Rep, 24.7).

“Conte giù nei sondaggi attacca Draghi” (Rep, 24.7).

“Conte pagherà il prezzo più alto per la caduta di Draghi. È uscito completamente stritolato dal braccio di ferro con il premier” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere, 1.8).

“Il brand grillino non tira più” (Federico Pizzarotti, Rep, 2.8).

“Conte è stato l’unico beneficiato dalla pandemia, altrimenti mai sarebbe finito a Palazzo Chigi. Fra un po’ inizierà a vendere i filmini di quando andava al G8, come le dive sul viale del tramonto. Propongo da anni una specie di San Patrignano per i celebro-lesi caduti” (Roberto D’Agostino, Stampa, 9.8).

“Raggi, idea di scalare il partito con Dibba” (Rep, 9.8).

“Conte come un nobile decaduto cerca un ruolo” (Corriere, 11.8).

“Grillo commissaria Giuseppi su simbolo e nomi. L’Elevato ha un ‘vaffa’ autunnale pronto. In caso di flop elettorale, si libererà dell’avvocato” (Giornale, 15.8).

“La scelta di rompere con i 5S… può essere sanata solo se il Pd avrà un buon risultato unito a un disastro dei ‘contiani’… Fino al 25 settembre Conte è un avversario a cui vanno sottratti gli elettori con argomenti convincenti. Più il bottino elettorale dei 5S sarà magro, più il Pd avrà modo di tirare i fili dell’opposizione. O di manovrare nei palazzi se ne avrà il destro” (Stefano Folli, Rep, 23.8).

“I guai grillini. Così Conte ha sfasciato tutto: governo, M5S, campo largo” (Giornale, 24.8). “Per Conte l’asticella è il 10%. Raggi è pronta a sfilargli il Movimento” (Messaggero, 24.8).

“Conte è un paternalista da Regno delle Due Sicilie” (Sofia Ventura, Rep, 1.9).

“Volturara, Thailandia. Conte segue l’agenda Bettini” (Foglio, 2.9).

“In 4 anni quel professore con il curriculum quasi vero ha dimostrato che la sua identità consiste nel non avere identità: si adegua ed esibisce quella che, di volta in volta, gli commissionano… Come Arlecchino, ha due padroni: Grillo e Bettini. È la sinistra dove è vero anche il contrario” (Merlo, Rep, 3.9).

“Orfini: ‘Di sinistra? Macché, i 5S non vinceranno da nessuna parte’” (Rep, 3.9).

“Voto a Conte: 3” (Francesco Bei sul suo discorso al Forum di Cernobbio, Rep, 5.9).

“Conte senza voto” (Marco Zatterin, Stampa, 5.9).

“L’abbraccio di Trump soffoca Conte” (Rep, 7.9).

“Ignavo e opportunista” (Merlo, Rep, 6.9).

“Conte sottoscrive l’agenda Putin” (Giornale, 12.9).

“Conte è un progressista della domenica” (Enrico Letta, 10.9).

“I sondaggi sono profezie che quasi mai si avverano. Dubiti dunque di questa resurrezione di Conte. Nessun dubbio invece su di lui, su Conte: ha sempre mentito” (Merlo, Rep, 13.9).

“Ha il talento di dire una cosa che vale l’altra e non pensarne nessuna” (Mattia Feltri, Stampa, 13.9).

“Movimento 5Xylelle” (Foglio, 14.9).

“Conte ha tradito, il M5S non esiste più” (Di Maio, 20.9).

“Mezzo uomo, parla un linguaggio mafioso. Se sarò aggredito, il mandante morale è lui” (Matteo Renzi, 17.9).

“Ha un’aggressività di stampo peronista” (Antonio Polito, Corriere, 20.9).

“Forse oggi Conte caccerà Scarpinato” (Riformista, 23.9).

“Conte non lo voteranno i poveri, ma i poveracci, i ‘neet’, i nullafacenti, gli assistiti professionisti, le zecche, i parassiti, gli scarafaggi, i moscerini: che poi sono la dieta del camaleonte” (Filippo Facci, Libero, 24.9).

LETTA CONTINUA. “Io in questo momento ho gli occhi di tigre, non ho nessuna intenzione di perdere le elezioni” (Enrico Letta, 21.7).

“Questa neonata grande coalizione (Pd-Calenda, ndr) è un altro passo, forse quello definitivo, della Bad Godesberg di Enrico Letta, della scelta definitivamente occidentale ed europea che la sinistra italiana insegue da 50 anni… Solo adesso, nell’estate del 2022, e proprio nelle elezioni più importanti dopo quelle del 1948, la sinistra umiliata, dimessa e bastonata ha rialzato la testa… Non è un’esagerazione: l’agenda Draghi è stata il lampo di Paul Klee sulla politica che produce somiglianze ed è oggi l’abracadabra della nuova coalizione del centrosinistra… Enrico Letta è il papa che dell’altro ‘dolce Enrico’ sta completando il lavoro… con l’ironia del front runner e degli occhi di tigre… Molto più di un accordo elettorale… questa neonata grande coalizione il 25 settembre contenderà il governo del Paese a Meloni” (Francesco Merlo, Rep, 3.8).

“Ora scateniamo la campagna Pd. Quando vedo i sondaggi sono preoccupato fino a un certo punto: abbiamo il ruolo di partito guida, a differenza degli altri” (Letta, Stampa, 8.7).

“Ogni voto a Conte va alla destra” (Letta, Corriere, 10.8).

“Il M5S è sempre più la Lega del Sud. Per noi la loro crescita è positiva: rende contendibili parecchi collegi nel Mezzogiorno” (Letta, Rep, 22.9).

“Bobo è contento per il Pd guarito dal virus dei grillini che ha fatto ammalare la sinistra. Potevamo accorgercene molto prima, l’importante è esserci arrivati. Letta tiene insieme i cocci” (Sergio Staino, Stampa, 7.8).

“Letta rivede la rotta: ‘Ora io contro FdI, il Pd punta al 30%. Noi primo partito” (Rep, 9.8).

“Il duello tra Meloni e Letta, sintesi personalizzata dello scontro bipolare” (Folli, Rep, 12.8).

“Saremo il primo partito” (Letta, 17.8).

“Meloni ha lo svantaggio del sopravvalutato e Letta il vantaggio del sottovalutato” (Merlo, Rep, 24.8).

“Questa scelta ‘O noi o loro’ è fondamentale per far capire la posta in gioco” (Letta, 26.8).

“Pancetta o guanciale? E Letta cavalca la parodia della sua campagna social” (Filippo Ceccarelli, Rep, 27.8). “Enrico e la parodia social-carbonara per tornare al centro della scena” (Panarari, Stampa, 27.8).

“Letta e la sfida del Nord: dai giovani agli indecisi, la rimonta parte da qui’” (Stampa, 2.9).

“E Letta è pronto a schierare anche Sala: ‘In prima linea per la sfida del Nord’” (Messaggero, 3.9).

“La Sicilia è contendibile. Letta: ‘Il vantaggio di Schifani si è ridotto a 6 punti’” (Rep, 6.9).

“Dossier Pd: la strategia della rimonta” (Stampa, 7.9).

“La battaglia decisiva è su 62 seggi. I dem ora credono nella rimonta” (Rep, 7.9).

“Letta punta sul voto utile: ‘Per il pareggio basta il 4%’” (Messaggero, 7.9).

“Letta convince le imprese” (Rep, 10.9).

“La scommessa di Letta sul Sud: partita aperta in decine di seggi” (Corriere, 12.9).

“Il vento è cambiato, la rimonta è possibile” (Dario Franceschini, Rep, 14.9).

“La notizia buona, per Letta, è che più si avvicina il voto più si rafforza il senso della sfida a due tra lui e Giorgia Meloni: difficile che non abbia effetti positivi su entrambe le liste” (Cappellini, Rep, 14.9).

“Letta vede la rimonta” (Stampa, 15.9).

“Lunga vita a Enrico Letta… finché c’è Letta c’è speranza” (Merlo, Rep, 17.9).

“Il tracollo di Salvini cambierà le elezioni e Berlusconi a Nord viene eroso da Calenda” (Letta, 17.9).

“’Vinciamo noi’: il mantra di Letta” (Foglio, 19.9).

“Bari, la sinistra si sente Forrest Gump e cerca il colpaccio” (Rep, 20.9).

“L’orgoglio del Pd. Letta: ‘E ora la rimonta’” (Rep, 24.9).

“Anche se perdo resto segretario” (Letta, Rep, 23.9).

IL TERZO PELO. “C’è un’area al centro, con percentuali forse non irrilevanti, che può offrire al Pd una sponda meno inaffidabile di Conte” (Folli, Rep, 22.7).

“Un Centro europeo per il dopo-Draghi” (Cacciari, Stampa, 23.7).

“Abbiamo tolto a FI la sua parte migliore, Gelmini e Carfagna. Possiamo ripetere il 19% di Roma e battere il sovranismo” (Calenda, Corriere, 1.8).

“Calenda: da soli per frenare la destra. Portiamo via voti a FI e al Senato può uscire fuori un pareggio” (Messaggero, 2.8).

“Pd-Azione, obiettivo 37% per pareggiare al Senato” (Messaggero, 3.8). “È nato un nuovo bipolarismo. Noi abbiamo messo al centro metodo e agenda Draghi” (Mariastella Gelmini, Corriere, 3.8).

“L’accordo Letta-Calenda riequilibra in parte una gara sbilanciata a favore del centrodestra” (Antonio Polito, Corriere, 3.8).

“Il campo del centrosinistra con Calenda somiglia un po’ a un Ulivo senza Prodi” (Folli, Rep, 3.8).

“Calenda aspira all’eredità dei papi laici o forse luterani, Ugo La Malfa, Bruno Visentini, Giovanni Spadolini, la buona amministrazione, il rigore dei conti e il cattivo carattere che è stato una grande risorsa italiana, una specie di lievito del progresso” (Merlo, Rep, 3.8).

“Se per il centrosinistra c’è una strada, non può che passare da qui” (Annalisa Cuzzocrea, Stampa, 3.8).

“Accordo Pd-Azione: il centrosinistra ha evitato il suicidio”, “Il trionfo delle destre non è più così scontato” (Domani, 3.8).

“Da soli noi di Iv possiamo superare il 5%” (Maria Elena Boschi, Messaggero, 4.8).

“Il M5S ha il 10 per cento” (Calenda, Corriere, 8.8).

“Il terzo polo smuove le acque” (Stefano Folli, Rep, 9.8). “Io e Carlo insieme possiamo fare il botto” (Renzi, Stampa, 10.8).

“Sarò io a sottrarre voti a Meloni, prenderò consensi in uscita dal centrodestra, posso mandare FI sotto il 3%” (Calenda, Rep, 9.8).

“Azione come il Sassuolo: una sorpresa. Col 10% freniamo la destra al Senato” (Matteo Richetti, Messaggero, 13.8).

“Terzo Polo argine anti-destra. Maggioranza Ursula con larghe intese che chiedano a Draghi di rimanere” (Calenda, Stampa, 10.8).

“Il Terzo Polo può ambire almeno al 10%, toglieremo voti al centrodestra. Io candidato? Non so ancora dove” (Federico Pizzarotti, che non sarà candidato da nessuna parte, Messaggero, 12.8).

“Siamo noi gli eredi politici di Draghi, ruberemo voti a tutti. Possiamo raggiungere la doppia cifra” (Gelmini, Rep, 12.8).

“Dopo il voto il terzo polo sarà decisivo. Pronti al dialogo con tutti” (Renzi, Messaggero, 25.8).

“Calenda è la prova che il Centro esiste, la stagione di Berlusconi è finita, il machismo dei populisti non digerirà una donna premier” (Elsa Fornero, Stampa, 31.8).

“Debutta la coppia Calenda-Renzi: ‘Noi al 10% e Draghi può tornare. Gelmini: ‘Saremo la sorpresa del voto’” (Corriere, 3.9).

“Servirà un nuovo governo Draghi isolando le estremità di FdI e 5Stelle” (Calenda, Corriere, 21.8).

“No accordi col Pd, sì a un governo di unità nazionale, anche con FdI” (Calenda, 5.9 mattina). “La linea non cambia, stop a populisti e sovranisti” (Calenda, 5.9 sera).

“Il terzo polo supererà FI” (Boschi, Messaggero, 16.9).

“Draghi ha detto stop? Non poteva fare altrimenti, Ma dopo il 25 tutti capiranno che serve l’unità nazionale” (Calenda, Corriere, 17.9).

“Calenda: ‘Puntiamo al 13%’” (Messaggero, 20.9).

“Prenderemo più voti della Lega. E la Meloni non governerà mai” (Calenda, Foglio, 21.9).

“Calenda e Renzi ci credono: ‘Nel 2024 noi primo partito’” (Messaggero, 24.9).

“Calenda: ‘Giorgia, sei pronta? Pure io, ma è meglio Draghi’” (Rep, 24.9).

“Profilo basso e campagna in sordina. La strategia di Renzi per il ‘dopodomani’. L’ex premier studia una svolta ‘alla Pirlo’: arretrare la posizione per contare di più” (Corriere, 29.8).

“La nostra missione è cancellare i 5Stelle” (Calenda, 1.9).

Vasto programma.




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Dino

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Dalla Russia con torpore

29 SETTEMBRE 2022 - M. Travaglio

Non puoi più fidarti di nessuno, neppure degli hacker e troll russi. Ne sa qualcosa il loro beniamino Salvini, che a furia di sentir magnificare le diaboliche imprese della propaganda putiniana, ci aveva fatto la bocca. Leggeva con l’acquolina Rep: “Putin punta su Roma per spaccare Ue e Nato”, “Feluche e marinai: l’assalto all’Italia degli agenti di Putin”, “Di Maio: ombre sulle elezioni, il nemico è già qui, la Lega sta con loro”, “Pericolo dai server russi in Svizzera (sic, ndr). Così Mosca influenza il voto”, “Mosca punta sul 25 settembre. Non risparmierà risorse pur di raggiungere il risultato” (Di Feo), “Un fattore M scalda la campagna elettorale italiana… È la M di Mosca, del Cremlino (sic, ndr), la consapevolezza di essere entrati nel campo visivo dell’occhio di Sauron (qualunque cosa significhi, ndr)” (Bei). “Gli hacker russi nelle urne: bersaglio Pd, accuse anche a FdI”, “Hollande: ‘Putin è al lavoro per far vincere Salvini’”, “Nella centrale italiana che sfida gli hacker russi: ‘Mai così tanti attacchi’”, “Soldi da Mosca: c’è l’Italia nel dossier Usa” (poi non c’era, ma fa niente), “Così noi di Facebook scopriremo e fermeremo le ingerenze dei russi”, “L’allarme del Copasir su Mosca: ‘Guerra ibrida e ingerenze nel voto’”, “Medvedev a gamba tesa sulle elezioni italiane: ‘Non votate i governi idioti’”. Sfogliava eccitato il Corriere: “Un clima che piace a Mosca” (Mieli), “Criptovalute e società offshore per i fondi russi alla politica”. Divorava La Stampa del commissario Iacoboni: “Mosca connection”. Godeva come un riccio col Domani: “Minacce, insulti e ricatti sul gas: Mosca entra in campagna elettorale”, “Complotto del Cremlino. Il vaiolo delle scimmie è il nuovo fronte della guerra d’informazione”.

Mettetevi nei panni del Cazzaro Verde: un troll qua, un hacker là, una spia su, un falso account giù e sentiva aria di rivincita, s’illudeva di superare come minimo il 20% e racimolare pure un bel gruzzolo di rubli. Alla vigilia del voto un dettagliatissimo report su Rep dell’agente Johnny Riotta trasformò la speranza in certezza: “Draghi, il Pd e Letta, Renzi, Guerini e Speranza sono al centro di una campagna violenta di disinformazione online. A destra è invece Meloni bersaglio di un blitz di falsi account, legati alla propaganda del Cremlino, a lei ostili per il voto favorevole alle armi Nato in Ucraina”. Per la Lega era fatta, per Meloni erano ca**i. Poi, aperte le urne, l’amara sorpresa: stravince Giorgia l’Amerikana e straperde Matteo il Russo. Delle tre l’una: o gli hacker e i troll russi si sono addormentati tutti proprio l’altra notte; o sono più cazzari di lui e han fatto casino coi computer; o nemmeno loro se la sono sentita di votarlo. In ogni caso, ci sono tutti gli estremi per chiedere i danni al Cremlino.




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Dino

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Staccate quelle lingue

30 SETTEMBRE 2022 - M. Travaglio

Il momento del distacco è sempre traumatico. Specie per la lingua del lecchino incollata alle terga del leccato. Tantopiù se il lecchino programma la lingua per anni di leccaggio e poi è costretto a troncare bruscamente l’attività: è il celebre anilingus interruptus. Massima solidarietà dunque ai leccaDraghi che non riescono a smettere. E, mentre i Migliori salutano con l’ultima boiata (a 5 giorni dal voto, non sappiamo ancora gli eletti perché al Viminale hanno perso il pallottoliere), lo candidano ai ruoli più improbabili, pur di allontanare l’amaro calice. Breve riepilogo.

Tenutario di una fantomatica Agenda omonima, smentita da lui stesso. Proprietario a vita di Palazzo Chigi per usucapione, a prescindere dall’esito elettorale, che però premia i suoi avversari. “Capo del centrosinistra” (Riformista 22.7), che purtroppo non lo sapeva e schierava Letta. Capofila di un’“area Draghi contro l’area Putin” (Renzi dixit), due aree sconosciute anche nel comparto edilizio. Leader di un “movimento presente nel Paese che ora dobbiamo trascinare” per volontà di Ceccanti, che poi non trascina neppure se stesso e viene trombato. Premier investito da Calenda di un “Draghi-bis a maggioranza Ursula con FdI e Lega senza 5Stelle” (decisivi per eleggere Ursula, mentre FdI e Lega votarono contro), anzi “senza FdI, Lega e M5S” (ma soprattutto senza numeri). Titolare di “un ruolo dopo il 25” per espresso desiderio di Letta, che però non avrà un ruolo dopo il 25. Globetrotter che “vola negli Usa a rassicurare gli investitori” e “l’Onu su Lega e FdI” (Stampa, 5.8 e 18.9). Protagonista di un “asse invisibile con Meloni” (Stampa, 2.9). Autore di un testamento che lascia a Letta “l’eredità di Draghi” (Letta dixit), mai trovato come l’agenda. Nuovo Fregoli che si traveste da Daniele Franco, anzi “SuperFranco” che va “confermato” al Tesoro; oppure da Colao, che “Letta prova ad arruolare come erede di Draghi” (Foglio, 13 e 17.9). “Garante della continuità dell’Italia agli occhi del mondo” (Stampa, 20.9). “Regista della transizione” (Rep, 29.9), che poi è ciò che fanno tutti i premier scaduti prima di sloggiare. Firmatario di un “patto Meloni-Draghi” per farle da “garante” e portare all’Ue il verbo della leader (muta, o afona, o semplicemente timida): “Kiev e conti pubblici, Meloni starà ai patti” (Rep, 28.9), smentito dall’interessato con toni seccati: “Non ho stretto alcun patto né preso alcun impegno a garantire alcunché”. Monito piuttosto netto, che rivela un certo fastidio del premier verso i suoi cortigiani. E ricorda quello altrettanto liberatorio rivolto al casinò di Montecarlo dal Megadirettore Clamoroso Duca Conte Pier Carlo ing. Semenzara al rag. Ugo Fantozzi: “E la smetta di toccarmi il c**o!”.




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SuperMario Cabriolet

1 OTTOBRE 2022 - M. Travaglio

Noi, che siamo gente semplice, non abbiamo mai compreso la pretesa dei compratori di gas dalla Russia di fissarne il prezzo e al contempo di stupirsi se il venditore voleva tenerselo e, piuttosto, lo bruciava. Un po’ come se fissassimo il tetto alle Ferrari, entrassimo in un concessionario, ne ordinassimo una a caso avvertendo però che non la paghiamo più di 15 mila euro e ci meravigliassimo se il tizio chiama la neuro. Però tutti garantivano che, siccome l’aveva avuta Draghi, era un’ottima idea. Ma che dico idea: il price cap era già realtà perché il nostro portento che il mondo c’invidia, a furia di “spinte”, “accelerate”, “blitz” e “assi” con questo e quello, aveva già convinto tutti e 27 i partner Ue, in c**o a Putin. “L’asse tra Draghi e Macron” (Messaggero, 30.5). “Il patto Draghi-Macron: asse sull’energia” (Stampa, 9.6), “‘Salut, Mario!’. Il premier conta sul sostegno per un Recovery bis”, “Ora in Europa il nucleo è a tre: Parigi, Berlino e anche Roma” (Corriere, 9.6). “Draghi a cena da Macron: l’asse sulle sanzioni e sul tetto al prezzo del gas” (Corriere, 9.6). “Gas, tetto sul prezzo da luglio. Asse Draghi-Macron. L’Olanda ora apre. Spinta di Italia, Francia, Spagna e Grecia” (Messaggero, 24.6). “Intesa Roma-Parigi. Pressing di Draghi sul tetto al prezzo del gas”, “Ue, un Recovery per il gas” (Rep, 24.6). “Asse con Macron, disco verde da Scholz. Draghi spinge per il summit sul gas (probabilmente a luglio)” (Corriere, 24.6). “Al Consiglio Ue di luglio il tetto al prezzo del gas voluto da Draghi” (Sole 24 Ore, 24.6).

Poi purtroppo Draghi restò senza tetto: l’Ue fece sapere che lo voleva solo lui. Ma niente paura: “Cingolani: ‘L’Italia è quasi fuori pericolo’” (Stampa, 24.6). “Gas, la frenata della Ue. Slitta il tetto al prezzo. Draghi: ‘Italia al sicuro, non sono deluso’” (Messaggero, 24.6). “Tetto al prezzo del gas e greggio: Draghi fa asse con Washington” (Stampa, 26.6). “Asse tra Draghi e Biden per il tetto ai prezzi del petrolio e del gas” (Corriere, 27.6). E Di Maio avvertì: “Se salta il governo Draghi, salta il tetto al gas” (16.7). Invece il governo saltò, ma il tetto restò questione di giorni, forse di ore grazie al celebre “asse” Draghi- Macron- Scholz. “Gas, ora Berlino apre. L’ultima partita di Draghi in Ue” (Rep, 30.8), “Europa e G7: tetto su gas e petrolio” (Corriere, 3.9), “Il tetto che può mettere alle corde Putin” (Stefanini, Stampa, 5.9). “Le bizze di Putin svegliano l’Ue: il piano Draghi prende quota. L’Unione mette in campo il price cap” (Fusani, Riformista, 6.9). “C’è la maggioranza sul price cap, nato, morto e risorto in 3 giorni” (Foglio, 10.9). Poi purtroppo è rimorto. Francia e Germania si accordano alle nostre spalle, Berlino sfodera 200 miliardi per farsi un tetto tutto suo e Draghi se ne va senza tetto: cabriolet.




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Sulla buona strada

2 OTTOBRE 2022 - M. Travaglio

A smentire chi (noi compresi) accusa il Pd di non dire mai nulla perché non ha mai nulla da dire, provvedono i candidati alla segreteria con dichiarazioni e interviste che più chiare e più nette non si può.

Mozione Esclusi i Presenti. Vincenzo De Luca denuncia “un personale politico cresciuto nelle stanze ammuffite delle correnti, o nei salotti privi di aria. Non si vede gente che provenga dalla fatica e conosca l’odore della terra bagnata, il rumore di una fabbrica, l’angoscia di una vita di povertà, di un lavoro che non arriva mai”. Ce l’ha col presidente della Campania che ha piazzato come capolista il figlio Piero, mentre tutt’intorno la gente votava 5Stelle.

Mozione United Colors. Paola De Micheli ha “un’idea radicale della sinistra”, già cara ai Benetton. “Ascoltiamo le persone nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali”, così te lo dicono prima che votano Meloni o Conte. E – badate bene – “le alleanze arrivano dopo, ora dobbiamo decidere chi siamo e cosa vogliamo”. Per una che fa politica dal 1996 e se lo domanda solo ora, sono soddisfazioni.

Mozione Filini. “Non c’è un elettore che ci ha votato felice”, confessa Matteo Orfini che, dopo 34 anni di politica dal Pci al Pd, da D’Alema a Renzi, scopre di botto che “siamo respingenti” (e lui modestamente lo nacque) e “abbiamo un enorme problema di identità”. Però guai allearsi coi 5Stelle perché “non sappiamo cosa siano”, ma certo “la loro idea del lavoro non è la nostra: non si può ridurre tutto al reddito”: specie se ne hai uno garantito.

Mozione Uovo o Gallina. Anche per Stefano Bonaccini “è un errore partire dai nomi”: bisogna iniziare dai “contenuti”, per “dare risposte ai cittadini su problemi reali”, mica immaginari. E il “progetto” come ha da essere? “Forte”, non debole. Per “ricostruire” da dove? “Dalle fondamenta”. Insomma “servono molti più amministratori locali”, cioè – tenetevi forte – “donne e uomini”: non gatti, e neppure giraffe o formiche.

Mozione Gallina o Uovo. Dario Nardella conferma: “La prima sfida è confrontarci sulle idee, poi vengono i nomi”. Averle però le idee: “Recuperare un rapporto vero (ecco, non falso, ndr) con i territori e i cittadini”: “il territorio deve tornare a essere la base della piramide” (guai se fosse il tetto, anche perché c’è la punta). Senza dimenticare che “l’Italia è il Paese del bel canto” e “va superato il reddito di cittadinanza”, come dice anche il bel canto della Meloni.

Mozione A. Nazzari. “Per i compagni dell’opzione A. Nazzari: Amedeo Nazzari è morto! E porca miseria: era perfetto, è morto. Ho pensato: candidiamolo anche da morto. Ma non è possibile, dobbiamo fare una riforma per questo. E pazienza” (Corrado Guzzanti nei panni di Walter Veltroni, L’ottavo nano, 2001).




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Ma mi faccia il piacere - M. Travaglio

3 OTTOBRE 2022

Agenzia Stefani. “Giorgia ha dei bellissimi capelli, grossi, resistenti e facili nel caso si voglia cambiare il look. Se è castana o bionda? È bionda perché l’ho fatta diventare io così, le ho dato io il colore, lei era di un biondo scuro. Ma, dato che ci conosciamo da anni, nel corso del tempo l’ho convinta a farsi più chiara. Il biondo addolcisce e illumina il viso, anche se lei si illumina già da sola perché ha occhi bellissimi” (Antonio Pruno, parrucchiere, Un Giorno da Pecora, Rai Radio1, 26.9). “L’estetista di Giorgia: ‘Niente mance ma è una di noi’. Mostacciano, il quartiere della leader FdI: ‘Vuole lo smalto rosso’. E la suora: ‘Mi piace, è come la Merkel’” (Repubblica, 27.9). “La visione di Giorgia. La vincitrice delle elezioni viene accolta come una regina da Coldiretti e, va detto, lei non sbaglia un colpo: i contenuti sono giusti, il tono pure. E così, alla sua prima uscita dopo il voto che l’ha proiettata verso Palazzo Chigi, è apoteosi. Al punto che spesso è difficile capire cosa dice a causa dei ‘Giorgia, Giorgia’… Lei offre la sua visione per l’Italia e loro approvano forte… Blazer blu e sneakers bianche, una tosse insistente, difficilmente ha riposato nelle ultime settimane… Ma sa che cosa dire… E qui arriva la visione sull’Europa… Non promette quello che non può mantenere… L’applauso esplode… Poi, è di nuovo tempo di visione politica, ed è la parte più densa del discorso di Meloni… I supporter la circondano, la commentano, la salutano con cori quasi ininterrotti. Di sicuro, è luna di miele” (Marco Cremonesi, Corriere della sera, 2.10). Torna finalmente a splendere il sole sui colli fatali di Roma.
Los rosicones/1. “Descamisados con pochette. Ha perso ma si comporta da vincitore e pontifica sulle sconfitte altrui. C’è del genio in Giuseppe Conte… Tutto gratuitamente, con i soldi degli altri… Gratuitamente (ma con pochette)” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 2. 10). A parte il fatto che Conte è uno solo, dunque semmai è descamisado al singolare (con pochette, ma senza la s), ammazza quanto rosica ’sto Grasso.
Los rosicones/2. “A Scampia si vive male e si vota peggio: il 64% ha votato infatti i 5Stelle di Conte che stanava gli elettori promettendo soldi e bonus per tutti. C’è di peggio, però: in Donbass, dove gli elettori sono stati stanati con i fucili, i filorussi hanno preso il 99,23%” (Francesco Merlo, Repubblica, 30.9). In attesa di scoprire perché i poveri si ostinino a non votare chi vuole affamarli, ammazza quanto rosica ’sto Merlo.
Los rosicones/3. “Renzi, forse l’ex premier più umiliato d’Italia, resiste a una campagna d’odio vistosamente orchestrata: possibile che io abbia ricevuto almeno un centinaio di lettere contro di lui e una sola che non si genufletta davanti a Conte, l’elemosiniere a spese degli italiani che verranno, che si è attribuito i meriti di Draghi, mai abbastanza rimpianto?” (Natalia Aspesi, Venerdì Repubblica, 30.9). A parte che non c’è bisogno di orchestrare nulla perché Renzi stia sulle palle a tutti, incluso se stesso, ammazza quanto rosica ’sta Aspesi.
Los rosicones/4. “Il 2011 e il 2022: undici anni racchiusi tra due Mario. Monti che prova a tamponare i disastri del berlusconismo. Draghi che cerca di ricostruire tra le macerie del contismo. In mezzo, il lungo kamasutra del demo-grillo-leghismo, dove populisti capaci di niente si contendono e si scambiano il potere con governisti pronti a tutto” (Massimo Giannini, Stampa, 2.10). Fortuna che, dopo le macerie dei populisti capaci di niente, è giunto Draghi a gestire pandemia, lockdown e ristori, a ottenere dall’Ue 209 miliardi di Pnrr e a strapparle pure il price cap sul gas, sennò sai come rosicava pure Giannini.
Coorelazioni perfette. “Esiste una correlazione quasi perfetta tra i percettori del reddito e i voti al partito di Conte. Più sono i beneficiari, più sono i consensi” (Repubblica, 2.10). Esiste una correlazione quasi perfetta fra i consigli di Repubblica a Letta, Calenda&C. e i voti a Letta, Calenda&C.. Più seguono i consigli di Repubblica, meno sono i consensi.
L’ideona. “Cambiare nome al Pd. È l’unica strada per rinascere. Chiamiamoci solo ‘I Democratici’. Togliamo il Partito di mezzo” (Roberto Morassut, deputato Pd, Repubblica, 28.9). Così quei fessi degli elettori non li riconoscono: furbo, lui.
Questo nome non mi è nuovo. “Adesso cambiamo la legge elettorale” (Ettore Rosato, presidente Iv, Stampa, 26.9). E possibilmente troviamo pure quel pirla che l’ha firmata.
Il titolo della settimana/1. “Giorgia incontra Silvio: ‘Governo di alto profilo’” (Libero, 2.10). Quindi lui è già escluso in partenza.
Il titolo della settimana/2. “Il voto dei ventenni: 5S primo partito” (Repubblica, 29.9). “L’agenda Draghi è stata bocciata dalle urne ma è maggioranza tra i giovani” (Foglio, 28.9). Uahahahahah.
Il titolo della settimana/3. “Crosetto: ‘Sarà il governo dei migliori’” (Messaggero, 27.9). Che bello: un altro.
Il titolo della settimana/4. “Cara Sinistra, per risorgere devi sorridere” (Francesco Piccolo, Repubblica, 28.9). Perchè, che c’è da ridere?




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I conti senza Conte

4 OTTOBRE 2022 - M. Travaglio

Chi finge di non capire la distanza siderale che oggi divide i 5Stelle e questo Pd dovrebbe ripassare la storia degli ultimi tre mesi e mezzo. A partire dal 19 giugno, quando Luigi Di Maio, ministro 5S degli Esteri, accusò il suo capo Giuseppe Conte di “disallineare l’Italia da Nato e Ue” e di “mettere a rischio la sicurezza nazionale” citando una falsa risoluzione 5Stelle contro l’ennesimo invio di armi a Kiev. Né il premier Draghi né i ministri Pd difesero Conte e il partito di maggioranza relativa. Il Nazareno già sapeva dell’imminente scissione di Di Maio&C., che da settimane (dalle Presidenziali di febbraio, quando con Renzi e Guerini fece saltare l’opzione Belloni concordata da Conte, Salvini, Letta e Meloni) reclutava segretamente truppe grilline e cercava pretesti per andarsene. Ne erano informati alcuni consiglieri del Colle, con cui Di Maio ha sempre concordato ogni mossa. Senza il loro avallo e quello dello staff draghiano, ma soprattutto senza la promessa di collegi dal Pd in caso di voto anticipato, mai un calcolatore come lui avrebbe fatto il salto nel buio. Pensava di rafforzare Draghi e dunque se stesso, ma anche di acquisire altri meriti presso Usa, Nato e Ue vampirizzando il M5S, che chiedeva di discutere in Parlamento di armi e negoziati e invocava misure contro lo tsunami sociale. La scissione fu annunciata da Di Maio + 64 il 21 giugno sera. Draghi sostiene di averla appresa quel mattino: ma anche chi gli crede sa che sarebbe bastato un suo cenno per fermarla. Invece non fece nulla. Anzi provocò i 5S infilando nel dl Aiuti la norma Pd sull’inceneritore di Roma e altre contro il Rdc e il Superbonus, e ci impose pure la fiducia.

Non solo. Grillo raccontò a Conte che in quei giorni il premier non si limitava – come suo solito – a chiedergli di scaricarlo: gli suggeriva pure di portare a Di Maio i grillini rimasti per isolarlo. Grillo rifiutò e, sceso a Roma, lo riferì anche a De Masi e ai parlamentari. Il 15 luglio il M5S non votò la fiducia in Senato per l’inceneritore e Draghi si dimise pur avendola ottenuta: il Pd sperava in una seconda scissione nel M5S e promise altri seggi ai draghiani rimasti, da D’Incà a Crippa. Mattarella rinviò il governo alle Camere e il 20 luglio Draghi fece l’harakiri-bis: attaccò Lega, FI e M5S per farsi sfiduciare, sempreché i governisti grillini e leghisti non mollassero Conte e Salvini. Non lo fecero (a parte Crippa, D’Incà e pochi altri geni) e addio governo. BaioLetta bandì subito Conte per la gioia degli Usa e regalò collegi uninominali a Di Maio, Spadafora, Azzolina, Crippa&C.. Che li persero tutti, mentre Conte rimontò fino al 15,5%. Se lui avesse fatto al Pd ciò che il Pd ha fatto a lui, oggi qualcuno si domanderebbe perché non tornano insieme a tarallucci e vino?




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LA PACE PROIBITA

l'editoriale di Marco Travaglio

05 ottobre 2022

Il mantra di chi vuole armare l’Ucraina è sempre stato questo: “Senza le nostre armi, Kiev soccomberà e non ci sarà mai un negoziato di pace”. Si vis pacem gere bellum, anche se la Costituzione legittima solo la guerra difensiva per l’Italia e i suoi alleati (e l’Ucraina non lo è, né nell’Ue né nella Nato). L’ossimoro migliore lo sfoderò il premier Draghi, quando disse in Parlamento che che l’invio di armi è finalizzato alla“de-escalation” militare: e su quell’assunto illogico e incostituzionale le Camere abdicarono ai propri poteri/doveri, dando carta bianca al governo per armare Kiev a piacere fino al 31 dicembre. Ancora al G7 in Germania, il 28 giugno, Draghi scandì: “Armi e sanzioni sono fondamentali per costringere la Russia alla pace. Non c’è pace se l’Ucraina non può difendersi. Anche le sanzioni sono essenziali per portare la Russia al tavolo dei negoziati. Dobbiamo essere sempre pronti a cogliere gli spazi negoziali”. Tutti i costituzionalisti – sia quelli fedeli all’articolo 11 sia chi lo stiracchia per compiacere – sostenevano che, armi o non armi, l’obbligo costituzionale è risolvere la controversia ucraina col negoziato, visto che “l’Italia ripudia la guerra”. Lo disse il presidente della Consulta Giuliano Amato. E lo confermò l’ex presidente Cesare Mirabelli: “Prestare aiuto a Kiev, senza entrare nel conflitto, è costituzionalmente legittimo… anche con strumenti bellici. Ma lo sforzo maggiore, nel rispetto dell’art. 11, dev’essere al tavolo dei negoziati. La Carta non nega la guerra di difesa, ma indica la via maestra della diplomazia come soluzione dei conflitti internazionali”. Concetto ribadito dal quarto (e finora ultimo) decreto del 26 luglio: “…misura di assistenza nell’ambito dello strumento europeo per la pace per sostenere le Forze armate ucraine…”.
Ora però c’è un enorme fatto nuovo: il presidente ucraino Zelensky ha ratificato per decreto la decisione del Consiglio di Sicurezza e Difesa sulla “impossibilità di intrattenere

negoziati col presidente della Federazione Russa Vladimir Putin”. Cioè ha proibito a se stesso e a ogni autorità ucraina di negoziare. Quindi da ieri inviamo armi a un Paese belligerante che, anche volendo, non può negoziare: vuole risolvere la controversia con la Russia solo con la guerra. E, intendiamoci, è libero di farlo. Noi però non abbiamo (ancora) sostituito la nostra Costituzione con quella ucraina. Dunque, ammesso e non concesso che finora potessimo inviare armi, d’ora in poi non possiamo più, essendo ufficiale che sarebbero usate per una guerra infinita fino all’ultimo ucraino, essendo i negoziati vietati per legge. Eppure, mentre andiamo in stampa, né Draghi né Meloni hanno ancora avvertito Zelensky delle conseguenze della sua svolta sull’Italia. Ma di sicuro lo faranno oggi, no?
IL Fatto Quotidiano

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Gli alfa privativi

6 OTTOBRE 2022 - M. TRAVAGLIO

Una sommessa preghiera a quelli che consigliano al Pd come uscire dalla crisi in cui è precipitato per aver seguito i loro consigli: abbiate pietà, abbiamo già tanti guai, munitevi almeno di un traduttore simultaneo che decritti i vostri messaggi cifrati, non ce la possiamo fare. Ieri, per dire, ha dato il suo contributo sulla Stampa il padre del partito mai nato, Walter Veltroni che, con “sguardo appassionato ma doverosamente distante”, punta nientemeno che alla “riprogettazione dell’identità della sinistra” perché “è tempo di immaginare un’altra società”. Perbacco. Insomma, “incarnare il senso di smarrimento dei cittadini”, a cui Uòlter contribuisce da par suo. Perché “è proprio questa la ‘terra’ di un partito”. Quale? “Una comunanza di sentimenti”. Come no. Purtroppo ha perso le elezioni. Anzi no: “Il Pd, più che una sconfitta elettorale, ha subìto una sconfitta politica”. Ah ecco. Però “rischia molto se non coltiva la sua identità e se non cambia profondamente”. Un ingenuo potrebbe pensare che, se deve cambiare profondamente, una identità non ce l’ha. Ma sbaglierebbe: “Torniamo alle radici: nel 2007 cercammo di dire che il Pd non era l’alfa privativo”. Alle catene di montaggio e nei mercati rionali non si parlava che dell’alfa privativo e purtroppo la gente lo scambiò per il Pd e corse a votare B., poi Lega, poi 5Stelle, poi Meloni. Non capiva, la plebaglia, che il Pd era “una bellissima identità propria, il soggetto che coniugava, senza la costrizione delle ideologie, la radicalità del riformismo con la pienezza delle libertà”. E lo confondeva con “un indistinto affetto da moderatismo”, anche perché nel frattempo Uòlter aveva imbarcato Calearo e la Binetti, di lì a poco arrivarono pure Renzi, Verdini, Alfano e Casini, e ci furono risparmiati Amedeo Nazzari e Leonardo Di Caprio solo perché il primo era morto e il secondo, dopo Titanic, non voleva fossilizzarsi nella parte di quello che affonda (copyright Corrado Guzzanti). Però dài, ora con la radicalità del riformismo e la pienezza della libertà tutto torna a posto.

Ancor più decisivo l’apporto di Luciano Violante che, su Rep, ha una folgorazione: “Ora il Pd riparta dall’opposizione”. Bontà sua. Da dove altro potesse ripartire, avendo perso le elezioni, non è dato sapere. Ma Violante la mette giù come una gentile concessione alla destra, un atto di generosità: “Per stavolta v’è andata bene, ripartiamo dall’opposizione, ma solo perché abbiamo deciso di rinunciare al governo. Invece di montarvi la testa, dovreste ringraziarci per il beau geste”. Come una vedova che, ai funerali del marito, annuncia: “Ora riparto da single”. O uno che precipita dal terzo piano e, mentre arriva l’ambulanza, strilla: “Poche balle, ora riparto dal pianterreno!”.




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7 ottobre 2022
Meglio muti

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Alla Direzione del Pd, la miglior alternativa al Valium scoperta sinora, un delegato connesso da remoto (il capodelegazione al Parlamento europeo Brando Bonifei) ha parlato per oltre due minuti senz’audio e nessuno in platea s’è accorto che non si sentiva niente. Escludendo un’epidemia di sordità sull’intero uditorio, un’esercitazione di lettura labiale e un provino per il prossimo film di Mel Brooks, la cosa ha tre sole spiegazioni possibili. 1) I delegati presenti stavano ascoltando musica con le cuffiette. 2) L’inutilità media del dibattito era tale che si è preferito non ascoltare nulla che ascoltare il nulla. 3) La relazione di Enrico Letta ha reso di gran lunga preferibili gli interventi muti a quelli sonori. Il segretario ha detto, restando serio, che il Pd sbagliò a entrare in governi di unità nazionale, tipo Monti e Draghi, e non lo farà mai più. Non male per un leader (si fa per dire) che ha trascorso l’anno e mezzo della sua segreteria non solo a magnificare Draghi, il suo governo di unità nazionale e financo la sua fantomatica Agenda; ma addirittura a scomunicare chiunque osasse criticarlo o avanzare proposte o peggio non votargli la fiducia, fino a decidere scientemente di perdere le elezioni e consegnare l’Italia alla destra pur di non allearsi col premier dell’unico governo progressista degli ultimi 25 anni, preferendogli quello di unità nazionale con Lega e FI. Se quel “mai più” l’avesse detto non a funerali avvenuti, ma prima del voto, quando lo diceva Conte, ora Meloni non sarebbe sull’uscio di Palazzo Chigi. Ma nessuno s’è alzato per chiedergli i danni, anche perché la geniale non-alleanza coi 5Stelle l’aveva approvata la precedente Direzione all’unanimità. Notevoli anche gli applausi scroscianti al “mai più governi di unità nazionale” dai ministri che siedono da 18 mesi nel governo di unità nazionale. Cose che possono accadere soltanto in un Paese che ha abolito la logica e il senso del ridicolo.

A questo proposito, i giornali informano, con un misto di sorpresa e compiacimento, che Meloni chiede “ministri competenti”, “credibili” e “di alto livello”: evidentemente si aspettavano che dichiarasse di volerli incompetenti, di basso livello e pure cialtroni. Avrebbe anche invocato “figure all’altezza” o di “statura”, il che esclude almeno B. (sempreché non si riferisca alla statura morale). Poi avrebbe precisato che “sul governo io ci metto la faccia”, come se un premier potesse nascondersi per cinque anni mettendoci, che so, il gomito, o la clavicola, o la rotula, o l’alluce. La qual cosa, per il Corriere, non è un’ovvietà, ma addirittura “il piano Meloni”, meritevole dell’apertura di prima pagina. Un “piano” così innovativo da prevedere addirittura “figure di alto profilo”: già al vaglio le foto segnaletiche.





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Zelenkenstein

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Prima o poi doveva accadere. Bastava aspettare. Dopo averlo rimpinzato di miliardi e di armi, gli Usa scoprono che il governo Zelensky “manca di trasparenza” sia nelle azioni belliche in Ucraina sia sui “piani militari sotto copertura su territorio russo”. Tipo quando ha organizzato a Mosca l’omicidio di Darya Dugina (che forse comprendeva quello del padre Alexander Dugin, filosofo putiniano, fallito per un soffio) senza consultare Washington. Finora l’interesse di Usa e Ucraina (e talvolta perfino della Russia) all’escalation per una guerra infinita coincidevano: solo l’Europa aveva l’interesse opposto, anche se i suoi folli governi continuano a sanzionare e dissanguare i propri popoli. Ma ora l’avvertimento Usa a Kiev e l’allarme di Biden sull’Armageddon potrebbero dare una svolta alla guerra. Magari fra un mese, dopo le elezioni di mid-term. L’importante è che, se non i governi europei più votati al bellicismo beota (tipo il nostro), almeno Washington comprenda che la giusta solidarietà col popolo ucraino aggredito dai russi non va confusa con l’obbedienza cieca, religiosa, al verbo di Zelensky. Le sue continue richieste e pretese saranno anche legittime, ma andrebbero vagliate una per una e non subite come dogmi di fede, perché non è detto che i suoi interessi coincidano con quelli del suo popolo, né tantomeno con i nostri.

Per troppo tempo gli abbiamo lasciato fare e dire di tutto, pendendo dalle sue labbra. Si presentava al Parlamento greco con un nazista di Azov, e tutti zitti. Metteva fuorilegge gli undici partiti d’opposizione arrestandone il capo, e tutti zitti. Avallava feroci rappresaglie sui “collaborazionisti” russofoni, e tutti zitti. Spacciava bufale come i missili russi sulla centrale di Zaporizhzhya o la camera di tortura con denti d’oro strappati alle vittime, e tutti zitti. Ci intimava di rinunciare al gas russo che lui seguitava a comprare, incassando pure i rubli per i diritti di transito del gasdotto, e tutti zitti. Vietava per decreto ogni negoziato con Putin, e tutti zitti. Anzi, porte aperte per Ue e Nato, gratis. La scusa era che Putin è infinitamente peggio di lui e la Russia è l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito, come se qualcuno lo negasse (almeno dal 24 febbraio). Come se chi vuole negoziati fosse putiniano. E come se non dovessimo pretendere dall’alleato che finanziamo e armiamo condotte più civili di quelle del nemico che combattiamo. Ora che gli Usa svelano l’azione terroristica di Kiev su una donna di 29 anni, rea soltanto di esser figlia di suo padre, si scopre che Frankenstein è sfuggito di mano ai suoi creatori americani ed europei. I quali ora, sulla spinta – si spera – di tante piazze piene, dovranno indicargli l’unico obiettivo possibile: il negoziato di pace, non l’olocausto nucleare.





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Scemi di guerra: il sequel

9 OTTOBRE 2022 - M. Travaglio

Vista la magra riuscita delle liste di “putiniani”, gli scemi di guerra ne sperimentano di nuove. Non più all inclusive, ma sfuse, a rate: un nome al giorno (quasi tutti del Fatto, rara testata non edita dal Pentagono) per educarne cento. “Travaglio e il Fatto ormai in campagna aperta per Putin e la sua guerra”, twitta Riotta a proposito di un mio pezzo sulla “giusta solidarietà col popolo ucraino aggredito dai russi” e l’insofferenza Usa per Zelensky. Ma il cortigiano Johnny va capito: Biden scopre che Putin ha l’atomica e potrebbe usarla prima della famosa vittoria ucraina, Blinken chiede di trattare e la Cia invia pizzini a Zelensky perché si dia una calmata. Che fare? Non potendo dare dei putiniani pure a Biden&C., i nostri Nando Mericoni insultano i giornali che danno la notizia anziché censurarla come loro. Che oscurano pure il decreto Zelensky che vieta di trattare con Putin (il Fatto ne parla e Cappellini di Rep grida all’“orrore” e al “marciume”). E nascondono le proteste del consigliere di Zelensky, Podolyak, contro il Nobel per la Pace a un dissidente bielorusso detenuto, all’Ong russa ant-Putin Memorial (fondata da Sacharov) e al Centro Libertà Civili ucraino che monitora i crimini di guerra russi, perché “rappresentanti di un Paese attaccato e dei due Paesi che l’hanno attaccato”. Questo genio confonde i cittadini col loro governo: avrebbe contestato anche i Nobel a Sacharov (un favore a Breznev), a Walesa (un regalo a Jaruzelski) e a Mandela (un premio all’apartheid). Per dire quali cretini consigliano Zelensky. Ma su queste imbarazzanti proteste sorvolano tutti, tranne Stampa e Foglio che le sposano a firma Anna Zafesova: il Nobel “equipara due dittature e una democrazia, due aggressori e un aggredito”, anziché premiare per la Pace “il candidato più ovvio: Zelensky”, capo di un governo che massacra i russofoni nel Donbass e fa esplodere una donna di 29 anni a Mosca.

L’equazione degli scemi di guerra è chiara: chi chiede negoziati è putiniano. Alcuni eurodeputati Pd votano con M5S e sinistra una risoluzione (bocciata) che impegna “Ue e Stati membri a vagliare tutte le potenziali vie per la pace”? È “l’ala filo-Putin” (Giornale). Conte invoca un corteo pro negoziati? Il pomcorneilcretino della sera Massimo Franco si spettina tutto perché “emerge una nebulosa che fa della ‘pace’ e del ‘dialogo’ un manifesto antieuropeo e anti Nato” e vuole “la resa ai russi” (peraltro mai chiesta da alcuno), “suona come smentita alla decisione del governo” (lesa draghità) e mira a “costringere il Pd all’estremismo antibellico”. Quindi chi è contro la guerra di Putin non è solo putiniano, ma anche estremista. Da non confondere con quelli che vogliono la guerra e pure l’atomica, cioè i moderati.




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Ma mi faccia il piacere

10 OTTOBRE 2022 - M. Travaglio

La madre ricostituente. “Maria Elena Boschi: ‘Cambiare la Carta? Pronti a discuterne’” (Libero, 4.10). Doppio velo, stavolta?

Com’è umano lui. “Questa sarà la mia ultima legislatura” (Piero Fassino, 7 volte deputato Pd, Un giorno da pecora, Radio 1, 4.10). Se questo Fassino vuol farsi rieleggere per l’ottava volta, si ricandidi e vediamo quanti voti prende.

Ricordatevi di me. “Giorgia pronta per la sfida che l’attende, è il momento di un governo politico. Sono a disposizione del mio Paese, delle istituzioni e del centrodestra come sempre” (Maria Elisabetta Casellati, senatrice FI, Stampa, 7.10). Poveretta, come s’offre.

Gombloddo. “Contro il Pd si sta muovendo il peggio, non solo dall’Italia. Non so se davvero riusciranno a farla nascere la ‘cosa’ putiniana. Ma, per restare a Mourinho, Giuseppe Conte a sinistra ha ‘zero tituli’” (Francesco Merlo, Repubblica, 7.10). Signor colonnello, accade una cosa incredibile: gli italiani si sono alleati con i russi!

Il vero vincitore. “Vogliono morto il Pd perchè, tramortiti dalle proprie sconfitte, lo sentono vivo. L’assalto al Pd è commovente proprio perchè ne prova la forza” (Merlo, Repubblica, 4.10). Ecco perchè il Pd vuol cambiare segretario, programmi, nome, simbolo e forse pure sciogliersi: perchè è fortissimo. Ammazza che fusto.

Il cassamortaro. “Il Pd, per come l’abbiamo conosciuto, è finito” (Matteo Renzi, senatore Azione-Iv, 1.10). Da quando l’ha conosciuto lui.

Aspesi e spera. “Preferirei Londra, ma non ho rifugio da nessuna parte. Forse in cantina. Sapevamo già quali sarebbero stati i risultati, temo che solo il Pd sperasse ancora… Un po’ anche noi però, perchè chissà, i miracoli esistono” (Natalia Aspesi, Venerdì di Repubblica, 7.10). Lei, per sicurezza, ha votato e fatto votare Renzi.

Los rosicones/1. “Per loro che se ne intendono, molto meglio una sovranista eletta che un democratico illuminato, che stava sistemando le cose… Mario Draghi ci lascia anche lezioni di comportamento, compreso quello verso chi lo sostituirà: pensi a Conte, vendicativo, di quelli che non perdonano, e in più di sapienza istituzionale limitata” (Aspesi, ibidem, 7.10). Però, ammazza quanto rosica ‘sta Aspesi.

Los rosicones/2. “C’è anche Conte nella piazza Cgil”, “Ruba la scena ai dirigenti dei partiti di sinistra”, “Così il capo M5S si mette in mostra” (Corriere della sera, 9.10). Però, ammazza quanto rosica ‘sto Corriere.

Los rosicones/3. “Zanda chiama ‘astuzia’ le bugie di Conte, ma a me pare che mentire per screditare sia la ragione sociale dei 5Stelle, la loro natura. E difatti, sconfitti e tramortiti, stanno rilanciando, contro il Pd, il loro vecchio vaffa, anche se ormai imbolsito dal codice avvocatesco di Conte… Una volta, a sinistra, un nemico così caricaturale sarebbe stato liquidati con un coro di ‘sc**o sc**o’” (Merlo, Repubblica, 4.10). Però, ammazza quanto rosica ‘sto Merlo.

Il vicePapa. “Gli errori dei filo-Putin”, “Perfino la predicazione di Papa Francesco viene piegata a quella finalità e il suo ripudio della guerra diventa uno strumento di propaganda” (Luigi Manconi, Repubblica, 3.10). Ci mancava anche questa: il Papa, prima di predicare, non legge Manconi.

Il Grande Romano. “Mia moglie Sara Manfuso nella casa del Grande Fratello? Sono molto orgoglioso della sua scelta” (Andrea Romano, ex deputato Pd non rieletto, Un giorno da pecora, Radio 1, 29.9). Almeno una che lavora fa sempre comodo, in famiglia.

Lo sfasciacarrozze. “Ho ricevuto tra ieri e oggi già quasi 700 inviti/email soprattutto di giovanissimi che mi chiedono di far cadere il governo: ragazzi, capisco che è diventata la mia specialità, ma prima di buttare giù il governo bisogna che almeno lo facciano!” (Renzi, 27.9). E che facciano la cazzata di invitarlo a entrare.

Polifurbetti e policazzari. “Basta! Un immigrato (marocchino ndr) con 7 mogli dichiara di prendere 8 redditi di cittadinanza! È ora di punire questi furbetti” (Matteo Salvini, leader Lega, Facebook, 2.10). Peccato che in Marocco sia permesso avere al massimo 4 mogli e, soprattutto, che l’Italia vieti la poligamia e consenta i ricongiungimenti familiari con una sola moglie.

Il titolo della settimana/1. “‘Nordio guardasigilli lo vedo benissimo’. Parola di Fiandaca” (Dubbio, 8.10). Mo’ me lo segno.

Il titolo della settimana/2. “È ora che il Pd faccia qualcosa di sinistra” (Chiara Valerio, Repubblica, 5.10). Cosa c’è più di sinistra che perdere ininterrottamente da quando si è nati?

Il titolo della settimana/3. “Gelmini: ‘Dialogo con tutti eccetto i 5Stelle’” (Messaggero, 5.10). I soliti fortunati.

Il titolo della settimana/4. “Caldi ed eleganti: l’inverno del caro bollette richiede un cambio di look. L’esigenza di abbassare il termostato sta portando a un cambiamento nel costume: addio alla formalità classica, diamo il benvenuto al layering in versione elegante. Portavoce di questa mutazione stilistica è il presidente francese Emmanuel Macron, che ha già sostituto la camicia con il dolcevita” (Repubblica-Moda e Beauty, 4.10). Ma vergognarsi mai?




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11 ottobre 2022
L’eterno ritorno

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Mentre tutti s’interrogano sulla “nuova destra” che avanza, B. s’incarica di avvertirli che è solo la vecchia che è avanzata. Il toto-ministri ruota intorno a due caselle, le solite dal 1994: Giustizia (per i processi) e Comunicazioni (le tv). Che, salvo rare parentesi, sono sempre state sue, per usucapione. Nel governo B. 1 (1994) alla Giustizia va l’avvocato Biondi (e solo perché Scalfaro respinge Previti) e alle Poste e Comunicazioni Tatarella: tutta roba sua. Nel governo Dini (1995) B. impone a Guardasigilli l’ex giudice siciliano Mancuso, nemico dei pool di Milano e Palermo, e alle Poste l’avvocato Gambino, ex difensore di Sindona (P2 come lui); poi non vota neppure la fiducia. Nel Prodi-1 (1996-’98), anziché Di Pietro, dirottato ai Lavori pubblici per non disturbare, va in via Arenula l’avv. Flick (dimezzato l’abuso d’ufficio e chiuse le carceri di Pianosa e Asinara, come da papello di Riina); e alle Comunicazioni l’inciucista Maccanico, che aggira l’ordine della Consulta di tagliare le reti F*******t da tre a due. Nel governo D’Alema (1998- 2000) la Giustizia va a Diliberto (rara avis non berlusconiana), mentre le tv le garantisce il dc siciliano Cardinale. Che infatti resta anche nell’Amato 2 (2000-’01), mentre alla Giustizia arriva il più affidabile Fassino, che riesce a demolire la legge sui pentiti, come da papello.

Il governo B. 2 (2001-’06) sistema nelle due caselle di casa l’ingegner Castelli e il fido Gasparri, autori o complici di memorabili leggi ad personam. Nel Prodi 2 (2006-’08) due gentili omaggi: guardasigilli Mastella (con indulto incorporato) e alle Comunicazioni l’amico di Confalonieri, Gentiloni, che difende la Gasparri contro Europa7. La giusta punizione è il B. 3 (2008-’11), col ritorno di Castelli e, per tv e affini, Landolfi. Con Monti (2011- ’13) i due ministeri vanno all’avvocata Severino (oltre alla legge omonima votata anche da B., c’è la “riforma” della concussione che lo farà assolvere per Ruby) e a Passera (nulla contro il monopolio tv). B. resta in maggioranza con Letta (2013-’14), infatti non ha nulla da temere dal Guardasigilli Orlando né da Catricalà alle Comunicazioni. Idem per il governo Renzi (2014-’16): Orlando e la Guidi, poi rimpiazzata da Calenda. Orlando e Calenda restano anche nel Gentiloni (2016-’18). Nei Conte-1 e 2 (2018-’21), eccezionalmente, B. non tocca palla: Bonafede alla Giustizia, Di Maio e Patuanelli allo Sviluppo e Comunicazioni. Draghi (2021-’22) è manna del cielo, si torna alla normalità: Cartabia alla Giustizia e Giorgetti allo Sviluppo, con i forzisti Pichetto e Moles alle Comunicazioni e all’Editoria. Ora, per il Meloni 1, si parla di Sisto o Casellati alla Giustizia e Ronzulli allo Sviluppo (con Comunicazioni). Il solito sviluppo: il suo.




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12 otttobre 2022

La marcia contro la pace

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Il dibattito da asilo nido sulle manifestazioni pacifiste impone di ritoccare così la battuta di Churchill: “Gli italiani parlano delle guerre come fossero partite di calcio, e delle partite di calcio come fossero guerre”. Gli scemi di guerra che marciano da fermi contro le marce per la pace sono così accecati dalla loro propaganda da non accorgersi che gli spiriti guida made in Usa li stanno scavalcando, avendo scoperto che armare Kiev fino alla vittoria finale non ha senso: quando un paese senza atomica incontra un paese con l’atomica, quello senza atomica è un paese morto. E, al posto della vittoria finale di uno, c’è la disfatta tombale di tutti. Ma vallo a spiegare ai signorini grandi firme che trattano chi vuole la conferenza di pace da anima bella o da putiniano prezzolato. Mentre governi e stampa di mezzo mondo s’interrogano su come finire la guerra dopo 225 giorni di stragi e crisi globale, questi geni sono fermi ai mantra del 24 febbraio: Putin è l’aggressore, con lui non si tratta. Strano: nella storia tutti i negoziati che interruppero guerre in corso si fecero con gli aggressori (e con chi se no?). E non partirono dalla pretesa che si ritirassero, ma dal cessate il fuoco bilaterale: il ritiro arriva dopo l’accordo, non prima della trattativa.

Poi ci sono quelli, come il famoso storico Paolo Mieli, che non si limitano a respingere l’idea stessa di negoziato. Ma non si capacitano neppure che qualcuno lo voglia, salvo nascondere qualcosa di losco: o i rubli di Mosca, o la prava volontà di alcuni pidini di “gettarsi fra le braccia del M5S” (Mieli), o le trame di “Conte ‘pacifista’ per invadere il Pd” (Giornale), insomma “la sfida per la leadership della sinistra tra grillismo e Pd” (Franco, Corriere), complici “alcune associazioni cattoliche” (così Franco chiama il Papa) che si fanno “usare dal Cremlino”. Fortuna che BaioLetta, con l’agile mossa del “sit-in all’ambasciata russa”, “brucia Conte e unisce il Pd” (Rep). Noi danziamo sull’orlo della catastrofe nucleare e quelli si occupano di chi ce l’ha più lungo fra Conte e Letta. Non riescono proprio a concepire che nessun essere senziente voglia finire brasato da un’atomica per difendere russofoni e russofili del Donbass dai russi con cui vogliono tornare e restituirli agli ucraini con cui non vogliono aver nulla a che fare. Non capiscono neppure che i sit-in all’ambasciata russa sono giusti ma inutili, perché Putin se ne infischia. Invece i cortei per un negoziato internazionale sono utilissimi, perché si appellano ai governi europei: o prendete l’iniziativa o perdete consensi. Finirà che ci penserà Biden, spiazzando i suoi servi volontari, che correranno a pavesarsi di bandiere arcobaleno con l’aria dei pacifisti antemarcia. O ficcheranno anche lui nella lista dei putiniani.




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